DE LUCIA, Fernando
Nacque a Napoli l'11 ott. 1860 da una famiglia di musicisti (il padre suonava il clarinetto e il fratello il violino): entrò nel conservatorio di musica di S. Pietro a Majella, nella sua città, per studiare prima il fagotto e poi il contrabbasso con G. Negri. Successivamente decise di dedicarsi al canto, essendo dotato di bella voce tenorile. Fu allievo di B. Carelli e di V. Lombardi, e completò gli studi seguendo gli esempi pratici che al teatro S. Carlo gli venivano da tenori quali J. Gayarre, A. Masini e R. Stagno.
Non si sa molto sull'attività del D. prima del debutto: prese parte a una serie di concerti privati a Palermo ed eseguì Mefistofele di A. Boito in una versione da concerto a Napoli in casa del maestro Lombardi; qui fu udito da C. Scalise, impresario del S. Carlo, alla ricerca di un tenore per la stagione 1885, che lo scritturò per cantare Faust di C. Gounod con G. Del Puente e V. Ferni Germano. Il debutto avvenne il 5 marzo 1885 e il successo fu considerevole. La notorietà raggiunta gli procurò subito scritture per una nutrita serie di concerti nei salotti partenopel e un contratto per il teatro Comunale di Bologna (Dinorah di G. Meyerbeer e La traviata di G. Verdi con G. Bellincioni) e per la Pergola di Firenze, ove ottenne grande successo nel 1886, con Mignon di A. Thomas per l'inaugurazione della stagione, e poi con Carmen di G. Bizet.
Nell'estate 1886 si recò in Sudamerica, e a Buenos Aires e a Montevideo cantò in Lucrezia Borgia e in La favorita di G. Donizetti, nonché in L'ebrea di J. Halévy. Nella stagione 1886-87 fu, durante l'inverno, al teatro Real di Madrid con opere di grande interesse come Fra' Diavolo di D. Auber, Linda di Chamounix, L'elisir d'amore di G. Donizetti e Ilbarbiere di Siviglia di G. Rossini. Il 13 giugno 1887 fu Alfredo in La traviata al Drury Lane di Londra, con una compagnia di canto che comprendeva il soprano L. Nordica e G. Del Puente. Seguirono Ilbarbiere di Siviglia e Don Giovanni di Mozart. Le critiche non furono entusiastiche: Hermann Klein scrisse che il D., "a light tenor, made a fairly successful debut as Alfredo", e il Times riportò che il D. "sang without creating much attention", anche se l'opera mozartiana riscosse un buon successo e parte dei critici segnalò quel poco di giustizia resa finalmente al personaggio di Ottavio dall'interpretazione del tenore italiano, a fronte del trionfo ottenuto da V. Maurel che incarnava don Giovanni.
C'è da tener presente, però, che lo scarso successo ottenuto dal D. aveva in realtà motivazioni che andavano al di là delle sue qualità vocali. In quel momento a Londra agivano tre compagnie d'opera: la Harris al Drury Lane con J. ed E. de Reszké, L. Nordica, G. Fabbri, V. Maurel, M. Battistini, F. Navarrini e il D.; poi quella del colonnello Mapleson al Her Majesty's Theatre con A. Patti e L. Lehmann; quella, infine, del Covent Garden, ove i "primi cantanti" erano J. Gayarre, S. Scalchi, E. Albani. In particolare il polacco J. de Reszké aveva creato sensazione in Aida e Faust, ed era abbastanza naturale che al D., giovane tenore, si preferissero nomi già consacrati e in pieno fulgore. Inoltre la voce del D., di per sé non molto voluminosa, era anche affetta da un "vibrato" tradizionalmente poco gradito al gusto anglosassone.Tornato al Real di Madrid, il D. interpretò nella stagione 1887-88 alcuni dei consueti ruoli di tenore leggero, aggiungendovi quello di Gritzenko in La stella del Nord di G. Meyerbeer e - nella stagione seguente - anche La sonnambula di V. Bellini, Romeo e Giulietta di C. Gounod, I pescatori di perle di G. Bizet, Mefistofele e Semiramide di G. Rossini (nel ruolo di Idreno). Nel corso delle rappresentazioni di I pescatori di perle il D. sostituì nella parte di Nadir J. Gayarre, morto poco prima. Data l'idolatria dei Madrileni per il Gayarre, nel corso della prima replica non vi furono applausi e un pubblico muto lasciò il teatro; ma alle repliche successive, passata l'emozione del momento, il D. riscosse un successo entusiastico.
Nel 1890 andò in tournée in Argentina e qui fu raggiunto dalle notizie sui successi travolgenti di Cavalleria rusticana, la prima opera del giovane compositore P. Mascagni. Al suo ritorno in Italia il D. si presentò con essa al pubblico del S. Carlo di Napoli con esito trionfale.
I motivi di questo successo sono stati esposti da Henstock, secondo il quale se era già chiaro che l'emergente "giovane scuola" del verismo musicale stava ottenendo grossi successi, era altrettanto chiaro che la vocalità del D., pur basandosi sulle esperienze acquisite nel repertorio leggero e lirico, tendeva volentieri a indirizzarsi verso un versante in cui al fatto vocale si accompagnava un'espressione emotiva ben più sottolineata di quanto non fosse avvenuto in precedenza e dove si rendeva necessario l'abbandono dei preziosismi cui aveva abituato il pubblico, in favore di una recitazione più concitata e vigorosa. Il D. in questo onuovo indirizzo" fu favorito dall'influenza dei tre grandi tenori in auge all'epoca dei suoi primi passi sul palcoscenico: da ciascuno di essi seppe cogliere la caratteristica fondamentale - la mezzavoce di Gayarre, il gesto scenico di Stagno, il gusto per gli abbellimenti e le cadenze di Masini - riuscendo a fondere tutto in un unicum del tutto personale.
Dal 1891 il D. prese, dunque, decisamente la strada del verismo e creò ben quattro ruoli per P. Mascagni: L'amico Fritz (Roma, teatro Costanzi, 30 ottobre, con Emma Calvé, sotto la direzione di R. Ferrari), I Rantzau (Firenze, teatro alla Pergola, 10 nov. 1892, con M. Battistini, Hericlea Darclée, E. Sottolana e ancora la direzione orchestrale di R. Ferrari), Silvano (Milano, teatro alla Scala, 25 maggio 1895, con Adelina Stehle e G. Pacini, diretti sempre da R. Ferrari), Iris (Roma, teatro Costanzi, 22 nov., 1898, con H. Darclée e nel ruolo di un cenciaiolo il giovane sardo P. Schiavazzi, che poi tanto farà parlare di sé proprio come eccezionale esecutore mascagnano, sotto la direzione dell'autore); e infine, molto più tardi, uno solo per U. Giordano: Marcella, nel 1907.
Il passaggio realizzato con gradualità aveva avuto inizio fin dal 1886, in pratica dall'anno seguente il debutto (con Carmen alla Pergola di Firenze e poi con La Gioconda di A. Ponchielli a Madrid nel 1888), e mise gli spettatori di fronte a un "accento scolpito ed espressivo e al lampeggiare del talento drammatico. L'abbandono di qualche effeminata ricercatezza" conferiva "ora al suo canto una linea più asciutta e aderente agli ideali della giovane scuola operistica" (Le grandi voci, col. 323). Tutto questo significa che il tenore di grazia dei primissimi anni stava cedendo pian piano al nuovo repertorio, sacrificando buona parte di quella ricercatezza che aveva notevolmente contribuito alla sua celebrità. E se le testimonianze discografiche più importanti (quelle del 1902 e 1904) Ci mostrano appunto una vocalità già appannata, accorciata nella gamma (del resto non molto estesa fin dall'inizio, visto che del suo do si parla solamente nei primissimi momenti della carriera) e con "vezzi e malvezzi" (Le grandi voci) molto accentuati, quasi sempre tesi a sottolineare un intento emotivo, i punti in cui il D. propone all'ascoltatore se stesso come esponente della vocalità ornata, sono quelli in cui il virtuoso che riassumeva in sé i tre grandi dell'Ottocento espone il proprio bagaglio "di grazia": allora gli abbellimenti e le ornamentazioni (oggi risultanti spesso di cattivo gusto) catturavano per la loro dirompente fluidità e sorprendevano per la somma di effetti che ancora oggi esercitano sull'ascoltatore.
Si aggiunga che già intorno ai quarant'anni il D. cominciava a trasportare gli spartiti. Così abbassò di un semitono la serenata dell'Iris proprio alla "prima assoluta" a Roma, dando inizio a quella che sarà poi considerata una vera e propria tradizione: fatto ancora più sorprendente, nel 1900 già ometteva il sol nei concertati di Il barbiere di Siviglia, e nel 1905 alla Scala le due arie del primo atto della stessa opera venivano abbassate di mezzo tono. Nel 1901 poi, declinò - perché lo riteneva troppo alto - il ruolo di Florindo nella "prima" a Napoli de Le maschere di P. Mascagni.
Nel 1892 il D. replicò a Roma (teatro Costanzi) IRantzau, sotto la direzione dell'autore; poi tornò al teatro S. Carlo di Napoli e nella primavera-estate del 1893, nella stagione dal 15 maggio al 29 luglio, al Covent Garden di Londra, riprendendo il ruolo di Canio in Ipagliacci di R. Leoncavallo e riportando un successo che C. Williams definì "brillante" (F. D., 1957), ma che in realtà oltre a rinnovare il trionfo delle recite napoletane del gennaio, contribuì a creare una specie di leggenda vivente che non sarà intaccata neppure dai trionfi altrettanto notevoli di Enrico Caruso nello stesso personaggio. Nedda in tale occasione era Nellie Melba e Tonio Mario Ancona. Altre opere da lui eseguite a Londra furono Rigoletto, L'amico Fritz con E. Calvé, e con N. Melba I Rantzau, diretta da Mascagni. Come riporta ancora il Williams, le critiche del periodo sottolinearono la straordinaria abilità istrionica del D., espressa soprattutto in Ipagliacci.
Seguì la stagione al teatro Metropolitan di New York, che iniziò per il D. l'11 dic. 1893 ancora con Ipagliacci nella prima esecuzione di quest'opera in quel teatro: gli erano al fianco N. Melba (alla quale si alternava Sigrid Arnoldson) e Mario Ancona. Il D. cantò anche in Cavalleria rusticana, Don Giovanni, Rigoletto, Faust, Carmen, L'amico Fritz (altra "prima esecuzione" al Metropolitan), La traviata, Mignon eseguita a Boston e a Chicago per il tour del Metropolitan in quelle città che però per il D. costituì una specie di "stagione nella stagione" dal momento che vi cantò quattro opere. Al contrario degli Inglesi che lo chiameranno ancora nel loro massimo teatro, gli Americani non apprezzarono l'arte vocale del tenore napoletano tanto che in Metropolitan Opera Annals (curata da W. H. Seltsarn nel 1947) la partecipazione del D. è ricordata solo nella parte cronologica, priva di alcuna critica.
Il 25 marzo 1895 il D. cantò alla Scala nella tprima assoluta" del Guglielmo Ratcliff di P. Mascagni per otto repliche, riprendendolo un mese dopo (il 30 aprile) al teatro S. Carlo di Napoli, poi di nuovo al Covent Garden di Londra, ove tra l'altro cantò Falstaff di G. Verdi e Fra' Diavolo di D. Auber. Fu inoltre Alfredo in Traviata, con Adelina Patti, che tornava al Covent Garden dopo un'assenza durata qualche anno. Ancora al Covent Garden nella stagione del 1896, tornò alla Scala il 15 marzo 1897 per una lunghissima serie di rappresentazioni di La bohème di G. Puccini con i soprani A. Pandolfini e C. Pasini, sotto la bacchetta di L. Mugnone riportando un successo incontrastato fin dalla fine del primo atto. Tra l'altro, il 17 apr. 1902 al teatro Massimo di Palermo con la Pandolfini, G. De Luca e Mugnone incluse nel suo repertorio Fedora, la nuovissima opera di U Giordano, che aveva destinato a lui la parte di Loris dopo la morte di Stagno. Il 20 genn. 1903 portò il suo Loris al teatro Politeama di Genova ove riscosse grandi consensi (Frassoni).
Altra memorabile occasione fu la stagione italiana del 1905 a Parigi, insieme con T. Ruffo, Regina Pacini, E. Garbin, E. Caruso, A. Bassi e G. Kashmann; ancora in quest'anno fu con Ilbarbiere di Siviglia alla Scala, a fianco di G. De Luca e Maria Barrientos; poi nell'estate un'altra stagione d'opera italiana a Londra in antagonismo a quella ufficiale del Covent Garden, organizzata da H. Russell sulle scene del Waldorf Theatre: vi interpretò L'amico Fritz, I pagliacci e Ilbarbiere di Siviglia. Al teatro Lirico di Milano nel 1907 partecipò alla "prima assoluta" di Marcella di U. Giordano, portandola il 19 gennaio dell'anno seguente al teatro La Fenice di Venezia; cantò anche Ilbarbiere di Siviglia al Grand-Théâtre di Montecarlo con Rosina Storchio e F. Chaliapine, portando lo stesso spettacolo alla Königliche Oper di Berlino.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita per la maggior parte a Napoli (tra l'altro vi aveva diretto il teatro S. Carlo per brevissimo tempo nel 1900), e fu lui a cantare il "Pietà Signor" il 4 ag. 1921 nella basilica di S. Francesco di Paola ai funerali di Enrico Caruso. Nel 1922 ebbe luogo la sua ultima apparizione in pubblico, nel corso di un concerto di beneficenza. Datosi all'insegnamento, prima al conservatorio di S. Pietro a Majella e poi privatamente, ebbe tra i suoi allievi Gianna Pederzini e G. Thill.
Sposato con Itala De Giorgio, dalla quale ebbe due figli (Armando, che mori diciassettenne, e Nadir), e poi in seconde nozze con Elvira Gionimi (che gli diede altri figli, tra cui Rosa, insegnante di pianoforte tuttora vivente a Napoli), morì nella città natale il 21 febbr. 1925.
Dal novembre 1902 il D. aveva cominciato a registrare la sua voce per tre diverse etichette fonografiche: la Gramophone Company (1902-1909); la Società italiana di fonotipia (circa 1910-1912) e infine la napoletana Phonotype (circa 1915-1920), in pratica ben oltre la conclusione della carriera. La critica è ormai concorde nel riconoscere che i suoi oltre trecento dischi rappresentano l'unica testimonianza tangibile di uno stile di canto spentosi con la morte di R. Stagno e di cui appunto solo il D. aveva potuto portare gli estremi bagliori fino alla soglia del nostro secolo.
D. Shawe Taylor, in un articolo apparso su Opera nel luglio 1955, ricorda come H. F. Chorley - critico del The Athenaeum dal 1830 al 1860 giudicasse i più importanti cantanti del suo tempo anche in base al gusto mostrato nell'esecuzione dei "da capo", cioè dall'inventiva e dal tipo di abellimenti e di variazioni usati. Oggi è proprio questa caratteristica ciò che più colpisce all'ascolto delle incisioni del D., maestro dello stile "fiorito", straordinariamente preciso, incredibilmente leggero e fantasioso: ne Ilbarbiere di Siviglia egli sembra volare sul pentagramma (l'opera fu registrata al completo, insieme a Rigoletto), e di estremo interesse risulta il "Che gelida manina" da La bohème, particolarmente al "Cercar che giova", che egli attacca pianissimo, provvedendo ad inserire un rapidissimo, delicato vocalizzo nel "che". Ecco dunque il vero valore della testimonianza fonografica del D. cantante "espertissimo nelle sfumature, nelle opportune riserve, nelle astuzie degli effetti a sorpresa, ... nel virtuosismo dei trapassi e nella coerenza stilistica", che faceva di ogni melodia "una miniatura, un lavoro ingegnoso di eleganza e di sospiri a freddo" (Lauri Volpi, Vociparallele).
Fonti e Bibl.: Necr. in L'Illustr. ital., 12 marzo 1925, p. 186; G. Bellincioni, Io e il palcoscenico, Milano 1920, pp. 125, 127 s.; R. Giraldi, L'Accad. filarmonica romana, Roma 1930, p. 268; I. Ciotti, La vita artistica del teatro Massimo di Palermo, Palermo 1938, pp.42 s.; A. Lancellotti, Le voci d'oro, Roma 1942, pp.181-87; W.H. Seltsam, Metropolitan Opera Annals, New York 1947, ad Indicem;E. Gara, Caruso. Storia di un emigrante, Milano 1947, pp. 30, 45, 48, 59, 100, 136, 254; A. Jeri, Bellegole, Milano 1947, pp. 136, 181; G. Lauri Volpi, Vociparallele, Milano 1955, pp. 124 ss., 128; Q. Eaton, Opera Caravan, London 1957, pp. 93 s. e ad Indicem;C. Williams, F. D., in The Record Collector, XI (1957), 6 (tutto il volumetto); H. Rosenthal, Twocenturies of opera at Covent Garden, London 1958, pp. 224, 250, 255, 267 s., 289, 313; S. Wolff, L'Opéra au palais Garnier, Paris 1962, p. 91; Pietro Mascagni - Contr. alla conoscenza della sua opera nel primo centenario della nascita, Livorno 1963, ad Indicem;J. F. Cone, Oscar Hammerstein's Manhattan Opera House, Norman, Oklahoma, 1964, pp. 136, 179; C. Gatti, Il teatro alla Scala nella storia e nell'arte, Milano 1964, I, pp. 191, 203, 229, 474; II, ad Indicem;E. Arnosi, Ricordo di F. D., in La Scala, nn. 141 s., Milano 1964; Pietro Mascagni, a cura di M. Morini, Milano 1964, I, pp. 214 s., 217 s., 223 s., 226 s., 241; II, pp. 104 s., 183 ss., 187, 189; Le grandi voci, a cura di R. Celletti, Roma 1964, coll. 224, 323; L. Trezzini, Due secoli di vita musicale, Bologna 1966, pp. 22, 113; M. E. Henstock, The London career of F. D. in The Record Collector (Ipswich), XVII (1967), 7; La lezione di Toscanini. Atti del Convegno di studi toscaniniani, a cura di F. D'Amico-R. Paumgartner, Firenze 1970, pp. 159, 162 s., 211, 339; T. Y. Walsh, Montecarlo Opera 1879-1909, Dublin 1975, pp. 94, 214 s., 234, 278; V. Frajese, Dal Costanzi all'Opera, I-IV, Roma 1977, ad Indicem;T. Ruffo, La mia parabola, Roma 1977, pp. 211, 218, 224, 350; M. Scott, The record of singing to 1914, London 1977, pp. 15, 18, 32, 102, 109, 113, 123-26, 129, 135, 140, 144, 149, 162 s.; A. Sguerzi, Le stirpi canore, Bologna 1978, pp.66, 76, 126, 172; P. Padoan, Profili di cantanti lirici veneti, Bologna 1978, pp. 23, 136; F. Battaglia, L'arte del canto in Romagna, Bologna 1979, pp. 43, 220; E. Frassoni, Due secoli di lirica a Genova, II, Genova 1980, pp. 23 s; G. Dell'Ira, Ilfirmamento lirico pisano, Pisa 1983, p. 479; A. R. Tuggle, The golden age of opera, New York 1983, pp. 35, 110; P. Gargano-G. Cesarini, La canzone napol., Milano 1984, pp. 87-90; G. Idonea-D. Danzuso, Musica, musicisti e teatri a Catania, Catania 1985, p. 425; Enc. dello spett., IV, coll. 437-40 (con bibl.), K. J. Kutsch-L. Riemens, A Concise Biographical Dictionary of Singers, Philadelphia 1969, pp. 261 s.; C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, Suppl., p. 251 (per Nadir).