FERROVIA (XV, p. 123)
Ferrovie elettriche. - Sistema di trazione elettrica e sviluppo delle elettrificazioni ferroviarie. - Lo sviluppo della grande trazione elettrica nell'ultimo quindicennio mette in chiara luce la preminenza dei due sistemi, corrente continua ad alta tensione e monofase a frequenza ferroviaria, mentre i sistemi monotrifase e monocontinuo, applicati solo in qualche linea americana, non hanno avuto ulteriore estensione, e il sistema trifase a frequenza ferroviaria, ampiamente esteso in Italia, ha segnato un netto regresso per la trasformazione di alcune linee in corrente continua ad alta tensione, eseguita in occasione della ricostruzione post-bellica; interamente abbandonato è il sistema trifase a frequenza industriale giacché l'unica linea esistente (Roma-Sulmona) è stata ricostruita per corrente continua a 3000 volt. Sono state invece aperte all'esercizio alcune linee elettrificate col sistema monofase a frequenza industriale.
Sistema a corrente continua. - Lo schema generale degl'impianti a corrente continua non ha subìto nell'ultimo quindicennio mutamenti concettuali: è da notare particolarmente la grande estensione dell'uso dei raddrizzatori a vapore di mercurio per le sottostazioni di conversione, dovuta al loro alto rendimento, alla notevole attitudine a sopportare i sovraccarichi, e alla semplicità costruttiva: essi possono essere atti a permettere il ricupero di energia, però tale ultimo perfezionamento ha ricevuto finora applicazione limitata.
L'uso dei raddrizzatori è pressocché esclusivo sulle reti a 3000 volt, perché ancora oggi le convertitrici o le dinamo non possono essere convenientemente costruite per tensioni d'esercizio superiori a 1500 volt. Nelle poche sottostazioni con gruppi rotanti su reti a 3000 volt questi sono infatti costituiti da due dinamo in serie (ciascuna per 1500 volt, comandate da motore a corrente alternata).
Il motore di trazione ancora oggi in uso è in modo del tutto prevalente di tipo serie; peraltro sono state fatte varie applicazioni del motore compound oltre che nel campo tranviario e nelle filovie anche nella grande trazione (in Italia) in vista di ottenere una migliore regolazione di velocità e il recupero di energia.
ll progresso nel campo dei motori a corrente continua si esplica nel senso di ottenere motori di maggiore potenza a pari peso, ciò che si cerca di raggiungere essenzialmente con l'aumento della velocità di rotazione; inoltre i motori più recenti beneficiano di perfezionamenti (avvolgimenti compensatori) che permettono di trarre dal motore l'intera potenza in un intervallo di velocità sempre maggiore e migliorano la regolazione della velocità, la quale è però sempre fondamentalmente ottenuta con opportune commutazioni dei varî motori delle locomotive (in serie, in parallelo). Da notare che anche oggi i motori di trazione non si costruiscono per funzionare sotto differenze di tensione superiori a 1500 volt; quindi sulle locomotive elettriche per linee a 3000 volt i motori debbono essere sempre collegati almeno due a due in serie.
Il ricupero di energia sui locomotori a corrente continua viene praticato, oltre che con la già citata adozione di motori compound, con gli schemi oramai classici a resistenza di stabilizzazione; il problema del ricupero di energia può dirsi tecnicamente risolto, però rimane controversa la convenienza della sua generale adozione.
Sistema monofase. - Anche lo schema generale degli impianti monofasi a tensione elevata sull'arco di presa corrente (10.000 ÷ 25.000 volt) è rimasto invariato; poco prima della guerra erano state però introdotte in esercizio sperimentale sottostazioni di conversione di frequenza (dalla frequenza industriale a quella ferroviaria a 16 periodi) completamente statiche, costituite da raddrizzatori a vapori di mercurio con adatta regolazione di griglia.
Notevolissimi affinamenti sono stati realizzati nella costruzione dei locomotori monofasi (interruttori principali ad aria compressa, trasformatori con lamierini radiali, graduatori di tensione ad alta tensione) per cui questi locomotori, già ritenuti più pesanti a pari potenza di quelli di altri sistemi, sostengono ora vantaggiosamente ogni confronto; le difficoltà di commutazione, che per lungo tempo hanno reso onerosa la manutenzione dei collettori dei motori monofasi, si possono dire ora praticamente eliminate giacché si raggiungono condizioni di funzionamento soddisfacenti per tutte le velocità di pratico impiego in esercizio. Il sistema monofase è ormai esteso a tutte le elettrificazioni ferroviarie del Centro Europa (Svizzera, Germania, Austria, Svezia) e a varie linee del Nord America.
Sistema monofase a frequenza industriale. - Il desiderio di eliminare il gravoso onere dell'impianto di linee primarie per uso esclusivamente ferroviario, comune alle linee trifasi e monofasi a frequenza ferroviaria, che già portò in Italia all'esperimento, ora abbandonato, di trazione trifase a 45 periodi 10.000 volt sulla Roma-Sulmona, ha spinto anteguerra alla realizzazione di due linee monofasi a frequenza industriale. La prima di esse è la linea ungherese Budapest-Hegyeshalom in esercizio dal 1934 (circa) con alimentazione a 50 periodi e 16.000 volt. Le locomotive sono munite di uno speciale gruppo di conversione (Kando) che, alimentato in monofase dalla linea di contatto, alimenta in corrente polifase i motori di trazione. Successivamente (nel 1937) è stata elettrificata in Germania la linea Hollenthal alimentata in corrente monofase a 50 periodi e 20.000 volt. Per tale linea sono state costruite alcune locomotive sperimentali di vario tipo con alimentazione dei motori di trazione, sia a 50 periodi a mezzo di un trasformatore (Siemens), come nelle locomotive monofasi a frequenza ferroviaria, sia con interposizione di gruppi di conversione, atti a trasformare la corrente monofase a 50 periodi in corrente trifase (Krupp), oppure in corrente continua (Brown-Boveri ed AEG) per la diretta alimentazione dei motori di trazione. Recentissimamente è stata annunciata una applicazione sperimentale anche su una linea francese a traffico ridotto.
La questione del sistema. - Come si è già accennato, la scelta del sistema da adottare per nuove elettrificazioni è oggi praticamente ristretta al sistema monofase ed a quello a corrente continua ad alta tensione (3000 volt o 1500 volt, secondo le circostanze) mentre il sistema a corrente continua a bassa tensione (750 volt) interessa solo per i servizî tranviarî, suburbani e metropolitani.
Il sistema trifase fu preferito a suo tempo anche in Italia essendo, allora, l'unico che permetteva l'adozione di elevate tensioni alla linea di contatto; tale possibilità è ora comune anche ai sistemi di trazione concorrenti. Rimangono, quindi, ad esclusivo svantaggio della trazione trifase la complicazione ed il costo delle linee di contatto bifilari inadatte alle alte velocità, e la dannosa influenza della caduta di tensione in linea (lo sforzo di trazione dei locomotori trifasi varia circa col quadrato della tensione di alimentazione). Quest'ultima deficienza, congiuntamente alla particolare caratteristica meccanica dei motori asincroni che, funzionando, come è noto, a velocità costante, non possono attenuare le variazioni di carico al variare delle pendenze modificando la velocità di marcia, obbliga a prevedere un ridotto distanziamento tra le sottostazioni che rende più costosa l'elettrificazione.
Si può, quindi, sinteticamente affermare che, sia per il suo alto costo d'impianto, sia per la rigidità delle velocità dei motori e per incompatibilità con le alte velocità di marcia, il sistema trifase per le linee ferroviarie a grande traffico e ad andamento altimetrico variabile è in genere considerato superato, nonostante alcuni pregi, come l'automatico ricupero d'energia, che possono tuttora renderlo interessante in casi particolari, specie di ferrovie a dentiera o teleferiche.
I sistemi monofase e a corrente continua ad alta tensione possono essere oggi ritenuti equivalenti ai fini della possibilità di esercizio (velocità ottenibili, sicurezza di marcia, ecc.). Si può in generale affermare che le ragioni di preferenza vertono principalmente sui costi d'impianto, non essendovi molta differenza sui costi di esercizio. Il sistema a corrente continua richiede un minore spaziamento tra le sottostazioni (fino a 40 km.) ed un maggiore peso di rame per la linea di contatto, essendo la tensione d'alimentazione limitata dalle possibilità costruttive dei motori di trazione che con l'accoppiamento di due motori in serie non permettono di superare oggi i 3000 volt. Col sistema monofase, per la interposizione del trasformatore tra la linea e i motori, tale vincolo non esiste. Però, mentre non sono da dimenticare il peso del trasformatore a bordo della locomotiva e il suo ingombro, si ha l'inconveniente che l'adozione, finora considerata inevitabile della frequenza di 16 periodi, obbliga a costruire apposite linee primarie e apposite centrali di generazione e di conversione, entrambe non necessarie nel sistema a corrente continua.
Quindi, nelle reti che per la loro conformazione geografica richiedono lunghe linee di trasmissione, si verificano in tesi generale condizioni di preferibilità per il sistema a corrente continua ad alta tensione (Italia), mentre nelle reti aventi andamento a raggiera o baricentrico (Svizzera) si verificano condizioni di preferibilità per il sistema monofase. Ovviamente altre condizioni locali di traffico e di produzione d'energia, di unificazione dei sistemi, di interscambî d'energia con le utenze industriali, ecc., intervengono nella scelta definitiva del sistema.
L'adozione del sistema monofase a frequenza industriale permetterebbe, conservando i vantaggi del sistema monofase a frequenza ferroviaria, di eliminare la necessità di apposite centrali e linee primarie così come si verifica nel sistema a corrente continua. Sono ostacoli alla diffusione di un tale sistema le difficoltà di commutazione dei motori di trazione alimentati a 50 periodi e le cadute di tensione induttive in linea. Si sono già ricordate le due linee Budapest-Hegyeshalom e Höllenthal in esercizio da qualche anno con tale sistema; tuttavia ogni apprezzamento su di esso si deve ritenere attualmente prematuro.
Estensione delle linee elettrificate nel mondo. - Secondo gli ultimi dati disponibili l'estensione delle reti elettrificate è la seguente:
Motorizzazione ferroviaria.
S'intende per motorizzazione, nel campo ferroviario, l'impiego di automotrici, ossia di veicoli dotati di apparato motore proprio; tali veicoli, destinati al trasporto di viaggiatori o di merci, possono essere impiegati singolarmente oppure collegati in formazione di più unità. Secondo la natura dell'apparato motore le automotrici si distinguono in elettriche o termiche; si attribuiscono loro poi nomi particolari che, se pure meno definiti, sono ormai consacrati dall'uso: elettromotrici o elettrotreni le prime, automotrici (semplicemente) o autotreni le altre, secondo che ci si riferisca a uno o più veicoli stabilmente fra loro collegati.
Per lo sviluppo di questi mezzi e per le loro caratteristiche tecniche, vedi automotrice ferroviaria in App. I, p. 221 ed in questa App.
La motorizzazione ferroviaria si è oggi dovunque estesa; i criterî di impiego, naturalmente, diversi da paese a paese, essendo diverse le esigenze speciali di ognuno, si sono inoltre venuti modificando via via col progredire dell'esperienza e col perfezionarsi delle automotrici stesse.
In Italia, dove la configurazione e l'orografia del paese sono particolarmente difficili dal punto di vista ferroviario, i criterî invalsi possono essere accennati come segue: a) mantenere ed aumentare sulle linee secondarie, in genere non elettrificate, servizî di treni d'automotrici semplici o tra loro accoppiate, sostitutivi di quelli a vapore con vantaggio della rapidità e frequenza delle comunicazioni; b) dare incremento ai servizî integrativi di collegamento fra grandi centri urbani e centri più modesti, ma tuttavia importanti, situati a notevole distanza dai primi; c) stabilire fra grandi centri lontani servizî rapidi, eventualmente con convogli misti di automotrici termiche ed elettriche, quando la linea sia soltanto parzialmente elettrificata; d) estendere sempre più l'impiego di elettromotrici e di elettrotreni; nel campo delle motrici termiche usufruire di riserve locali di combustibile, quali esistono per es. nella pianura del Po: così il motore a scoppio è stato mantenuto, adattandolo all'alimentazione a gas metano, mentre per qualche altra automotrice è stato modificato il Diesel, adattandolo al sistema detto Diesel-gas.
Si è poi orientati anche verso l'allestimento d'un certo numero di automotrici, arredate con particolare cura alle comodità dei viaggiatori, per viaggi occasionali fra centri turistici di maggiore importanza.
Per quanto concerne la velocità propria delle automotrici si ha dovunque l'ovvia tendenza di mantenerla la più alta possibile: per ora, in Italia; intorno ai 130 km./ora in rettifilo e in piano. Generalmente è possibile ammettere per le automotrici velocità massime, nei riguardi della linea, dell'ordine dal 10 al 20% in più che per i treni trainati da locomotive.
Nella tecnica dell'esercizio ferroviario, si stabilisce che la velocità massima in V, km./ora, di un veicolo deve essere in relazione con le caratteristiche del tracciato delle curve, secondo l'espressione:
con R = raggio della curva in metri. Il valore di K nello scartamento normale per curve con sopraelevazione di cm. 16 e provviste di raccordi planimetrici ed altimetrici coi rettifili è K = 4,6 per i veicoli pesanti e le locomotive (e quindi per i treni normali) e K = 5,1 per i veicoli leggeri automotori. La maggiorazione del 10% della velocità può aumentarsi nei rettifili secondo la robustezza dell'armamento ed il tipo della sua posa, in relazione ai carichi assiali dei veicoli. Ad esempio, mentre nelle linee moderne con rotaie pesanti da kg. 46 a 50 p.m.l. con 16 ÷ 18 traverse su 12 m. si raggiunge la velocità di V = 120 km./ora con treni pesanti, nelle stesse condizioni una automotrice può raggiungere V = 160 km./ora e può così aumentare la velocità del 33% circa.
A compimento di quanto si è detto fin qui conviene aggiungere che, sempre in Italia, per le linee con tratti in pendenza del 75‰ armati a dentiera per le esigenze del servizio a vapore, si è da tempo creato un gruppo speciale di automotrici a completa aderenza, cioè con tutti gli assi motori o accoppiati ai motori e con freno di sicurezza sulla dentiera. L'esperienza ha poi confermato che anche su quelle pendenze massime l'aderenza naturale basta a garantire la frenatura in ogni caso. Perciò nelle nuove costruzioni del genere non vi è altro freno che quello normale sulle ruote aderenti. La velocità massima sulle maggiori pendenze è generalmente sui 25 km./ora.
Lo sviluppo assunto dalle automotrici ferroviarie è stato grandissimo; la sosta imposta dalla guerra non l'ha certo arrestato, ché anzi la ripresa è stata immediata e vivace.
Per darne un'idea basterà dire che nel parco delle Ferrovie dello stato italiano le automotrici termiche esistenti all'inizio della guerra erano in cifra tonda 850. Alla fine ne rimanevano attive soltanto 120, essendo state le altre in parte distrutte ed in parte gravemente danneggiate. La ricostruzione, subito intrapresa, ha permesso di ottenere che a metà del 1948 le unità in servizio fossero già risalite a circa 400, e la ripresa continua alacremente. Con il completarsi delle ricostruzioni possibili e con l'immissione nel parco delle nuove e più perfette unità ordinate, le Ferrovie dello stato raggiungeranno nel 1950 la consistenza di oltre 800 automotrici, praticamente pari, come numero, a quella d'anteguerra, ma sensibilmente migliorata come qualità di macchine.
Per le elettromotrici e gli elettrotreni, analogamente, le distruzioni e i danneggiamenti per eventi bellici ammontavano a circa l'82% della consistenza totale; i lavori di ripristino sono già avanzati e si prevede per il 1950 una dotazione maggiorata rispetto all'anteguerra, con introduzione di notevoli perfezionamenti tecnici nelle elettromotrici sia per aumento di potenza installata, che per miglioramento nella sospensione.
Sono in corso di allestimento (1948) nuovi elettrotreni (fig. 1) costituiti di 7 elementi, e capaci di una velocità massima di 160 km./ora.
Mezzi sperimentali e di controllo.
Tutte le più importanti Amministrazioni ferroviarie si sono fornite da tempo di carrozze dotate di opportuni apparecchi di misura per meglio provvedere al collaudo delle locomotive e per aver modo di ricavare, analizzandoli durante la corsa in servizio ai treni, quegli elementi caratteristici di funzionamento dei varî organi, che occorre prendere in esame per perfezionarli nel periodo di messa a punto di un nuovo tipo di locomotiva. Tali carrozze sono dette dinamometriche (fig. 2) perché l'organo essenziale in esse installato è il dinamometro col quale, posta la carrozza fra le locomotive ed il treno da rimorchiare, si misura lo sforzo di trazione durante la corsa. Il valore istantaneo di questo sforzo e quello della velocità vengono tracciati in diagramma continuo da apposita apparecchiatura accessoria, che segna inoltre anche l'integrazione continua del corrispondente lavoro in chilogrammetri.
Generalmente in queste carrozze dinamometriche sono anche piazzati altri apparecchi per il controllo delle temperature (pirometri registratori), a mezzo di elementi termoelettrici esploratori, e della pressione, nonché apparecchi per il controllo dei prodotti della combustione, ecc.
Da qualche tempo, col progredire della tecnica, ha assunto notevole importanza la necessità di esaminare, non solo nel meccanismo della locomotiva ma anche in numerosi altri organi ferroviarî, come si svolge il fenomeno delle vibrazioni o del rapido variare degli sforzi dinamici in genere, ed è perciò che molte amministrazioni ferroviarie, fra cui le Ferrovie dello stato italiane, si forniscono anche di carrozze (oscillografiche; fig. 3) dotate di uno o più oscillografi registratori, coi quali, per mezzo di esploratori posti a distanza sugli organi da esaminare, si rilevano con metodi fotografici i diagrammi indicanti l'andamento dei fenomeni a carattere variabile.
Per i servizî inerenti alla manutenzione delle linee sono poi in uso carrozze di controllo con apparecchi costruiti per rilevare l'andamento e, quindi, gli eventuali difetti del binario, delle curve e delle livellette, i cedimenti nei giunti delle rotaie, ecc. Naturalmente tutto ciò viene tracciato automaticamente da punte scriventi, con opportuni riferimenti ai punti caratteristici della linea percorsa.
Le Ferrovie dello stato italiane e molte altre grandi amministrazioni ferroviarie europee, hanno dovuto anche attrezzare carrozze per procedere alle prove sui freni (fig. 4), di cui si è sentita la necessità specialmente dopo l'estensione del freno continuo ai treni merci. Gli esperimenti corrispondenti, di carattere particolarmente delicato, si dovettero svolgere in sede internazionale, giacché tali carrozze sono parte predominante dell'attrezzatura per le prove dimostrative del regolare funzionamento dei freni presentati al collaudo dalle diverse amministrazioni; freni che, pur dovendo rispondere alle stesse condizioni, internazionalmente fissate, sono diversi per tipo e per costruzione, per inevitabili diverse opportunità commerciali delle varie nazioni. Si poterono così studiare in origine i pochi freni allora esistenti e ricavare il testo delle condizioni alle quali tutti avrebbero dovuto soddisfare.
Con le carrozze di misura e controllo di cui sopra (od attrezzandone temporaneamente altre apposite) vengono studiate, ogni volta che se ne presenti la necessità o la convenienza, altre attrezzature dell'esercizio ferroviario, sfruttando di regola i più moderni mezzi d'indagine che il progredire della tecnica mette a disposizione. Si citano, ad esempio, il controllo della perfetta tesatura ed allineamento del filo elettrico di contatto nelle linee elettrificate e gli esperimenti per le comunicazioni e ricezioni via radio a bordo dei treni.
Oltre allo studio dei varî fenomeni in corsa, le amministrazioni ferroviarie perseguono ricerche di ogni genere legate alle necessità assai complesse del servizio.
Sono stati pertanto istituiti con notevole larghezza istituti e stazioni sperimentali genericamente attrezzati o destinati a particolari indagini che partecipano del merito del progresso incessante realizzato dalle ferrovie.
Le ferrovie italiane durante e dopo la seconda Guerra mondiale.
La funzione delle ferrovie durante la guerra. - La mobilitazione, la radunata e la dislocazione iniziale delle grandi unità prevista nei piani strategici si attuano in base ad un programma di trasporti ferroviarî ben definito fin dal tempo di pace. L'ulteriore sviluppo delle operazioni, l'alimentazione logistica del teatro di guerra, lo sfruttamento del successo, richiedono nuovi e talvolta più intensi trasporti ferroviarî, adeguati alle mutevoli esigenze della guerra.
Tutti i paesi europei fecero, nel periodo intercorso fra la prima e la seconda Guerra mondiale, notevoli sforzi per conferire alle proprie reti ferroviarie, compatibilmente con le disponibilità finanziarie, la maggiore potenzialità possibile e soprattutto una elasticità di impiego che prima non avevano. Guerra di movimento e di rapida decisione secondo le teorie universalmente accettate nel periodo immediatamente antecedente al conflitto, si basavano anche sulla possibilità di effettuare rapidamente trasporti ferroviarî di massa, verso le località di radunata, sfruttando tutti i possibili itinerarî di marcia che la rete poteva consentire con una razionale utilizzazione delle proprie caratteristiche (linee e tronchi di linee-scali di smistamento-diramazioni ed allacciamenti-impianti per il materiale rotabile-depositi delle materie di consumo-officine di riparazione-sistemi di esercizio, ecc.). Giustamente, quindi, la ferrovia era considerata come un'arma ed un mezzo di lotta, che occorreva, ai fini operativi, rendere inefficiente. Ciò spiega l'intensità e la continuità dell'offesa aerea sugli obiettivi ferroviarî, non soltanto per impedire al nemico l'alimentazione con uomini e materiali della lotta, ma anche per ostacolare i trasporti relativi alla raccolta delle materie prime, al loro trasferimento negli stabilimenti di produzione e da questi alle località di impiego od ai centri di consumo. Le funzioni che una rete ferroviaria deve assolvere in guerra sono, perciò, assai delicate e complesse. Al personale dirigente ed esecutivo che la gestisce si richiede elasticità e prontezza di decisione e di esecuzione per poter continuamente adattare il servizio alle necessità, preparazione tecnica e capacità di lavoro tanto più profonde e complesse quanto maggiore è la scarsità dei mezzi e dei materiali a disposizione.
La rete delle ferrovie italiane dello stato si trovava, all'inizio del conflitto, nelle migliori condizioni per affrontare i compiti previsti nei piani operativi elaborati durante il periodo di pace, ma non certamente quelli che l'ulteriore sviluppo dei piani stessi, i radicali mutamenti improvvisamente apportati alla condotta delle operazioni e soprattutto l'estensione assunta dai teatri di guerra imposero ai dirigenti dell'azienda ferroviaria.
Mentre l'attrezzatura della rete e l'organizzazone dei servizî potevano ritenersi soddisfacenti per una guerra difensiva lungo la cerchia alpina, non altrettanto rispondente alle caratteristiche di una guerra offensiva lampo potevano risultare quelle esistenti nelle Puglie, zona di radunata delle grandi unità destinate ad operare improvvisamente in Albania, e tanto meno in Sicilia divenuta successivamente teatro di lotta di grande stile a seguito dello sbarco anglo-americano.
Ai compiti derivanti dalle operazioni in territorio nazionale si aggiunsero, poco dopo, quelli derivanti dall'estensione delle operazioni nell'Africa settentrionale, nelle isole del Dodecanneso, in Francia, in Iugoslavia, ed in Russia. Ai trasporti via terra di truppe e di materiali per alimentare la lotta sui teatri di operazione europei, si sovrapposero quelli necessarî per l'afflusso ai porti: di imbarco ed agli aeroporti di armi ed armati per le necessità dei teatri operativi di oltremare.
Complessivamente, per mobilitazione, radunate, esigenze operative, spostamenti varî, furono trasportati, per strada ferrata, durante la seconda Guerra mondiale, circa 25 milioni di uomini ed oltre 50 milioni di tonnellate di materiali: queste cifre dànno un'idea dell'enorme sforzo compiuto dalla rete ferroviaria dello stato, della conseguente entità dei treni-km. percorsi, del tonnellaggio dei combustibili solidi e liquidi e dei quantitativi di kWh. di energia elettrica consumati e soprattutto della usura del parco rotabile e dell'armamento delle linee, soggetti ad un traffico che, per intensità e continuità nel tempo, non era mai stato in passato svolto. Lo sforzo già così imponente, assume proporzioni ancora più vaste in relazione alle continue interruzioni dovute all'azione dei bombardamenti aerei, all'opera distruggitrice dei reparti armati, alla dispersione degli agenti colpiti nelle loro case e nelle loro famiglie, alla messa fuori servizio di meccanismi ed attrezzature, alla demolizione delle officine addette alla riparazione del materiale rotabile, ai gravi danni apportati ai complessi e delicati impianti della trazione elettrica.
La disorganizzazione che gli eventi bellici apportarono nel servizio ferroviario non poteva non avere immediate ripercussioni negative sull'andamento delle operazioni, sulla tempestività e continuità dei rifornimenti ed in definitiva sullo spirito combattivo e sul morale delle truppe. Tutto ciò non poteva non essere a conoscenza dei comandi in campo avversario, i quali quindi nulla risparmiarono per rendere sempre più difficile la circolazione dei treni, più lunghi i ripristini delle interruzioni, con massiccie e reiterate azioni aeree fino a paralizzare ogni possibilità di ripresa e di resistenza. I bombardieri concentrarono le loro ripetute azioni, anzitutto sui nodi ferroviarî, ai quali confluivano e dai quali si dipartivano le linee più importanti, quali Messina, Palermo e Catania, in Sicilia; Villa S. Giovanni e Reggio Calabria per le comunicazioni fra l'isola ed il continente; Catanzaro e S. Eufemia, Battipaglia e Metaponto, Foggia, Caserta, Napoli, Pescara, Roma, Ancona, Falconara, Orte, Pisa, Firenze e soprattutto Bologna, che rappresenta il punto più vitale in tutta la rete per le comunicazioni fra l'Italia centro-meridionale e quella settentrionale. Né furono risparmiati gl'impianti ferroviarî a servizio dei porti, da e per i quali si svolgeva un intenso traffico marittimo per alimentare la guerra oltremare: Trapani, Palermo, Siracusa, Catania, Messina, Taranto, Brindisi, Bari, Napoli, Ancona, Livorno, La Spezia e Genova. Né, parimenti, furono risparmiati i grandi scali di smistamento, a servizio o no dei porti: Palermo, Messina, Catania, Villa S. Giovanni, Foggia, Napoli, Livorno, Pisa, Firenze, Genova, Bologna, Torino, Milano, Verona, Brennero e Udine. Financo singoli convogli in marcia o in temporanea sosta furono oggetto d'intenso mitragliamento, con risultati talune volte veramente redditizî per ostacolare il traffico. L'azione di bombardamento venne anche progressivamente estesa alle singole opere d'arte, quali viadotti, ponti ed invasature per le navi-traghetto, con una precisione che andò via via sempre più affinandosi e con risultati tangibili di grande rilievo. Lungo taluni itinerarî questa metodica azione di distruzione venne svolta su manufatti di grande e di media portata, su stazioni di piccola importanza, su impianti che apparentemente non rivestivano un interesse veramente vitale ai fini del traffico.
Inoltre, l'andamento delle operazioni e lo sviluppo assunto dalla guerra richiesero l'estensione dei traffici anche al di là della cerchia alpina. La situazione che si determinò dopo la conclusione dell'armistizio, portò ad una più diretta e costante interferenza dei Tedeschi nella gestione della rete nella zona ancora sotto il loro dominio, sicché ingenti quantitativi di rotabili e di materiali furono trasferiti in altri settori dell'immenso teatro di guerra europeo e non rientrarono più in Italia. Il depauperamento continuo del parco rotabile, delle scorte, delle risorse e degli ormai scarsi depositi di materie di consumo; infine i gravi danni sistematicamente operati dai Tedeschi in ritirata, diedero il colpo finale a quello che anteguerra era ritenuto come un organismo di trasporti fra i più perfetti in Europa.
I danni di guerra. - Da accertamenti iniziati subito dopo la liberazione e via via perfezionati con lo sviluppo dei lavori di ricostruzione, i danni al sistema dei trasporti ferroviarî dello stato sono risultati in media di circa il 60%, della consistenza patrimoniale esistente alla fine dell'esercizio 1938-39, per certe voci, e, alla fine dell'esercizio 1942-43, per talune altre, per le quali è necessario tener conto degl'incrementi apportati alla rete ed al suo parco durante i primi anni di guerra.
Il patrimonio dell'azienda era valutato anteguerra in circa 50 miliardi di lire dell'epoca, pari a 2500 miliardi di oggi. L'entità dei danni risulta dai relativi prospetti.
È opportuno rilevare che, per taluni impianti e materiali, la percentuale delle distruzioni raggiunge il 100%, come si è verificato per le navi-traghetto; per altri varia dal 70% al 90% come si è verificato per molti tipi di rotabili e per le officine per grande e media riparazione; per altri infine varia dal 40% al 70%. Quest'ultima percentuale di danni, anche se inferiore a quelle più elevate prima indicate, ha tuttavia costituito una gravissima difficoltà per il ripristino delle interruzioni e dei traffici in dipendenza delle maggiori difficoltà da superare se si fa riferimento al tempo ed ai materiali occorrenti per la esecuzione dei rispettivi lavori.
La ricostruzione. - I programmi per la ricostruzione e per la esecuzione dei relativi lavori erano influenzati, sia dal punto di vista tecnico sia finanziario, da diversi fattori, per lo più negativi, cioè:
a) la presenza, che si protrasse ancora per circa due anni sul territorio nazionale, dopo la liberazione, di numerosi comandi e reparti alleati i quali imposero di dare, nel ripristino, la precedenza a determinate linee e di seguire nei lavori criterî ben differenti da quelli che le esigenze del traffico puramente civile e la tecnica potevano suggerire;
b) l'assoluta deficienza di materiali da costruzione, soprattutto ferrosi ed elettrici; non è da dimenticare, a questo riguardo, che i pochi materiali esistenti, sfuggiti alle requisizioni, erano stati nascosti e scrupolosamente custoditi per essere venduti al maggiore offerente, il che ne rendeva difficile l'acquisto da parte di una pubblica amministrazione che non ha in materia, possibilità di deviare dalle norme sulla contabilità generale dello stato;
c) il precario stato di efficienza delle industrie private, le cui officine e relative attrezzature avevano subìto danni ingenti dalle operazioni belliche o avevano un'organizzazione che risentiva ancora delle recenti lavorazioni di guerra, oppure avevano le proprie maestranze, in specie quelle qualificate, in condizioni materiali e morali di dubbio rendimento;
d) la inefficienza assoluta delle officine di stato, le quali, coinvolte nei bombardamenti diretti sugl'impianti ferroviari, erano state ridotte ad un cumulo di macerie o erano state spogliate di tutti o quasi tutti i proprî macchinarî;
e) la requisizione, da parte alleata, di molti locali costituenti, talune volte, i reparti più importanti degl'impianti industriali, anche di media e piccola importanza, per essere destinati a scopi diversi da quelli per i quali erano stati costruiti ed equipaggiati;
f) le difficoltà stesse di eseguire i trasporti dei prodotti finiti e dei materiali destinati alla ricostruzione dai centri di produzione a quelli di impiego e di consumo, in conseguenza della inefficienza dei mezzi di trasporto, sia su rotaia sia su strada;
g) la necessità di ripristinare, in un primo tempo, le interruzioni con mezzi di fortuna per passare poi alla fase definitiva dei ripristini stessi sotto esercizio, onde assicurare, contemporaneamente, un minimo di traffici assolutamente indispensabili per la vita materiale della popolazione civile;
h) le difficoltà assolutamente insormontabili di procurarsi materie prime o semilavorati presso altri paesi europei, sia perché di difficile reperimento, sia per lo stato di guerra tuttora esistente che impediva di riallacciare rapporti economici con le nazioni contro le quali l'Italia aveva combattuto;
i) le difficoltà di finanziare un complesso di lavori così imponente, che aveva richiesto decenni di tempo e l'opera di più generazioni, mentre i prezzi aumentavano con ritmo vertiginoso in dipendenza della svalutazione della moneta.
D'altra parte, di altri elementi e fattori assai importanti occorreva tener conto nella elaborazione ed attuazione dei programmi di ricostruzione, di indole sia tecnica, sia economica, spirituale e morale, i quali avrebbero potuto imprimere alla ripresa dell'economia nazionale ed all'assestamento della vita civile del popolo italiano un ritmo ben diverso, da quello che si è verificato. Cessate infatti le operazioni militari, occorreva provvedere a riallacciare al più presto le comunicazioni ferroviarie fra l'Italia centro-meridionale con l'Italia settentrionale, dove quasi tutti gli impianti industriali erano rimasti pressoché intatti, ed in condizioni quindi di riprendere le lavorazioni e fornire i prodotti essenziali per la ricostruzione.
Era altresì indispensabile che le linee di grandi comunicazioni ferroviarie fossero riaperte al traffico per immettere nei mercati di consumo, interni ed esteri, i prodotti ortofrutticoli dell'Italia meridionale, dato che soprattutto in Sicilia, nelle Puglie e nella Campania, da più tempo liberate dall'occupazione tedesca, i lavori agricoli erano stati ripresi con un promettente sviluppo in ogni loro settore di produzione.
Occorreva altresì mettere in efficienza gl'impianti ferroviarî a servizio dei grandi porti, per consentire lo sbarco e l'ulteriore deflusso delle merci verso i centri industriali (carbone), quelli di consumo (viveri), e verso i paesi inizialmente tributarî dell'America, specie la Svizzera (viveri, combustibili solidi e liquidi, ecc.).
Era poi assolutamente necessario riallacciare al più presto le comunicazioni fra le varie regioni d'Italia, onde eliminare i pericoli insorgenti da incrinature e fratture nella unità del popolo e stroncare, fin dall'inizio, le pericolose tendenze verso una malintesa autonomia. La cessazione della guerra aveva inoltre creato un gravissimo problema di ordine sociale, quello cioè della crescente disoccupazione, alimentata dal rientro in patria dei prigionieri, dei profughi, degl'internati nei campi di concentramento e dei rimpatriandi dalle colonie dell'Africa del Nord, dall'Africa Orientale, e dalle isole del Dodecanneso, ed in ultimo, dall'arrivo dei residenti in Tunisia.
In definitiva, la necessità di riaprire i traffici da una parte e l'impellenza di dare lavoro ai disoccupati onde consentire un ordinato e graduale passaggio della nazione dallo stato di guerra a quello di pace, indicarono, ai dirigenti dell'azienda i criterî fondamentali da seguire nella ricostruzione e cioè:
a) ripristinare, in ordine di precedenza, anche con carattere di provvisorietà, i grandi itinerarî che attraversano longitudinalmente la penisola e collegano i porti con i valichi di confine;
b) ricuperare e restituire al traffico le navi-traghetto per allacciare in via permanente la Sicilia al continente;
c) ricostruire le grandi linee trasversali fra le opposte sponde tirrenica ed adriatica, onde collegare fra loro i grandi centri abitati e questi ultimi con la capitale;
d) assicurare la circolazione sui grandi corsi d'acqua e la continuità dei traffici fra il nord ed il sud del paese creando, a fianco dei grandi itinerarî di marcia, le deviazioni tecnicamente ed economicamente più redditizie;
e) attuare la ricostruzione iniziando e proseguendo i lavori contemporaneamente in più punti, in modo da consentire l'apertura al traffico degl'itinerarî stessi nel più breve tempo possibile e combattere in ciascuna regione e provincia la disoccupazione;
f) avviare contemporaneamente la ricostruzione e riparazione del materiale mobile in modo che, all'apertura all'esercizio di nuove linee o tronchi di linea, si avesse la disponibilità dei materiali per l'esercizio.
La progettazione e la esecuzione di un così complesso e coordinato programma di lavori ha richiesto, da parte del personale tecnico ed esecutivo dell'Amministrazione, uno sforzo veramente eccezionale. Dopo tre anni di fatiche i risultati conseguiti sono del tutto soddisfacenti.
I danni sono stati riparati, in media, per circa il 70%, ed in alcuni settori, come quello della rielettrificazione, si è quasi al 100% della consistenza raggiunta nel 1943. Non solo, ma si sono elettrificate ex-novo la linea a grande traffico Milano-Domodossola della lunghezza di 108 km., la Pisa-Empoli-Firenze di km. 81, ed è stato trasformato da trifase a corrente continua il sistema di trazione elettrica da Viareggio a Genova - Piazza Principe. In occasione della ricostruzione, notevoli miglioramenti tecnici sono stati apportati agli impianti, alle attrezzature ed al materiale rotabile. I manufatti sono stati ricostruiti in modo da consentire la circolazione di pesi di gran lunga superiori a quelli di prima ed a velocità maggiori di quelle finora raggiunte. Si è fatto largo impiego delle costruzioni in cemento armato là ove preesistevano ponti in ferro, ciò che ha consentito di ridurre l'impiego di acciaio, di scarsa disponibilità nel paese.
Inoltre è stata iniziata la costruzione di carrozze con notevole alleggerimento nel peso totale ed in quello per viaggiatore. Nel materiale da carico merci è stato introdotto l'uso dei cuscinetti a rulli con vantaggio per la velocità raggiungibile dai convogli, e si sta ora applicando a tutti i carri il freno continuo.
Notevoli innovazioni sono state apportate agli apparati centrali elettrici, al sistema del blocco automatico, alla rete dei collegamenti telegrafonici con automatizzazione in corso di quasi tutta la rete, mentre si va realizzando una rete di collegamenti radiotelegrafici, allo scopo di assicurare la continuità dell'esercizio in caso di mancato funzionamento delle comunicazioni telefoniche e telegrafiche normali. Il parco carrozze non ha ancora raggiunto una consistenza tale da assorbire tutto il traffico viaggiatori il quale risulta aumentato, rispetto all'anteguerra, di circa il 90%. Nuove costruzioni e ricostruzioni sono in corso; ma il ritmo delle consegne è tuttora lento, sia per la natura ed entità dei lavori, sia per le difficoltà incontrate nell'approvvigionamento dei materiali.
Tuttavia la rete ha raggiunto oggi una efficienza tale da fronteggiare, nel complesso, il traffico richiesto dal paese, e si troverà in condizione, sempreché lo svolgimento dei programmi di lavori già predisposto non subisca un arresto per ragioni finanziarie, di affrontare i maggiori traffici preveduti in relazione alla celebrazione (1950) dell'Anno Santo.