FARNESE, Ferrante (Ferdinando)
Figlio primogenito di Bertoldo, duca di Latera e Farnese, del ramo farnesiano di Latera, e di Giulia Acquaviva, nacque il 3 dic. 1543 a Latera (Viterbo). Venne avviato alla carriera ecclesiastica giovanetto, anche se mancano informazioni precise circa la sua formazione, probabilmente orientata verso gli studi giuridici, considerata la sua nomina a referendario utriusque Signaturae sotto Pio IV. La sufficiente devozione e capacità e il vicecancellierato del potentissimo cardinale Alessandro Farnese lo favorirono quasi naturalmente come appartenente alla famiglia. Dal 10 aprile al 31 ott. 1569 venne incaricato della vicelegazione di Viterbo; tuttavia, la prima rilevante nomina risale al 27 ag. 1572 quando fu creato vescovo di Montefiascone e Corneto per qualche mese soltanto, in attesa di essere nominato vescovo di Parma il 30 marzo 1573 in un incarico che manterrà faticosamente per più di un trentennio.
A Parma i rapporti del F. con i duchi e il potere civile ebbero fasi alterne e non sempre lineari. Uno dei suoi primi interventi ufficiali, il 17 sett. 1573, fu la pubblicazione di un decreto che vietava espressamente i contratti clandestini stipulati con pratica manifestamente usuraria, fissando al 7,50% l'interesse massimo che si potesse operare sopra i censi: un intento moralizzatore che forse infastidì quanti nel ceto cittadino e riella corte stessa consideravano tale attività legittima e soprattutto non sottoposta a regole. L'attività pastorale continuò nel 1575 con l'apertura del primo sinodo (ve ne saranno altri due pressoché identici nel 1581 e 1583) che riprese senza originalità e senza duttilità alcuna le disposizioni postconciliari in termini di disciplina e organizzazione del clero.
Proprio il carattere fiscale della mentalità del F. e l'assenza di affabifità lo misero progressivamente in imbarazzo nell'affrontare un contesto locale forte di antichi privilegi, dagli usi e dagli intrecci politici ben consolidati nell'organizzazione patrimoniale e giurisdizionale. Le difficoltà ambientali in cui il F. si trovava ad operare si possono desumere dalla visita apostolica del vescovo di Rimini Giovanni Battista Castelli, incaricato da Gregorio XIII con un breve del 18 ott. 1578 di spalleggiare il F. nei tentativi di riaffermare l'autorità di Roma nella diocesi.
Si palesarono carenze, si accentuarono le conflittualità quando il rigorismo del visitatore di scuola borromeiana, indirizzato dalle indicazioni del F. che rimase peraltro nell'ombra, si confrontò con la realtà cittadina. Dal novembre 1578 alla primavera dell'anno successivo vennero setacciate chiese e capitoli, cimiteri, luoghi e opere pie; vennero interrogati parroci, chierici, priori, massari delle confraternite; vennero denunciati l'assenteismo, l'impreparazione e le inadempienze di canonici, protetti dalle autorità cittadine che si dichiaravano assolutamente soddisfatte del loro comportamento. In particolare il contenzioso con i canonici venne trascinato e dibattuto a Roma nella congregazione del Concilio che, in sostanza, nel gennaio 1579 diede ragione al capitolo della cattedrale di Parma: e ciò grazie agli appoggi romani e forse anche ad un atteggiamento di mediazione dello stesso F. che si trovò in effetti sovrastato dalla determinazione del Castelli di applicare integralmente le decretali tridentine. Ciò fu evidentissimo quando vennero segnalate le stranezze, ormai consuetudinarie, che circondavano le modalità contrattuali di vendita, permuta ed enfiteusi dei beni ecclesiastici che avvenivano di fatto senza la "riserva del beneplacito dell'Apostolica sede" di conferma della validità degli atti. La proposta di rivedere tutti i contratti dal 1538 seminò il panico nell'intera diocesi ponendo problemi politici non indifferenti nel rapporto giurisdizionale tra le autorità civili ed ecclesiastiche; e tra clero autoctono, fortemente geloso della propria autonomia e preoccupato dall'intervento esterno in un terreno non certo privo di illeciti e di abusi, e gerarchia romana.
Il F. però non poté presenziare a tutte le procedure della visita apostolica poiché nel genn. 1579 il duca Ottavio lo incaricò di recarsi in Portogallo a rappresentare gli interessi del casato coinvolto nella linea di successione al trono portoghese per il precario stato di salute di Enrico II: ed è difficile stabilire se tale incarico gli venne affidato per una certa fiducia da parte ducale oppure per delegittimare e isolare in qualche modo il visitatore apostolico.
Pertanto, la missione del F. s'inquadrava in un disegno ambizioso di consolidamento del potere che vedeva l'impegno concomitante di numerosi membri della famiglia Farnese: a Parma il duca si preparava a confiscare i territori e i beni dei Landi e dei Pallavicino e si erano avviati i contatti per pacificarsi con i duchi di Mantova attraverso il matrimonio, sfortunato, di Margherita Farnese con Vincenzo Gonzaga e allontanare i pericoli provenienti da una possibile alleanza di Mantova con Francesco de' Medici. A Roma il cardinale Alessandro s'ingegnava a preparare il terreno per un conclave ritenuto, a torto, prossimo per un improvviso peggioramento della salute di Gregorio XIII, mentre il suo omonimo nipote continuava nelle Fiandre a mietere allori e consensi nelle armate di Filippo II. E dopo Fabio Farnese, fratello del F., inviato nell'agosto 1578 in Portogallo a rendere omaggio al nuovo re Enrico II, il F. ebbe il compito di insistere ancora più efficacemente nell'avanzare la candidatura di Ranuccio come pretendente alla corona.
Il F. giunse a Lisbona l'11 febbr. 1579 per inserirsi in un complicato gioco diplomatico che vedeva come possibili successori i Savoia, il re di Spagna, il duca di Braganza e dom Antonio di Crato, che regnerà per sette mesi prima dell'annessione del Portogallo alla Corona di Spagna (2 sett. 1580). Nonostante la pompa e le esibizioni di "regalità" già alla fine del mese il F. aveva verificato di persona in due udienze che la possibilità di un successo per Ranuccio era remotissima e ben presto, "honorato con un grande et bellissimo robino" (Arch. segr. Vaticano, Segr. di St., Nunz. Portogallo, 1, c. 291), venne licenziato dal re.
Al ritorno in diocesi i problemi non si erano certo risolti per il F., che anzi vedeva moltiplicarsi le vertenze col clero e col duca "suo affine" che lo costringevano a stare molto spesso assente da Parma per non essere sottoposto a mortificazioni. Alla fine del 1581 era a Roma accompagnato da due suoi canonici per un lungo soggiorno, disturbato dalla presenza di giureconsulti stipendiati dal capitolo per difenderne i privilegi presso la congregazione del Concilio: l'anno seguente intervenne nel sinodo di Ravenna come vescovo suffraganeo. Nel 1584 era di nuovo a Parma a consacrare chiese e reliquie senza mai dare l'impressione di essere una presenza forte e ascoltata nella città. Nel 1586 il F. appoggiò incondizionatamente la S. Sede intenzionata a frustrare persistenti aspirazioni autonomistiche sottomettendo le Chiese di Panna, Piacenza e Modena alla Chiesa metropolitana di Bologna. Alla convocazione del sinodo generale il 27 maggio 1586 il F. dichiarava seccamente ai canonici del capitolo di Parma per bocca del suo vicario (uno dei tanti mediocri personaggi di cui si circondò) di non aver alcuna intenzione di sostenere diplomaticamente a Roma la loro resistenza alla partecipazione, riaffermando la propria estraneità alle iniziative contro "la mente di Sua Beatitudine dalla quale so essere stati ributtati quelli che hanno voluto opporsi" (Allodi, p. 113). Dopo la morte del duca Ottavio (settembre 1586) la situazione si complicò ulteriormente e i rapporti con l'assente duca Alessandro e il reggente, poi duca, Ranuccio, divennero molto tesi.
A più riprese da Parma vennero inviate lamentele epistolari al duca Alessandro nelle Fiandre sia per le ingerenze intransigenti nel pretendere l'applicazione dei decreti tridentini, sia per la continua rotazione di vicari corrotti e per i continui divieti, anche a distanza, intimati dal F. ai tentativi di riunione ed organizzazione dei deputati del clero parmense per affrontare la gestione della diocesi. In questa lotta di poteri, un'ennesima protesta del dicembre 1588 evidentemente produsse i suoi effetti poiché nell'aprile dell'anno successivo Sisto V inviò il primo dei diversi vicari apostolici per il governo della diocesi a testimonio della chiara insoddisfazione di Roma per il cattivo andamento degli affari ecclesiastici. Inoltre, la campagna di tassazione in corso per finanziare una flotta contro i pirati che infestavano le coste italiane (a Parma erano stati richiesti 12.000 scudi) e la necessità di una normalizzazione dei rapporti politici con il Ducato resero inevitabile il ridimensionamento del Farnese.
Sempre più lontano dalla sua diocesi, estromesso ulteriormente dalla promozione di Odoardo Farnese al cardinalato (8 marzo 1591), l'attività del F. si ridusse ad un ruolo puramente burocratico e di scarso rilievo. Nel 1591 fu vicelegato a Bologna, carica che conservò sino al 21 marzo dell'anno successivo quando il cardinale Paolo Emilio Sfondrati prese possesso effettivo della legazione.
Un certo credito dovette recuperarlo con l'avvento di Clemente VIII, poiché il 20 giugno 1597 venne incaricato della nunziatura a Praga presso l'imperatore Rodolfò II in sostituzione di Cesare Speciano.
L'istruzione che gli venne consegnata illustrava impietosamente la difficoltà della situazione determinatasi con la perdita progressiva d'influenza della politica cattolica che aveva visto la progressiva scomparsa o disgrazia dei principali sostenitori di Roma tra la nobiltà boema come i Rožmberk, i Lobkovic, i Martinic e i Hradec a cui faceva riscontro l'attivismo dei riformati che per l'abilità del vicecancelliere Krystorf Želinský e del suo segretario Jan Milner erano ormai divenuti i veri arbitri delle decisioni imperiali. Un funzionariato eretico vincente, il moltiplicarsi di predicatori riformati violentemente anticuriali in grado di influenzare masse sempre più vaste di sudditi, la crescente corruzione e indisciplina del clero a cui non poneva certo argine l'ignavia e la complice indifferenza dell'arcivescovo di Praga Zbyněk Berka, l'ambiguità dell'imperatore e i gravi pregiudizi patrimoniali determinati dalla decisione della Camera boema, sapientemente ispirata da Želinský, di porre all'incanto i beni ecclesiastici per risanare le casse esauste dell'Erario imperiale erano il contesto all'interno del quale il F. avrebbe dovuto operare.
Nell'istruzione si raccomandava caldamente di inaugurare una più "soave maniera" nel trattare con l'imperatore per modificare l'opinione che circondava il nunzio Speciano di eccessiva asprezza nel contrastare gli esponenti "heretici", i quali parevano ormai avere un predominio incontrastato a corte. E nel contempo tentare di richiamare al dovere i "freddi et interessati cattolici" che favorivano, con le loro ambiguità, la mediocrità della situazione confessionale e non agivano con la necessaria energia per liberare Rodolfo II dalla "fraude con che lo tengono legato gli heretici, ma ve lo stringono maggiormente per le loro passioni et per i vincoli che hanno con quelli di parentele o di partecipationi puoco honeste" (Die Hauptinstruktionen…, p. 491). Gli si chiedeva di intervenire nelle vertenze e nei soprusi che venivano segnalati un po' dappertutto nei territori imperiali: dalle intimidazioni agli abati in Franconia, alla mancata reintegrazione delle autorità cattoliche espulse dai calvinisti da Aquisgrana, ai problemi di governo e di una successione vantaggiosa alla S. Sede negli Stati di Jülich-Kleve, alla non "meno rancida, né men pregiuditiale al divino servitio" misera condizione di Halberstadt ove "il cicalamento empio" di "cinque ministri dell'Inferno" aveva trovato sostenitori persino nei canonici della cattedrale, i quali avevano acconsentito all'abrogazione degli ordini sacri "che nominavano quivi segnali della Meretrice Babillonia, et lasciarono mutare l'antica forma del giuramento capitolare in horrende biastemme, et tra l'altre di non dover mai ammettere la restitutione del Papato". Non migliore la situazione peraltro si presentava nella Germania settentrionale, a Hildesheim ed Osnabrück nella Bassa Sassonia. Di grande rilievo poi per il F. doveva essere l'impegno per ridurre il consistente numero di Chiese vacanti: in Ungheria "sette mostruosissime" di calvinisti, trinitari e arriani "declinano finalmente all'atheismo, né è poi da maravigliarsi, se la divina giustizia gli fa diventar preda dei Turchi"; in Austria l'amministrazione delle diocesi di Vienna e di Neustadt erano curate dall'inaffidabile e ambiguo Melchiorre Klesl, "sparviere da non tenere in pugno senza guanto". Infine, egli avrebbe dovuto cercare di assolvere ad un ruolo diplomatico di composizione e di miglioramento dei rapporti sempre più tesi tra la Spagna e Rodolfo II insistendo sulle impellenti necessità imposte dalla comune guerra in Ungheria contro le armate turche, nonché di segnalare le angustie procurate in Adriatico ai commerci veneziani dalla pirateria uscocca di fatto tollerata dalle milizie imperiali.
Di fronte all'enormità delle incombenze il F. si dimostrò molto titubante e, alle ripetute richieste dell'estenuato Speciano che attendeva la sostituzione e lo accusava di non aver "un pelo che pensi a venirci" (Fondo Borghese, III, 109e, c. 258v), rispose soltanto nel marzo 1598, favorito dalle notizie di diffusione della peste, per informarlo di non potersi recare a Praga per la sua malferma salute, aprendo così la strada alla nomina di Filippo Spinelli.
Intanto, perdurando il disamore dei Parmensi e praticamente sostituito nelle mansioni vescovili dal vicario Giovanni Mozanega, rinunciò al vescovato nell'ottobre 1603 non mancando di riservarsi una pensione di 6.500 scudi. Ritiratosi a Latera, si occupò senza troppo fervore, più che altro sollecitato dall'attivismo del fratello Mario, dell'amministrazione dei possedimenti familiari: e qui morì nel 1606.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Nunziatura Portogallo 1, cc. 284v, 288-290; Fondo Borghese, s. 3, 93c, cc. 45rv, 58v; 109d, cc. 12v, 24, 43, 60, 75, 98v, 105, 141, 174v, 267v; 109e, cc. 13v, 17v-18, 37, 76rv, 91, 187, 254-255, 258v, 259; Bibl. ap. Vaticana, Barb. lat. 5795, cc. 10-23; Fondo Ferraioli 61, cc. 43v, 125v, 148; 612, cc. 30, 77, 89, 124v; Urb. lat. 724, cc. 19-21; 866, cc. 296-322; Vat. lat. 9427, cc. 352-487; 10425, cc. 10, 66v; Farnese, Archivio parrocchiale, Liber baptizatorum, p. I, 1543-1574; Constitutiones quae a Synodo diocesana Parmensi in ea praesidente rev. d. Ferdinando Farnesio... episcopo… Parmensi et comite... MDLXXV, Parmae 1576; Constitutiones quae... MDLXXXI, Parmae 1582; Constitutiones quae... MDLXXXIII, Parmae 1584; Die Hauptinstruktionen Clemens' VIII. für die Nuntien und Legaten..., a cura di K. Jaitner, Tübingen 1984, pp. XXXVIII, CL, CLXIV, CXCIII-CXCVI, CCXLII, CCLII, 488-524, 569, 665; F. Ughelli, Italia sacra…, I, Romae 1644, col. 1065; II, ibid. 1647, coll. 24, s.; A. Masini, Bologna perlustrata, II, Bologna 1666, pp. 227 s.; F. M. Annibali, Notizie storiche della casa Farnese..., I, Montefiascone 1817, pp. 88-92, 96, 98 s., 103; II, ibid. 1818, pp. 155, 164; G. M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi di Parma..., II, Parma 1856, pp. 94-147; F. Magani, Ordinamento canonico della diocesi di Parma, I, Parma 1910, pp. 59 s.; A. Schiavi, La diocesi di Parma, I, Parma 1925, pp. 94, 97 s.; K. Stloukal, Papežká politika a Císařský dvêr Pražský na předěle XVI aXVII veku (La politica papale e la Curia imperiale a Praga alla fine del Cinquecento ed al principio del Seicento), Praha 1925, pp. 62, 87 ss., 97 ss., 117, 124 s., 155, 172, 175, 246; L. von Pastor, Storia dei papi, XI, Roma 1929, p. 276; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, II, 2, Viterbo 1940, p. 268; A. Pasini, Applicazione del concilio di Trento in diocesi di Parma nella visita apostolica di mons. G. B. Castelli, Parma 1953, pp. 19, 21, 32 ss., 36, 38, 61 s.; A. Barilli, Studi farnesiani, Parma 1958, p. 58; Chiese e conventi di Parma, a cura di Felice da Mareto, Parma 1978, pp. 48, 134, 161, 196, 226, 242; A. Prosperi, Dall'investitura papale alla santificazione del potere. Appunti per una ricerca sui primi Farnese e le istituzioni eccl. a Parma, in Le corti farnesiane di Parma e Piacenza (1545-1622), I, Roma 1978, pp. 171-177, 181 s.; Minimus Laterensis [A. Rossi], Latera, la sua storia..., Latera 1990, pp. 94-98, 111, 250 s.; S. Andretta, Da Parma a Roma: la fortuna dei Farnese di Latera tra armi, Curia e devozione tra XVI e XVII sec., in Bull. de l'Institut histor. belge de Rome, LXIII (1993), pp. 8-13; H.Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, pp. 166, 265; C. Eubel-G. van Gulik, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, pp. 249, 270; B. Katterbach, Referendarii utriusque signaturae..., pp. 128, 145; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Farnesi, tav. VIII; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, XLVI, p. 222; LI, p. 238, CII, pp. 103 s., 116, 121 s., 361.