COLOMBO, Fernando
Figlio naturale di Cristoforo e di Beatrice Enriquez de Arana, nato a Cordova nel 1488, morto a Siviglia nel 1539. Appena quattordicenne accompagnò il padre nel quarto viaggio, e in questo, che fu tra tutti il più pericoloso e il più tormentato, gli fu di grande aiuto e conforto per il coraggio e l'esperienza dimostrati in ogni circostanza.
Fu una seconda volta in America nel 1509, quando accompagnò a S. Domingo il fratello primogenito don Diego, che egli aveva validamente assistito nell'ottenere la reintegrazione nelle dignità e nei privilegi spettantigli per la sua qualità di erede dell'Ammiraglio. Ritornato quasi subito in Spagna, quivi stabilì la sua abituale dimora, allontanandosi però frequentemente per viaggi in varie parti d'Europa (è dubbio che si sia recato una terza volta in America), sia per incarichi ufficiali, per il gran conto che di lui faceva Carlo V, sia, più ancora, per suo svago e istruzione. In Italia fu a varie riprese, e a Roma soprattutto rimase a lungo.
Frutto di questi suoi viaggi fu una copiosa e preziosissima raccolta di libri, ch'egli ricercava col fervore d'un umanista. Fondò a Siviglia tra il 1526 e il 1530 una ricca biblioteca, che ebbe prima il nome di Fernandina e oggi è detta Colombina; contava 15.370 volumi da lui comperati direttamente nei suoi viaggi in Europa fino al 1538; e le annotazioni relative agli acquisti, da lui apposte su ciascun libro, ci dànno sicura testimonianza dei varî luoghi dove egli fu successivamente. La biblioteca, che Fernando voleva avesse carattere perpetuo, fu lasciata col testamento a noi pervenuto (riprodotto anche nella Raccolta Colombiana, parte 2ª, I, p. 232 segg.) al nipote don Luis, figlio del fratello Diego, ma a condizione che contribuisse annualmente al suo mantenimento con 100.000 maravedis: in difetto di questa condizione, i libri dovevano andare, con lo stesso obbligo, alla cattedrale di Siviglia, e in rifiuto di questa al convento di San Paolo. La madre di don Luis autorizzò infatti nel 1544 il deposito dei libri in quel monastero: ma il capitolo della cattedrale ottenne nel 1551 di rientrare in possesso della biblioteca; ciò avvenne nell'anno successivo, e la biblioteca fu collocata in una grande aula del primo piano nell'ala moresca della cattedrale. Nel 1678 fu trasferita in una sala che dà sulla corte degli aranci; ma, trascurata e abbandonata, andò di lì a poco soggetta a gravi dispersioni, in seguito a furti e devastazioni, si che oggi conserva solo 4000 volumi del fondo originario. Essa occupa ora quattro sale nel fabbricato della cattedrale e comprende 3400 volumi e 1600 manoscritti. Fra questi sono particolarmente preziosi i cataloghi e indici redatti dallo stesso Fernando, bibliofilo esatto, accurato e metodico, che ci fanno conoscere l'esatta consistenza della biblioteca. Primo bibliotecario ne fu, nel 1535, Giovanni Vaseus. Oltre ai cataloghi, agl'indici e a varî volumi di "eruditae annotationes", Fernando compose anche dei versi.
Ma don Fernando non fu soltanto un dotto, un umanista nel senso più ampio: educato alla scuola del padre, del quale era il prediletto, egli fu anche un valentissimo cosmografo e astronomo, e le scienze matematiche gli furono altrettanto famigliari quanto le lettere; talché l'imperatore si valse dell'opera sua in varie importanti circostanze: nel 1524 presiedette la giunta dei cosmografi e piloti spagnoli che, insieme coi rappresentanti portoghesi, dovevano definire la questione del possesso delle Molucche, alle quali tre anni prima era giunto Magellano, e in questa occasione egli redasse quattro memoriali, nei quali - soprattutto nel Proceso de propriedad - si rivela una profonda conoscenza dei mezzi e degli argomenti tecnici che potevano valere allora per suffragare i diritti della Spagna. Nel 1526 ebbe l'incarico di formare e presiedere una commissione di piloti e di cartografi che dovevano rinnovare, in base alle recenti esplorazioni e scoperte, il Padrón Real o carta marina ufficiale a uso dei piloti, tipo di carta che fu usato a lungo, e di cui rimangono oggi alcuni splendidi esemplari, come i due planisferi di Weimar del 1527 e del 1530. Nel 1527, in assenza del Piloto mayor Sebastiano Caboto, egli ebbe il compito di esaminare i piloti addetti ai viaggi delle Indie, e nel 1529 fu chiamato ancora a giudicare l'intricatissima questione delle Molucche, cedute poi dietro un compenso in denaro al Portogallo, e d'accordo con l'imperatore attese alla fondazione del Collegio imperial, accademia di scienze matematiche e nautiche per preparare i giovani all'arte della navigazione.
Scrisse varie opere, lasciate manoscritte, della maggior parte delle quali però non si conserva che il titolo (l'elenco nella Bibliotheca hispana di Nicolao Antonio, Roma 1672-96), di argomenti svariatissimi. Ma l'opera sua più importante è la Vita dell'Almirante, pubblicata soltanto nel 1571 nella traduzione italiana di Alfonso Ulloa, a Venezia; opera che per molto tempo e sino a qualche decennio fa era considerata come la fonte principale per la storia di Colombo.
Qualche dubbio, qualche osservazione sopra l'esattezza e l'attendibilità delle informazioni in essa contenute erano già apparsi sin dal sec. XVII, ma solo nel 1871 l'insigne americanista Henry Harrisse ebbe a segnalare la grande quantità di dati erronei e spesso contradittorî sparsi in quest'opera, tanto da indursi a sostenere addirittura ch'essa non può essere di don Fernando. La tesi del Harrisse fu strenuamente combattuta dal D'Avezac, dal Fabié, dal Peragallo, dal De Lollis e da altri, specialmente dopo la constatazione che il Las Casas medesimo nella sua Historia (scritta fra il 1552 e il 1561, ma pubblicata solo nel 1875) non soltanto mostra di valersi dell'opera di don Fernando, ma la cita anche talvolta espressamente: in conseguenza di che lo stesso Harrisse dovette in gran parte ricredersi, ammettendo perciò - e in questo oggi consentono i più - che errori e difetti, effettivamente in numero rilevante, derivino da arbitrarie interpolazioni del traduttore e dell'editore. È per altro da osservare che le citazioni dirette del Las Casas, il quale a ogni passo cita altre fonti, sono assai rare, e che questo scrittore, quando non ricorda don Fernando solo per polemizzare con lui, si limita quasi esclusivamente a riprodurre per intero un capitolo del libro 1° e a valersi poi in più larga misura di quello che il figlio di Colombo aveva scritto sul 4° viaggio al quale aveva partecipato, riuscendo l'opera del Las Casas, per quanto non esente da gravi difetti, di gran lunga più vasta e completa, e soprattutto offrendo in assai maggior copia documenti ufficiali. La questione è ben lontana dall'essere risolta, né si potrà risolvere se non dopo un serio e approfondito esame dei rapporti fra le due opere; ma non è difficile prevedere che da questo riuscirà avvalorata anziché infirmata la tesi primitiva di H. Harrisse, nel senso che don Fernando avrà si, specialmente in occasione del processo del Fisco col quale per lunghi anni si cercò d' impugnare i diritti di Colombo svalutando anche la portata della sua impresa, scritto appunti e memoriali allo scopo di difendere i diritti e l'opera paterna, ma non una vera e propria storia quale oggi abbiamo: di questa, giova ricordarlo, non è mai esistita traccia del manoscritto originale spagnolo, e d'altra parte don Fernando, sempre così accurato e minuzioso, non fa mai di essa nessuna menzione, neppure nel suo testamento, dove pur ricorda gli altri suoi scritti. Ed è probabile che di codesti appunti, anche dove erano già stati rimaneggiati da qualcuno che aveva interesse a farlo, si sia poi valso il Las Casas.
Bibl.: Fonti principali sono le Noticias para la vida de D. Hernando C. di D. Eustaquio Fernández de Navarrete, nel tomo XVI della Collección de docc. inéditos para la Historia de España, Madrid 1850; v. inoltre: D. Nicolao Antonio, Bibliotheca hispana, Roma 1672-96; H. Harrisse, Don Fernando C., historiador de su padre. Ensayo critico, Siviglia 1871; id., Fernand C. Sa vie, ses oeuvres, Parigi 1872; R. Caddeo, Le Historie della vita e dei fatti di C. C. per D. Fernando C. suo figlio, voll. 2, Milano 1930.