FETWÀ, o più esattamente, fatwà (al plurale fatāwà o fatāwī)
Vocabolo arabo che nelle lingue di tutti i popoli musulmani designa il responso o parere d'un giureconsulto (faqīh, v.) in materia giuridica o di pratiche del culto o di legittimità in rapporto alla legge religiosa. Il parere deve riguardare un caso presentato in forma astratta, cioè senza riferimento a determinate persone. Il faqīh che, ufficialmente o per consenso dell'opinione pubblica, è autorizzato a emettere fatwà si chiama muftī (v.).
La forma classica della fatwà è quella di una breve domanda, alla quale segue una risposta ragionata, che talora può divenire una vera monografia; invece in Turchia nel secolo scorso invalse l'uso di una domanda in forma di lunga esposizione del caso, redatta dagli uffici, alla quale poi seguiva il responso formulato in turco semplicemente con uno dei vocaboli ōlūr "sta bene, sì", ōlmār non va, no", giā'iz "lecito". Le fatwà, avendo non di rado a risolvere casi nuovi o non sufficientemente spiegati nei trattati sistematici, contribuirono in modo notevole allo sviluppo del diritto musulmano. Di qui l'importanza delle loro raccolte, quasi tutte in arabo e disposte per ordine di materie. Di solito la raccolta comprende le fatwà testuali di un determinato giureconsulto; di rado, come nella collezione mālikita di al-Wānsharīsī, comprende le fatwà testuali di molti giuristi; infine, nella scuola ḥanafita, si hanno raccolte le quali in realtà dànno solo norme derivate da fatwà e da libri anteriori, spessissimo anonime, così da costituire un vero trattato con ampia casistica (p. es. le fatāwà ‛ālamkīryyah o fatāwà hindyyah fatte raccogliere in arabo dal sultano indiano Aurangzēb, che regnò dal 1659 al 1707). Per il valore legale d'una fatwà presso il giudice, v. muftī.