FESTO
Poco ci dicono le fonti note circa questo vescovo di Capua - l'ultimo prima della conquista della città da parte dei Longobardi beneventani - il cui nome ricorre, tra l'aprile del 593 e il marzo del 595, in alcune lettere conservateci dal Registrum epistolarum di Gregorio I. Non conosciamo, pertanto, l'origine e le condizioni della sua famiglia, il nome dei suoi genitori, la città in cui vide la luce. Ci è sconosciuta anche la data della nascita, che deve ad ogni modo essere posta intorno alla metà del sec. VI. Sappiamo tuttavia che a Roma aveva abbracciato la vita ecclesiastica e che nel clero romano si era formato ed aveva percorso i diversi gradi della gerarchia sino a raggiungere il suddiaconato. "Ex subdiaconibus vero [Ecclesiae suae]" scrive infatti del papa Gregorio I il suo biografo Giovanni Diacono, "Gloriosum Histriae, Festurn Capuae, Petrum Trecas et Castorium Arimini [consecravit episcopos]". Ciò riporta l'inizio del governo pastorale di F. a un'epoca compresa fra il 3 sett. 590, data dell'ordinazione episcopale di Gregorio I, e gli inizi del 593, quando il primo è già ricordato come vescovo della città campana.
Quando F. giunse a Capua, la città - come del resto tutta l'Italia meridionale tirrenica - stava attraversando un momento assai difficile. Il nuovo duca dei Longobardi beneventani, Arechi I, passando sopra al giuramento di fedeltà prestato all'Impero subito dopo la sua presa di potere (primi mesi del 591), si era legato al duca di Spoleto Ariulfo, allora in lotta contro i Bizantini nell'Italia centrale, e, riprendendo le direttive di conquista che erano state del suo predecessore Zottone, aveva anch'egli attaccato i territori di dominio imperiale. Dopo aver devastato le città di Velia, di Busento, di Blanda sulla costa tirrenica dell'antica Lucania ed aver assunto il controllo del loro territorio, aveva spostato la sua pressione più a Nord, contro le città dell'entroterra e del litorale campano e laziale, investendo Napoli ed invadendo i territori di Formia e di Fondi, che nell'autunno dello stesso anno, dopo la distruzione di quei due centri, furono stabilmente occupati. Arechi proseguì la sua offensiva nel 593 e la conquista longobarda si allargò nella Lucania, nei Bruttii e nella stessa Campania.
In tali tragiche circostanze, gravi dovettero essere i problemi in cui F., già all'indomani del suo arrivo a Capua, si trovò ad essere coinvolto sia sul piano politico-militare, sia sul piano politico-diplomatico a causa della posizione di rilievo che il sistema imperiale riconosceva ai vescovi nel mondo tardoantico. Non sappiamo quali siano state allora le proposte da lui avanzate e la linea di condotta da lui adottata: è certo, tuttavia, che esse in qualche modo non dovevano corrispondere alle attese o alle vedute di chi, nello scacchiere campano, presiedeva alle grandi scelte strategiche. Dalle scarse notizie in nostro possesso, infatti, il nuovo vescovo di Capua appare precocemente respinto e confinato in una posizione di assoluto isolamento rispetto alle autorità imperiali.
Non minori difficoltà dovette incontrare da subito F., a causa della situazione interna della città. Fin dagli inizi del suo governo pastorale, infatti, si scontrò non solo con la diffidenza e l'ostilità dei circoli dirigenti e delle diverse componenti della società civile ma anche con il malanimo e la disistima preconcetta dello stesso clero capuano. Il dissidio latente non tardò ad esplodere in contestazione aperta e violenta, come appare da una lettera dell'aprile del 593 - la prima dell'epistolario gregoriano in cui venga fatto il nome di F. -, indirizzata dal pontefice al suddiacono Pietro, rettore del "patrimoniuni beati Petri" in Campania.
In essa Gregorio I, dopo aver premesso che F., "frater et coepiscopus Noster", gli aveva fatto presente di trovarsi in difficoltà nell'esercizio del suo ministero, in quanto tenuto in nessun conto e apertamente sfidato "a suis clericis et civibus", che si rifiutavano di prestargli la dovuta obbedienza, dava mandato al rettore di risolvere il conflitto, recandosi personalmente sul luogo. Se il dissenso era dovuto a preconcetti nei confronti del vescovo o a reciproca incomprensione, doveva intervenire "placida adhortatione" sia presso F., sia presso il clero e il popolo capuano allo stesso scopo di appianare, "mutua et a Deo placita caritate", i contrasti e di giungere ad una riconciliazione, in modo tale che "et ille quod filiis impendat et illi quod patri oportet exhibeant". Se invece il conflitto era dovuto a motivi di altra natura, il rettore doveva fornire, nelle sue vesti di inviato del papa, ogni appoggio al vescovo di Capua, "salva tamen iustitia et aequitate" (Reg. epp., I, p. 192).
Non sappiamo quali risultati abbia raggiunto, con la sua mediazione, il suddiacono Pietro. Anzi, ignoriamo se egli poté mai dare inizio alla missione pacificatrice confidatagli dal papa o se ne fu impedito dal precipitare della situazione militare in quello scacchiere. Come già l'anno precedente, Napoli si poté salvare dai violenti attacchi dei Longobardi meridionali. Capua, invece, cedette alla pressione nemica e già sul finire della primavera o nell'estate di quello stesso 593 venne occupata dai guerrieri di Arechi I.
Come avveniva di norma in simili circostanze, quanti poterono abbandonarono la città per sfuggire alle luttuose conseguenze della conquista. Con gli altri profughi uscirono allora da Capua anche il clero, che si rifugiò a Napoli, portando con sé gli arredi e le suppellettili sacre, e lo stesso vescovo F., che riparò invece a Roma. Qui morì più tardi, ignoriamo esattamente la data ma ad ogni modo prima dell'autunno del 594, quando il papa poté prendere provvedimenti in vista di una ripresa della vita religiosa ed ecclesiastica nella diocesi di Capua. Ce ne accertano due lettere del novembre del 594, conservateci dal Registrum epistolarum di Gregorio I, indirizzate l'una a Gaudenzio, vescovo di Nola, e, l'altra, "clero Ecclesiae Capuanae degenti Neapoli", nelle quali F. è detto già morto.
Ignoriamo, per la laconicità delle espressioni usate in proposito dalle fonti in nostro possesso, i motivi del dissidio che divise, nel corso del suo governo pastorale, F. dal suo clero e dal suo popolo. Tale dissidio, ad ogni modo, non può essere ricondotto a contrasti di ordine finanziario o a divergenze circa l'amministrazione dei beni e la gestione dei redditi della Chiesa di Capua, secondo quanto afferma invece - con semplicismo e superficialità - la costante tradizione storiografica. In realtà, alla base del conflitto vi furono senza dubbio - lo si trae da una serie di indiscutibili dati di fatto, tra loro omogenei e concordanti - ragioni più complesse e profonde, legate al campo ecclesiastico-disciplinare e, con ogni probabilità, a quello liturgico.
Fonti e Bibl.: Johannis Diaconi S. Gregorii Magni vita, in I. P. Migne, Patr. Lat. ..., LXXV, 1, col. 133B; Gregorii papae I Registrum epistolarum, a cura di P. Ewald, in Mon. Germ. Hist., Epistolae, I, Berolini 1887, pp. 192, 294 s., 307 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra..., VI,Venetiis 1720, col. 309; F. Granata, Storia sacra della Chiesa metropolitana di Capua, I, Napoli 1766, pp. 110 s.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia..., XX, Venezia 1866, pp. 26 ss.; G. Perla, Capua Vetere, Santa Maria Capua Vetere 1887, pp. 24 ss. (dove per errore F. diventa "il vescovo di Capua Fusco"); F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VII (an. 604) ..., Faenza 1927, p. 203; L. Jadin, Capoue, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., XI, Paris 1949, col. 892; J. Richards, Il console di Dio. La vita e i tempi di Gregorio Magno, Firenze 1984, pp. 213, 227, 249 s.; P. F. Kehr, Regesta pontificum Romanorum, Italia pontificia, VIII, Regnum Normannorum-Campania, pp. 73 n. 15, 218 nn. 5-8, 228 nn. 1 s.; 300 nn. 11 s.