feticismo
Nella teoria di Marx, il fenomeno tipico dell’economia monetaria, e di quella capitalistica in partic., per cui le merci non rappresenterebbero semplici oggetti fisici ma rispecchierebbero rapporti sociali e situazioni antropologiche, mentre i rapporti tra gli uomini si rappresenterebbero rovesciati, come rapporti sociali tra cose. Sviluppata soprattutto nel 1° e nel 3° libro del Capitale, la teoria del f. costituisce un aspetto essenziale della marxiana «critica dell’economia politica», dal momento che quest’ultima non si limita ad affermare la legge del valore-lavoro, ma mira a ricostruire le «apparenze della concorrenza», ossia a spiegare come lo sfruttamento del lavoro, su cui si baserebbe la creazione della ricchezza borghese, viene necessariamente occultato dai rapporti di produzione capitalistici e non può essere quindi percepito dagli agenti economici. Più in particolare, il f. accompagna, secondo Marx, il sorgere dell’economia monetaria e dello scambio dei prodotti mediato dal denaro, in quanto quest’ultimo nasconde la vera ragione dello scambio – e cioè il fatto che si scambiano quantità eguali di lavoro astratto, incorporate in prodotti diversi – e fa apparire il valore come un proprietà intrinseca dei valori d’uso. Con lo sviluppo della produzione capitalistica al f. della merce subentra quindi il f. del capitale, in quanto il rapporto di sfruttamento su cui si fonda l’estrazione di plusvalore viene occultato da una serie di fattori: (1) lo scambio, apparentemente alla pari, tra acquirenti (capitalisti) e venditori (lavoratori salariati) della forza-lavoro, in base al quale il salario si presenta come remunerazione dell’intero lavoro erogato dai produttori, e non solo di una parte di esso, equivalente al valore dei mezzi di sussistenza; (2) la competizione tra capitali, a seguito alla quale si forma, nelle varie sfere della produzione, il profitto medio (proporzionale al capitale investito, e non al lavoro vivo impiegato nella produzione), fenomeno che nasconde ulteriormente la reale genesi del plusvalore, in quanto determina una differenza quantitativa tra plusvalore creato e plusvalore effettivamente realizzato dai singoli capitali; (3) l’appropriazione da parte della proprietà terriera della rendita fondiaria, per cui il valore sembra scaturire direttamente dalle terra e dalle risorse naturali, pur non essendo queste prodotte dal lavoro umano. Il f. del capitale si compendia nella «formula trinitaria» (lavoro-salario; capitale-profitto; terra-rendita fondiaria), in cui le condizioni del processo lavorativo (lavoro umano, mezzi di produzione prodotti e condizioni naturali della produzione) si presentano quali fonti autonome del valore.