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CAPECE, Ferrante

di Domenico Caccamo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)
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CAPECE, Ferrante

Domenico Caccamo

Nacque a Salerno nel 1546, da Muzio, gentiluomo napoletano, e Margherita Gambacorta. In gioventù studiò retorica e filosofia, dedicandosi soprattutto al diritto civile. Nel 1571 fu ammesso nella Compagnia di Gesù (fu esaminato il 16 agosto); nelle scuole dell'Ordine compì gli studi di filosofia e teologia, addottorandosi in queste discipline; poi insegnò a Roma matematica e filosofia, e collaborò alla prima organizzazione del Collegio degli Inglesi. Nel febbraio 1583 fu nominato rettore del collegio di Cluj (Kolozsvár), successore del dotto gesuita polacco Jakub Wujek, la cui severità non aveva incontrato il favore dei confratelli di Transilvania. Ma la partenza fu differita: tra il 25 luglio e il 1º agosto, infatti, egli fece la professione solenne (Arch. Romanum Societatis Iesu, Ital.4,Professi 4 votorum 1581-1599, ff. 35r-36v); sempre il 1ºagosto ebbe l'ordine di raggiungere, con due compagni, il provinciale di Polonia Giovanni Paolo Campana, dal quale dipendevano il collegio e le residenze di Transilvania. Nel corso del lungo viaggio per Cracovia, visitò ad Olomouc il vescovo Stanislav Pavlovský, già suo compagno di studi a Roma, amico e fautore dell'Ordine.

Il C. manifestava allora tutto il suo combattivo entusiasmo per la riconquista cattolica, riferendo al generale Claudio Acquaviva la tensione politico-religiosa che si andava creando in Moravia, nella diocesi dei Pavlovský: "In tutta la sua giurisdizione [temporale] non si ritrova eretico palese, anzi in altri luoghi che non sono soggetti a lui ma sono appresso, sono venuti gli eretici in tanto terrore che stanno con guardie temendo qualche violenza del vescovo". Ben diversa, invece, era la situazione delle terre della diocesi soggette all'imperatore o alla nobiltà, ove gli acattolici, in netta maggioranza, giungevano a minacciare la vita del vescovo, mentre questi si accingeva a una visita pastorale (lettera del C. a C. Acquaviva, Cracovia, 5 ott. 1583, in Arch. Rom. Soc. Iesu, Germ. 161, ff. 259r-261r).

Il 29 settembre il C. giunse a Cracovia, ove si trattenne a lungo in attesa del provinciale Campana, impegnato allora in Lituania. Frattanto Stefano Báthory si adoperava per facilitare l'opera dei gesuiti in Transilvania: annunciava il prossimo arrivo del nuovo rettore ai tre praesides del Principato; raccomandava al provinciale l'istituzione dell'insegnamento filosofico e teologico; suggeriva al C., "homo Italus, perfectis collegiis asuetus", la moderazione e la rinuncia a una troppo rigida disciplina.

In quel periodo di sosta a Cracovia il C. cercò un contatto con l'ambiente dell'eresia colta, di tendenze antitrinitarie, diffusa nella colonia italiana di quella città: negli ultimi giorni del 1583, annunciato da una lettera del nunzio apostolico, volle tentare la conversione di Prospero Provana, il personaggio più ragguardevole fra gli Italiani della capitale, allora colpito da infermità. Non ebbe modo di conversare con lui direttamente, ma conobbe invece un giovane gentiluomo, anch'egli "sedotto dagl'anabattisti", cui tenne un sermone alla presenza di tutti, rimproverandolo aspramente per la sua apostasia. Il gesuita tornò l'indomani nella casa del Provana, ma anche questa volta non fu ammesso a parlare da solo col malato. Riprese bensì il discorso col giovane gentiluomo conosciuto il giorno precedente; "non però si finì né si concluse altro se non che m'avrebbe scritto, il che anco io promisi a lui. Così mi partii tutto malcontento, molto del Provana e molto più dell'altro, che i miei peccati non rn'avesser fatto degno di concluder cosa alcuna con loro" (lett. del C. a A. Bolognetti, Alba Iulia, 10 febbr. 1584, in Bolognetti, Epistulae et acta, III, pp. 72 s.). Ma il padre provinciale ebbe cura di riprendere gli sforzi del C., e negli ultimi mesi della sua vita P. Provana tornò al cattolicesimo, convertito e confessato da un illustre gesuita polacco, Krzysztof Warszewicki.

Finalmente, dopo un viaggio attraverso terre ungheresi molestato dal continuo timore dei Turchi, dallo spettacolo di borghi depredati e deserti, dalla condizione desolata della fede cattolica, il C. raggiunse Cluj il 30 dic. 1583, assieme al provinciale e altri confratelli. Le prospettive, tuttavia, non erano completamente negative: messaggi e appelli giunsero subito dal paese dei Siculi, ove i gesuiti si erano guadagnati notevole ascendente e potevano scacciare predicatori evangelici, e dalla città di Varadino, ove affluivano per la messa e i sacramenti anche cattolici soggetti al sultano.

In genere, fin dalla prima relazione del C. sulle condizioni politiche e religiose della Transilvania (che il generale Acquaviva ricevette e lesse contemporaneamente all'ampio trattato di Antonio Possevino sullo stesso tema), si rivela una persistente adesione delle classi inferiori al cattolicesimo, mentre la nobiltà magiara e la borghesia sassone abbracciavano confessioni protestanti.

Condizioni particolarmente difficili si offrivano a Cluj, dove i Sassoni erano irriducibilmente avversi ai gesuiti. Il Collegio dunque - composto da ventisei o ventisette religiosi e da un numero di studenti oscillante fra i centocinquanta e i duecento, per lo più nobili forestieri - viveva nella sensazione della precarietà e dell'isolamento, che spingeva a cercare scampo nella solidarietà e nell'armonia interna.

"Siamo pochi e lontani da' nostri fratelli; siamo in mezzo a una generazione prava e adultera, di costumi corrotti e d'empia religione; averno avanti gl'occhi l'essempio de molti de' nostri che ... si sono passati dai nostri avversari...", scriveva il C. per giustificare di fronte al generale la sua mite indulgenza: era indispensabile largheggiare nel perdono, "supportare molte cose che in Italia forse non si supportarebbono" (a C. Acquaviva, Cluj, 6 genn. 1585, in Docc. Romana hist. Soc. Iesu, pp. 455-58).

Il C. introdusse l'insegnamento della filosofia, seguì con ansia le vicende degli apostati Peter Frischbier e Christian Francken, passati nel campo degli antitrinitari, favorì l'adozione del nuovo calendano gregoriano nella regione. Ma concepì anche audaci piani per allacciare contatti con le autorità ottomane, che sembravano tenere un atteggiamento benevolo verso i cattolici, a preferenza dei protestanti; e allacciò segreti contatti con il principe valacco Pietro Cercel - figlio del voivoda Pietro I il Buono - che, tenuto prigioniero in Alba lulia, cercava protezione presso i gesuiti della provincia di Polonia e perfino presso la S. Sede.

Quando un'epidemia di peste, nel giugno 1586, prese a diffondersi nella città, il C. esitò a chiudere la scuola, sebbene gli studenti abbandonassero in numero sempre crescente i luoghi colpiti dal contagio; si risolse alla chiusura quando ormai alcuni casi di peste si erano già manifestati nel collegio (A. Busau a P. Skarga, Kovar, 21 ag. 1586, ibid., pp. 610 s.). Inoltre, mancando di separare e disperdere i religiosi per consentire loro di sfuggire al contagio, egli aveva contravvenuto alle norme vigenti nell'Ordine circa il comportamento da tenere in caso di epidemia. "Omnes erant simul, et sic omnes ferme simul sunt infecti", commentarono subito alcuni confratelli transilvani (S. Zabielski a M. Laterna, Alba Iulia, 23 sett. 1586, ibid., p. 620). Il C. stesso fu colpito dalla peste, e ne morì il 31 luglio 1586.

Il giudizio del provinciale Campana sulla personalità del C. era stato solo in parte positivo: riconoscimenti senza riserve per le sue alte qualità morali, ma gravi dubbi sulla sua capacità d'imporsi e di amministrare abilmente le risorse economiche del collegio: "Pro bono operario et pro pio nihil in eo desiderantur, ad bonum tamen rectorem multa, quidam putant omnia"; era uomo di studio, mite e dimesso anche nell'aspetto, facilmente influenzabile (G. P. Campana a C. Acquaviva, Bystrzyca, 15 genn. 1586, ibid., p. 542; altri taglienti giudizi alle pp. 399, 572 e passim).La tradizione, stabilitasi a partire dalle Annuae litterae della Compagnia e dalla storia familiare dell'Ametrano, gli attribuì senz'altro la conversione, in capo a tre giorni di disputa serrata, di un gentiluomo italiano eretico residente a Cracovia; tacque sulle critiche al carattere e al comportamento del C., avanzate da superiori e confratelli; esaltò, invece, la carità e solidarietà dei religiosi, in primo luogo del rettore, di fronte alla sofferenza e alla morte, durante l'epidemia che aveva devastato il collegio transilvano.

Fonti e Bibl.: La corrispondenza del C. nel triennio del suo rettorato con il generale Claudio Acquaviva, il nunzio Alberto Bolognetti ed altri religiosi, conservata in massima parte nell'Archivum Romanum Societatis Iesu, è stata pubbl. quasi integral. in: Epistolae et acta Iesuitarum Transylvaniae..., a cura di A. Veress, II, Kolozsvár-Budapest 1913, ad Ind.; Annuae litterae Societatis Iesu de rebus Transylvanicis..., a cura di A. Veress, Budapest 1921, p. 9; A. Bolognetti, Epist. et acta, II, a cura di E. Kuntze, Cracoviae 1938, pp. 584 s.; III, Krakow 1950, pp. 72 s.; Documenta Romana historiae Societatis Iesu in regnis olim Corona Hungarica unitis, a cura di L. Lukács, III, Romae 1967, ad Ind. Per la biografia del C., cfr. inoltre: Litterae Societatis Iesu duorum annorum 1586 et 1587..., Romae 1589, pp. 149-157; S. Ametrano, Della famiglia Capece, Napoli 1603, pp. 46-52; Ph. Alegambe, Mortes illustres..., Romae 1657, p. 165; Id., Heroes et victimae charitatis Societatis Iesu…, Romae 1658, pp. 80-84; F. Sacchini, Historia Societatis Iesu, V, Romae 1661, pp. 286 s.; M. Tanner, Societas Iesu apostolorum imitatrix..., I, Pragae 1694, pp. 212-214; F. Schinosi, Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli, Napoli 1711, I, p. 487; II, p. 55;E. de Guillermy, Ménologie de la Compagnie de Jésus. Assistance d'Italie, II, Paris 1894, pp. 111 s.; M. Volpe, P. Antonio Capece,martire del Giappone..., Napoli 1912, pp. 57-62; V. Biró, La politique religieuse et scolaire d'Etienne Báthory en Transylvanie, in Etienne Batory,roi de Pologne,prince de Transylvanie, Cracovie 1935, pp. 47-70; D.Caccamo, Eretici italiani in Moravia,Polonia,Transilvania..., Firenze-Chicago 1970, pp. 78 s.

Vedi anche
protestantesimo Nome assegnato al partito luterano dei principi tedeschi firmatari della solenne protestatio, la rivendicazione di diritti presentata nel 1529 alla dieta di Spira che aveva confermato la condanna di M. Lutero (➔) emessa dalla dieta di Worms: la ‘protesta’ era firmata dai principi Giovanni di Sassonia, ... Simone Episcòpio Episcòpio, Simone. - Nome italianizzato (lat. Episcopius) di Simon Bishop o Biscop (Amsterdam 1583 - ivi 1643). Figura dominante dell'arminianesimo. Magister artium a Leida (1606), vi studiò anche teologia con F. Gomar e J. Arminius, del quale ultimo divenne presto seguace. Dopo la morte del maestro ... órdine domenicano domenicano, órdine Ordine religioso mendicante dei Frati predicatori (Ordo praedicatorum), fondato da s. Domenico di Guzmán (1215), dal cui nome deriva la denominazione di domenicano. Il primo nucleo fu un gruppo di chierici inviati in Linguadoca per la predicazione contro gli albigesi. L'domenicano, ... vescovo Nel cristianesimo primitivo e in molte Chiese cristiane non cattoliche, il capo di una comunità di fedeli, in posizione più elevata rispetto agli altri ordini del ministero ecclesiastico. Nella Chiesa cattolica, prelato che, sotto l’autorità del romano pontefice, ha il governo ordinario di una diocesi, ...
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Vocabolario
ferrante²
ferrante2 ferrante2 s. m. e f. [der. di ferro]. – Nel linguaggio medico, sinon. di ferrista.
ferrante¹
ferrante1 ferrante1 agg. [der. di ferro]. – Detto, anticam., di un tipo di mantello del cavallo, misto di grigio ferro, bianco, nero e baio: egli era sopra un gran caval f. (Boccaccio). Per le locuz. essere, o andare, fra baiante e f.,...
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