VALCAREGGI, Ferruccio
– Nacque il 12 febbraio 1919 a Trieste da Ettore e da Maria Brumat. Era il maggiore di tre figli: gli altri due, gemelli, nacquero nel 1921.
In una Trieste da poco annessa al Regno d’Italia dopo la prima guerra mondiale, Valcareggi frequentava ancora la scuola quando venne tesserato con la ‘primavera’ della squadra di calcio della città, diventando poi professionista e debuttando nella stagione 1938-39. Nella Triestina ricoprì il ruolo di centrocampista, con un’elevata propensione al goal, giocando a fianco di personaggi leggendari come Nereo Rocco (il capitano della Triestina, in cui fece il suo debutto, e che in seguito divenne un grande allenatore) e altri, tra cui Giuseppe Grezar. Nel 1940 passò alla Fiorentina, militando poi in varie società di serie A e B e concludendo la sua carriera di giocatore nel Piombino nel 1953-54, dove ricoprì il duplice ruolo di giocatore e allenatore.
Valcareggi giocò per nove squadre, segnando 73 reti in 403 partite (di cui 279 in serie A, realizzando 59 gol), un ottimo risultato per un centrocampista.
Nel settembre del 1943 sposò Anna Peruzzi, che gli diede una figlia e tre figli, uno dei quali, Furio, divenne un procuratore sportivo e scrisse un libro dedicato a suo padre.
Iniziò l’attività di allenatore a tempo pieno nella serie C con il Prato, che portò alla promozione in serie B nel 1956. La sua carriera si consolidò con le esperienze all’Atalanta e alla Fiorentina, dove ottenne risultati rispettabili senza però vincere trofei.
Nel 1965 entrò nello staff tecnico della Nazionale come secondo del commissario tecnico azzurro Edmondo Fabbri, condividendo con lui l’esperienza estremamente difficile dei Mondiali del 1966 in Inghilterra, in cui l’Italia perse – incredibilmente – contro la Corea del Nord. La stampa gli rimproverò di aver sottovalutato le capacità della squadra avversaria (si disse che avesse schernito i giocatori definendoli ‘ridolini’), ma Valcareggi sostenne sempre l’infondatezza di tali accuse.
Subito dopo iniziò l’avventura centrale della sua vita: il ruolo di commissario tecnico della Nazionale italiana di calcio maschile: lo fu per le prime due partite con Helenio Herrera nel 1966-67 e poi da solo dal 1967 al 1974.
Il 1968 segnò il trionfo di Valcareggi al campionato europeo giocato in Italia, dove la squadra disputò un difficile torneo, sotto pressione ma beneficiando di una buona dose di fortuna: giunse infatti in finale solo grazie al lancio di una monetina caduta grazie a Giacinto Facchetti sul verso giusto dopo la partita con l’Unione Sovietica. Il 10 giugno Valcareggi portò tuttavia l’Italia alla sua unica vittoria nei campionati europei, davanti a sessantottomila tifosi a Roma in una doppia, indimenticabile finale contro la Iugoslavia. La decisione dell’allenatore di schierare cinque uomini freschi, senza la prima finale di 120 minuti nelle gambe, fu azzeccata. La partita precedente si era conclusa 1-1 e a quel tempo il regolamento non prevedeva i calci di rigore al termine dei tempi supplementari, finiti in parità, ma la ripetizione della partita dopo due giorni. Fu la prima vittoria degli azzurri in un torneo internazionale dal 1938, anno della seconda vittoria italiana ai Mondiali.
Le scelte di Valcareggi nella finalissima del 1968 si rivelarono corrette, dal momento che il giovane attaccante Pietro Anastasi segnò un goal decisivo. La partita fu giocata proprio nel mezzo delle massicce proteste studentesche di quell’anno in Europa e in Italia. Gli italiani vinsero 2-0 e la festa andò avanti per tutta la notte in tutto il Paese.
Nel 1970 Valcareggi condusse la Nazionale alla finale del campionato del mondo in Messico, dopo aver superato la Germania Ovest in una storica semifinale definita la ‘partita del secolo’, disputata il 17 giugno e vinta dall’Italia per 4-3 ai tempi supplementari.
Potendo disporre di un’abbondanza di giocatori di talento, Valcareggi dimostrò grande fiducia nell’esplosivo centravanti Gigi Riva durante la sua permanenza alla guida della Nazionale. In seguito Riva disse «quando scendevo in campo, giocavo solo per lui. Lo vedevo come un fratello maggiore [...] ci trasmetteva tranquillità e sicurezza» (Polverosi - Valcareggi, 2018, p. 163). I trentacinque gol segnati con la maglia azzurra da Riva, tuttora il miglior marcatore della Nazionale italiana, furono tutti realizzati sotto la direzione di Valcareggi, che fece pure molto affidamento sul talento e sull’esperienza del suo capitano, Facchetti.
La vera sfida che dovette affrontare fu come conciliare le due più grandi stelle (e rivali) del centrocampo, Gianni Rivera e Sandro Mazzola, nella stessa squadra. Nel 1970 ebbe l’idea della ‘staffetta’ in cui i due fuoriclasse si sarebbero alternati, giocando un tempo ciascuno. Come disse all’epoca: «Fra Rivera e Mazzola ce n’è uno di troppo» (Polverosi - Valcareggi, 2018). Questa tattica aveva funzionato egregiamente nella celebre semifinale in Messico, in cui Rivera segnò il gol decisivo agli sgoccioli dei supplementari, ma provocò furiose polemiche in occasione della finale con il Brasile. Rivera non giocò dall’inizio, ma fu mandato in campo solo a sei minuti dalla conclusione, quando ormai l’Italia era destinata a perdere 4-1. Nonostante il risultato di una finale della coppa del mondo, al ritorno in Italia la squadra fu costretta a nascondersi in un hangar dell’aeroporto di Roma mentre i fan inferociti travolsero il servizio d’ordine. Quei funesti sei minuti avrebbero segnato Valcareggi per il resto della sua carriera.
Nel novembre del 1973 ottenne però un successo storico: fu il primo allenatore di calcio italiano a battere l’Inghilterra a Wembley, grazie a un gol in extremis di Fabio Capello. Si disse che circa trentamila emigranti italiani fossero allo stadio quella sera. Non si trattò esattamente di un colpo di fortuna, poiché la sua formazione era stata la prima Nazionale di calcio italiana in assoluto a battere l’Inghilterra già pochi mesi prima, in giugno a Torino. Anche se la partita di Wembley entrò prepotentemente nella memoria collettiva italiana, l’importanza simbolica di queste vittorie non può essere sopravvalutata. In quell’anno la sua squadra disputò undici partite senza subire un solo gol e sconfisse pure il Brasile in un’amichevole, ottenendo una lieve rivincita per quella finale del 1970.
Tuttavia, la prestazione della Nazionale al campionato del mondo del 1974 in Germania Ovest fu deludente. Forse Valcareggi ebbe troppa fiducia nella ‘vecchia guardia’ che aveva giocato sotto la sua direzione per così tanto tempo. Vi furono anche tensioni con alcuni giocatori, in particolare con Giorgio Chinaglia, l’esplosivo attaccante della Lazio, che insultò memorabilmente Valcareggi dopo essere stato sostituito, ritirandosi poi dagli allenamenti. A seguito della sconfitta contro la Polonia, che eliminò l’Italia dai mondiali per differenza reti, il contratto di Valcareggi non fu rinnovato.
Nella sua carriera di commissario tecnico della Nazionale, tra il 1967 e il 1974, aveva perso solo 6 partite su 54 (con 20 pareggi e 28 vittorie, 96 reti segnate e solo 42 subite).
Tornò poi in panchina per allenare il Verona per tre stagioni, seguite da una breve esperienza alla Roma e infine alla Fiorentina nel campionato 1984-85, terminato con il suo pensionamento.
Nonostante la sua fama di tradizionalista (veniva spesso descritto come un profeta del calcio difensivo), Valcareggi sapeva comunque portare in campo l’innovazione con le sue squadre e le sue formazioni. Caratterialmente era un allenatore efficace e determinato, poco loquace, capace di mantenere la calma e agire con disinvoltura durante i momenti di grande stress e pressione. Giancarlo De Sisti lo definì «un allenatore del popolo» (Polverosi - Valcareggi, 2018, p. 155). Dopo la vittoria nella finalissima del 1968 si era rifiutato di raccogliere gli onori della folla e preferì attendere i giocatori negli spogliatoi per congratularsi con loro. Come disse poi, «sono stato l’unico allenatore a vincere una coppa senza ritirarla» (ibid.). Sempre elegante e ben vestito con l’immancabile giacca e cravatta, era descritto dal Corriere dello sport come «un uomo schivo e tranquillo» (1965).
Era sempre stato un giocatore leale: una sola volta fu squalificato perché espulso, unico cartellino rosso in carriera, così come solo una volta fu esonerato dall’incarico di allenatore. Vinse due volte il Seminatore d’oro, assegnato al miglior allenatore in Italia: la prima volta nel 1957 con la promozione in serie B del Prato e la seconda nel 1973 dopo le due vittorie sull’Inghilterra. È uno dei cinque allenatori ad aver vinto questo prestigioso premio due volte.
Dedicò gli anni della maturità a trasmettere le sue conoscenze ai giovani giocatori e per un certo periodo ricoprì il ruolo di selezionatore della Nazionale di serie B. Valcareggi era anche appassionato di tennis, che giocava ad alto livello.
Trascorse gran parte della sua vita da pensionato a Firenze, la sua città adottiva, dove morì di cancro il 2 novembre 2005.
Cinquecento persone parteciparono al suo funerale a Firenze, dopo che la salma era stata composta nella camera ardente allestita a Coverciano.
Il giornalista Mario Sconcerti (2009), che lo conosceva bene, lo definì un «antico signore Triestino» dotato di «buon senso assoluto, pragmatismo e gestione dello spogliatoio». Sconcerti lo descriveva anche come un «uomo saggio, forse il vero inventore del ruolo di tecnico della nazionale del dopoguerra e la filosofia di gruppo» che predicava «il vero calcio all’italiana» (pp. 183, 280).
Secondo il giornalista sportivo Darwin Pastorin, Valcareggi è stato «davvero uno zio per il nostro pallone. Uno zio buono, mai banale, che sapeva dare un senso al gioco e alle parole. Uno zio che, con il suo sorriso lieve, illustrò, con capacità ed eleganza, quel calcio romantico, quel calcio «mistero senza fine bello» (https://storiedicalcio.altervista.org).
Era un uomo di poche parole, come il suo successore Enzo Bearzot, con il quale lavorò a stretto contatto, tanto che poi i due scrissero un libro insieme (Noi due e la nazionale. Da campioni d’Europa a campioni del Mondo, Firenze 1986).
Universalmente riconosciuto come un gentiluomo, Valcareggi è stato un maestro dell’understatement, come quando, alla richiesta di un parere sulla famosa vittoria 4-3 contro la Germania Ovest, rispose: «Fu una partita ad altissima tensione emotiva, ma forse sopravvalutata nel tempo per l’alternanza di gol ed emozioni» (Brera, 1998). Secondo Gianni Brera, era un «uomo probo e dotato di molto buon senso» e che ha ottenuto «più buoni risultati che chiacchiere» (ibid., p. 372). Di lui, Gianni Mura (2005) ha scritto «Se ne sentì dire tante, il ct, ma incassò con quel garbo, quell’umile serietà che lo rendevano simpatico, che lo facevano giudicare una persona onesta, al disopra di ogni sospetto».
A lui sono stati dedicati uno stadio (il Settignanese, proprio accanto alla sede della squadra nazionale a Coverciano), una strada nei pressi dello stadio di Firenze e una scuola di calcio per giovani giocatori (fondata, tra gli altri, da Valcareggi stesso).
Fonti e Bibl.: G. Brera, Storia critica del calcio italiano, Milano 1998; G. Mura, Addio al CT del calcio batticuore, in la Repubblica, 3 novembre 2005; B. Glanville, ‘F. V.’, Obituary, in The Guardian, 5 novembre 2005, https://www.theguardian. com/world/2005/nov/05/italy.football (17 febbraio 2020); M. Sconcerti, Storia delle idee di calcio. Uomini, schemi, imprese di un’avventura infinita, Milano 2009; A. Polverosi - F. Valcareggi, Soltanto col mio babbo sul tetto d’Europa. Il figlio racconta F. V. e quell’Italia del ’68, Roma 2018; D. Pastorin, in https://storiedicalcio.altervista.org/ blog/valcareggi_ferruccio.html (17 febbraio 2020).