FESTA (dal lat. festus (dies); fr. fête; sp. fiesta; ted. Feiertag; ingl. holiday)
L'uso di distinguere il tempo in varie suddivisioni e di celebrare con speciali riti il giorno che segna il punto di divisione di un periodo dall'altro, si riscontra in tutti i gruppi umani. Esso corrisponde, presso i primitivi, all'istinto sociale di rinvigorire dopo un periodo di vita normale la vita del gruppo stesso esaltandone il principio unificatore e rinnovandone l'efficacia mediante riti espressivi di detta vita sociale, compiuti insieme da tutto il gruppo che, per l'occasione, tralascia le sue ordinarie occupazioni, indossa vesti o distintivi speciali e compie collettivamente riti orali o manuali. E poiché la vita dei gruppi umani, specialmente primitivi, è determinata dal corso annuale del sole e dal conseguente ritmo delle stagioni (v. calendario), le principali feste coincidono sempre con il ritomo della primavera, con la raccolta dei frutti, con la deposizione dei lavori agricoli.
In un secondo momento, quando il gruppo sociale ha raggiunto una vita storica e religiosa più complessa e più autonoma, può avvenire che al ciclo stagionale delle feste se ne sovrapponga un altro, della commemorazione di fatti relativi alla vita storica o mitica di una grande figura religiosa. Si formano così i calendarî liturgici delle varie religioni (v. p. es. ebrei; islamismo; ecc.).
Feste del mondo classico. - Le numerosissime feste del mondo classico sono trattate sotto le singole voci; di qualcuna è fatto cenno nelle notizie riguardanti il culto delle rispettive divinità cui sono dedicate. Nella festa greca, accanto al generale carattere sacrale che riscontriamo alla base di quasi ogni attività collettiva agl'inizî della sua storia, e che permane naturalmente spiccatissimo attraverso tutta la storia della religione antica, si sviluppa, non distaccato ma pur chiaramente discernibile, il carattere civile, per cui la festa, celebrazione di una divinità epicoria o panellenica, viene a costituire uno dei maggiori vincoli cementanti le unità statali, e talvolta uno dei più forti vincoli morali dell'unità etnica: ricordiamo, p. es., le quattro grandi feste panelleniche per tutta la stirpe greca; le Panatenee per la città e lo stato ateniese. In tempi più progrediti, feste commemorative di vittorie nazionali, di liberazioni da gioghi di stranieri o tiranni, accentuano questo lato civile della solennità festiva nella vita greca. Nella religione romana, per converso, che porta assai più spiccate e tenaci le tracce della sua origine naturistica e agricola, più di rado la festa assume, oltre al significato sacrale, quello civile e nazionale. In ogni modo, in Grecia e in Roma, i giuochi e ludi che accompagnano e fanno spesso parte integrante di tante solennità religiose, ne promuovono e attestano il carattere di eminente socialità.
Feste cristiane. - Il primo giorno "festivo", nel senso che ricorra con particolari simboli e ricordi e che dia luogo a una celebrazione con particolari atti di culto, è, presso i cristiani, la domenica (v.). Ma assai presto, già sulla fine del sec. II, troviamo il mercoledì e il venerdì (feria quarta e feria sexta) destinati a speciali pratiche religiose: digiuno, qua e là sinassi eucaristica, ecc. S. Epifanio (Patr. Graeca, LXVII, col. 637) fa rimontare agli Apostoli l'osservanza liturgica di questi due giorni. Certo, essa è legata al ricordo della passione di Gesù. Il sabato fu variamente considerato, ma nell'Oriente finì con l'essere giorno quasi festivo, in Occidente no. I dissidenti bizantini rimproverano ai cattolici latini il disprezzo del sabato. Più tardi, al tempo di S. Pier Damiani, il sabato venne consacrato, nella devozione popolare e in parte anche liturgicamente, alla venerazione di Maria. Il giovedì, dagli antichi cristiani tenuto in sospetto, perché per i pagani giorno consacrato alla celebrazione di Giove, quando fu istituita la festa del Corpus Domini (sec. XIII) restò consacrato all'Eucaristia. Il lunedì e il martedì non hanno particolarità di storia liturgica e devozionale. Tutti i giorni devono per il cristiano esser di preghiera; e di questo precetto di Cristo possono considerarsi altrettante prove il fatto che in ciascun giorno, sin dai tempi primitivi, era prescritta la preghiera, pubblica e privata. Alla preghiera, in decorso di tempo, venne ad aggiungersi per ciascun giorno una particolare reminiscenza sacra, con relativa celebrazione liturgica: di queste "memorie", chiamate poi "feste", la liturgia della messa e del breviario conservano traccia, giorno per giorno.
Lo sviluppo dell'anno liturgico, o ciclo annuale della preghiera ufficiale della Chiesa, si venne compiendo lentamente (v. calendario, VIII, p. 403 seg.; liturgia). Le feste più antiche, oltre la domenica, sembra siano state la Pasqua (v.), dalla cui fissazione dipende tutto l'anno liturgico, e la Pentecoste (v.). Il Natale (v.) e l'Epifania (v.) sono più tardivi, e ancora avvolti, per le loro origini, in incertezze. La festa dell'Ascensione è ricordata nel sec. IV della Circoncisione, nel sec. VI; della Purificazione, nel sec. IV. La più antica festa della Croce, è il venerdì santo; quella del 14 settembre risale al sec. IV; quella del 3 maggio pare d'origine gallicana ed è posteriore. La festa della Trinità risale al 1334; quella del Corpus Domini al 1246. Altre feste del Signore, tranne la Trasfigurazione, sono d'istituzione recentissima (Preziosissimo Sangue, Sacro Cuore, Nome di Gesù, Cristo Re, ecc.).
Le feste più antiche in onore di Maria paiono l'Annunciazione (sec. IV), l'Assunzione (sec. V), la Purificazione (sec. V), la Presentazione (sec. VI?). La festa dell'Immacolata e tutte le altre sembrano posteriori al Mille. Quanto ai santi, una festa generale per tutti (il nostro attuale Ognissanti) deve ritenersi certa già nell'età degli ultimi Padri; così pure, una celebrazione in memoria dei morti. Il culto degli angeli nei primi secoli fu pieno di cautela: solo dopo il sec. V appaiono chiese, e più tardi feste, in loro onore. La festa della dedicazione di una determinata chiesa è attestata già nel sec. IV. Dal sec. II l'anniversario funebre della morte d'un martire cominciò a divenire, universalmente, celebrazione liturgica e festa. Dopo i martiri, seguirono i confessori: tra i primi S. Martino. Le Rogazioni risalgono, in germe, al sec. V; le Quattro Tempora, certo assai antiche, non hanno origini chiare. Molte feste si devono a commemorazione di eventi particolari, vittorie, scampati pericoli, devozioni di re, ecc. Le date accennate si riferiscono non all'istituzione della festa come è oggi, ma a un primo e qualsiasi cenno sicuro.
Oggi le feste di precetto (o d'obbligo) per tutta la Chiesa sono: tutte le domeniche, Natale, Circoncisione, Epifania, Ascensione, Corpus Domini, l'Immacolata, l'Assunzione, S. Giuseppe, Ss. Pietro e Paolo, Ognissanti (codex iuris canonici, can. 1247 segg., anche per la relativa legislazione). Le feste sono: mobili, cioè che variano di giorno in ciascun anno, secondo particolari computi; o fisse. Sono universali, se per tutta la Chiesa; locali se celebrate in una determinata nazione, regione, località. Specialmente per uso di chi recita il breviario (v.), le feste hanno subito presso i rubricisti una divisione: festa duplicia primae classis, duplicia secundae classis, festa duplicia maiora (e molte di queste tre categorie hanno l'ottava); infine festa semiduplicia, e simplicia. Questa gradazione riguarda la maggiore o minore solennità, e importa varie modificazioni liturgiche.
Le feste dei santi vennero via via nei secoli crescendo, per il fatto che dipendevano in gran parte dalle popolazioni e dai singoli vescovi o da concilî locali. Nei secoli XIII e XIV le feste di santi non fecero che crescere di numero; ma già nel sec. XV incominciano le prime proteste, e ha inizio una controversia che si è continuata, nei secoli successivi, tra i partigiani delle feste dei santi e quelli che vorrebbero tornare a un anno liturgico più semplice e più dominato dalle maggiori feste del Signore.
Feste civili. - Si è già accennato come accanto al carattere sacrale delle feste antiche se ne abbia spesso uno spiccatamente civile. Le feste del Medioevo e dell'età moderna furono le feste religiose dell'anno liturgico, alle quali si aggiunsero, nelle diverse località, l'anniversario del santo patrono e qualche altra ricorrenza, che dava occasione a manifestazioni di giubilo popolare; così, p. es., in occasione del Carnevale o del Natale, allorché in molte contrade d'Europa si celebrava il festum fatuorum, caratterizzato dall'elezione dell'episcopus puerorum (abbé des fols, abbas iuvenum, abbot of unreason, lord of misrule, rex stultorum, facetiarum princeps, ecc.) che veniva eletto il giorno di S. Nicola e presiedeva le festività popolari fino al giorno dei Ss. Innocenti. Con il sorgere delle monarchie si ebbero però, accanto alle religiose, feste di carattere civile e dinastico, nelle quali tuttavia non difettava l'elemento religioso: così l'incoronazione o le nozze dei sovrani, la nascita dell'erede al trono, ecc., si celebravano con tornei, giostre, ecc. Il Rinascimento diede alle sue feste (cavalcate, ecc.) carattere prevalentemente artistico, mentre d'altra parte l'affermarsi del principio monarchico dava sempre maggiore importanza alle feste di carattere dinastico e statale che però si ridussero, in alcuni paesi - specie la Francia - a feste di corte, parallelamente con l'accentrarsi nella corte di tutta la vita politica e statale. La Rivoluzione francese ebbe numerose feste, tutte di carattere civile, molte anzi con significato e carattere spiccatamente antireligioso. Tuttavia in tutti gli stati i giorni festivi rimasero sostanzialmente quelli del calendario religioso: così anche in Italia, dove il r. decr. 17 ottobre 1869 contemplava soltanto feste religiose, mentre la legge 5 maggio 1861, n. 7 stabiliva che "la prima domenica del mese di giugno di ogni anno è dichiarata Festa nazionale per celebrare l'Unità d'Italia e lo Statuto del regno". Con successivi provvedimenti furono istituite altre feste nazionali o solennità civili (per l'elenco e l'importanza giuridica, v. calendario, VIII, p. 406; aggiungere la solennità civile dell'11 febbraio, commemorativa della firma degli accordi lateranensi tra il regno d'Italia e la Santa Sede).
La celebrazione delle feste nazionali e ricorrenze civili si fa in Italia mediante esposizione della bandiera, illuminazione dei pubblici edifici, riviste militari e altre cerimonie: tra queste ricorderemo la presentazione degli augurî al sovrano a Capodanno e la solenne inaugurazione di edifici o lavori pubblici, ecc., nelle ricorrenze del 28 ottobre e del 21 aprile. In tutte le domeniche e giorni festivi si attua poi il riposo festivo.
Bibl.: Oltre a quella citata alla voce calendario e a quelle dedicate alle singole feste, v. articoli Feasting e Festival and Fasts, in J. Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, V, pp. 801-807, 835-894. Per le feste cristiane in particolare, v.: K. A. H. Kellner, L'anno ecclesiastico e le feste dei Santi, trad. it., Roma 1914; F. Cabrol, Fêtes chrétiennes, in Dict. d'archéol. et de lit., VI, coll. 1403-52; L. Duchesne, Origines du culte chrétien, 5ª ediz., Parigi 1925, pp. 241-308; S. Bäumer, Histoire du Bréviaire, trad. francese, I, Parigi 1905, pp. 158-168 passim; H. Quentin, Les martyrologes historiques du moyen âge, Parigi 1908.
Folklore. - Nelle feste popolari, meglio che nelle altre manifestazioni del genere, sopravvivono credenze e cerimonie di tempi lontani, di culti tramontati, di religioni primitive. Riti agrarî sopravviventi sono, in fondo, le cosiddette litanie o rogazioni, con cui il popolo al ritorno della primavera suole invocare la benedizione delle campagne. In alcune borgate sono vere e proprie feste che durano tre giorni: la croce è adorna di spighe nel primo, di pampini nel secondo, di rami d'olivo nel terzo. I processionanti percorrono le vie e i viottoli campestri con ghirlande di quercia sul capo e in mano bastoncelli di ginepro, che battono sul suolo fragorosamente a ogni chiusa di litania. In moltissime feste le primizie dei campi, specie le spighe, di cui sono adorni la chiesa, gli altari, la statua del patrono, gli stessi devoti che prendono parte alla processione, ecc., costituiscono oggetto di offerta a un santo. Queste e simili manifestazioni si hanno al tempo della mietitura, specie nelle feste di S. Giovanni, di S. Pietro, della Madonna del Carmine, dell'Assunta. In quest'ultima, oltre l'effigie della Madonna, si suole in qualche paese portare in trionfo la reginetta del grano, incoronata di pannocchie. Con le spighe intrecciate, sopra un'impalcatura di legno, vengono costruite in varî luoghi, come nell'Irpinia in onore di S. Giovanni Battista, delle enormi piramidi in forma di obelischi e, forse, non è strano il supporre che da simili macchine votive il popolo abbia tratto l'idea della costruzione dei colossali carri sacri in onore di santi (v. carro e carrozza: IX, p. 170). Nei talami di Orsogna, nella fanciulla che rappresenta per il popolo la Madonna, meglio si vedrebbe il simbolo della primavera, alla quale allude l'addobbo dell'ultimo carro, coperto di foglie e di verdi rami, con in mezzo un grazioso albero carico di doni e di ciambelle. Un tempo la sfilata dei carri era preannunziata da squadre di zappatori, potatori, mietitori, cacciatori, le quali facevano mostra di esercitare gli atti del propno mestiere.
Sul carattere delle feste, o meglio sulla maniera ond'esse sono celebrate, influiscono, oltre le vecchie credenze le quali ci portano a epoche molto lontane nella storia della civiltà, le leggende locali relative a fatti e avvenimenti, come epidemie, incursioni barbaresche, atti di brigantaggio, assedî, ecc., in cui è assegnata una parte importantissima ai prodigi del patrono. A tali fatti, di cui si trovano esempî e ricordi in ogni paese, alludono numerosi carri sacri con scene simboliche; talvolta dal quadro plastico si passa alla vera azione drammatica, con personaggi in carne e ossa. Dall'apparato si può rilevare il significato della festa: mistica, agricola, marinara, marziale. Nelle feste di quest'ultimo tipo le cavalcate di uomini armati sono l'elemento carattenstico e indispensabile.
Particolare valore annette il popolo alle cosiddette devozioni e altre pratiche del genere, alle quali attende nelle diverse festività, inderogabilmente, come se in esse si contenesse l'alto significato della sacra cerimonia. Di tali pratiche devozionali fanno parte le specialissime benedizioni che, nelle varie ricorrenze, sono invocate da santi patroni. Così la benedizione del bestiame nel giorno di S. Antonio abate; quella della gola, che nel giorno di S. Biagio (3 febbraio) si fa in chiesa, tenendo due candele legate in croce con un nastro rosso; del petto, per S. Agata (5 febbraio); dei lombi, per S. Fosca (13 febbraio); dei denti, per S. Apollonia (9 febbraio). Nel giorno di S. Giuseppe (19 marzo) si fa la raccolta delle uova, che si distribuiscono ai componenti la famiglia perché le conservino per la Pasqua. Nella festa di San Giorgio (23 aprile) si benedice l'acqua che serve per aspergere i campi e gli armenti: in quella del Corpus Domini e di S. Antonio di Padova (13 giugno) si benedicono le erbe odorose, le quali disseccate si bruciano durante i temporali; in quella di S. Lucia e di S. Nicola si prepara il frumento o il grano bollito.
Significato votivo hanno le offerte di animali, che ordinariamente sono condotti dietro la processione, adorni di fiori e di nastri, e che talora sono fatti genuflettere avanti il simulacro del patrono. In alcuni luoghi è in uso la giostra: un animale, di solito un vitello o un montone, viene legato per i piedi posteriori e sospeso a una fune che attraversa la strada, mentre i concorrenti, vestiti da cavalieri e armati di sciabola, si apprestano, uno alla volta, a colpire la vittima, che rimane in premio a chi ne abbia spiccato d'un colpo la testa dal corpo. A S. Domenico abate sono sacri i rettili, onde nel giorno della sua festa, in Cocullo, ha luogo una grande mostra di bisce e di serpi (v. abruzzi, I, p. 135). Spettacoli simili sono stati osservati in Bolsena, nei misteri di S. Cristina; in Sicilia, in Francia e altrove. Talora gli animali, che si ritengono protetti da questo o quel santo, sono raffigurati nei pani sacri (il pane di S. Marco ha la forma di drago), ovvero nei giocattoli che si vendono nelle fiere. Il trasporto della statua è riservato ad alcune confraternite o corporazioni o classi sociali; come animali da tiro si usano quelli che la leggenda indica come gli scopritori dell'immagine portentosa, nascosta nella grotta o nel bosco. Qualche volta il trasporto del simulacro è affidato ai migliori offerenti, o ai primi occupanti. Il corteo sfila fra suoni e canti, sotto una serie di archi trionfali o sotto una pioggia di fiori, e talvolta passa sopra un tappeto di petali variopinti (detto. infiorata quando è artisticamente disposto, in forma di quadri). Lungo il percorso la statua riceve i voti, e dopo un lungo giro, carica di oggetti preziosi d'ogni specie e talora di cereali e di ortaggi, e accompagnata da gruppi di penitenti che procedono chi col capo o col corpo coperto di spine, chi a piedi nudi, ritorna alla chiesa. L'uso vuole in qualche località che la danza non manchi fra le manifestazioni di giubilo; e vuole anche che ad essa si faccia partecipare il santo, indipendentemente dalle danze rituali che i popolani, in certi casi, inscenano nella vigilia della festa, disponendosi in gruppi. Diffusissimo è pure il ballo dell'insegna o della bandiera (v. danza, XII, pagina 368). Nei paesi marittimi la processione si fa con barche sfarzosamente adorne, e quando essa è al termine e la barca del santo sta per toccare la banchina, i fedeli che hanno fatto voto si lanciano a gara nelle onde.
Durante la processione possono accadere fenomeni strabilianti: ora la statua si appesantisce e s'impunta a tal segno da non poter essere smossa né dalla forza degli uomini, né da quella degli animali; ora cambia di colore, balugina, suda, piange, onde i devoti fanno a gara per astergere il sudore o le lacrime con fazzoletti, che poi conserveranno come antidoti contro i malanni. In qualche luogo, dopo aver compiuto il giro processionale, il sacro carro è preso d'assalto: fortunato chi, nella mischia, riesca a impossessarsi d'un frammento, efficace contro i sortilegi. Rito antichissimo, che si osserva in molte solennità cristiane dei paesi europei, è quello dei falò o fuochi sacri (v. fuoco; ceppo).
In occasione delle feste si organizzano giuochi e divertimenti, di cui i più comuni sono il palio (v.), le corse con carri o a cavallo, le regate, le giostre, la cuccagna. Ma la cuccagna più attraente si ha nel calendimaggio quando i popolani si dànno bel tempo per più giorni, e anche per un mese. Rito inderogabile, in molti paeselli, è l'altalena (vedi anche carnevale).
V. tavv. XXIII-XXVI.
Bibl.: Per la parte descrittiva, v. G. Pitrè, Bibliografia delle trad. pop. d'Italia, Torino 1894; E. Hoffmann-Krayer, Volkskundliche Bibliographie, Berlino e Lipsia 1918-1931. Per le feste popolari italiane, v. F. Polese, Le feste pop. cristiane, in Atti del primo congresso di etnografia italiana, Perugia 1912; G. Pitrè, Feste patronali in Sicilia, Palermo 1896; id., Spettacoli e feste pop. siciliane, Palermo 1881; S. La Sorsa, Usi costumi e feste del popolo pugliese, Bari 1925; F. Babudri, Fonti vive dei Veneto-Giuliani, Milano 1926; L. Mannocchi, Feste, costumanze e pregiudizî di Fermo, Fermo 1921; V. Dorsa, La tradiz. greco-latina della Calabria citeriore, 2ª ediz., Cosenza 1884; Th. Trede, Das Heidenthum in der römischen Kirche, Gotha 1889-1891; per l'illustrazione, la comparazione e lo studio delle sopravvivenze, v. P. Sébillot, Le paganisme contemporain, Parigi 1908; P. Saintyves, En marge de la légende dorée, Parigi 1931; R. Corso, Deus Pluvius, Roma 1918; Mannhardt, Wald und Feldkulte, II, 2ª ed., Berlino s. a.; I. G. Fraze, The Golden Bough, Londra 1924, p. 296 seg. V. anche la bibl. delle voci ceppo; carnevale; befana, ecc.