MELANI, Fernando
– Nacque a San Piero di Agliana (in provincia di Pistoia) il 25 marzo 1907 da Pietro e da Giovannina Valiani. I genitori, dopo essersi stabiliti nel 1913 a Pistoia, si separarono. Il M., rimasto nella casa di famiglia con il padre e con il fratello maggiore Eugenio, venne cresciuto da Enrichetta e Melania, la nonna e la zia paterne.
Dopo aver frequentato il convitto Cicognini di Prato nell’anno scolastico 1918-19, studiò presso il ginnasio pistoiese Forteguerri fino al 1923, quando fu respinto all’esame di quarta ginnasiale. Il vano tentativo, nel 1924, di ottenere da privatista l’ammissione al primo anno del liceo classico mise fine al proseguimento degli studi.
Nel 1933 si trasferì a Novara, dove lavorò per l’Istituto di vigilanza notturna.
Tornato a Pistoia, il M. cominciò a dedicarsi all’attività artistica nel giugno 1945, dopo un periodo di lavoro presso la fornace del padre, che si trovava sull’orlo del tracollo finanziario. Da allora una serie di scelte cambiò radicalmente la sua vita: si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI); decise di indossare abitualmente, quasi come divisa, una tuta blu simile a quella degli operai; cedette una parte della casa di famiglia in corso Gramsci in cambio di un vitalizio.
Gli spazi restanti dell’abitazione furono trasformati in una casa-studio, privata di ogni comodità, compresa la cucina (il M. era ospite fisso della locale trattoria «Autotreni»), dove si accumularono, nei modi più vari, gli esiti delle sperimentazioni condotte nel corso della sua vita solitaria (acquistata dal Comune nel 1988, sarebbe divenuta un singolare esempio di casa-museo).
La vicenda biografica del M., da questo momento, si identificò esclusivamente con la pratica artistica. L’accostamento alla pittura era nato dalla frequentazione delle sedute en plein air di A. Cappellini, con il quale si sarebbe recato a Bologna per rendere visita a G. Morandi. Delle prime prove rimane un Paesaggio con alberi (questa e le altre opere, ove non specificato, si trovano a Pistoia, nella Casa-studio Fernando Melani), insieme con altri dipinti, tra i quali un Autoritratto (per le riproduzioni si veda Corà, 1990), dal quale già emerge una resa sintetica e astratteggiante del dato di natura. La necessità di rigore, in seguito, spinse il M. a inventariare i propri lavori con una semplice numerazione preceduta dalle iniziali «FM».
Tra le prime collettive a cui prese parte nella sua città si ricordano: la I Mostra provinciale degli artisti pistoiesi (1950) e la Mostra d’arte figurativa (1951), dove espose opere di carattere astratto. Proprio in difesa dell’astrazione, nel 1953, pubblicò a proprie spese l’opuscolo Davanti alla pittura, primo di una lunga serie di contributi comparsi nelle pagine di cataloghi e altre pubblicazioni d’occasione (per un resoconto completo sull’argomento, si veda ancora Corà, 1990). Dalla approfondita riflessione su P. Mondrian nacque la serie dei coperchi di casse per il trasporto della frutta, dipinti con campiture geometriche di colori puri, tali da valorizzare le linee di giunzione delle assi componenti il supporto. I lavori vennero esposti a Firenze, alla galleria Numero di Fiamma Vigo (1954) che, da allora, avrebbe incluso il M. nelle molte collettive lì ideate. Inoltre, egli realizzò, dal 1950, numerose opere lignee in bilico tra pittura e scultura, con elementi dislocati nello spazio, composti secondo declinazioni neoplastiche (FM 483, gennaio 1952; FM 695, dicembre 1954).
A partire dal 1959 studiò le potenzialità insite nei metalli (FM 1557, 5-6 ott. 1959), con un atteggiamento tutto teso a cogliere le segrete risonanze della materia, secondo suggestioni tratte dal campo della fisica moderna, focalizzando l’attenzione sul valore conoscitivo, piuttosto che formale, dei propri lavori, da lui definiti, in modo emblematico, «esperienze» (nota autobiografica in Flash Art, V [1971], 27, p. 8). Realizzò opere costituite da lamine, lamiere (FM 1986, 18 genn. 1962), chiodi (L’errore, 1964); lavorò fili di rame nel tentativo di coglierne i fremiti più nascosti (FM 1999, 1962: questa, come la precedente, a Milano, galleria Arte Borgogna), fuse e saldò elementi metallici in aggregazioni eteroclite annesse alla superficie del lavoro (FM 2900, febbraio 1967: Firenze, Zona Archives). Nel 1964 si aprì a Pistoia, negli spazi del Circolo di cultura, una mostra antologica del M., con più di 100 opere.
Per l’occasione tenne un ciclo di conferenze seguite, tra gli altri, da L. Pignotti, E. Miccini, R. Barni e G. Chiavacci, con il quale instaurò una duratura amicizia. Altro incontro importante fu quello con C. Lonzi, che realizzò un breve documentario sul lavoro del M. per la rubrica «Le tre arti» della RAI e introdusse, nel 1967, la sua prima personale milanese, alla galleria Numero, mettendolo in contatto con L. Fabro, al quale rimase legato fino alla morte (nel 1979-80 avrebbero esposto con R. Ranaldi a Firenze, nella galleria Vera Biondi).
Nel 1972, su interessamento di Fabro, tenne una nuova personale a Milano, alla galleria Borgogna (dove espose ancora nel 1976 e nel 1979). Lo stesso anno prese parte alla quinta edizione dell’esposizione Documenta a Kassel, diretta da H. Szeemann. Nel 1974 sempre la galleria Borgogna pubblicò la cartella Arcobaleno 1, ispirata alla Boîte en valise di M. Duchamp, composta da multipli e scritti teorici. Intanto, con L. Landini, D. Giuntoli e G. Chiavacci, progettò la creazione di una comune per l’arte, mai costituita.
Parallelamente alle composizioni metalliche, il M. produsse opere sospese avvicinabili ai mobiles di A. Calder e alle «macchine inutili» di B. Munari e altri congegni immaginari, quali la Macchina semplice per vedere un moto alternato (1969 circa) o le varie Macchine semplici per fabbricare l’atomo. Nel 1976 realizzò ed espose in varie sedi (Pistoia, Milano, Vinci) Progetto di lettura globale. Campionatura e informatica (Pistoia, palazzo Fabroni), installazione composta da 31 monocromi di diverso colore, costituiti da materie insolite (spuntiglio, carborundum ecc.). Nel frattempo il percorso del M., non sempre lineare, prese una strada ancora più concettuale, che lo condusse, nel 1978, a mettere in mostra, presso lo studio La Torre di Pistoia, oggetti nella loro nuda presenza, come il Sacco di fiammiferi spenti. Sul finire degli anni Settanta impiegò telai di biciclette, ridipinti e assemblati, per creare bizzarri personaggi. Concluse questo suo cammino con un’opera su tavola tarlata (FM. Il numero è quello d’ora, 1985: Vinci, Museo ideale Leonardo da Vinci), della quale mise in luce le fibre erose dall’azione della natura, donata all’amico A. Vezzosi, quasi a testimonianza di un lavoro nato da sé, dalla stessa materia della quale è composto.
Il M. morì a Pistoia il 28 marzo 1985.
Fonti e Bibl.: Pistoia, Archivio della casa-studio Fernando Melani: D. Giuntoli, Biografia, s.d.; Personale di F. M., in Giornale del mattino, Firenze (cronaca di Pistoia), 25 febbr. 1964; G. Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi, Milano 1973, p. 132; F. M. La casa-studio, le esperienze, gli scritti, dal 1945 al 1985 (catal., Pistoia, palazzo Fabroni), a cura di B. Corà, Milano 1990 (con bibl. completa, antologia critica e scritti del M.); S. Lucchesi, in La pittura in Italia. Il Novecento/2: 1945-1990, II, Milano 1993, p. 778; Fabroniopera. Luciano Fabro (catal., Pistoia, palazzo Fabroni), a cura di B. Corà, Milano 1994, pp. 80-92, 94 s. e passim; J. De Sanna, Luciano Fabro. Biografia, eidografia, Udine 1996, pp. 36, 59, 112, 137; F. Gualdoni, Arte in Italia: 1943-1999, Vicenza 2000, pp. 200, 204; Fiamma Vigo e «Numero». Una vita per l’arte (catal.), a cura di R. Manno Tolu - M.G. Messina, Firenze 2003, ad ind.; D. Giuntoli, F. M. La casa-studio, Pistoia, 2004; Gianfranco Chiavacci (catal.), a cura di A. Iori, Pistoia 2007, pp. 139 s. e passim.
E. Piersensini