ferrovia
ferrovìa. sost. f. – Dopo una fase di grande espansione durata per tutto il 19° sec. e fino al Secondo conflitto mondiale, la f., nel mondo occidentale, ha sofferto gli effetti della grande crescita economica e il conseguente elevato incremento del tasso di motorizzazione. Dal 1960 in poi l’aumento della quota detenuta dal mezzo stradale, nel trasporto sia di merci sia di passeggeri, è stato progressivo e significativo e ha sollecitato, a livello continentale, l’adozione di politiche volte al riequilibrio modale facenti perno sul rilancio delle ferrovie. Attraverso forme di supporto e di finanziamento agli stati, le politiche comunitarie dagli inizi degli anni Novanta del secolo scorso hanno definito il potenziamento delle linee convenzionali a beneficio degli ambiti regionali e interregionali, e programmato lo sviluppo di una rete ad alta velocità in grado di connettere il nucleo europeo occidentale più sviluppato con l’Europa periferica oltre che, all’interno dei singoli paesi, i grandi poli urbani nazionali. Il risultato, dopo oltre un ventennio, non è stato quello atteso: il ruolo del trasporto stradale è ancora largamente preponderante. Tuttavia, dalla fine del 20° sec. la percezione della f. è sostanzialmente cambiata: l’introduzione dell’alta velocità ha radicalmente modificato gli assetti socioterritoriali e ha favorito fenomeni di pendolarismo anche su medie e medio-lunghe distanze, consentendo una marcata interazione spaziale tra poli urbani anche distanti. Da un punto di vista politico è da rilevare come, al pari di molti servizi per la collettività, anche la f. abbia seguito un percorso verso la liberalizzazione. Nell’Europa comunitaria, già nel 1991 fu emanata una direttiva che imponeva la separazione della gestione dell’infrastruttura dalla gestione del servizio. La normativa fu recepita in Italia nel 2000 con la conseguente costituzione di due società – Rete ferroviaria italiana (RFI) per la gestione dell’infrastruttura, Trenitalia proprietaria del materiale rotabile – e ha di fatto aperto il mercato ferroviario ad altri operatori (per es. Italo), modificando il modo di intendere il trasporto ferroviario come oggetto di mercato in luogo di un servizio pubblico. Altrove la f. ha in alcuni casi recuperato il suo valore simbolico/geopolitico di stampo ottocentesco. In Cina, per es., la costruzione di nuove linee ferroviarie ha manifestato la triplice volontà (economica, politica e geopolitica) di rafforzare il tessuto connettivo socioeconomico interno, di esporre al mondo intero la capacità tecnologica unita alla enorme capacità di investimento, e di agevolare il controllo strategico-territoriale sulle aree periferiche con tendenze autonomiste (si pensi al completamento avvenuto in appena cinque anni – dal 2001 al 2006 – della linea Pechino-Lhasa nel tratto compreso tra Xining nella provincia del Qinghai, e il capoluogo tibetano). Nei primi anni del 21° sec. è inoltre cresciuto l’interesse verso le linee transcontinentali (soprattutto concentrate nella macroarea eurasiatica), sia per il progresso tecnologico che ha consentito di superare vincoli climatico ambientali che solo pochi anni fa sembravano insormontabili (è il caso del corridoio ferroviario transiberiano), sia per le politiche di cooperazione transfrontaliera messe in atto da alcuni paesi ex sovietici, consci delle potenzialità di sviluppo economico che deriverebbero dal controllo del transito di merci tra Asia ed Europa. Le attuali tendenze dell’economia globale, caratterizzate dalla progressiva trasformazione dell’Asia orientale nel principale polo di produzione del pianeta e dal suo crescente interscambio con le economie europee, aumentano l'attrattiva del trasporto ferroviario transeurasiatico. Quest’ultimo sembra particolarmente interessante e con ampie prospettive di sviluppo anche alla luce dello scenario geopolitico venutosi a configurare lungo la direttrice marittima Asia-Europa, soprattutto nel tratto compreso tra lo Stretto di Malacca e lo Stretto di Bab el Mandeb, nel quale la pirateria pone seri vincoli di sicurezza al traffico mercantile. A supporto della costruzione di una rete di f. transcontinentali asiatiche si sono mosse diverse organizzazioni regionali che hanno come obiettivo primario quello di individuare e finanziare progetti in materia di trasporti. Tra queste le più attive sono la CAREC (Central Asia regional economic cooperation), organismo che vede la partecipazione di dieci paesi e la partnership delle Nazioni Unite, del FMI (Fondo monetario internazionale), della Banca europea per gli investimenti e della Asian development bank e che ha elaborato sei progetti di corridoi multimodali trans-asiatici), la TRACECA (Transport corridor Europe Caucasus Asia), creata nel 1998 sulla base di un programma lanciato nel 1993 per il collegamento tra i mari Nero, Caspio e l’Asia Centrale da 14 paesi dell’Europa orientale, caucasici e centroasiatici, e l’UNESCAP (Economic and social commission for Asia and the Pacific), formata da 67 paesi e con ampie competenze sul settore dei trasporti. Proprio quest’ultima istituzione promosse negli anni Sessanta del secolo scorso il progetto Trans asian railway con l’obiettivo di collegare Istanbul a Singapore e incentivare, di conseguenza, le relazioni commerciali terrestri tra Asia orientale ed Europa e di favorire l’inserimento nel commercio internazionale di paesi senza sbocco diretto al mare come il Laos, la Mongolia, l’Afghanistan. Nel corso di una serie di incontri multilaterali e di studi specifici condotti tra il 1992 e il 2001 furono elaborate proposte raggruppate in un accordo tra i 28 paesi interessati per l’identificazione di quattro progetti, ossia una rete subregionale (che collega Malaysia, Singapore, Thailandia, Vietnam, Laos, Myanmar e la provincia cinese dello Yunnan) e tre corridoi transcontinentali: il primo (corridoio nord) ricalca per buona parte il tracciato della transiberiana con una diramazione verso il Kazakistan; il secondo (corridoio sud) dalla Turchia segue una direttrice più meridionale attraverso Iran, Pakistan, India e Myanmar; il terzo (corridoio nord-sud) collega l’Europa settentrionale con il Golfo Persico. Si tratta di progetti ambiziosi, già realizzati nelle sezioni tra Cina e Kazakistan grazie ai massici investimenti cinesi e che, nonostante le difficoltà operative, soprattutto per le differenze di scartamento tra le singole linee nazionali, e per i progressi compiuti in ambito WTO a livello globale e in seno all’EurAsEc (l’unione doganale tra i paesi della ex CSI) a livello regionale, per uniformare le procedure doganali, permettono di completare il ciclo del trasporto di un container da Shanghai a Rotterdam in 20-23 giorni rispetto ai 35-40 giorni della modalità marittima. In prospettiva futura, a medio e a lungo termine, i sistemi ferroviari potrebbero avere sviluppi notevoli con l’adozione più diffusa di linee a lievitazione magnetica (Maglev). Un progetto già realizzato e operativo riguarda la linea di collegamento tra l’aeroporto Pudong di Shanghai e il centro città (30 km percorsi in 7 minuti alla velocità massima di 580 km/h). I primi treni a levitazione magnetica furono realizzati in Europa negli anni Ottanta del 20° sec. e operarono all’interno dell’aeroporto di Birmingham e nella città di Berlino. Problematiche di carattere tecnico (affidabilità), politico (il crollo del Muro impose la diversificazione degli investimenti) e ambientale (i campi magnetici avrebbero, secondo molti studiosi tedeschi, arrecato danno alla salute delle popolazioni stanziate nei pressi della linea), fecero accantonare i progetti e dismettere i tronchi in attività. Ipotesi più futuribili riguardano i progetti di Vacuum train, convogli a levitazione magnetica che percorrerebbero tunnel sottovuoto scavati nel sottosuolo o sospesi negli abissi oceanici e che, in assenza di attrito, potrebbero raggiungere velocità elevatissime (fino a 8000 km/h). Si tratta di sistemi che oggi appaiono per lo più fantasiosi e irrealizzabili.