FESTIVAL E PREMI CINEMATOGRAFICI.
– I festival e le nuove tendenze del cinema contemporaneo. L’Oscar. I premi italiani
I festival e le nuove tendenze del cinema contemporaneo. – Tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, il panorama dei festival cinematografici si è notevolmente ampliato, soprattutto con la nascita di numerose rassegne e festival tematici o specializzati, in grado di focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti del cinema e dello scenario audiovisivo contemporaneo. Questo aumento quantitativo è uno degli aspetti che hanno contribuito al mutamento del ruolo e della funzione dei festival cinematografici negli ultimi decenni, mutamento legato alla trasformazione dello scenario mediatico e cinematografico del nuovo millennio, in cui il cinema stesso vede cambiare i propri luoghi e le proprie modalità di fruizione, le proprie forme espressive e i propri linguaggi. I principali festival internazionali hanno senz’altro, con le loro scelte di selezione e con i loro premi, intercettato nuove tendenze o forme espressive del cinema contemporaneo; soprattutto, grazie all’eco e all’importanza dei loro premi e dei loro riconoscimenti, i festival continuano a svolgere una fondamentale opera di valorizzazione e promozione di autori, correnti e tendenze del cinema contemporaneo.
Festival internazionali e prestigiosi, come la Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, il Festival di Cannes o quello di Berlino, sono indicatori importanti di tali nuove tendenze. I premi dati ai film in queste occasioni sono di solito molteplici: oltre al premio principale (rispettivamente Leone d’oro, Palma d’oro, Orso d’oro), i premi alla regia o le menzioni speciali indicano spesso (anche se non sempre) conferme e scoperte, autori da consacrare o nuove proposte più radicali e fuori dai canoni.
Il Leone d’oro a Brokeback Mountain (2005; I segreti di Brokeback Mountain) e Se, jie (2007; Lussuria - Seduzione e tradimento), entrambi di Ang Lee, Lebanon (2009) di Samuel Maoz, Faust (2011) di Aleksandr Sokurov, Pietà (2012) di Kim Ki-duk, En duva satt på en gren och funderadepå tillvaron (2014; Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza) di Roy Andersson, così come i Leoni d’argento Les amants réguliers (2005) di Philippe Garrel, Coeurs (2006) di Alain Resnais o The master (2012) di Paul Thomas Anderson riflettono la tendenza della Mostra di Venezia a premiare film che portano avanti con forza un concetto di autore che ha attraversato la modernità. Altri premi, come il Leone d’oro a Still life (2006) di Jia Zhang-ke, Somewhere (2010) di Sofia Coppola, Sacro GRA (2013) di Gianfranco Rosi, o i premi speciali della giuria a Jiaoyou (2013), noto con il titolo Stray dogs, di Tsai Ming-liang e a The look of silence (2014) di Joshua Oppenheimer, mostrano la volontà del festival di individuare anche le tendenze contemporanee, le immagini meno legate alla forte tradizione del cinema d’autore così come si è costituito e strutturato nella modernità.
Se la Mostra del cinema di Venezia si muove tra il riconoscimento dell’autorialità e l’apertura verso nuove forme dell’immagine, il Festival di Cannes prosegue un percorso di istituzionalizzazione e conferma di autori vecchi e nuovi, registi che hanno a volte incrociato le loro strade con quelle del festival francese come, per es., i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne (L’enfant, L’enfant - Una storia d’amore, Palma d’oro 2005; Le gamin au vélo, Il ragazzo con la bicicletta, Gran premio speciale della giuria 2011) o il regista inglese Ken Loach (The wind that shakes the barley, Il vento che accarezza l’erba, Palma d’oro 2006), gli statunitensi Joel ed Ethan Coen (Inside Llewyn Davis, A proposito di Davis, Gran premio speciale della giuria 2013); o ancora registi che Cannes ha contribuito a lanciare e promuovere e che sono spesso legati alla cinematografia francese, come Michael Haneke (Das weisse Band, Il nastro bianco, Palma d’oro 2009; Amour, Palma d’oro 2012), Laurent Cantet (Entre les murs, La classe, Palma d’oro 2008), Jacques Audiard (Un prophète, Il profeta, Gran premio speciale della giuria 2009), Abdellatif Kechiche (La vie d’Adèle, La vita di Adele, Palma d’oro 2013).
Un festival come quello di Berlino si è segnalato invece, negli ultimi anni, per l’attenzione alla cinematografia mondiale, a nuovi autori emergenti legati non tanto a una particolare ricerca formale e linguistica, quanto alla capacità di cogliere le trasformazioni del mondo contemporaneo, soprattutto in cinematografie meno conosciute. È il caso di Mark Dornford-May, autore di una versione attualizzata e ambientata in Sudafrica della Carmen di Bizet (U-Carmen e-Khayelitsha, Orso d’oro 2005), della peruviana Claudia Llosa (La teta asustada, Il canto di Paloma, Orso d’oro 2009), di due rappresentanti della nuova generazione del cinema iraniano – Asghar Farhadi ( Jodaeiye Nader az Simin, Una separazione, Orso d’oro 2011) e Jafar Panahi (Taxi,Orso d’oro 2015) –, dell’argentino Ariel Rotter (El Otro, Orso d’argento 2007), dell’ungherese Béla Tarr (A Torinói ló, Il cavallo di Torino, Orso d’argento 2011) e di molti altri.
L’attenzione al cinema indipendente e alle cinematografie meno conosciute è tipica anche del Festival internacional de cine de Donostia-San Sebastián, che negli ultimi anni ha contribuito a far conoscere registi indipendenti come il ceco Bohdan Sláma (Stesti, Una cosa chiamata felicità, Concha de oro 2005), l’iraniano Bahman Ghobadi (Niwemang, Half Moon, Concha de oro 2006) e il regista spagnolo Isaki Lacuesta (Los pasos dobles, Concha de oro 2011).
I grandi festival europei ed extraeuropei si sono in ogni caso sempre di più contraddistinti per l’attenzione a un cinema legato al territorio (culturale spesso, più che geografico), per la volontà di valorizzare e segnalare (tramite la selezione, prima ancora che attraverso i premi) registi, tendenze e forme significativi dei Paesi in cui ha sede il festival. È questo il caso del BAFICI (Buenos Aires Festival Internacional de Cine Independiente) o del Thessaloniki international film festival in Grecia, che sono rispettivamente centrali per comprendere le più importanti tendenze del cinema contemporaneo latinoamericano e della vasta area dei Balcani e del Mediterraneo. Il più importante festival africano, il Festival panafricain du cinéma et de la télévision de Ouagadougou (Burkina Faso), costituisce, da questo punto di vista, un evento in cui la selezione e i premi individuano, di volta in volta, le tendenze e gli autori che sono stati in grado di intercettare i cambiamenti e le trasformazioni interne al continente. In questo senso possono essere interpretati il Primo premio 2005 al film d’esordio del sudafricano Zola Maseko (Drum, 2004) o il Primo premio 2009 a Teza del regista etiope Hailé Gerima, film accumunati dalla volontà di raccontare la storia del proprio Paese, delle proprie ferite spesso ancora aperte. Oppure film in grado di restituire la quotidianità in luoghi problematici, come la città algerina di Mascarades (Terzo premio 2009) di Lyes Salem o capaci di sperimentare forme poetiche personali, come Tey (Primo premio 2013, noto con il titolo Aujourd’hui) del regista franco-senegalese Alain Gomis.
Tra i grandi festival asiatici, oltre allo Shanghai international film festival e al Busan international film festival, si distingue, per il suo respiro internazionale, il Tokyo international film festival, attento a individuare tendenze e narrazioni provenienti da diverse parti del mondo: dalla Bulgaria – Iztochni piesi (noto con il titolo Eastern plays) di Kamen Kalev (Sakura Grand prix 2009) – al Kazakistan – Tulpan di Sergej Dvortsevoy (Sakura Grand prix 2008) – da Israele – Hadikduk HaPnimi (noto con il titolo Intimate grammar) di Nir Bergman (Sakura Grand prix 2010) – alla Svezia – Vi är bäst! (noto con il titolo We are the best!) di Lukas Moodysson (Sakura Grand prix 2013). Proprio per la sua attenzione volta alla valorizzazione e all’esplorazione delle tendenze del cinema mondiale, spesso indipendente e slegato dalle grandi produzioni internazionali, il Festival di Tokyo ha assunto sempre di più nel tempo un ruolo importante nel circuito del grandi festival internazionali.
Così come uno dei festival internazionalmente più importanti degli Stati Uniti è il Sundance film festival, che negli ultimi anni ha intensificato la propria linea di ricerca all’interno del vasto panorama del cinema indipendente attraverso la divisione del concorso in più premi (miglior documentario e film di fiction statunitense e miglior documentario e film di fiction del resto del mondo). Autori come Lee Daniels (Precious, US Dramatic award 2009), Benh Zeitlin (Beasts of the Southern wild, Re della terra selvaggia, US Dramatic award 2012) o Damien Chazelle (Whiplash, US Dramatic award 2014) hanno ottenuto un successo internazionale grazie ai premi ottenuti al Festival dello Utah, e molto spesso hanno anche, grazie a questo, iniziato percorsi registici all’interno del sistema industriale hollywoodiano.
Accanto ai grandi festival internazionali, si è sviluppata una rete di festival specializzati, legati ad aspetti o forme particolari del cinema – come il documentario (il Festival dei popoli in Italia, Visions du réel in Svizzera), il cinema d’animazione (il Festival international du film d’animation di Annecy) o il cortometraggio (International short film festival di Oberhausen) –, i cui premi e riconoscimenti sono stati importanti in questi anni per far conoscere anche aspetti e forme del cinema meno presenti nei grandi festival internazionali. Nel campo del documentario, per es., la vittoria a Venezia del Leone d’oro da parte di un documentarista come Rosi con Sacro GRA, il Premio speciale della giuria (2014) a The look of silence di Oppenheimer o il Leone d’oro alla carriera (2005) a un maestro del cinema d’animazione come Hayao Miyazaki o a uno dei fondatori del documentario moderno come Frederic Wiseman (2014), così come a Cannes il Premio della giuria (2007) al film d’animazione Persepolis di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud sono i segni di una maggiore attenzione da parte dei festival più prestigiosi verso tutti i linguaggi del cinema contemporaneo.
L’Oscar. – Un discorso a parte merita la riflessione su un premio che non è attribuito da un festival, ma che ha avuto e continua ad avere un ruolo di primo piano nella ridefinizione dell’immaginario contemporaneo, il premio Oscar. Conferito dall’Academy of motion picture arts and sciences, un’associazione professionale statunitense di lavoratori del cinema, è infatti un premio annuale, diviso in diverse categorie, che di fatto sancisce la valutazione che l’industria cinematografica statunitense dà di sé stessa, indicando di volta in volta le caratteristiche, le tendenze, i desideri proposti da Hollywood e dalla galassia del cinema indipendente. Di conseguenza, considerando la forza di penetrazione nell’immaginario collettivo che continua ad avere il cinema statunitense, il premio Oscar, pur essendo di fatto un premio nazionale, che sancisce soltanto con il premio al miglior film straniero l’attenzione al resto della produzione mondiale, ha una forte ricaduta simbolica in tutti gli altri Paesi.
In questo senso, ripensare ai premi attribuiti negli ultimi anni nelle due più importanti categorie (miglior film e miglior regia) consente di riflettere su tali tendenze. Il premio al miglior film attribuito a Million dollar baby di Clint Eastwood nel 2005, a The departed (The departed – Il bene e il male) di Martin Scorsese nel 2007 o a The hurt locker di Kathryn Bigelow nel 2010 rispondono infatti alla necessità di celebrare alcuni dei film più rappresentativi di autori già riconosciuti come tali dall’industria hollywoodiana, di marcare cioè una linea autoriale classica e moderna insieme; mentre l’Oscar per No country for old men (Non è un paese per vecchi) dei fratelli Coen (miglior film 2008), a Slumdig millionaire (The millionaire) di Danny Boyle (miglior film 2009), a Gravity di Alfonso Cuarón (miglior regia 2014), a Birdman di Alejandro Gonzaléz Iñárritu (miglior film 2015) sanciscono il riconoscimento di una nuova autorialità interna al sistema hollywoodiano, che marca inedite strade narrative e formali, pur non uscendo dalle logiche produttive del sistema. In un’altra prospettiva, i premi come miglior film a The king’s speech (Il discorso del re) di Tom Hooper nel 2010 o a 12 years a slave (12 anni schiavo) di Steve McQueen nel 2014 mostrano la fascinazione che Hollywood nutre nei confronti di film che lavorano in modo diverso su temi sociali di ampio respiro (come il patriottismo nel primo esempio e la lotta alla schiavitù nel secondo).
Di rilievo per il nostro cinema sono soprattutto i premi assegnati ad alcune categorie professionali come i costumi – Oscar a Milena Canonero nel 2007 per Marie Antoinette (2006) di Sofia Coppola e nel 2015 per The Grand Budapest Hotel (2014) di Wes Anderson – oppure la scenografia – Oscar 2005 a Dante Ferretti e a Francesca Lo Schiavo per The aviator (2004) di Martin Scorsese e nel 2012 per Hugo (2011, Hugo Cabret) sempre di Scorsese. Nel 2014 La grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino ha vinto l’Oscar come miglior film straniero, e il nostro Paese si è confermato come la cinematografia con il maggior numero di premi in questa categoria.
I premi italiani. – In Italia il David di Donatello costituisce il premio equivalente al premio Oscar e negli ultimi anni, nelle categorie più importanti, come miglior film e miglior regista, ha di conseguenza indicato le tendenze più importanti dell’industria cinematografica del nostro Paese. Insieme al Nastro d’argento, il premio del Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani, il David di Donatello, assegnato dall’Ente David di Donatello dell’Accademia del cinema italiano, ha contribuito sicuramente negli ultimi anni alla legittimazione di autori che già da tempo costituiscono punti di riferimento per il nostro cinema, come Nanni Moretti, Paolo Sorrentino, Paolo Virzì, Giuseppe Tornatore, Paolo e Vittorio Taviani; ma tali premi hanno anche segnalato percorsi e autori nuovi (non solo nelle categorie dedicate agli esordienti, come David giovani o il Nastro d’argento al miglior regista esordiente), come indica, per es., il premio David per il miglior film nel 2008 a La ragazza del lago (2007) dell’esordiente Andrea Molaioli.