FERNIANI (Farignani, Frignani)
Famiglia di imprenditori della ceramica attiva a Faenza, in provincia di Ravenna.
I F. si distinsero nel Modenese e in particolare nella zona di Frignano, loro terra d'origine (d'onde il nome) dove ebbero proprietà e feudi sin dal dodicesimo secolo. Dai primi del XIII ebbero un ruolo importante nella vita politica del Comune di Modena; all'inizio del sec. XV si stabilirono a Brisighella e dalla metà del sec. XVI si insediarono a Faenza, dove ebbero cariche, onori e un grande palazzo.
L'attività della manifattura iniziò con AnnibaleCarlo, figlio di Gasparo e di Elisabetta Carroli (Minghetti, 1939, p. 179), nato a Faenza nel 1636. Il 3 ott. 1658 insieme con i suoi fratelli Francesco, Riccardo e Ottaviano comprò dai conti Francesco e Carlo di Cesare Malatesta la quinta parte del feudo di Vai d'Oppio, detta Castagnolo, con annesso titolo comitale ed esercizio del mero e misto imperio sui sudditi "ac cum gladii potestate" al prezzo di 15.000 lire. Tale vendita fu confermata con un breve di papa Alessandro VII del 17 giugno 1659. Di conseguenza i tre fratelli ne presero ufficialmente possesso e fu riconosciuto loro il titolo comitale (Balduzzi, 1880, p. 11). Membro permanente del Consiglio faentino, Annibale ne fu anche capopriore. Uomo di grande autorità e generosità, si adoperò attivamente a favore della Comunità. Un concreto esempio va visto nel permesso che concesse ad un certo Agnellini di Venezia di installare sul suo possesso della Galletta una cartiera, a tutto vantaggio della città (ibid., p. 12). Religiosissimo, il 4 apr. 1675 comprò dai padri carmelitani scalzi la loro ex chiesa di S. Tommaso che, restaurata e dotata di ricchi legati, donò insieme con le case contermini, ai padri dell'oratorio di S. Filippo Neri (ibid., p. 11; Beltrami, 1940).
Il 13 ott. 1693 per 2.300 scudi comprò da Lodovico Tonduzzi e da sua moglie Artemisia Cavina vedova Grossi l'officina di maioliche sita in località il Monte (oggi corso Mazzini, M). Delle tante botteghe ceramiche che nei secoli precedenti avevano dato alla città ricchezza e gloria, questa era probabilmente l'ultima ed unica rimasta attiva, anche se al momento dell'acquisto l'officina produceva solamente ceramiche dozzinali. Annibale Carlo iniziò la produzione di maioliche artistiche su vasta scala, affidando la direzione tecnica dell'officina prima a Domenico Calci, rimasto fino al 5 genn. 1694, poi ad altri maestri (Balduzzi, 1880, pp. 11 s.; Dirani, 1992, pp. 89-102). Annibale Carlo morì a Faenza il 24 febbr. 1700.
Gaspare, figlio di Annibale Carlo e di sua moglie Vittoria Severoli, nacque a Faenza il 30 ott. 1659. Continuatore dell'opera paterna e delle tradizioni della famiglia, fu anch'egli capopriore del Consiglio di Faenza e mantenne il posto di consigliere a Brisighella. Condusse un'intensa vita di relazioni, e non solo con la nobiltà locale. Dal 1721 ottenne l'aggregazione per sé e per i propri discendenti alla nobiltà di San Severino Marche. Da sua moglie, Teresa Spada dei marchesi di Roncofreddo e conti di Montiano, aveva avuto nove figli. Nel periodo durante il quale Gaspare fu a capo della famiglia (1700-1734), nell'officina lavorarono Lorenzo e Nicola Calboli fabbricandovi sia maioliche artistiche sia stoviglieria comune (Minghetti, 1939, p. 93); nel 1724 la direzione fu assunta da Filippo Piani (Malagola, 1880, p. 171; Minghetti, 1939, p. 335). Le maioliche della manifattura intanto avevano già conquistato diversi mercati, fra gli altri quelli di Venezia e di Bologna, ove venivano mensilmente spedite numerose casse di pezzi (Ricci, 1918; L'officina..., 1929, p. 68). Gaspare morì a Faenza nel 1734.
Ottaviano, l'ultimogenito, nacque a Faenza nel 1692 (Minghetti, 1939, p. 180). Continuatore dell'opera del padre e del nonno, fu anch'egli capopriore del Consiglio di Faenza, conservò il posto in quello di Brisighella e ne rivendicò uno anche nel Consiglio di Modigliana. Quando alla morte del padre (1734) divenne capo della casata, chiamò a lavorare nella fabbrica di maioliche Pietro Sangiorgi e Paolo Benini (cfr. voce Benini in questo Dizionario). Ilprimo, pittore, restò nell'azienda fino al 1741 (Minghetti, 1939, p. 373); il secondo invece vi rimase per tutto il periodo durante il quale Ottaviano fu proprietario della fabbrica ed oltre (dal 1762 ne era stato nominato direttore), contribuendo in maniera decisiva a svilupparne e a perfezionarne la produzione. A parere di alcuni autori, sotto Ottaviano l'officina "fu al suo tempo la maggiore d'Italia" (ibid., p. 180).
Nel 1738 la fabbrica fornì il ricchissimo servizio di maioliche usato per il grande banchetto offerto dalla Municipalità il 6 giugno a Maria Amalia di Sassonia, di passaggio a Faenza mentre andava in sposa a Carlo di Borbone, re di Napoli (Malagola, 1880, p. 171). Del 1745 è invece il servizio da tavola, centinato, di 163 pezzi, preparato per l'abate Pietro Clementini (ibid., pp. 174 s.).
Dal 1754 al 1762 lavorarono nella manifattura Nicola Passeri (1729-1798), in qualità sia di modellatore sia di istruttore di giovani lavoranti quali i fratelli Domenico e Luigi Benini (Golfieri, 1959) e, poco dopo il 1750, quel Francesco Foschini (1733-1805), che più tardi fondò la Real Fabbrica di ceramiche di Lisbona (Golfieri, 1975, p. 24). A significare la vitalità della manifattura, si può ricordare ancora come nel 1760 vi fu un probabile tentativo, subito fallito, di intraprendere la produzione della porcellana (Liverani, 1954).
Del successo della fabbrica, l'unica allora attiva a Faenza (Malagola, 1880, pp. 173 s.), le testimonianze, anche indirette, sono numerose. In relazione all'importante mercato bolognese, ad esempio, si hanno continui attestati di esportazioni, anche successivi al sorgere della fabbrica Finck (1764), la cui produzione si poneva in palese concorrenza con quella faentina tanto da indurre i proprietari a chiedere delle protezioni daziarie contro la "straordinaria introduzione delle maioliche di Faenza" (ibid., pp. 322-251 Bertocchi-Liverani, 1981, pp. 34 ss.; Liverani, 1901, p. 13).
Ottaviano morì a Faenza nel 1768.
Annibale, figlio di Ottaviano e di Margherita Marchesi, nacque a Faenza il 22 sett. 1736; compiuti con successo gli studi letterari in patria, dimostrò fin da giovane una vera e singolare apertura d'ingegno e perspicacia; fu quindi mandato a Roma, dove si applicò in particolare alle discipline scientifiche. Ritornato a Faenza, si vide accolto ancorché minorenne in locali accademie di scienze lettere ed arti. Peraltro continuò e perfezionò la sua preparazione con un lungo viaggio di studio di quasi dieci anni attraverso i maggiori paesi europei, nel corso del quale approfondi le conoscenze relative all'arte e alla tecnica ceramica al fine di migliorare ulteriormente la produzione della fabbrica di famiglia.
Alla morte del padre (1768), rientrato a Faenza, gli successe nella funzione di capo della casata e di proprietario dell'azienda, cosi come nelle cariche di capopriore del Consiglio di Faenza e di consigliere in quelli di Brisighella e di Modigliana. Nel 1770 fu decorato dal granduca di Toscana con il titolo di cavaliere di giustizia dell'Ordine di S. Stefano. Nel 1773 sposò Plautilla Nelli di Firenze, da cui ebbe sei figli, l'ultimo dei quali nato postumo. Creatore di una ricca biblioteca, autore di diversi studi scientifici, membro delle più celebri accademie, tra le quali le fiorentine di botanica e dei Georgofili, "specialmente pose ogni studio perché le industrie romagnole si giovassero dei progressi che a loro vantaggio avean fatto le scienze" (Balduzzi, 1880, pp. 14 s.).
Costante e del tutto particolare fu il suo interessamento all'azienda ceramica. Facendo tesoro delle osservazioni e degli studi frutto dei suoi viaggi nei più importanti centri europei, rinnovò i sistemi di lavorazione, introdusse nuove tecniche, assunse validi tecnici ed artisti italiani e stranieri, moltiplicò e migliorò la produzione della manifattura. Già nel 1768, ad esempio, chiedeva alla magistratura comunale di Faenza di potere impiantare un nuovo pestrino (o pistrino) idraulico per macinare i colori minerali e gli smalti meglio e più agevolmente, ponendosi così "tra gli antesignani di una rivoluzione industriale "faentina"" (Vitali, 1982). Per sopravvenute difficoltà economiche il pestrino non venne peraltro realizzato (Dirani, 1992, p. 89).
Caratteristica costante delle maioliche Ferniani di questo periodo è la tendenza ad eguagliare la purezza della porcellana e ad imitarne la decorazione. Annibale riuscì a procurarsi numerosi e rari campionari di porcellana, specialmente cinese e giapponese, che servirono alla creazione di nuovi motivi decorativi, quali "il garofano", "il casotto" o "la pagoda". Fra questi fu "di particolare importanza il decoro "al garofano" con al centro un giardino d'ispirazione orientale che, introdotto nella manifattura fra il 1765 e il 1766, ha ancora oggi importanza nella ceramica di ispirazione classica tanto da essere forse il motivo più noto anche all'estero" (ibid., p. 91).
Queste caratteristiche decorazioni vennero realizzate in rosa, rosso, porpora e oro con cotture a terzo fuoco a partire dal 1773, solo dunque di poco in ritardo rispetto a Milano, Lodi e Pesaro (Vitali, 1986, p. 257). Tale tecnica fu poi perfezionata da Gasparo "Germano", un ceramista di origine ungherese assunto a partire dal 1776. Contrasti e invidie determinarono l'uscita dalla fabbrica del direttore Paolo Benini, e tra gli altri di suo genero, il pittore e decoratore Filippo Comerio (cfr. voce in questo Dizionario;v. anche Minghetti, 1939, pp. 59 s.), creatore di quel colore "verde scuro, corposo, associato a manganese e ottenuto al terzo fuoco che ancor oggi chiamiamo "verde Comerio"" (Vitali, 1986, p. 258). Dopo un anno, il 19 sett. 1778 (allontanatosi frattanto Gasparo Germano cui Annibale il 15 nov. 1777 aveva affidato la direzione tecnica della sua manifattura) tornarono tutti a lavorare presso i F.; il Comerio rimase fino al 1781 mentre Paolo Benini fu direttore fino al 1789, anno della morte.
Nel corso del ventennio in cui Annibale ne fu proprietario, la manifattura "fu, prima della istituzione della scuola pubblica, la vera fucina dell'arte e degli artisti faentini" (Golfieri, 1975, p. 37). "Il repertorio decorativo dei servizi e del vasellame in genere era di grande varietà: i motivi a paesino, a cartelle rococò, i decon con paesini, figurette e rovine, i mazzetti di fiori, le cineserie, il garofano, la peonia, le ceste, i nastri e i fiori orientali, il fiore di patata, il casotto, la pagoda, il castelletto, i bracieri e i giardini" e ancora il genere in "verde Comerio" (Vitali, 1986, p. 258) e le raffinatissime rose. La marca più usata, dipinta in nero sul retro dei pezzi, era una chiave accompagnata da un numero (Gobbi, 1987). Sempre a quegli anni appartengono i policromi trionfi di frutta e i vassoi modanati, i raffinati tavolini a muro e i complessi trumeaux. Anche dal punto di vista tecnico la fabbrica fu rinnovata e, dopo le lesioni provocate dal terremoto del 1781, in parte ricostruita (Dirani, 1992, p. 89).
Annibale forni al poeta Alessandro Biancoli lo spunto e la materia per un lungo poema in lode della sua manifattura che, terminato già dal 1759, fu pubblicato solo il secolo successivo (A. Biancoli, L'arte della maiolica., Ravenna 1875; cfr. L'officina..., 1929, pp. 13-33; Zauli Naldi, 1954).
Annibale morì a Faenza il 1º luglio 1784.
Ottaviano, figlio di Annibale e di Plautilla Nelli, nacque a Faenza il 29 ag. 1774. Allevato insieme coi fratelli dalla madre, fu educato nel collegio dei nobili di Modena. Durante la sua minorità la madre completò la costruzione del casino delle Case Grandi e dell'annesso oratorio, aiutata e sostenuta, come pure nella gestione della manifattura, dal cognato Gaspare (Balduzzi, 1880, p. 15). La cappella del palazzo di città fu dotata di un pavimento ceramico uscito dai forni della manifattura (Ferniani, 1983, p. 178). Questa, di fatto, continuò a essere condotta da Paolo Benini insieme con i figli Domenico e Luigi sulla base di un interessante contratto siglato da Plautilla nel 1784, in base al quale ai Benini era rinnovata la conduzione e la gestione dell'azienda ma con l'obbligo di comunicare "in voce ed in iscritto" i segreti della fabbricazione ai proprietari e al pittore Lodovico Zannoni (Malagola, 1880, pp. 184 s. e 189 ss.). Tale obbligo "didattico" venne ribadito dal Consiglio municipale di Faenza quando il 26 febbr. 1789 a Luigi Benini fu assegnato un vitalizio di 36 scudi annui, a riconoscimento e gratificazione "per l'insigne particolare lustro da esso col suo talento e singolar abilità aggiunto alle Majoliche" (Golfieri, 1966) e ancora quando, l'11 dic. 1790, Ottaviano si impegnò a corrispondere a Luigi e ai suoi due fratelli Domenico e Pasquale, impiegati come pittori decoratori sin dal 1767, una pensione annua ancora più ricca, pari alla metà dello stipendio (Liverani, 1959). La stessa clausola si ripeté con Giovanni Pani il 22 ag. 1827 (L'officina..., 1929, p. 77), direttore, pur con interruzioni, fino al 1838.
Nel 1786 la fabbrica fu nuovamente ristrutturata, ampliata e fornita di nuove attrezzature (Dirani, 1992, p. 89). Dopo Luigi Benini (ritiratosi il 19 genn. 1796), la direzione passò, fino all'11 apr. 1800, al pittore e decoratore Pietro Piani (Minghetti, 1939, p. 335). Artisticamente "sono gli anni della stagione forse più felice di Faenza" (Vitali, 1986, p. 258).
Documenti d'archivio attestano che sin dal 1777 (Morazzoni, 1957, pp. 63-66), la produzione della bianca terraglia aveva cominciato ad affiancare quella classica della maiolica. La si otteneva miscelando la terra bianca di Vicenza con polvere di marmo greco, che ne migliorava compatezza e candore. Il custode di tale segreto era Luigi Benini, ma fu proprio il Piani a ideare ed iniziare la produzione di generi d'uso commerciale, plasticati o dipinti, a piccolo o a grande fuoco. Fra essi particolare rilievo ebbero i "servizi da caffè dipinti con monocromie azzurre o color manganese ed anche solo in smalto bianco con motivi plastici o lisci" (Dirani, 1992, pp. 91 s.). Così, come pure le maioliche, queste raffinate terraglie erano ampiamente note ed apprezzate anche all'estero. Si sa, ad es., di una fornitura per la corte di Vienna nell'aprile 1789 (Zauli Naldi, 1962).
Nel 1792 Ottaviano sposò Marianna Mazzolani, dalla quale ebbe tredici figli.
Dopo un periodo di decadenza, legato alla crisi economica e sociale di Faenza, alla fine del primo decennio dell'Ottocento l'attività della fabbrica riprese. La manifattura dava lavoro a una ventina di persone. Fra le materie prime usate solo la legna e la terra per le maioliche provenivano dallo stesso dipartimento, mentre la terra per le terraglie proveniva dal Senese e dal Veneto e, ad esempio, l'allume di feccia dall'Anconetano. Stagno e piombo venivano acquistati presso gli scali commerciali di Livorno, Trieste e Ancona, ma le guerre comportavano forti aumenti di prezzi per prodotti di bassa qualità, e le attrezzature erano un po' antiquate: per esempio per la preparazione degli smaltì si usavano ancora due macine a trazione animale (Vitali, 1982, p. 199; Dirani, 1992, p. 89). Verso la fine del 1815 abbiamo testimonianza di un relativo calo delle vendite degli oggetti di uso comune, in compenso l'"ottima qualità dei generi di lusso ... favoriva una costante richiesta da parte delle nobili famiglie della regione, consentendo il proseguimento dell'esercizio" (Dirani, 1992, p. 93): ancora una volta la bipolarità della produzione riusciva ad assicurare alla manifattura la sopravvivenza anche a fronte delle incertezze e delle variazioni del mercato.
Nonostante il relativo declino, nell'autorevole Itinerario italiano o sia Descrizione dei viaggi per le strade più frequentate alle principali cittàd'Italia, Milano 1822, p. 180, si può leggere un lusinghiero giudizio della manifattura: "Tra gli opifici di Faenza, la fabbrica dei vasellami di majolica di Gasparo Ferniani merita una speciale attenzione pel credito che ha questa manifattura anche presso gli oltremontani, che la conoscono sotto il nome francese Fayence, e per la perfezione a cui è stata condotta ultimamente".
Ancora attivo il Piani, nel 1827 la direzione fu assunta per un paio d'anni dal decoratore Giovanni Zannoni e successivamente da Gian Battista Camangi. A proposito dei vari pezzi pregiati che uscirono dalla fabbrica alla fine del sec. XVIII cfr. ad es. Bolognesi, 1942. Occorre ricordare però che altri autori attribuiscono alcuni di quei pezzi alla manifattura Finck di Bologna (cfr. Bertocchi-Liverani, 1981, tavv. 29-49).
Ottaviano mori a Faenza il 23 febbr. 1836.
Riccardo, figlio di Ottaviano e di Marianna Mazzolani, nacque a Faenza il 3 febbr. 1799 (Minghetti, 1939, p. 180); sposò nel 1821 la contessa Ginevra Zanelli da cui ebbe cinque figli. Quando, nel 1836, alla morte del padre, cominciò a reggere la fabbrica, questa era ridotta quasi in rovina e dovette pertanto riedificarla. Nel 1838 reintrodusse, affiancandola a quella tradizionale delle maioliche artistiche, la produzione delle stoviglie comuni e, sotto la direzione di Angelo Mazzotti (1844), quella delle terraglie "all'uso inglese"; di fatto, però, la produzione languiva. Nel 1852 il numero degli operai era orinai ridotto a nove unità e solo stagionalmente, "nei mesi di maggior lavoro, venivano assunti dieci o dodici giornalieri impegnati per la produzione di stoviglie e cose ordinarie" (Dirani, 1992, p. 97).
Riccardo morì a Faenza nel 1853.
La sua attività fu ripresa dal figlio Annibale, nato a Faenza il 2 dic. 1824. Istruito nel collegio dei padri scolopi di Urbino, ripetutamente membro del Consiglio e della giunta municipale di Faenza, del Consiglio e della deputazione della Provincia di Ravenna e della Camera provinciale di commercio e belle arti, istitutore e presidente della Banca popolare, continuò così la tradizione familiare che voleva i capi della casata intensamente impegnati non solo nella gestione della manifattura e delle proprietà fondiarie ma anche in quella della cosa pubblica. In prime nozze sposò sua cugina Ninfa Ghiselli; rimasto vedovo, ne sposò la sorella Maria, la quale, ultima di casa Ghiselli, fra l'altro portò in dote al marito una notevole raccolta di quadri, che arricchirono notevolmente la già preziosa pinacoteca di famiglia. In terze nozze sposò Egeria Schepens.
Annibale tentò di riorganizzare il lavoro nella fabbrica avita affidandone la direzione nel 1864 al giovane Angelo Ferniani (omonimo ma non appartenente alla famiglia: 1843-1911), che era cresciuto nella manifattura (Dirani, 1992, p. 99; Balduzzi, 1880, p. 17; Minghetti, 1939, p. 178). Il nuovo vigore che impresse all'attività fece si che suoi piatti e vasi fossero premiati all'Esposizione italiana di Firenze del 1861, poi a quella di Londra del 1862, a Forlì nel 1871, a Vienna nel 1873 (Vitali, 1982, p. 299). Nel 1872 Annibale si impegnò con Achille Farina (cfr. voce in questo Dizionario) a costituire una "società artistica industriale ceramica" che avrebbe dovuto incrementare la ceramica cittadina, ma il progetto fallì. Nel 1875 chiamò a far parte delle maestranze lo scultore e modellatore di ceramiche Giovanni Collina Graziani, con i figli Giuseppe e Raffaele (cfr., per tutti e tre, la voce Collina [Collina Graziani, Giuseppe in questo Dizionario]).
In questo ultimo quindicennio di vita della officina fra i pittori si distinsero Savino Lega (1812-1889), Adriano Baldini (cfr. voce in questo Dizionario), Giuseppe Calzi (1846-1908), specialisti nella tecnica della pittura a impasto (Minghetti, 1939, pp. 45, 96, 255 s.). Diverse opere firmate e datate si conservano al Museo internazionale delle ceramiche di Faenza e in altre raccolte pubbliche e private (Vitali, 1982, pp. 301 s.; Corona, 1880, ad vocem). Nelle marche che contrassegnano la produzione, all'aquila coronata ad ali spiegate si affiancano due "F" (Fabbrica Ferniani), che più tardi divennero tre (Fabbrica Ferniani Faenza); sotto questa sono indicate le sigle dei pittori (S. R. per Romeo Savini, C. G. per Giuseppe Calzi, D. P. per Pietro Damiani ecc.).
Nell'agosto del 1880 venne aperta una seconda manifattura sotto le mura del macello vecchio fuori porta Montanara, detta fornace della Scaletta. Qui fu trasferita la produzione industriale, delle terraglie "all'uso inglese" e delle stoviglie comuni mentre quella delle maioliche artistiche rimase concentrata nella cosiddetta fabbrica nobile (Balduzzi, 1880, p. 17; Dirani, 1992, pp. 100 s.). Ma anche questa operazione non ebbe successo, tanto che la terza moglie di Annibale, Egeria Schepens, decise la cessazione dell'attività ceramica il 15 ott. 1893, poco prima della morte del marito avvenuta a Faenza il 23 ott. 1893. La vedova cedette i locali della Scaletta a Carlo Cavina e il 12 dic. 1894 quelli della antica fabbrica del Monte ad Angelo Ferniani, che, non volendosi dare per vinto, continuò da solo l'attività. Il contratto d'affitto era per nove anni ma l'11 ott. 1900 cessò del tutto ogni produzione (Golfieri, 1958; Vitali, 1983, p. 123; Dirani, 1992, pp. 101, 127 ss.).
L'archivio e una importante collezione di pezzi sono ancora proprietà della famiglia.
Fonti e Bibl.: Faenza, Villa Ferniani, Arch. dei conti Ferniani, Arch. della fabbrica delle maioliche; L. Balduzzi, I conti F. di Faenza. Memoria genealogica, in Giornale araldico-genealogico, VIII (1880), pp. 1-21; G. Corona, L'Italia ceramica. La ceramica a Parigi nel 1878, Roma 1880, passim; C. Malagola, Memorie stor. sulle maioliche di Faenza, Bologna 1880, pp. 164-219, 373-427; A. Montanari, Gli uomini illustri di Faenza, I, 2, Faenza 1883, pp. 108 ss.; G. Corona, Esposizione industriale ital. del 1881 in Milano... La ceramica, Milano 1885, passim; Cenni storici sull'antica fabbrica delle maioliche dei conti F. di Faenza per l'Esposizione emiliana in Bologna 1888, Bologna 1888; A. Calzi, Sommario della storia artistica di Faenza, in A. Messeri-A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, passim; G. Ballardini, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, Leipzig 1915, p. 428; C. Ricci, I vasi di Faustina, in Faenza, VI (1918), pp. 9 ss.; L'officina di maioliche dei conti F., Faenza 1929; G. Ballardini, Dagli Accarisi ai F. attraverso F. Vicchi (1589-1644) e i "Giorgioni" (1645-1693), in Faenza, XXIII (1935), pp. 70, 81, 90; A. Minghetti, Ceramisti, Milano 1939, pp. 45, 59 s., 93, 96, 178 ss., 255 s., 335; D. Beltrami, La "Chiesa del Pio Suffragio in Faenza, Faenza 1940, pp. 8 ss., 13; G. Bolognesi, Maioliche faentine a piccolo fuoco..., in Faenza, XXX (1942), pp. 9-14; G. Porisini, Documenti sui rapporti fra i componenti la famiglia Benini e la manifattura F., ibid., XXXV (1949), pp. 17-22, 79-81, 138-141; Id., Di Giovanni Pani pittore e ministro della fabbrica di maioliche F. in Faenza, ibid., XXXVIII (1952), pp. 66 ss.; G. Liverani, Uno sfortunato tentativo faentino di produrre porcellana, ibid., XL (1954), pp. 106-109; L. Zauli Naldi, Un poemetto in lode della fabbrica F., ibid., pp. 129-136; G. Liverani, La terraglia ital., ibid., XLIII (1957), p. 115; G. Morazzoni, La terraglia ital., Milano s. d. (ma 1957), pp. 63-66; Id., Figuli stranieri in Italia nel Settecento, in Freunde der Schweizer Keramik, XXXVIII (1957), pp. 20 ss.; E. Golfieri, L'ultimo direttore della fabbrica F. (Angelo Ferniani 1843-1911), in Faenza, XLIV (1958), pp. 34-36; F. Liverani, Una maiolica dei F., ibid., p. 33; F. Ferniani, Le maioliche F. di Faenza, in La Ceramica, XIII (1958), 4, pp. 37-42; 5, pp. 21-24; 6, pp. 28-31; 7, pp. 37-40; 8, pp. 24-29; G. Liverani, Un ricettario di colori settecentesco a Faenza, in Faenza, XLV (1959), pp. 30-41; Id., Contributi orientali alla maiolica italiana, in Freunde der Schweizer Keramik, XLVI (1959), pp. 20 s.; E. Goffieri, N. Passeri e i modellatori della fabbrica di maioliche F., in Faenza, XLV (1959), pp. 126 ss.; L. Zauli Naldi, A. Berti e la sua opera ceramica, ibid., XLVI (1960), pp. 66 s.; Id., Una "causerie" sulla ceramica di Faenza nella Vienna del Settecento, ibid., XLVIII (1962), pp. 85 s.; E. Golfieri, Per servire alla storia..., ibid., LII (1966), pp. 17-20; Id., Il cenacolo della fabbrica F. e i pittori di genere a Faenza, ibid., LIII (1967), pp. 60-63; F. Liverani-R. Bosi, Maioliche di Faenza, Imola 194 pp. 22-25, 78-90; E. Golfieri, L'arte a Faenza dal neoclassicismo ai nostri giorni, I, Faenza 1975, pp. 24, 37 e passim; G. C. Bojani, in L'età neoclassica a Faenza. 1780-1820 (catal.), Bologna 1979, pp. 231-246; E. Golfieri, Un'avventura ignorata nel Neoclassico italiano. L'opera completa di F. Comerio, in Faenza, LXV (1979), pp. 14 ss.; G. Bertocchi-F. Liverani, Ceramiche bolognesi del Settecento, Bologna 1981, pp. 22-59 (passim); M. Vitali, Le fabbriche faentine dal periodo napoleonico agli inizi del XX secolo attraverso i documenti dell'Arch. comunale, I, Dal periodo napoleonico al Regno d'Italia, in Faenza, LXVIII (1982), pp. 199, 202, 207, 208, 211, 218; II, Dal 1860 al 1890, ibid., pp. 298-314; III, Dal 1890 agli inizi del secolo, ibid., LXIX (1983), pp. 123-127; M. T. Ferniani, Itinerario tra le decorazioni su maiolica in una fabbrica di ceramiche del Settecento: la manifattura F., in Il Carrobbio, IX (1983), pp. 173-183; Id., Struttura organizzativa di una manifattura ceramica del Settecento, ibid., XII (1986), pp. 149-161; M. Vitali, La maiolica ital. nel XVII e XVIII secolo, in Storia dell'arte ceramica, Bologna 1986, pp. 257-259; U. Gobbi, Rose faentine a terzo fuoco, in Faenza, LXXIII (1987), pp. 36-40; M. T. Ferniani, Le porcellane orientali alla base della rinascita faentina nel '700, in Ceramica antica, I (1991), 2, pp. 1924; Id., Il decoro "alla rosa" nella maiolica del Settecento, ibid., 5, pp. 32-42; S. Dirani, Ceramiche ottocentesche faentine, Faenza 1992, pp. 89-102, 127-129; R. Savini, I faentini ceramisti, Faenza 1992, pp. 57-66; Id., Il giardino orientale e la sua influenza sulla produzione ceramica del Settecento, in Ceramica antica, III (1993), 7, pp. 1017; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare ital., III, Milano 1930, pp. 121 s.