FERRARA (A. T., 24-25-26)
Città dell'Emilia, capoluogo di provincia; è d'incerta origine, e il suo nome non è stato identificato con sicurezza con alcuna città esistente al tempo di Roma.
Il nome Ferrara pare, fuor d'ogni dubbio, nato nel Medioevo: certo è posteriore all'epoca romana. Alcuni studiosi, in base a ragioni topografiche, etniche, storiche e anche mitologiche, vorrebbero attribuire a Ferrara un'origine pelasgica. I Pelasgi l'avrebbero fondata con il nome di Massalia: così verrebbe indicata da Polibio (Histor., II); in questa più tardi i Romani avrebbero istituito il Forum Alieni e il punto di partenza della città si dovrebbe cercare nell'antico quartiere di S. Nicolò (SO. della città), in quel tratto che sta fra le odierne Via Garibaldi e Via Capo delle Volte, fra Piazzetta Cortebella e la Piazza municipale (Piazza Breviglieri). È fuor di dubbio che una colonia romana si trovava dove oggi esistono i villaggi di Voghenza e Voghiera e non è infondato ritenere che il decadimento di Voghenza favorisse il sorgere o, più probabilmente, l'accrescersi di Ferrara, situata più entro terra e precisamente alla punta San Giorgio, prima e più antica biforcazione del Po. Fin dal basso Medioevo il rettangolo di case limitato oggi da Viale Cavour, Corso Porta Reno, Via Capo delle Volte e il moderno Rione Giardino par che debba costituire l'antico abitato. Successivamente la città si è ampliata verso oriente, dove sono sorti il duomo (sec. XII) e il palazzo di corte (sec. XIII): l'aggiunta nordica - a nord del Viale Cavour e del Corso della Giovecca - è della fine del sec. XV, e fino all'unione con l'Italia gli accrescimenti avvennero entro le mura quattrocentesche; fuori di esse ogni ampliamento è di questo secolo o della fine del secolo precedente.
Ferrara è situata nell'aperta pianura, a 11 m. s. m. (punto più elevato) a NNE. di Bologna, da cui dista 46,4 km. Di forma trapezoidale, con i lati rivolti approssimativamente ai punti cardinali, è recinta da mura con bastioni e con sproni: 4 porte immettono nella città. A S. presso la strada di circonvallazione corre il Canale di Burana: la Darsena è fra la linea ferroviaria e la strada provinciale che conduce a Bologna. L'area compresa entro le mura misura 4 kmq., spazio grande per la popolazione che vi è contenuta, tanto che larghi tratti sono ancora vuoti di case. Il Viale Cavour e il Corso della Giovecca tagliano la città da NO. a SE. in due parti, delle quali la meridionale è più ricca di abitazioni; la parte a N., detta Addizione Erculea, fu eseguita per ordine di Ercole I (1471-1505): Biagio Rossetti tracciò il piano regolatore e la recinse di mura e di fortificazioni (1492). Un altro rettifilo corre da Porta Po a Porta Mare e questo divide in due la Ferrara più recente. Il centro della città va posto dove sorgono la cattedrale e il castello estense.
La popolazione di Ferrara è risultata il 30 sett. 1928 (calcolo) di 42.140 ab. Essa era di 25.373 ab. nel 1701, di 26.653 nel 1768, di 31.525 nel 1816, di 39.367 nel 1853, di 33.153 nel 1901, di 37.706 nel 1911 e di 55.022 nel 1921.
Ferrara trae le sue principali risorse economiche dall'agricoltura, perché circondata da campagne fertili, ma anche le industrie e i commerci sono assai sviluppati: basti dire che mulini, zuccherifici, canapifici e setifici lavorano alle porte della città e che altri opifici - raffinerie di zucchero, distillerie, fabbriche di saponi e di candele - sorgono entro i limiti del comune; importante è altresi il movimento commerciale. Tranvie elettriche vanno dal centro alle quattro porte; la stazione principale ha linee per Venezia, Copparo, Suzzara, Cento, Bologna e Ravenna; una stazione secondaria, presso Porta Reno, ha la linea ferroviaria per Codigoro; v'è pure una tranvia elettrica per Pontelagoscuro (km. 6,7).
Il comune di Ferrara è il più vasto della provincia (405,25 kmq.); la popolazione nel 1931 risultò di 115.898 ab., dei quali 88.226 agglomerati e 27.672 nelle case sparse (83.301 nel 1901, 95.721 nel 1911, 106.768 nel 1921).
Arte. - Architettura. - Il più insigne dei monumenti ferraresi è la cattedrale, consacrata l'8 maggio 1135. Alcuni versi (già espressi a mosaico nel sottarco tra il coro e il presbiterio in un cartello oggi distrutto) universalmente riconosciuti come i primi del nostro volgare, rivelano autore delle sculture un Nicolò, ricordano l'amore di un ricco e potente cittadino, Guglielmo (Adelardi), che offrì il denaro necessario alla costruzione e forse, secondo una cronaca del Trecento, avrebbe pur dato la fondamentale idea architettonica. La fronte primitiva non fu tricuspidale. Dalla parte mediana, più elevata, spiovevano obliquamente le campate laterali. Sulla porta maggiore una loggetta semplicissima col tetto a due falde si collegava a destra e a sinistra con l'unica galleria d'archi romanici. Le porte laterali compivano l'ornamento della fronte. Solo molto più tardi, sulla fine del sec. XIII, l'architettura gotica si sovrappose alla lombarda e fu composto il maestoso trittico marmoreo, ornato, in successivi momenti, con nuove gallerie, con ogive a strombo e fasci di eleganti colonne, rosoni traforati e pinnacoli, che, a guisa di piccolo tempio, custodisce l'immagine di Nostra Signora, statua attribuita a Cristoforo da Firenze (1427). E come la patina dei secoli, fondendo mirabilmente linee e forme del romanico e del gotico, sembra averle condotte presso che a un'unica maniera, così la grande vicenda religiosa, che s'inizia coi Profeti e l'Annunciazione nella strombatura della porta centrale, si collega, nell'alto, ai potenti rilievi del Giudizio Universale, con le schiere degli eletti volti al seno d'Abramo e dei reprobi trascinati ai tormenti d'inferno. In basso, a destra, d'ignoto, la statua d'Alberto V d'Este, a sinistra la testa di Clemente VIII, bronzo dell'Albenga. Il fianco settentrionale conserva intatta la forte struttura romanica, quello di mezzodì, aggraziato sul principio del sec. XV da una galleria veneto-moresca, sopporta dal 1472 la Loggia dei merciai. Solido, massiccio è il campanile, attribuito a Leon Battista Alberti. L'interno del tempio è disforme dalla fronte. Il terremoto (1570), che minacciò le sorti dell'edificio, rese indispensabile un restauro radicale, eseguito agli albori del Settecento (1712 segg.) col gusto dell'epoca. Nonostante la lamentata trasformazione la chiesa ha tuttora un aspetto solenne.
Il castello ha una storia di sole tradizioni. Ci raccontano che, dopo una rivolta di popolo, in cui fu fatto scempio di Tommaso da Tortona, Giudice de' Savi e ministro delle dogane, il marchese Nicolò II lo Zoppo, pauroso dell'avvenire, ordinò la costruzione della fortezza a Bartolino da Novara (v.). In breve, affermano gli storici, a quella dei Leoni, preesistente da oltre un secolo, si congiunsero le altre tre torri, merlate e difese dalla bertesca, come nel castello di Mantova, che è dello stesso architetto. Col tempo furono coronate di sopracorpi e balaustri a opera di Girolamo Carpi e Alberto Schiatti, mentre, per volere d'Ercole II, si creava a levante la graziosa loggia pensile degli aranci. Gl'ingressi da mezzodì e da ponente conservano i rivellini antichi, non così a settentrione dove il pesante avancorpo appartiene all'epoca dei cardinali legati. Nella vasta corte d'onore recenti restauri hanno rimesso in luce le impostature degli archi, su tre lati, d'un loggiato trecentesco quando (1472) Ercole I eresse le arcate marmoree che tagliano il cortile da nord a sud. Nel fondo delle torri sono le terribili segrete di Ugo e Parisina, nelle sale superiori permane una tenue eco della vita sontuosa e festante che qui condusse la Casa d'Este.
Il Duomo e il Castello, imponenti, sono, col chiostrino di S. Romano, i soli rappresentanti dell'età medievale. Intorno ad essi si distende la citta, densa di abitazioni, angusta di vicoli nella parte antica, spaziata di parchi, di giardini e d'orti nella parte sviluppatasi durante l'Addizione Erculea. Col Rinascimento, le case del popolo alto si fanno leggiadre di profondi cornicioni in laterizio, d'archi su porte e finestre, di eleganti pilastri angolari. Sul luogo di antichi oratorî, sorgono numerose chiese da meritare per forma e grandezza il titolo di basiliche: S. Benedetto col chiostro del convento, attribuito ai fratelli Tristano, dove da Pomposa ripararono i benedettini nel sec. XVI; S. Maria in Vado, il più antico battistero della città; S. Francesco, grandioso, purissimo di concezione, a una sola nave, da attribuire con sicurezza a Biagio Rossetti, la chiesa di S. Cristoforo o della Certosa, forse la più bella di Ferrara per l'austera semplicità. Altre opere dell'ingegno del Rossetti, composto, ispirato a classica eleganza, restano l'abside della cattedrale e la torre campanaria di S. Giorgio fuori le mura, che, innanzi il 1135, fu la chiesa cattedrale. Importante è la chiesa del Corpus Domini per i sigilli estensi chiusi sulle salme di Lucrezia Borgia e dei duchi Alfonso I e Alfonso II, notevole S. Maria Nuova degli Aldighieri dove, nel 1921, si aprì la cripta contenente l'ossario della famiglia Aldighieri, donde venne la "donna di val di Pado".
Contemporanei alle chiese, i grandi palazzi, indice non dubbio di floridezza economica, misero in Ferrara un'impronta signorile e magnifica non ancora perduta. Nella città vecchia è il palazzo Schifanoia, cosiddetto dal marchese Alberto d'Este (che ne fece iniziare la costruzione nel 1391) per averlo destinato a sollievo delle molte sue cure: il palazzo poté considerarsi compiuto solo al tempo di Borso (1469). Sorsero poi il palazzo Trotti, ora del Seminario, i palazzi Montecatini, Contrari, Cicognara, il palazzo Estense (oggi Pareschi), il palazzo di Ludovico il Moro, il palazzo Roverella dove il marmo si sposa con bella sobrietà alle terrecotte decorative. Nella città nuova, in quella che diventerà la piazza Ariostea, i palazzi Rondinelli e Bevilacqua; lungo la strada di S. Maria degli Angeli, la strada regale, i palazzi Giglioli poi Varano, Fioravanti-Boari, di Don Giulio d'Este, dei Turco ora Di Bagno, dei Mosti ora Pisa, la casa dei Guarini; ma superiore a tutti gli altri edifici, per la maestà poderosa e le eleganze ornamentali, il palazzo detto dei Diamanti dalle innumerevoli bugne marmoree che ne ricoprono interamente le due fronti esterne. Cominciato per Sigismondo d' Este da Biagio Rossetti (1493) e da Gabriele Frisoni "taiapreda", non giunse a compimento prima del 1555 per opera di un architetto agli ordini del Lardinale Luigi d'Este. Non sappiamo il suo nome e questa difficoltà ci conduce a considerare come, a Ferrara, non riesca sempre facile di riconoscere con certezza gli autori dell'uno o dell'altro edificio, perché le espressioni d'arte, se pur presentino caratteri personali, conservano uno spirito locale, una ideazione così pacata da cui deriva un senso di uniformità nei modi di esecuzione. Ciò serve a spiegare come, data la abbondevole sua parte al Rossetti, da tutti dissimile, si possa invece restar perplessi, al primo sguardo, nell'assegnazione di qualche opera, tra Girolamo Carpi e lo Schiatti, tra il Balbi e l'Aleotti. Talvolta invece il riconoscere e fare il nome dell'artista si eleva a difficoltà di problema. Tipico è il caso della Porta dei Sacrati (1515) ora Prosperi, dal Lanzi assegnata al Peruzzi, da altri al Rossetti, le cui opere mai offersero il minimo elemento di richiamo, mentre oggi sembra confortata da buone argomentazioni di tecnica architettonica e da raffronti artistici l'attribuzione ad Antonio Lombardi Solari. Si pensa che la porta, alta sulla scalea fatta ad aspettare la gondola sullo sciacquio del canale, provenga dalla famosa bottega veneziana per acquisto d'occasione.
Scultura. - Sino a epoca relativamente tarda Ferrara non annoverò scultori proprî. Tuttavia non le mancano esemplari di quest'arte a cominciare dall'età romana (sec. I d. C.) coi monumenti sepolcrali dissotterrati a Voghenza. Seguono, in ordine di tempo, le sculture della cattedrale: gli avanzi della "Porta dei mesi" posta a mezzogiorno del tempio, sono di bellezza antelamica. Iacopo della Quercia ci lasciò (1408) la Madonna del melograno e pare, una notevolissima figura di S. Ambrogio. Vennero da Firenze Antonio di Cristoforo e Nicolò Baroncelli, da Padova Domenico Paris; gli artisti produssero le statue di bronzo che nella cattedrale compongono l'altare del Crocifisso e i monumenti, eretti sulla piazza, a Nicolò III e Borso d'Este (1451-1453). La furia giacobina li distrusse il 19 ottobre 1796; ma ai nostri giorni le statue, fedelmente restituite a opera dello scultore G. Zilocchi, furono rimesse sugli antichi piedistalli. Nella chiesa del Gesù, il mausoleo di Barbara d'Austria, seconda moglie di Alfonso II attribuito allo Spani, chiude la breve serie dei monumenti Estensi. Di Alfonso Lombardi (1497-1537) cittadino autentico, Ferrara non possiede, nel duomo, che busti in terracotta del Cristo e degli Apostoli (studî recenti attribuiscono alcuni di questi busti a Baccio da Montelupo, v.); ma di Guido Mazzoni ha nella chiesa di Santa Maria della Rosa una mirabile Pietà. Sono pur questi i secoli dei celebrati medaglisti: V. A. Pisano, A. Marescotti, G. Sperandio, F. Enzola, Petrecini, che ci lasciarono le immagini dei principi di casa d'Este.
Pittura. - Altre furono a Ferrara le sorti della pittura. Si ricordano dalle vecchie carte le immagini sacre che ornavano (1135) l'imbotte dell'arco esteriore della cattedrale; il monaco Giovanni Aldighieri, vivente il 1195, fu miniatore d'un Virgilio già conservato nella biblioteca dei Carmelitani di S. Paolo; abbiamo testimonianza di pitture, eseguite a mezzo il sec. XIII da Gelasio di Nicolò della Masnada di S. Giorgio. Ma, dopo l'incertezza di questi principî, trascorre un lungo periodo in cui gl'istinti locali non si manifestano con precisione, dominati come sono dalle influenze della scuola giottesco-romagnola. Si arriva così a Cristoforo da Ferrara (sec. XIV) e a Galasso Galassi (sec. XV), i primi pittori ferraresi certi, i quali rivelano personali e ben distinte tendenze. Contemporaneo al Galassi fu Antonio Alberti, scolaro a Firenze di Agnolo Gaddi. Frescò diverse camere nel palazzo Estense denominato del "Paradiso" perché alcune di tali pitture iappresentavano la gloria dei beati. A questo punto, a instaurare veramente la scuola pittorica ferrarese, si presentano Bono da Ferrara, discepolo del Pisanello, e Cosimo Tura detto Cosmè (morto il 1495) scolaro di Galasso. Più modesto il primo, magnifico il secondo; duro e angoloso di solito, raggiunge talvolta superiori morbidezze di linee e d'espressione. Le due grandi tempere, il S. Giorgio e l'Annunciazione, ora nel Museo della cattedrale, rivelano queste differenti qualità. Sulle orme del Tura procede Francesco del Cossa e lo emula nelle pitture del palazzo Schifanoia ove Borso d'Este ordinò che sulle pareti della sala maggiore l'arte ricordasse i mornenti della sua vita. Tutta l'opera venne divisa in dodici comparti, rispondenti ai mesi, e ciascun comparto in tre zone che corrono parallelamente intorno alla sala; e le rappresentazioni furono di tre specie: mitologiche nella zona superiore, astrologiche nella zona di mezzo, umane in quella di sotto. La parete orientale di Francesco del Cossa, ancor splendente di colore, pura e sicura nel disegno, palpitante nelle scene, è una meraviglia del pennello italiano. Non sono certi gli artisti, molto inferiori al Cossa, che dipinsero le altre pareti, mentre, in un angolo di quella a nord, un episodio sembra mostrarci la mano del Tura. Dal vecchio maestro prese vital nutrimento anche l'arte di Ercole Roberti (morto il 1496). Lorenzo Costa (morto il 1530), innestò sulla tradizione locale la gentilezza umbra. Alle sue tendenze innovatrici parteciparono, in diverso senso, Domenico Panetti e Giambattista Benvenuti detto l'Ortolano e sopra tutti Giovanni Luteri detto Dosso Dossi (morto il 1542), detto l'Ariosto della pittura per il suo vago immaginare e Benvenuto Tisi da Garofalo (morto il 1559). Intorno a questi maestri d'alta statura si raggruppano i minori: Lodovico Mazzolino, Michele Coltellini, Battista Dossi, fratello di Giovanni, e, di maggior grido, Girolamo Carpi. Dai Dossi anche derivarono Francesco Surchi detto Dielai, eccellente decoratore, Gabriele Capellini (il Calzolaretto) buon figurista, il potente Giuseppe Mazzuoli detto il Bastarolo, Sebastiano Filippi o Bastianino; Ippolito Scarsella detto Scarsellino seguì Paolo Veronese. Nel sec. XVII tenne il campo Carlo Bononi con quella sua maniera aperta tra il Veronese e i Carracci; nel secolo XVIII, tralasciando i minori, restano meritevoli di ricordo, Giuseppe Zola paesista singolarissimo e Giuseppe Ghedini, ottimo nel ritratto, ispirato ai veneti. A tanto rigoglio pittorico durato per secoli, seguì un periodo d'inerzia. Ma fu breve. Circa la metà del sec. XIX nascevano Giovanni Boldini, Giuseppe Mentessi, Cesare Laurenti, Gaetano Previati (v. ai singoli nomi).
Istituti di cultura e musei. - Università. - Fondata da Alberto V d'Este nel 1391, fiorì grandemente sotto il ducato Estense (secoli XVXVI). Nel 1600 Clemente VIII riconobbe gli statuti e i privilegi antichi, ma l'importanza dello Studio decadde. Soppressa da Napoleone I nel 1806, riprese in seguito la sua attività. Oggi è università libera.
Biblioteca comunale. - Ha sede nel palazzo dell'università. Iniziata dopo il 1740 con donazioni del cardinale C. Bentivoglio e d'altri, nel 1746 ne fu deliberata l'istituzione e nel 1753 fu aperta al pubblico. Possiede oltre 100.000 unità bibliografiche, fra cui 1474 incunaboli. Notevoli le raccolte ariostea, savonaroliana e ferrarese. Possiede inoltre un cospicuo fondo di codici, taluni miniati, e di manoscritti (oltre 2000), fra cui i frammenti autografi dell'Orlando furioso, altri del Tasso, ecc. La sala ariostea accoglie la tomba e cimelî del poeta.
Pinacoteca comunale. - Risale al 1836 e dal 1842 ha sede nel palazzo dei Diamanti. È notevole soprattutto per dipinti dei secoli XV e XVI di maestri di scuola ferrarese. Contiguo alla Pinacoteca è il Museo del risorgimento.
Museo civico di Schifanoja. - Fondato nel 1758 con l'acquisto delle raccolte dell'archeologo V. Bellini, ampliato e ordinato, ebbe sede, dal 1898, in alcune sale del celebre palazzo. Ha collezioni di medaglie del Rinascimento, piombi, sigilli, punzoni; una raccolta di monete della zecca di Ferrara e una archeologica. Nel salone degli affreschi si conservano 40 grandi libri miniati, fra i quali la Bibbia donata da Borso alla Certosa (1468-76) e il Decretum Gratiani (Venezia 1474).
Museo della cattedrale. - Aperto nel 1929, raccoglie marmi, dipinti, oreficerie, arazzi, ecc., provenienti o appartenenti alla cattedrale. Molto pregevoli: la ricordata Madonna del melograno di I. della Quercia (1408), 8 grandi arazzi (1551-53) e 22 libri corali miniati (1477-1535).
Vita musicale. - I primi segni di vita musicale si trovano, in Ferrara, al tempo del marchese Azzo Novello (al governo dal 1242), quando presso gli Estensi si rifugiarono, in seguito al rincrudirsi della crociata contro gli Albigesi, varî trovatori provenzali.
Ma più vasta e continua fioritura musicale si nota, passati lunghi periodi di lotte e di guerre, ai tempi del marchese Niccolò III (al governo dal 1393) e del suo successore Leonello (dal 1441). La corte ferrarese diventa fin da allora un centro importantissimo della vita musicale italiana, per numero e per valentia di compositori, di cantori e di virtuosi dei varî strumenti. A Leonello si dovette, tra l'altro, l'istituzione (1448) d'una "Accademia Estense Terza" formata di giovani cantori falsettisti, i quali nelle festività religiose fornirono l'opera loro alla cattedrale. Anche sotto Borso (1450), primo duca di Ferrara, e di Ercole I (1471) la musica fu in grande favore, e alla cappella di corte eran chiamati, con laute offerte, i migliori musici del tempo, italiani e fiamminghi, tra i quali Josquin des Prés. Contribuirono in seguito alla vita musicale, sotto i duchi Alfonso I ed Ercole II, i fiamminghi Antonio Brumel, Adriano Willaert, Cipriano De Rore, il lodigiano Franchino Gaffurio, i ferraresi Francesco e Alfonso Della Viola, quest'ultimo autore - tra l'altro - del primo saggio moderno di monodia drammatica (in una scena del Sacrifico di Agostino Beccari).
Con Alfonso II (1559) Ferrara musicale toccò l'apogeo. Cultore di musica, Alfonso sapeva cantare con molto gusto, come cantavano le sorelle Lucrezia ed Eleonora. Sotto la sua dominazione salirono in fama molti musici della scuola ferrarese, tra i quali vanno menzionati Lodovico Agostini, Ippolito Forini, Giulio Fiesco, Paolo Isnardi, Alessandro Milleville, Giulio Giusberti (l'Eremita), e, infine, il grande organista Luzzasco Luzzaschi, che ebbe l'onore di contare tra gli allievi Girolamo Frescobaldi. La composizione più in voga era allora il Madrigale; e una tra le maggiori attrazioni della corte estense era il concerto delle dame, al quale partecipavano le sorelle Bendidio, le sorelle Avogari, Vittoria Bentivoglio, Leonora Sanvitale, Laura Peperara (che leggeva a prima vista, sonava l'arpa, e che fu, come Lucrezia Bendidio, amata dal Tasso), Tarquinia Molza e Anna Guarini. Alfonso II aveva concentrato ogni suo diletto nella musica: nel 1560 istituì nel castello l'Accademia dei Concordi: probabilmente si tratta dello stesso raduno, cui accenna il Lazzari (v. bibl.) sotto il nome di "gran Concerto", al quale partecipavano i 32 cantori e musici della cappella ducale, i migliori dilettanti ferraresi e i frati cantori dei varî conventi. Le prove, dirette dal Fiorini, si svolgevano nel castello - spesso alla presenza del duca - dove esistevano una ricchissima biblioteca di composizioni manoscritte e una rara collezione di strumenti preziosi. Nel 1592 Alfonso II fece fiorire tre altre Accademie presso le chiese delle monache di S. Vito (la più celebre), di S. Antonio e di S. Silvestro. Nello stesso anno sorse l'Accademia della morte, e nel 1597 quella degl'Intrepidi, in continua gara e insigni entrambe, specie l'ultima, che vantò tra i suoi adepti Claudio Monteverdi, e che, poi, nel 1606 costruì il primo teatro stabile di Ferrara, famoso e di grande magnificenza, quello di S. Lorenzo (lunghezza 94 piedi romani, larghezza 51, altezza 63) - che fu più tardi chiamato degli Obizzi - distrutto da un incendio nel 1679. Altri teatri fecero costruire nel 1672 il conte Pinamonte Bonacossi (attualmente teatro Ristori), nel 1692 il conte Giuseppe Scroffa. Morto Alfonso II, col decadere della potenza e della prosperità di Ferrara, anche la musica cominciò a perdere vigore, non ostante la comparsa, nel mondo musicale, del ferrarese Girolamo Frescobaldi (v.). Questo grande maestro otteneva, nel 1608, il posto (che fino a pochi mesi prima era stato occupato dal ferrarese Ercole Pasquini) di organista della Cappella Giulia nella Basilica Vaticana. Con Frescobaldi apparve - ben si può dire - l'arte strumentale moderna. E il suo nome di virtuoso e di compositore varcò i confini d'Italia, lasciando nella storia un'orma di fulgidissima gloria, che il tempo non cancellerà. Dopo di lui Ferrara entrò nel periodo della decadenza; tuttavia anche sotto il dominio dei papi, nelle accademie e fuori, nelle chiese e nei teatri, la musica vocale da camera e la musica sacra trovarono cultori egregi, che offrivano in qualche occasione saggi dell'antica grandezza, e tra essi Sebastiano Chierici, Ignazio Donati, Tomaso Porci, Angelo Lodi e Brizio Petrucci; la musica strumentale Giovanni Bianchi; i balli teatrali il Bossi; il melodramma buffo e serio, e anche l'oratorio, Antonio Draghi e Alessio Prati; il canto la Bastardella (Lucrezia Aguiari), la cui voce toccava il do con quattro tagli sovra il rigo, e la Gabriellina (Francesca Gabrielli); il contrappunto Francesco Zagagnoni; la teoria Angelo Berardi e Giulio Sacchi; la liuteria Giuseppe Marconcini.
Alla fine del sec. XVIII, Ferrara vide sorgere il grandioso Teatro civico (oggi Comunale) i cui spettacoli lirici e musicali ebbero rinomanza fino ai nostri giorni; nel 1857 l'Arena Tosi-Borghi (oggi Teatro Verdi), nel 1865 quello dell'Accademia Filarmonico-Drammatica (poi Teatro Filodrammatico). Nel 1819 Gioacchino Rossini e Gaetano Zocca avevano gettate le basi dell'Accademia Filarmonica, e nel 1870 l'Istituto musicale Frescobaldi - ancora oggi fiorente - iniziò i corsi d'insegnamento. Dal 1850 in poi, e più nell'ultimo cinquantennio, la passione per l'arte musicale trovò nel popolo la maggiore e più larga esplicazione nelle società corali, sorte numerose e in continua gara: propugnatori e propulsori il maestro Antonio Mazzolani (buon compositore) e in seguito il maestro Vittore Veneziani. Accanto al nome di Mazzolani meritano menzione, nella schiera dei compositori, Filippo Zappata, Temistocle Solera, Timoteo Pasini; Giuseppe Leonesi quale inventore del clarino a doppia tonalità, e i liutai Soffritti e Mozzani (insigne chitarrista). Nel 1898 sorgeva la Società del quartetto, che persegue tuttora la propria missione e che ospitò sempre i migliori complessi e i più celebrati virtuosi (Busoni, Ysaye, Kreisler, Mancinelli, Toscanini, Löwe, Chevillard, ecc.). Nel 1908 le feste in onore di Frescobaldi diedero vita e impulso, nelle splendide sale del Castello Estense, a quell'Associazione dei musicologi italiani, che oggi va compiendo opera nobilissima di ricerca, di erudizione e di italianità.
V. tavv. I-VI.
Arte della Stampa. - L'introduzione della stampa vi appare sin dal 1471 a opera del tipografo francese André Beaufort o Belfort (Andreas Belfortis Gallus): sue edizioni arrivano sino al 1493. Controversa è la questione del primo libro stampato a Ferrara; la priorità pare sia da assegnarsi al volumetto De variis loquendi figuris di Agostino Dati, datato 12 marzo 1471, senza nome di stampatore, ma impresso dal Belforte (esemplare unico nella Biblioteca com. di Piacenza); segue il Martialis epigrammata con data 2 luglio e varie altre importanti opere dello stesso anno. Contemporaneamente al Belforte altri tipografi impressero in Ferrara, fra cui: Agostino Carnerio (1474-79) che diede in luce l'editio princeps del Theseida del Boccaccio (1475); Giacomo Antonio di S. Severino, detto Severino Ferrarese, del quale si conoscono 9 edizioni (1475-77), fra cui l'editio princeps degli Statuta civitatis Ferrariae (1476); la tipografia ebraica di Abraham Ben Chajjim de' Tintori (1477-79), quella di Lorenzo Rossi da Valenza (1484-1499); fra le edizioni del Rossi vanno ricordate il De claris mulieribus del Bergomense (1497) e le Epistole in volgare di S. Gerolamo (1497) che sono due fra i più celebri libri italiani a figure del sec. XV. Nel sec. XVI impressero in Ferrara: Giovanni Mazzocchi (1509-1518) a cui si deve la prima edizione dell'Orlando Furioso dell'Ariosto (1516), Francesco Rossi, figlio di Lorenzo (1521-1573) con la prima edizione originale in 46 canti del Furioso (1532), Abraham Usque con tipografia ebraica (1551-1558), del quale va ricordata la notissima Biblia en lengua española (1553), Vittorio Baldini (1575-1618) stampatore ducale sino al 1598, ecc. Notevole è pure l'attività dei secoli successivi (cfr. Cittadella, Stampatori, ecc.).
Storia. - I primi documenti che riguardano Ferrara non sono anteriori al sec. VIII e risalgono all'epoca delle invasioni longobarde nell'Esarcato, del quale Ferrara faceva parte indubbiamente; un Ducatus Ferrariae fu effettivamente soggetto al potere longobardo nella seconda metà del sec. VIII; dipoi, alla caduta di Desiderio (774), il ducato passò ai pontefici, che vi esercitarono giurisdizione mediante l'arcivescovo di Ravenna. Prima della fine del sec. X si hanno riferimenti a una Ferrara con governo autonomo, conferita poi in feudo da papa Giovanni XV al marchese Tedaldo di Canossa e discendenti (988), ma è quasi certo che Ferrara non rinunziò mai a reggersi in. libero governo; è noto che la contessa Matilde, nel 1101, riacquistò il dominio di Ferrara con le armi, ma che la città mantenne un governo comunale con consoli e capitani.
La supremazia di questo reggimento fu contesa fra due potenti famiglie: gli Adelardi (Marcheselli), guelfi, e i Salinguerra (Torelli), ghibellini. Occupata da truppe imperiali nel 1158, la città fu soggetta a Federico Barbarossa fino al 1164; più tardi, il prevalere del partito guelfo capeggiato da Guglielmo III degli Adelardi portò Ferrara a entrare nella lega lombarda. Alla morte di Guglielmo III (1184), la nipote Marchesella, sposa di Azzo VI d'Este, gli portò in retaggio il dominio di Ferrara; non tardarono pertanto ad accendersi feroci discordie tra gli Este e i Salinguerra; si ebbe anche un breve periodo di governo comune fra Azzo VII (Azzo Novello) e Salinguerra II, finché, nel 1222, riuscì a quest'ultimo di cacciare l'emulo dalla città e di rimanerne signore fino al 1240, nel quale anno, sconfitto Salinguerra da una coalizione guelfa, Ferrara cadde in definitivo possesso degli Este.
Successore di Azzo Novello fu il nipote Obizzo di Rinaldo (1264), che inizia immediatamente una politica di espansione della Signoria. Nel 1288 egli acquista per dedizione Modena e l'anno dopo Reggio, mentre al nord lo stato di Ferrara si estendeva al Polesine di Rovigo e a terre del Padovano. Questa politica, continuata dal successore Azzo VIII (1293), portò Ferrara in guerra contro il comune di Bologna (1296-98), conchiusa con il "laudo" di Bonifacio VIII del 24 dicembre 1299. Di questo tempo è pure il tentativo della Santa Sede della conquista territoriale di Ferrara, in contrasto con le stesse mire della repubblica di Venezia. Morto nel 1308 Azzo VIII, il successore Fresco non cessò di rafforzare lo stato, ma si trovò subito in lotta con gli zii Aldobrandino e Francesco, pretendenti alla signoria di Ferrara, che egli sottomise con le armi. Delle contese fra gli Este si valse la S. Sede: Clemente V inviò legati e truppe con l'intento d'impadronirsi di Ferrara, ma la repubblica di Venezia corse in aiuto della città, ottenendone in cambio la promessa di cessione del dominio. La notte del 5 ottobre 1308 il popolo di Ferrara aprì le porte ai legati pontifici; Fresco e i Veneziani si rifugiarono in Castel Tedaldo, dove il 10 ottobre Fresco faceva cessione del dominio di Ferrara alla repubblica di Venezia; ma questa, il 28 agosto 1309, subiva una sanguinosa disfatta e abbandonava l'impresa. Una successiva sommossa di popolo, avvenuta il 15 agosto 1317, cacciava il vicario pontificio Roberto d'Angiò e proclamava Obizzo III, Rinaldo, Nicolò I, Azzo e Bertoldo d'Este signori di Ferrara; nel 1332, dopo abili negoziati, gli Este ottenevano dalla Santa Sede l'investitura di Ferrara.
Da questo punto la storia di Ferrara è indissolubilmente unita a quella di casa d'Este (v.), con la quale s' inaugura per la città, destinata a capitale del ducato, un'epoca di splendore e di grande sviluppo. Nicolò II, lo Zoppo, inizia la costruzione del Castello; il fratello Alberto V ottiene, il 4 marzo 1391, la bolla di fondazione dell'università; il figlio Nicolò III, con il suo lungo governo (1393-1441) apre un'era nuova per i destini della città; egli va ricordato anche come giustiziere spietato della moglie adultera Parisina Malatesta e del figlio Ugo (1425). Gli succede il figlio Leonello (1441-1450), sotto il governo del quale la corte di Ferrara offre la più cortese ospitalità a letterati, dotti, artisti e inizia quel periodo in cui la liberalità, la munificenza e la politica degli Este renderanno gloriosa fra le corti d'Italia e d'Europa la città di Ferrara e i fasti della Rinascenza ferrarese. Sotto Borso (1450-1471; v. VII, p. 532) Ferrara vede svilupparsi la pianta della sua prima cinta medievale, si abbellisce per le grandiose ville estensi ch'ebbero nome di "delizie"; si costruisce la Certosa, vengono rafforzate e ingrandite le mura; lo stesso marchese viene creato duca dal papa Paolo II (14 aprile 1471). Il successivo governo di Ercole I (1471-1505; v. XIV, pp. 194-95) può chiamarsi l'età aurea del Rinascimento ferrarese: a Ercole spetta il vanto di aver ampliato la città con l'Addizione Erculea, che triplicava la sua cinta, facendone una più degna e fastosa capitale del ducato. Gli succede Alfonso I (1505-1534; v. II, pp. 409-10), le cui virtù guerriere molto valsero a conservare il ducato alla sua casa; fu anzi riconquistato il Polesine di Rovigo (1510), mentre Modena e Reggio rimanevano invece in potere della Chiesa. Ercole II (1534-1559; v. XIV, pp. 195-96) pose fine alle discordie esistenti tra Ferrara e la Chiesa (1539), ma sotto il suo governo e per opera della moglie Renata di Francia si determina in Ferrara una diffusione del calvinismo, il che fu causa al duca di tensioni politiche non scevre dal pericolo di perdere lo stato. Durante il ducato di Alfonso II (1559-1597; v. II, pp. 410-11) Ferrara vede i primi segni forieri del tramonto degli Este. Principe abile nei negozî diplomatici Alfonso non ebbe tuttavia fortuna; gli splendori della corte a mano a mano decaddero, il disagio economico si fece crescente e il popolo desiderò apertamente un nuovo governo. Cosicché alla morte di Alfonso, i successore designato, Cesare d'Este, per mancanza di atti risolutivi per inettitudine politica, per l'atteggiamento non troppo favorevole della popolazione, il 29 gennaio 1598 abbandonava Ferrara, mentre il card. Pietro Aldobrandini, in nome di Clemente VIII, prendeva possesso della città; la convenzione di Faenza (13 gennaio 1598) aveva già sanzionato irreparabilmente la devoluzione del ducato di Ferrara alla Santa Sede, secondo le disposizioni contenute nella bolla De non alienandis di Pio V, confermata da Gregorio XIII (1571) e da Sisto V (1586), e secondo anche l'accordo fra Ercole II e papa Paolo III.
Il governo dei cardinali legati, durato due secoli (1598-1796), non segna per Ferrara avvenimenti particolarmente notevoli. È certo che la sua importanza politica e intellettuale decadde; decaddero commerci e industrie fiorenti; qualche migliaio di cittadini seguì Cesare d'Este a Modena; i benefizî della bonificazione dell'agro ferrarese, a cui attesero continuamente gli Estensi, non durarono; la comprensione del grave problema idraulico di Ferrara, sotto il governo pontificio, si mostrò incerta e inadeguata e ciò causò il lento e progressivo depauperamento delle risorse agricole, mentre le condizioni del territorio peggiorarono a tal punto che il non contrastato dominio delle acque portò Ferrara a essere, come nel lontano Medioevo, una piccola città lagunare e desolata. Soltanto nella seconda metà del sec. XVIII si hanno segni di ripresa per opera soprattutto del card. Francesco Carafa (1778-1786), governatore saggio, munifico ed energico, forse la figura più cospicua per la storia di Ferrara nel lungo succedersi dei legati pontifici. Le sue riforme sapienti nel governo della cosa pubblica, nelle questioni economiche, sociali e agrarie, la sua prontezza nel promuovere e attuare notevoli lavori di pubblica utilità, migliorarono in ogni aspetto la vita cittadina. In seguito, la legazione pontificia seguì le vicende dei tempi. Occupata il 23 giugno 1796 dalle truppe repubblicane francesi, Ferrara fece parte della Repubblica Cispadana e dal 27 luglio 1797 al 22 maggio 1799 della Repubblica Cisalpina.
Dal 1799 al 1801 Ferrara fu in potere degli Austriaci; rioccupata dai Francesi fece parte del Regno italico come capoluogo del dipartimento del Basso Po. Occupata dagli Austriaci nel 1814, col trattato di Vienna (1815), fu restituita alla Chiesa, con diritto da parte dell'Austria di mantenervi un presidio militare. Un tentativo di rivoluzione, presto domato, si ebbe dal 7 febbraio al 6 marzo 1831 con un governo provvisorio. In effetto l'importanza della guarnigione austriaca divenne sempre più preponderante con l'occupazione militare di Ferrara del 17 luglio 1847, a cui seguironoi dopo le campagne del 1848-49 e la caduta della Repubblica romana, repressioni poliziesche e il feroce processo del 1853 contro oltre 50 inquisiti, terminato con 12 condanne, delle quali 3 a morte (G. Succi, D. Malagutti e L. Parmeggiani). Il 21 giugno 1859 le truppe austriache abbandonavano Ferrara, che con il plebiscito del 18 marzo 1860 era riunita all'Italia.
La provincia di Ferrara.
Posta fra la Romagna e il Veneto, confina a E. con l'Adriatico a N. con il Po di Goro e con il Po Grande, che la separano dalla provincia di Rovigo, a O. con le provincie di Mantova e di Modena, e a S. con quelle di Bologna e di Ravenna. Tutta piana, ha un'altezza media di 4,5 m. sull'ordinaria marea dell'Adriatico; lontana dalle alture, a questo deve se è soggetta ora a periodi di siccità, ora a notevole umidità. Il Po di Goro, il Po di Volano e il Panaro la solcano a N., nel mezzo e a O., e molti canali, per lo più di scolo, la tagliano in tutti i sensi. Verso il mare si stendono le cosiddette Valli di Comacchio (v. X, pp. 907-09). L'area totale della provincia somma a 2625,5 kmq.
La popolazione va rapidamente crescendo e la percentuale del suo aumento è la più alta di tutta l'Emilia (il 60,4% dal 1871 al 1921). Ecco alcune cifre date dai censimenti degli ultimi 100 anni: anno 1833: 136.104; 1871: 215.369; 1881: 230.807; 1901: 271.776; 1911: 307.924; 1921: 346.015; 1931: 366.270. La densità della popolazione dell'intera provincia è, secondo l'ultimo censimento, di 139 ab., un po' superiore a quella del regno, mentre al principio del secolo era molto inferiore; si notano però forti differenze tra una parte e l'altra: densa è la popolazione dell'ex-circondario di Cento, scarsa quella dell'ex-circondario di Comacchio: sta in mezzo alle due la popolazione dell'ex-circondario di Ferrara. L' accrescimento degli abitanti è dovuto alla superiorità dei nati sui morti e all'immigrazione (debole fu sempre la cifra degli emigranti), ché nel Ferrarese l'opera di bonifica e la peculiare natura dei lavori agricoli determinano afflusso di popolazione dal Veneto e nello stesso tempo provocano il fenomeno della disoccupazione.
La percentuale degli analfabeti è un po' elevata: il censimento del 1921 dava a Ferrara il 27%; dati del 1927 comprovano che la percentuale è assai diminuita. La provincia di Ferrara ha numerose scuole elementari in tutti i comuni, 10 istituti d'istruzione media, regi o pareggiati nel capoluogo e nei comuni principali, due scuole d'arte, comunali, e un'università libera. La maggiore attività degli abitanti è spiegata nell'agricoltura: quasi il 67% dei lavoratori è occupato nei campi. E l'agricoltura nel Ferrarese ha varietà di rapporti fra padrone e operaio, poiché vivono vicine la partecipanza, forma quasi comunista, la boaria, la mezzadria e il latifondo. Il frumento, la canapa e le bietole da zucchero sono i vegetali più diffusi e che dànno maggior prodotto: a essi seguono i prati naturali e artificiali; non manca la vite; il frumentone che cresce nelle bonifiche va restringendosi. Notevole è l'allevamento animale.
Le industrie della provincia sono molte, e lo dice il numero degli stabilimenti e degli operai, assai cresciuti negli ultimi anni: 1910, 1666 opifici, 13.460 operai; 1927, 7157 opifici, 23.391 operai.
Fra Comacchio e Porto Garibaldi c'è una salina, da cui si estraggono annualmente circa 100.000 q. di sale; il comune di Codigoro estrae torba e oltre 40 fornaci sono distribuite per tutta la provincia; saponi e concimi sono preparati da fabbriche di Pontelagoscuro. La macinazione dei cereali, la fabbricazione dello zucchero, la distillazione dell'alcool, la marinatura del pesce (Comacchio) sono le principali industrie alimentari. Inoltre si lavorano la canapa, la lana e la seta, si fabbrica la cellulosa, vi sono varie tipografie e stabilimenti per la lavorazione del legno. Numerose strade percorrono la provincia: 387 km. di strade di 1ª categoria, 1000 di 2ª; poi vi sono moltissime strade vicinali, soggette a servitù pubblica.
Delle ferrovie le più importanti sono la Bologna-Venezia (per 21 km. spettante al Ferrarese), la Ferrara-Rimini (per 40 km. attraversante la provincia): seguono la Ferrara-Sermide-Suzzara, la Ferrara-Cento-Modena e la Ferrara-Copparo, appartenenti a società private; Ostellato è unito con Porto Garibaldi (29 km.). Due porti interni, quello di Pontelagoscuro e la darsena di Burana, l'uno sul Po Grande e l'altro sul Po di Volano, facilitano la navigazione interna; tre porti marittimi permettono l'ingresso al Po Grande (Porto di Goro), al Po di Volano (Volano) e alle valli (Porto Garibaldi o di Magnavacca).
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Per l'arte: G. Baruffaldi, Vite de' pittori e scultori ferraresi, Ferrara 1844, voll. 2; C. Laderchi, La pittura ferrarese, ivi 1857; L. N. Cittadella, Notizie relative a Ferrara, ecc., ivi 1864; id., Il Castello di Ferrara, ivi 1875; G. Campori, Notizie stor. e art. della maiolica e della porcellana di Ferrara, 3ª ed., Modena 1879; id., Gli architetti e gli ingegneri civili e militari degli Estensi, Modena 1882; L. F. Valdrighi, Cappelle, concerti e musiche di Casa d'Este, in Atti e Mem. Dep. st. patria prov. modenesi, s. 3ª, II, ii (1884), pp. 415-94; G. Castagnoli, Il Duomo di Ferrara, Ferrara 1895; G. Gruyer, L'art ferrarais à l'époque des Princes d'Este, Parigi 1897, voll. 2; S. Brinton, The Court of Ferrara, in The Renaissance in Italian art, II, ii, Londra 1900; A. Venturi, Storia dell'arte it., Milano 1901 segg., passim; N. Bennati, Musicisti ferraresi, Ferrara 1901; G. Agnelli Ferrara. Porte di chiese, di palazzi, di case, Bergamo 1909; E. Righini, Quello che resta di Ferrara antica, Ferrara 1910-12, voll. 4; E. G. Gardner, The Painters of the School of Ferrara, Londra 1911; G. Agnelli, I monumenti di Nicolò III e Borso d'Este in Ferrara, in Atti e Mem. Dep. Ferr. di st. patria, XXVI (1926), pp. 1-18; P. Toesca, Storia dell'arte, I, Torino 1927, passim; G. Medri, Il tempio di S. Benedetto in F., Ferrara 1927; A. Lazzari, La musica alla corte dei Duchi di F., ivi 1928; G. Padovani, Biagio Rossetti, ivi 1931. Per la numismatica: V. Bellini, Delle monete di Ferrara, Ferrara 1761. Per la miniatura: J. Hermann, Gesch. d. Miniaturmalerei am Hofe der Este in F., Vienna 1900; P. D'Ancona, La miniatura ferr. nel Fondo urbinate della Vaticana, in L'Arte, XIII (1910), pp. 353-61; G. Bertoni, Il maggior miniatore della Bibbia di Borso d'Este: T. Crivelli, Modena 1925.
Per la storia: per gli scritti anteriori al 1850 si cfr. l'informe ma pur utile Saggio di una bibliogr. storica ferrarese, compilato da G. Antonelli, in A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, 2ª ed., Ferrara 1847-48, II, pp. 311-419, pubblicato anche a parte: Ferrara 1851. Per le antiche cronache: Chronica parva ferrariensis, in Rerum it. scrip., VIII, Milano 1726, pp. 469-87; Diario ferrarese dall'anno 1409 fino al 1502, ibid., nuova ed., Bologna 1928, XXIV, vii; J. De Delayto, Annales estenses, iid., XVIII, Milano 1731, pp. 901-1096. Per gli statuti cfr. F. Berlan, Bibliogr. degli statuti editi ed inediti di Ferrara, Roma 1878. Per la storia in generale: A. Frizzi, Memorie cit.; S. A. Minotto, Documenta ad Ferrariam... spectantia, Venezia 1873 segg.; P. Antolini, Manoscritti relativi alla storia di Ferrara, Ferrara 1891. Periodo pre-estense ed estense: M. Sanuto, Commentarii della guerra di Ferrara... nel 1482, Venezia 1829; D. Pesci, Ferrara e la lega lombarda, Ferrara 1876; L. Balduzzi, L'istrumento finale della transazione di Faenza, ecc., in Atti e Mem. Dep. st. patria prov. di Romagna, s. 3ª, IX (1891), pp. 80-110; E. Piva, La guerra di Ferrara del 1482, Padova 1893-94; E. Callegari, La devoluzione di Ferrara alla S. Sede (1598), in Rivista st. it., XII (1895), pp. 1-57; P. Sitta, Le finanze estensi, Ferrara 1895; C. Antolini, Il dominio estense in Ferrara. L'acquisto, Ferrara 1896; A. Solerti, Ferrara e la corte estense nella seconda metà del sec. XVI, 2ª ed., Città di Castello 1900; G. Bertoni, La Biblioteca Estense e la coltura ferrarese ai tempi del duca Ercole I, Torino 1903; G. Ognibene, Le relazioni della casa d'Este coll'Estero, Modena 1903; G. Soranzo, La guerra fra Venezia e la S. Sede per il dominio di Ferrara, Città di Castello 1905; A. Gorreta, La lotta fra il Comune bolognese e la Signoria estense, Bologna 1906; E. Piva, La cessione di Ferrara fatta da Sisto IV alla Repubblica di Venezia (1482), in Atti Dep. veneta di st. patria, 1906-07, pp. 22-52; B. Ghetti, I patti tra Venezia e Ferrara dal 1119 al 1313, Roma 1907; F. Pasini-Frassoni, Dizionario storico-araldico dell'antico ducato di Ferrara, Roma 1914; A. Lazzari, Ugo e Parisina nella realtà storica, Firenze 1915; G. Bertoni, L'Orlando Furioso e la Rinascenza a Ferrara, Modena 1919; id., Guarino da Verona fra letterati e cortigiani a Ferrara, Ginevra 1921; D. Zaccarini, Delitti e pene negli stati estensi nel sec. XVI, Ferrara 1928; L. Pastor, Storia dei Papi, Roma 1929, XI, pp. 596-621. Per il Risorgimento: E. Alberi, Della occupazione austriaca di F., Firenze 1847; G. Ferraro e P. Antolini, F. nella storia del Risorgimento italiano dal 1814 al 1821, Ferrara 1885; F. Quintavalle, Un mese di Rivoluzione a F. (1831), Bologna 1900; C. Panigada, Ferrara dopo il 1849 ed i Martiri del 53, Ferrara 1916.
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Per gl'istituti di cultura: A. Bottoni, Cinque secoli d'Università a Ferrara, Bologna 1892; G. Agnelli e V. Giustiniani, Il museo di Schifanoja in Ferrara, Ferrara 1898; G. Pardi, Lo studio di Ferrara, Ferrara 1903; G. Agnelli, Le biblioteche, ecc. cit.; L'Università degli studi di Ferrara, Ferrara 1924; A. Magrini, La pinacoteca... di Ferrara, Ferrara 1926; G. Agnelli, Guida al museo della Cattedrale di F., Ferrara 1929; per le accademie, cfr. M. Meylender, Storia delle accademie, Bologna 1926-30, voll. 5, v. ai singoli indici s. v.