NOVO, Ferruccio
– Nacque a Torino il 22 marzo 1897 da Antonio e da Ernesta Biroli.
Nel 1894 il padre aveva fondato una piccola società in nome collettivo per la confezione di guanti, la A. Novo e C., sciolta tre anni dopo. Rimasto unico proprietario dell’impresa, divenuta ditta individuale, l’aveva riconvertita con successo alla commercializzazione di articoli tecnici, anche stranieri: cinghie di trasmissione per macchine diverse (telai, mulini, trebbiatrici), ma anche parti meccaniche, accessori e oli lubrificanti.
Frequentò il Collegio di S. Giuseppe di Torino e conseguì la ‘quarta istituto tecnico’. Svolse quindi il servizio militare nel corso della prima guerra mondiale fino a raggiungere il grado di sergente maggiore nell’aviazione. Morti prima la madre e poi il padre tra il settembre 1921 e il marzo 1922, ereditò l’azienda paterna insieme al fratello Mario, maggiore di 8 anni. Nel luglio 1922 i due fratelli costituirono la Snc Antonio Novo per gestire al meglio l’impresa, nel frattempo cresciuta e arricchitasi di due agenzie, ad Alessandria e a Mantova, che si aggiungevano alla storica sede torinese, nei pressi di porta Nuova. Mario restò a Torino e si occupò della parte amministrativa, mentre Ferruccio viaggiò e si occupò della parte commerciale, più congeniale al suo carattere dinamico e alle sue doti comunicative.
Negli anni Venti la Antonio Novo compì un ulteriore salto di qualità, specializzandosi nelle forniture di accessori per trebbiatrici e in particolare nella commercializzazione dei battitori di produzione tedesca. Una grande occasione di sviluppo fu offerta dalla ‘battaglia del grano’ promossa nel 1925 da Mussolini, sebbene Novo, analogamente ad altri imprenditori torinesi di rilievo, mantenesse verso il regime un atteggiamento piuttosto tiepido, come conferma la tarda iscrizione al Partito nazionale fascista, avvenuta solo nel 1932. L’impresa crebbe anche nelle congiunture negative degli anni Trenta: nel 1932, mentre sul paese si abbattevano gli effetti della crisi del 1929, diventò rappresentante esclusiva per l’Italia dei prodotti Good Year; più tardi, le ristrettezze imposte dall’autarchia valorizzarono i vantaggi delle trebbiatrici, che garantivano la riduzione degli sprechi di grano.
Con l’azienda di famiglia in ottima salute, Novo decise di lasciarne la gestione al fratello e di dedicarsi all’altra sua grande passione, il calcio e la società del Torino: mediocre giocatore nelle giovanili intorno ai 16 anni, ne diventò consigliere, quindi vicepresidente e infine presidente nel 1939. Concentrati su di sé tutti i poteri, in pochi anni costruì una squadra straordinaria, che conquistò cinque scudetti, dal 1942-43 al 1948-49, con l’interruzione del 1943-45 dovuta alla guerra civile. Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Virgilio Maroso, Giuseppe Grezar, Mario Rigamonti, Ezio Loik, Eusebio Castigliano, Romeo Menti, Franco Ossola, Valentino Mazzola e Guglielmo Gabetto: questa la formazione-base completata nel 1945, al termine di un graduale assemblaggio, e passata alla storia come ‘il Grande Torino’. I meriti di Novo nella realizzazione di questo successo sportivo furono notevoli. Si circondò innanzitutto di collaboratori competenti: Vittorio Pozzo, commissario unico della Nazionale e già giocatore e poi allenatore della squadra granata – come era chiamata dal colore della maglia – consultato per un sistematico confronto tecnico e per la sua conoscenza dei club inglesi, presi a modello di una gestione moderna ed efficiente; il consigliere Roberto Copernico, navigato uomo di calcio; il dirigente Arnaldo Agnisetta, presidente del Comitato regionale della Lega; il preparatore atletico e responsabile del settore giovanile Leslie Lievesley, formatosi in Inghilterra e in Olanda. Decisivo, infine, il ruolo di Ernesto Egri Erbstein, tecnico ungherese di esperienza internazionale, che introdusse il riscaldamento pre-partita, il controllo dell’alimentazione e la cura psicologica del ‘clima-spogliatoio’. Scelto come allenatore da Novo nel 1939 Egri Erbstein, ebreo, fu costretto a fuggire dall’Italia a causa delle leggi razziali; nei suoi movimenti per l’Europa, restò in contatto con Novo, che non potè fare nulla per evitargli l’internamento in un campo di prigionia ma riuscì poi a farlo rientrare in Italia dove lo nascose fino alla fine del conflitto, quando gli offrì nuovamente la guida tecnica della squadra.
Affidò inoltre a un gruppo di ex giocatori del Torino il ruolo di osservatori incaricati di segnalargli i calciatori più promettenti in modo da poter agire sul mercato con maggiore tempestività rispetto alla concorrenza: così giunsero al Torino Ossola, Menti, Maroso e Castigliano; e lo stesso Pozzo suggerì a Novo l’acquisto di Mazzola, Loik e Grezar, da lui già schierati in Nazionale, in quanto interessato a un loro impiego in una squadra che adottava un modulo di gioco simile a quello azzurro.
Proprio l’innovativa organizzazione in campo va ascritta a ulteriore merito di Novo: fu lui, all’inizio della stagione 1942-43, a imporre il passaggio dal ‘metodo’ al ‘sistema’, modulo di importazione britannica più dinamico e offensivo, basato su un pressing fisicamente dispendioso ma, se applicato dagli uomini giusti, spettacolare e redditizio. Fu una conversione tattica essenziale per la vittoria del campionato di quell’anno, ma anche fonte di un primo dissidio tra Novo e Pozzo, quest’ultimo ancorato a schemi più tradizionali grazie ai quali peraltro aveva vinto i mondiali del 1934 e del 1938. Contarono altresì, nella costruzione della squadra, l’intuito, la prontezza e le risorse finanziarie di Novo, decisivi per esempio nell’anticipare la Juventus e acquistare Loik e Mazzola dal Venezia per la notevole cifra di 1.200.000 lire. Ma le disponibilità economiche spiegano solo in parte i successi del Grande Torino, a maggior ragione a fronte di squadre concorrenti finanziariamente solide come l’Inter, che nel 1948 tentò il capitano Mazzola con un ingaggio quattro volte superiore a quello percepito a Torino.
Novo, infine, promosse precoci strategie di marketing: la squadra era la sola in Italia a spostarsi con un pullman societario riconoscibile («il Conte rosso») e venne impegnata in tournée internazionali, diventando un’occasione di richiamo in Italia e all’estero. Insieme al ciclista Fausto Coppi, che della squadra era tifoso, il Grande Torino fu il simbolo della rinascita in campo sportivo di un paese devastato e umiliato dalla guerra. Era dunque naturale che costituisse la spina dorsale della Nazionale, stabilendo un record ancora imbattuto quando, in un’amichevole del 1947, la squadra azzurra risultò composta per dieci undicesimi da giocatori granata, con la sola esclusione del portiere.
Il disastro del 4 maggio 1949, quando l’aereo della squadra, di ritorno da un’amichevole a Lisbona, si schiantò contro la collina di Superga, presso Torino, fu quindi una vera e propria tragedia nazionale. I 31 passeggeri morirono tutti: i 18 giocatori, i piloti, gli accompagnatori, i tecnici e i giornalisti. Novo, rimasto a casa per una indisposizione, sopravvisse alla sua creatura ma fu segnato per sempre dalla sciagura.
Al di là delle tragiche perdite umane, ne risultò falciato il fiore del movimento calcistico italiano, con ripercussioni pesanti anche per la Nazionale, della quale Novo – dal 1946 anche vicepresidente della Federazione italiana giuoco calcio (FIGC) – nel febbraio 1949 era stato nominato commissario tecnico. Dopo il fallimento azzurro alle Olimpiadi del 1948 era stato scelto nella speranza che ripetesse i successi ottenuti con il Torino ed era subentrato a Pozzo, con un passaggio di consegne destinato a rinfocolare l’ostilità tra i due.
La spedizione della Nazionale al campionato mondiale brasiliano del 1950 si rivelò disastrosa: la squadra, orfana dei talenti granata e condizionata dalla lunga traversata transoceanica per nave – la tragedia di Superga aveva diffuso la paura dei voli aerei – fu eliminata dopo sole due partite e Novo fu rimosso dall’incarico.
Altrettanto deludente risultò il tentativo di risollevare il Torino. Il patrimonio societario in termini di giocatori era stato azzerato e i bilanci erano in rosso, nonostante i prestiti a fondo perduto da parte della FIGC e il varo da parte del presidente di una finanziaria, la Torino-sport, che raccolse solo 16 milioni. Smanioso di riportare subito la squadra ai vertici del calcio italiano, Novo scartò l’ipotesi di ripartire dai giovani e di affidarsi allo storicamente prolifico vivaio granata e preferì acquistare giocatori in serie a cifre spesso sovradimensionate: calciatori anche buoni offrirono però prestazioni modeste, persi in un confuso progetto tecnico cui si accompagnava un frenetico avvicendamento di allenatori.
Nel 1953, verificata l’impossibilità di ricostruire una squadra vincente e piegato dalla tragedia di Superga, Novo abbandonò la presidenza del Torino, limitandosi a ricoprire la carica di presidente onorario fino alla morte. Tornato alla vecchia attività imprenditoriale, dovette constatare che anche su quel versante la situazione peggiorava: nella seconda metà degli anni Cinquanta le trebbiatrici furono superate dalle mietitrebbie, un prodotto finito che le ditte estere immettevano direttamente sul mercato italiano; la A. Novo, che aveva fatto fortuna sulla commercializzazione di parti staccate e accessori, ne fu spiazzata. Nel 1958, inoltre, la società dovette fronteggiare l’improvvisa morte del contitolare Mario. Gli subentrò due anni dopo il figlio Ferruccio, detto Fredy, con cui Novo – che non aveva avuto figli dal matrimonio celebrato nel 1943, dunque in età matura, con un’attrice di teatro sua coetanea, Maria Angela Drovetto detta Lucia, originaria di Nizza marittima – strinse una relazione paterna. Negli anni Sessanta l’azienda andò incontro a un lento declino, nonostante i tentativi di rilancio legati alla distribuzione dei ‘master’, apparecchi per riscaldare ambienti industriali e civili.
Provato dalla morte della moglie, nel 1970, e da difficoltà respiratorie, morì ad Andora (Savona) l’8 aprile 1974, né gli sopravvisse l’azienda di cui era contitolare, posta in liquidazione dal nipote e chiusa nel 1979.
Fonti e Bibl.: Dati biografici essenziali su Novo e sui suoi familiari nell’archivio di Ferruccio (Fredy) Novo. Torino, Archivio di stato civile, Schede anagrafiche individuali, ad nomen; Partito nazionale fascista, Federazione di Torino, f. 21176; Atti di società, ad indices; Ibid., Archivio del Collegio di S. Giuseppe, Fascicoli personali, ad nomen; Guida di Torino commerciale ed amministrativa, Torino ad annos; Archivio della Camera di Commercio, Registro ditte, f. 58027. Sulla sua attività calcistica, notizie su Novo nell’Archivio Vittorio Pozzo conservato nell’Archivio di Stato di Torino; A. Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Torino 1954; A. Papa - G. Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Bologna 2002. La parabola del Grande Torino è stata oggetto di ampia letteratura di taglio giornalistico che spesso ha dedicato a Novo rapide schede biografiche, cfr. in particolare B. Perucca - G. Romeo - B. Colombero, La storia del Torino, Torino 1985; Toro, il mito e i campioni, Torino 1999; S. Barbero, Gli Invincibili. Storia del Grande Torino, Torino 2008; F. Ossola, La storia del Grande Torino, Ivrea 2012. Sulla storia delle macchine agricole e per indicazioni sulle svolte tecnologiche degli anni Cinquanta-Sessanta si veda il numero monografico di Padania, II (1988), 3, dedicato alla Meccanizza-zione agricola in pianura padana e 50 anni di meccanizzazione agricola. La storia e le sfide, Roma 1995.