TAGLIAVINI, Ferruccio
TAGLIAVINI, Ferruccio. – Nacque a Cavazzoli, frazione comunale di Reggio nell’Emilia, il 14 agosto 1913, da Erasmo e da Barbara Neviani, custodi e fattori di una dimora padronale con azienda agricola, i quali lo presentarono al fonte battesimale del capoluogo il 19 successivo.
Fu sovente affidato alle cure della nonna materna che, vedova, risiedeva nella nativa Barco di Bibbiano, luogo d’origine anche di Barbara, la quale vi si era sposata il 1° dicembre 1910 e vi aveva partorito la primogenita Evelina, detta Vellina il 10 dicembre 1911 (Archivio parrocchiale di Barco, Registri dei matrimoni e dei battesimi, ad annos). Successivamente la famiglia si trasferì a Reggio, dove il padre si mise a negoziare in vino e dove l’8 luglio 1924 venne alla luce la figlia Vittorina, detta Vittoria (Stato civile del Comune di Reggio nell’Emilia, Registri dei nati, a. 1924, ad vocem).
Fin dall’infanzia Ferruccio rivelò una spiccata attitudine al canto, che gli riuscì di gratificare esordendo in un’operetta per bambini rappresentata il 7 novembre 1925 al teatro Manzoni di Reggio: «Ricordiamo innanzitutto un sorprendente piccolo artista, il tenorino Ferruccio Tagliavini, che i compagni chiamano addirittura Caruso [...]. Ha cantato ed ha bissato la romanza dei Pagliacci con una facilità sorprendente. La voce di questo bimbo è eccezionale per estensione, per colore, per facilità di emissione [...]. Il pubblico lo ha acclamato entusiasticamente: è stato insomma il beniamino del pubblico stesso» (Giornale di Reggio, XII, 10 novembre 1925, n. 257, p. 4).
Alla fine degli anni Venti il ragazzo, desideroso di concorrere al modesto bilancio familiare e in attesa di progettare al meglio l’avvenire, alternava il lavoro allo studio: di giorno inserviente in un negozio di tessuti, di sera frequentava corsi di avviamento professionale per elettrotecnici, senza tuttavia trascurare il talento canoro, assecondato nelle cantorie delle chiese cittadine.
Nell’ottobre del 1927 entrò nella scuola di canto corale dell’Istituto musicale Achille Peri e dopo un triennio scelse quella di ‘bel canto’ del direttore Pietro Melloni, dal quale fu educato nel registro tenorile fino al 1934; in parallelo esercitava il mestiere di elettricista. Nel biennio 1935-36 si sottopose ai diciotto mesi di leva militare obbligatoria, undici dei quali come volontario in Africa orientale, dopodiché attese sia al lavoro nel settore elettrico, sia alle lezioni gratuite che con cadenza settimanale gli impartiva, in casa propria a Parma, Italo Brancucci, professore di canto nel locale conservatorio di musica.
Tagliavini ottenne una decisiva riuscita nel 1938: in gennaio superò a Ferrara l’eliminatoria regionale del II Concorso nazionale di canto promosso dall’Opera nazionale dopolavoro e in febbraio ne vinse a Firenze la prova finale, nonché l’ammissione a un corso di perfezionamento nel teatro Comunale, sotto l’egida del sovrintendente Mario Labroca e del celebre tenore Amedeo Bassi. A conclusione del corso il giovane conseguì su quel palcoscenico una clamorosa affermazione nella parte di Rodolfo in una recita della Bohème di Puccini, andata in scena il 27 ottobre. Se la stampa dedicò poca attenzione al solista promettente, ma sconosciuto, impresari e agenti ivi convenuti si affrettarono invece a ingaggiarlo. Nei due anni seguenti Tagliavini si impose in vari teatri italiani, tra i quali La Fenice di Venezia (Il campiello di Wolf-Ferrari, a fianco di Magda Olivero, direttore Antonio Guarnieri; Rigoletto), il Municipale di Reggio (La bohème; L’amico Fritz di Pietro Mascagni), di nuovo il Comunale di Firenze (Rigoletto; L’amico Fritz; Semiramide di Gioachino Rossini) e il Verdi di Trieste (I quatro rusteghi di Wolf-Ferrari, ancora con Olivero).
Nel marzo del 1939, avendo invitato Brancucci ad assistere a una sua prestazione reggiana, questi si negò sdegnosamente perché l’ex allievo andava vantando il solo discepolato con Bassi. Di carattere leale e generoso, Tagliavini si scusò con il docente di Parma e nel settembre del 1945 gli fece una visita riparatrice, altresì versandogli 10.000 lire a titolo compensativo per le pregresse lezioni gratuite (Costi, 2004, pp. 30, 197).
Nel 1940 incontrò Pia Tassinari, uno dei migliori soprani del momento: entrambi erano stati scritturati per L’amico Fritz ai primi di novembre al Politeama Garibaldi di Palermo; dell’opera mascagnana essi furono interpreti ideali, per ammissione dello stesso autore, che li volle dirigere nella storica incisione discografica del 1942, realizzata negli studi EIAR di Torino. La loro intesa artistica si trasformò altresì in unione affettiva, coronata dalle nozze celebrate a Roma il 30 aprile 1941, ma poi offuscata da varie trasgressioni coniugali del consorte.
Il raggio d’azione di Tagliavini si rivelò in crescita anche nei difficili anni del secondo conflitto mondiale, pervenendo a sedi prestigiose: il teatro dell’Opera di Roma (dove debuttò nel febbraio del 1941 con L’Arlesiana), la Städtische Oper di Berlino (aprile del 1941, con Falstaff, direttore Tullio Serafin), la Scala di Milano (gennaio del 1942, Il barbiere di Siviglia), lo Stadsschouwburg di Amsterdam (aprile del 1943, La bohème, con Tassinari).
Proprio in quegli anni l’artista pavesò la carriera di un nuovo vessillo, approdando anche alla recitazione cinematografica. Secondo un costume del tempo che mirava a trasformare i tenori popolari in divi della celluloide, Tagliavini esordì nel 1942 come simpatico ed estroverso protagonista del film Voglio vivere così, diretto da Mario Mattoli, in un intreccio ricco di sentimenti e canzoni di rapido coinvolgimento emotivo. Dopo sette titoli di buon riscontro al botteghino, tra i quali Il barbiere di Siviglia, 1946, di Mario Costa, egli chiuse nel 1958 l’esperienza del grande schermo con Vento di primavera di Giulio Del Torre e Arthur Maria Robenalt.
Tra il maggio del 1946 e il marzo del 1948 effettuò una lunga tournée nei maggiori teatri delle Americhe, dall’Argentina al Brasile al Messico; negli Stati Uniti fu a più riprese accolto con grandi onori, e dal 1947 al 1957 fu ospite frequente del Metropolitan di New York, dal quale si congedò nel febbraio e nel marzo del 1962 con La bohème e L’elisir d’amore. Di fatto, le sue prestazioni vocali raggiunsero negli anni Cinquanta l’acme artistico e la massima espansione geografica, come attestano le numerose registrazioni discografiche e le scritture nei principali teatri d’opera, in Italia, in Europa e nelle Americhe, ma anche in Estremo Oriente, in Giappone e in Australia (Costi, 2004, pp. 119-185, 207-225).
In almeno due allestimenti ‒ La bohème del 1957 al Municipale di Reggio (per il primo centenario del teatro) e il Werther di Jules Massenet del 1958 al Sociale di Mantova ‒ Tagliavini volle cimentarsi sia nel canto sia nella regìa, con impianti narrativi che rispettassero il primato della partitura nei confronti della messinscena, imponendo a sé stesso e agli altri interpreti una presenza e una gestualità esenti da ogni forma di enfasi, perché appunto subordinate al dettato della musica.
A partire dalla metà degli anni Sessanta iniziò per l’artista un luminoso crepuscolo, vieppiù rapido nel campo degli spettacoli d’opera (addio alle scene nel luglio del 1970 con L’elisir d’amore all’Anfiteatro di Benevento), ma di lungo indugio in quello concertistico (con un recital conclusivo al Lincoln Center di New York il 28 ottobre 1984).
Separatosi nel 1968 da Pia Tassinari, nel 1970 aveva instaurato una relazione affettiva con il soprano Isabella Stramaglia (nata a Taranto il 12 aprile 1944), allietata dai natali della figlia Barbara (a Carpi il 7 marzo 1974) e regolarizzata con il matrimonio celebrato a Reggio il 1° agosto 1992.
Morì a Reggio il 28 gennaio 1995.
L’11 giugno 1991 era deceduta Vittoria, che a suo tempo, talvolta adottando il cognome materno Neviani, si era prestata con gradevole voce sopranile a duettare con il fratello in diverse iniziative concertistiche e discografiche. Il 10 gennaio 1997 morì anche Vellina, alla cui memoria il marito Arnaldo Ferrari, imprenditore edile, volle far erigere e donare alla città di Reggio un ospizio per anziani. Nonostante l’omonimia cognominale, il cantante non aveva alcuna parentela con il noto tenore Franco Tagliavini, suo conterraneo (Novellara, 29 ottobre 1934-Guastalla, 15 agosto 2010).
Tagliavini seppe incarnare la figura del cantante moderno e multiforme, che con disinvoltura transita dal teatro alla sala da concerto, dallo studio di registrazione al set cinematografico. Si fece strada in un milieu di grandi tenori ancora in attività (Beniamino Gigli, Giacomo Lauri-Volpi, Giuseppe Lugo, Aureliano Pertile, Tito Schipa), grazie a un’emissione fascinosa e sensuale, raffinata e morbida, all’occorrenza squillante, capace di lunghissimi fiati e di mirabili ‘mezze voci’, con una dizione sempre intellegibile e chiara, anche in opere straniere (fu tra i primi in Italia a cantare opere francesi e tedesche in lingua originale). Sbocciato come tenore lirico (Rodolfo, il Duca di Mantova) e affermatosi come tenore di grazia (Elvino, il Conte d’Almaviva, Nemorino), volle affrontare anche ruoli lirico-drammatici (Edgardo, Manrico, Riccardo nel Ballo in maschera, Mario Cavaradossi, Loris in Fedora), sfoggiando all’occasione accenti di virile espressività. Tra i tanti personaggi cui diede vita e credibilità ‒ seppur nella finzione della scena ‒ è rimasto memorabile quello di Werther, disegnato con dolcezza di timbro e penetrante malinconia.
Fonti e Bibl.: C. Tedeschi, F. T., Roma 1942; R. Celletti, Le grandi voci. Dizionario critico-biografico dei cantanti con discografia operistica, Roma 1964; K.J. Kutsch - L. Riemens, Großes Sängerlexikon, IV, Bern-München 1997, pp. 4638 s.; The new Grove dictionary of music and musicians, XXIV, London-New York 2001, p. 925; F. Costi, F. T., Reggio nell’Emilia 2004 (con cronologia e discografia); Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XVI, Kassel-Stuttgart 2006, col. 430.