DE ROSA, Fernando
Nacque a Milano il 7 ott. 1908 da Francesco, un artigiano di origine meridionale, emigrato per molti anni in America latina e tornato in Italia nel 1905, e da Umberta Zanetti, maestra elementare. Il D. trascorse gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza a Torino, dove la madre insegnava. In questo periodo accaddero due fatti che segnarono profondamente la sua vita: il 22 genn. 1914 morì il padre; nel marzo 1923, mentre il D. stava maneggiando una pistola, un colpo accidentalmente esploso uccise un suo caro amico. Di carattere assai sensibile e animato da slanci ideali, il D. fu quindi posto dalle circostanze della vita di fronte a responsabilità insolite per un giovane della sua età.
Anche l'interesse per la politica si manifestò precocemente in forma di attiva militanza. Tra il 1922 e il 1923, mentre frequentava il ginnasio, aveva aderito al fascismo, ma non tardò a distaccarsene allorché fu testimone delle violenze degli squadristi torinesi contro gli operai. Nel settembre 1923 inviò una lettera di dimissioni, nella quale esprimeva la sua ripulsa morale e politica verso i metodi violenti.
Mentre questa dissociazione lo esponeva alle persecuzioni da parte dei fascisti, il D. ricercò contatti con i coetanei che sapeva animati dai suoi stessi sentimenti. Nel 1924 si avvicinò alle posizioni di Patria e libertà, un'associazione combattentistica costituita da due fascisti dissidenti, A. Misuri e O. Corgini. Il passaggio vero e proprio del D. nel campo antifascista avvenne poco dopo, allorché, studiando ed approfondendo i fondamenti ideologici del socialismo, egli ne fu attratto. Nel 1925, iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza, prese contatto con gli ambienti socialisti milanesi e torinesi ed entrò in corrispondenza con P. Nenni, mentre questi era a Parigi.
All'università il D. si ritrovò a fianco di altri giovani antifascisti, tra i quali A. Garosci, M. Andreis, L. Ginzburg, D. L. Bianco, G. C. Pajetta, L. Scala, L. Geymonat, M. Mila. Questo gruppo fu molto attivo e promosse, tra l'altro, nel febbraio 1926, una manifestazione per la morte di Piero Gobetti.
Nello stesso periodo il D. ebbe contatti con repubblicani ed anarchici. Dopo la promulgazione delle leggi eccezionali, diede vita, insieme con Garosci, al foglio clandestino Umanità nova, che veniva ciclostilato presso lo studio di P. L. Passoni e distribuito nell'ambiente universitario torinese.
Il gruppo che si era formato, intorno a questo giornale, d'intonazione socialista e repubblicana con qualche influenza gobettiana, si riuniva a casa del De Rosa. Il D. entrò in contatto anche con l'organizzazione clandestina della Giovane Italia, d'orientamento vagamente socialista, ma legata a tradizioni e simbologie massoniche e la cui attività principale consisteva nella stampa e nella diffusione di manifesti ed opuscoli antifascisti.
Oltre a fare della sua casa un centro di attività clandestina e ad impegnarsi nella diffusione della stampa, il D. svolgeva un'importante funzione di collegamento tra i gruppi di fuorusciti in Francia e i nuclei antifascisti che operavano in varie città dell'Italia settentrionale. Andava a prelevare giornali e manifesti, che, pubblicati all'estero, venivano portati fino al confine sulle montagne per essere poi distribuiti in Italia.
Il D., che era un appassionato ed esperto alpinista e che nel 1926 era stato nominato ispettore dei rifugi alpini del Club alpino italiano, si prestava volentieri a compiere queste rischiose missioni sulle alte cime. Facendo loro da guida riuscì a far fuggire attraverso i sentieri alpini F. Amedeo, R. Marvasi e la famiglia di B. Buozzi.
L'attività clandestina del D. si svolgeva ormai a pieno ritmo, impegnando il giovane antifascista in riunioni, propaganda socialista tra gli operai, stampa di volantini ed esponendolo sempre più all'attenzione della polizia. Il 31 ag. 1927 venne arrestato P. L. Passoni e il D., ritenendosi in pericolo, espatriò in Francia. A Parigi, superate le iniziali diffidenze che l'ambiente antifascista nutriva verso una persona non conosciuta ' si ritrovò a fianco di Nenni, Buozzi ed altri e prese contatti con il movimento di Giustizia e libertà. Appena un mese dopo rientrò a Torino, dove riprese l'attività clandestina e frequentò la casa della vedova di Gobetti.
In un rapporto informativo della questura di Torino del febbraio 1928 veniva definito "giovane ardito, dotato di fascino personale, colto ma privo di scrupoli, orgogliosissimo, pronto ad ogni atto, vero avventuriero" e segnalato come uno dei capi del comitato della Concentrazione antifascista di Torino.
Ricercato nuovamente dalla polizia, il D. dovette ancora espatriare: nel maggio 1928 attraversò le Alpi per raggiungere la Francia. A Parigi partecipò al dibattito che si era sviluppato tra i fuorusciti sulle prospettive della lotta al fascismo. Condivise le critiche di Nenni e Pertini alla Concentrazione antifascista, che si era espressa per l'impossibilità di un'azione in Italia. Deciso invece a promuovere una presenza attiva dell'antifascismo in patria, il D. rimpatriò clandestinamente e compì un rischioso viaggio in varie città per verificare la situazione.
In una lettera del 20 ottobre 1928 all'amico F. Volterra riferì le impressioni ricavate dai suoi incontri con operai, intellettuali e studenti, esprimendo la convinzione che "tutto un mondo vecchio" era crollato e che occorreva prepararne uno nuovo, ricorrendo ad idee e a metodi nuovi; ma in tal senso le prospettive non gli erano apparse incoraggianti: "Si accettano i miei piani - scriveva - ma mi si fa capire che si lotterà perché è dovere lottare, ma si crede che la mèta è lontana. Io non mi sconforterò. Questo genere di vita è la mia, questa situazione non molto lieta non mi abbatte" (Zucaro, 1960).
Tornò quindi in Italia nei primi mesi del 1929, ma ormai veniva maturando in lui la convinzione che laddove non erano riuscite né le pubblicazioni clandestine né la propaganda degli esuli sarebbe occorso un gesto clamoroso in grado di richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica italiana ed europea sulle condizioni italiane sotto la dittatura. Prese corpo così un piano per un attentato al principe ereditario Umberto di Savoia, allorché questi si fosse recato a Bruxelles in visita ufficiale per il suo fidanzamento con Maria Josè del Belgio. Il D. si trasferì a Bruxelles, dove la mattina del 24 ott. 1929 tentò di realizzare il suo proposito: dopo essersi aperto un varco tra la folla e aver rotto il cordone di truppe, si lanciò in direzione del principe che si stava recando ad una cerimonia ed esplose al suo indirizzo un colpo di pistola, inneggiando a Giacomo Matteotti e alla libertà. Il colpo andò a vuoto ed il D., subito raggiunto dalla polizia, venne immobilizzato e duramente percosso.
L'attentato ebbe una vasta risonanza, ma suscitò perplessità in vasti settori dell'antifascismo e fu esplicitamente condannato dai comunisti e da alcuni autorevoli esponenti socialisti, "non solo per considerazioni pratiche, ma per fede inveterata che tali atti [potessero portare] soltanto a inevitabili reazioni" (Catalano, p. 167).
Rinchiuso nelle carceri di Forest, il D. fu sottoposto a numerosi interrogatori, fino a che, esaurita la fase istruttoria, il 23 sett. 1930 non fu celebrato il processo davanti alla corte d'assise di Bruxelles. Il dibattimento si protrasse per tre giorni e si trasformò in una requisitoria contro il regime fascista.
Il D. era difeso da prestigiose figure del mondo democratico belga, tra le quali il leader socialdemocratico Paul Henri Spaak. A suo favore testimoniarono alcuni tra i più illustri esponenti dell'emigrazione antifascista, come F. Turati, G. Salvemini, R. Rossetti, F. L. Ferrari, Marion Rosselli e F. S. Nitti. Davanti ai giudici il D. rivendicò con fierezza il suo gesto, affermando di aver "voluto uccidere il principe ereditario di una casa regnante che aveva ucciso la libertà di una grande nazione" (Veronesi, p. 118).
La corte gli riconobbe le più ampie circostanze attenuanti, condannandolo a cinque anni di reclusione, riducibili a meno della metà in baso di buona condotta. Il D. uscì per questo dal carcere nel marzo 1932 e subito volle riprendere i collegamenti con gli ambienti antifascisti, recandosi in Svizzera, Francia e quindi in Spagna. Qui progettò di ripetere l'impresa di L. De Bosis e G. Bassanesi, compiendo un volo dimostrativo con lancio di manifestini contro il fascismo su alcune città italiane. A tal fine prese alcune lezioni di pilotaggio, ma poi il progetto non ebbe seguito.
In Spagna il D. divenne corrispondente del giornale socialista Nuovo Avanti! e militò tra i seguaci di F. Largo Caballero. Fautore di un rinnovamento del socialismo iberico, era altrettanto convinto della necessità di istruire militarmente i giovani socialisti al fine di contrastare i tentativi fascisti contro la democrazia. Nell'autunno 1934 fu a Madrid tra i dirigenti dell'insurrezione scoppiata in appoggio agli scioperi nelle Asturie: la repressione che seguì gli valse l'arresto e la condanna a diciannove anni di carcere. Nel febbraio 1936, in seguito alla vittoria elettorale del Fronte popolare spagnolo, fu scarcerato e portato in trionfo per le vie di Madrid. La crescente popolarità, le capacità organizzative e di direzione politica di cui aveva dato prova, posero il D. in una posizione di rilievo. Divenuto dirigente della Gioventù socialista, la dotò di una struttura paramilitare e promosse la fusione tra giovani comunisti e socialisti.
Nacque così la Gioventù socialista unificata, nel cui ambito venne costituito il battaglione "Octubre n. 11". Il D. assunse il comando di questa formazione, che all'inizio della ribellione falangista del 1936 si distinse nella difesa di Madrid. L'11 sett. 1936 la compagnia da lui comandata dovette cedere all'attacco falangista a Cabeza Leja sulla Sierra Guadarrama. Dopo aver riordinato le fila il D. tentò di riconquistare la posizione, ma durante il contrattacco cadde, colpito in piena fronte da una pallottola. La sua salma, trasferita a Madrid, ricevette solenni onoranze con un'imponente partecipazione popolare.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, fasc. n. 1742; L. Nitti, Les procès De Rosa, Paris 1930; A. Garosci, La vita di C. Rosselli, Roma-Firenze-Milano 1945, ad Indicem; G. Veronesi, F. D., in Movim. operaio, I (1949), pp. 14-20, 60; II (1949-1950), pp. 114-120, 166-179; A. Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari 1953, ad Indicem; L. Salvatorelli. Appunti per una storia del fuoruscitismo, in Itinerari, I (1953), 3-4, pp. 82-85 passim; A. Schiavi, Esilio e morte di Filippo Turati, Roma 1956, ad Indicem; A. Garosci, L'attentato di Bruxelles, in No al fascismo, Torino 1957, pp. 134 s.; P. Nenni, Spagna, Milano 1958, pp. 125-29, 135, 138-41, 147 s., 177, 183, 236 ss., 240 s., 243 s.; Lezioni sull'antifascismo, a cura di P. Permoli, Bari 1960, pp. 102, 105, 172, 174, 189; D. Zucaro, Il primo antifascismo clandestino a Torino e in Piemonte in Riv. stor. del socialismo, III (1960), pp. 759-88 passim; A. Garosci, F. D. ... in Spagna, Trent'anni di storia italiana (1915-1945) - Lezioni con testimonianze, a cura di F. Antonicelli, Torino 1971, pp. 128 s., 247 ss.; D. Zucaro, Nuovi documenti sul primo antifascismo a Torino e in Piemonte, in Riv. stor. del socialismo, V (1962), pp. 195-223 passim; L. Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1964, pp. 572, 593-97, 599, 710 ss., 725 s., 644, 901 s.; F. Catalano, L'Italia dalla dittatura alla democrazia 1919/1948, I, Milano 1972, pp. 166 s.; S. Zavoli, Nascita di una dittatura, Torino 1973, p. 216; M. Giovana, F. D. - Dal processo di Bruxelles alla guerra di Spagna, Parma 1974; G. Amendola, Intervista sull'antifascismo, a cura di P. Melograni, Bari 1976, pp. 7, 131; P. Nenni, La battaglia socialista contro il fascismo 1922-1944, Milano 1977, pp. 450 ss., 471, 559, 585; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, IX, Il fascismo e le sue guerre 1922-1939, Milano 1981, pp. 347 e n., 407; A. Morelli, Nuovi elementi sul "caso D.", in Storia contemporanea, XVIII (1987), 4, pp. 767-809; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, II, ad vocem; Il movimento operaio ital. Dizion. biografico, II, ad vocem.