Feudalesimo
Il linguaggio relativo al feudalesimo è di origine rigorosamente giuridica, ma ha avuto tali sviluppi semantici nella cultura moderna che le definizioni e le riflessioni attinenti alle varie nozioni di feudalesimo si riferiscono a sfere diverse dell'esperienza, concettualmente distinte, pur se interferenti le une con le altre. Sono riflessioni nate dall'analisi di rapporti genericamente giuridico-sociali, o di strutture politico-istituzionali, o di situazioni socioeconomiche, e si configurano assai meno come punti di vista differenti su un medesimo oggetto di studio che come indagini su oggetti in gran parte diversi fra loro, qualunque sia stata la genesi empirica della trasposizione del termine 'feudale' dall'uno all'altro ambito. Qui occorre perciò la trattazione articolata non già di un tema unico, bensì di temi aventi ciascuno una coerenza interna, ma intrecciati piuttosto disorganicamente fra loro sia nella rievocazione storica, e a maggior ragione nella divulgazione pubblicistica, sia negli stessi tentativi di sistemazione concettuale. Questa consapevolezza di una pluralità di discorsi scarsamente amalgamabili fra loro deve per altro accompagnarsi con il chiarimento dei nessi che si determinarono storicamente fra gli sviluppi detti oggi, in vario senso, feudali: quei nessi che hanno provocato nella cultura moderna la dilatazione semantica e la trasposizione del termine fino a renderne proteiforme il significato.
Nella sfera genericamente giuridico-sociale l'elaborazione di una teoria della feudalità è avvenuta, nell'incontro fra giuristi e storici della società, intorno all'identificazione di un nucleo di atti simbolici, di cui vi è larga testimonianza nell'Occidente europeo dal secolo VIII a tutto il XVIII, e che esprimevano la fedeltà personale a un potente, su un piano di amicizia reciproca, con doveri di aiuto e consiglio da un lato e di protezione dall'altro, e con rimunerazione dei servizi prestati al potente per lo più mediante la concessione di beni in godimento. Questo rapporto fra vassallo e signore, confortato da obbligazioni di valore economico, si colloca logicamente entro la storia, di ben maggiore ampiezza nel tempo e nello spazio, del multiforme istituto clientelare, presente già prima del Medioevo sia nel mondo delle civiltà mediterranee, sia in quello delle popolazioni germaniche e barbariche in genere. Come distinguerlo allora e teorizzarlo nella sua peculiarità?
È valsa a questo fine l'attenzione posta al suo tenace simbolismo e all'intensità del richiamo emotivo inerente alla creazione del vincolo. Porgere e unire le proprie mani entro quelle del signore, dichiararsi durante questo omaggio suo uomo, giurargli poi fedeltà su testi sacri o reliquie e offrirsi a un bacio rituale sulla bocca, come spesso avvenne dal X secolo in poi, in signum mutuae et perpetuae dilectionis, riceverne infine come manifestazione di benevolenza generosa un oggetto atto a rappresentare l'investitura di beni e diritti in beneficio, costituiva un sistema coerente di atti e parole di impressionante eloquenza, solennizzato dalla sua larga pubblicità in un contesto sociale cospicuo, e tutto concentrato su un legame affettivo inteso come fondamento di una cooperazione privilegiata e permanente entro un gruppo elitario egemonico, gerarchizzato al suo interno. È anzi avvenuto a Jacques Le Goff, nell'integrare con l'aiuto dell'etnologia l'analisi giuridica di François-Louis Ganshof, di proporre che nella formazione del simbolismo feudo-vassallatico abbia agito come modello di riferimento non la tradizione clientelare, bensì il sistema della parentela e della famiglia. Si può obiettare che già il linguaggio in genere della clientela, dove il signore nella tradizione latina era indicato appunto come patronus, richiamava il modello della famiglia. Ma della proposta di Le Goff deve essere accolta la constatazione che il rito da cui nasceva il rapporto fra senior e vassus poneva l'accento con vigore inusitato sul tipo di affettività proprio dei rapporti interni al gruppo familiare nel loro aspetto virilmente più forte. Ne derivò anzi un codice morale che privilegiava la devozione vassallatica di fronte a qualunque altro dovere verso le persone, anche rispetto ai legami fondati sulla consanguineità.
Di qui la sua applicazione soprattutto ai rapporti implicanti un servizio di natura militare, dove la fedeltà poteva esplicarsi nella forma più alta ed eroica. La nobiltà dominò per gran parte del Medioevo e ideologicamente resistette al vertice della società ancora nei primi secoli dell'età moderna, accanto all'alto clero e a enti religiosi forniti anch'essi di vassalli. Essa si configurava come un'aristocrazia di tradizione militare, con a disposizione ricchi patrimoni con cui mantenere anche clientele di guerrieri, e di conseguenza il simbolismo feudo-vassallatico fu in grado di esercitare per un millennio di vita civile europea una funzione primaria nella definizione e nella conservazione delle solidarietà sociali fra i diversi livelli del mondo aristocratico di maggiore rilievo.
Nella tradizione vassallatica dell'aristocrazia militare l'individualismo eroico inerente alla fedeltà strettamente personale che vincolava il singolo guerriero al suo signore si contemperò con la solidarietà interna al nucleo di pares costituente la clientela armata del signore medesimo. La duplice impronta del valore individuale e della solidarietà di gruppo in equilibrio fra loro nelle imprese volute dal senior feudale, con crescente autonomia di azione nell'Occidente europeo dal X al XII secolo, si comunicò nel corso dell'XI secolo dai nuclei clientelari di nome vassallatico - le militiae signorili operanti a cavallo e con armamento completo - alla nascente tradizione cavalleresca.Sotto il rispetto giuridico occorre distinguere in modo netto, conforme all'insegnamento di Marc Bloch, fra il concetto di vassallo, imperniato sulla fedeltà a un signore determinato, e il concetto di cavaliere, implicante l'acquisizione dell'onore delle armi nel contesto generale della società. Nell'un caso e nell'altro l'uomo d'armi, dotato di equipaggiamento completo, era indicato come miles, ma il rito che creava il cavaliere non aveva alcun rapporto con il simbolismo del vassallaggio perché esprimeva, mediante la solenne consegna delle armi da parte di un personaggio già cavaliere, l'ingresso in un ordo sociale, non in una dipendenza clientelare. Gli obblighi del cavaliere si configuravano come adesione a un modello eroico di vita per la protezione dei deboli e la difesa della cristianità, non come devozione e servizio nei riguardi di un potente. È vero però che di fatto l'onore vassallatico e l'onore cavalleresco si congiungevano assai spesso nelle stesse persone. In questa convergenza di rituali simbolici diversi in una medesima società di stile militare avvenne l'evoluzione della mentalità e delle forme di vita feudali in senso cavalleresco. Il servizio fedele di un guerriero al potente tendeva a giustificarsi secondo l'ideologia cavalleresca dei doveri sociali propri di un'aristocrazia gerarchicamente stratificata; e nella prassi concreta di vita e ancor più nelle trasfigurazioni letterarie tendeva a tradursi nell'avventura audace del cavaliere e del gruppo in cui egli operava.
Il costume dei cavalieri, così permeato di esperienze feudali, era in realtà contraddittorio. La celebrazione del coraggio spinto fino alla temerarietà, e della lealtà verso il capo e i compagni di azione, alimentava nel cavaliere una fiera coscienza di sé come membro di un ceto privilegiato, dalle violente abitudini di vita, con un certo disdegno verso la massa degli inermi bisognosi di protezione e verso i pedites, i fanti, reclutati in caso di guerra da gruppi sociali modesti; non senza una rivalità sprezzante nei confronti dell'imbelle ostentazione di superiorità propria di chierici e monaci. Si accentuavano così sia la concorrenza fra uomini di religione e di cultura libresca a sfondo teologico e uomini esperti nelle operazioni belliche e fisicamente rischiose, sia quella contrapposizione fra le schiere vassallatiche, dotate di armamento pesante, e il restante popolo di liberi homines, che si era delineata fin dall'età carolingia, nella decadenza dell'esercito di popolo, e che esprimeva una dicotomia fondamentale entro il mondo dei liberi viventi nel secolo.
Tutto ciò contrastava con il tentativo compiuto dalla cultura ecclesiastica, fin dai primordi della cavalleria, nell'XI secolo, di assegnare ai gruppi vassallatici e cavallereschi compiti sociali e finalità religiose, un tentativo che ebbe un maggiore successo quando fu applicato alla promozione di una difesa attiva della cristianità verso l'esterno, e anzi alla sua espansione violenta entro il mondo degli infedeli, nelle crociate d'Oriente e d'Occidente. Ma è degno di nota che anche qui, proprio nell'atto di assumere un compito militare di finalità religiosa, non mancò nei crociati, come la letteratura che accompagnò le loro gesta dimostra, la persuasione della superiorità del guerriero di fronte alla timidezza di vita del clero, dedito soltanto alla ripetizione di atti liturgici.
In questa civiltà feudale e cavalleresca, già in sé dunque vitalmente contradditoria, si aggiunse una complicazione ulteriore e non meno essenziale, in quanto fu coinvolta in essa la vita di corte che si svolgeva presso i re e i principi territoriali, situati al vertice di una potenza politica di orientamento statale. Le corti regie e principesche, le grandi curiae politiche, divennero anzi, fin dal XII secolo, i maggiori centri della nuova cultura aristocratica, imperniata sulle consuetudini feudali e cavalleresche. Curialitas o cortesia si disse appunto un abito di generosità e di eleganza che da quei centri si irradiò in tutta la società europea di ascendenza militare. Emerse allora e perdurò nei secoli un contrasto interno all'ethos feudo-cavalleresco, di natura affatto diversa dalla tensione segnalata fra l'ostentazione dei valori militari e il tentativo ecclesiastico di idealizzarli a fini di moralità cristiana. Il contrasto non era più soltanto fra due codici di comportamento verso gli altri gruppi sociali, bensì all'interno del concetto elitario di vassallo e di cavaliere, dove da un lato persisteva l'esigenza di un vigore virile fuori del comune, d'altro lato si introduceva una connotazione di delicatezza e gentilezza di modi e di sensibilità, atta a differenziare feudalità e cavalleria dal volgo. Nel confronto con i chierici la divergenza di qualità assunse una coloritura diversa. Qui non si trattava di contrapporre delicatezza a rozzezza, ma di porre a confronto due culture elitarie divergenti: l'ideologia della raffinatezza e dell'amore cortese, con assunzione del tema della devozione e dell'omaggio dal linguaggio feudale, ingentilito pur nella sua persistente intensità di toni, e l'ideologia dell'ascesi spirituale e dei rapimenti mistici di tradizione antica. Non mancò in verità, essendo l'una e l'altra cultura confortate da apporti letterari, qualche scambio nelle forme espressive, ma il mondo della grazia tutta umana che i poeti di corte cantavano rimase pur sempre contrapposto al mondo grave delle inquietudini religiose celebrate dai sacerdoti e dagli asceti.
L'intera aristocrazia di tradizione militare, in tutta la gamma dei suoi strati, finì per definirsi, con questa complessità di connotati variamente feudali e cavallereschi, come un alto ceto ereditario che diede il tono a gran parte della civiltà europea dalla fine del XII a tutto il XVIII secolo. L'istituto dell'ereditarietà, già proprio delle successioni patrimoniali e affermatosi anche nell'ambito delle consuetudini feudali con trasmissione di obblighi di fedeltà e di godimento di beni dall'una all'altra generazione dei signori e vassalli mediante una ripetizione codificata dell'omaggio e dell'investitura, penetrò anche nel mondo delle virtù cavalleresche e irrigidì l'aristocrazia tardo-medievale e moderna in una nobiltà di sangue. E anche quando questa nobiltà perdette, nel mondo contemporaneo, privilegi e prestigio, il suo sistema di valori e di simboli non si spense del tutto, poiché le forme di sensibilità, di onorabilità e di cultura che l'avevano caratterizzata e che fin dall'ultimo Medioevo erano state in parte trasmesse dalla nobiltà feudale anche ai patriziati cittadini, hanno trovato eredi nei nuovi ceti sociali egemonici.
L'ethos feudo-vassallatico, considerato come un tipo peculiare di amicizia giuridicamente definita e culturalmente feconda nell'ambito aristocratico, appare per lo più come un'esperienza propria dell'Occidente latino-germanico, di comparazione difficile con altre civiltà. Ma il problema della comparazione si pone già all'interno dello stesso mondo di tradizione occidentale, perché quel simbolismo, carico di significati e di conseguenze sociali, si diffuse su un'area molto vasta, o per irradiazione spontanea o per trasposizione violenta, anche al di là dell'Occidente inteso in senso geografico, e durò per oltre un millennio, cosicché ebbe modo di presentarsi con variazioni di valore conformi a contesti e a sviluppi civili diversi.
L'area di formazione del vincolo, con la sua graduale connessione fra il rapporto di subordinazione personale e la concessione di beni in beneficio, fu una regione d'intenso insediamento dei Franchi, la Gallia settentrionale, soprattutto fra la Loira e il basso Reno, nella transizione dall'età merovingia a quella carolingia. L'espansione della dominazione franca in Germania e in Italia e il parallelo ingresso in queste regioni di gruppi parentali legati alla dinastia carolingia e delle loro clientele vassallatiche conferirono dimensioni europee alla diffusione del simbolismo feudale, una diffusione tuttavia che fin oltre il Mille ebbe intensità molto varia nelle singole zone del continente di ascendenza carolingia. Nella seconda metà dell'XI secolo la conquista del regno d'Inghilterra da parte del duca di Normandia portò al trasferimento oltre Manica di folti gruppi francesi e a un inquadramento feudo-vassallatico del regno inglese in forme più sistematiche di quanto ancora non fossero quelle fin allora realizzate sul continente. Processi simili avvennero allora anche nel Mezzogiorno d'Italia per l'intervento di schiere di avventurieri di Normandia e poi con la creazione del regno unitario facente capo a Palermo; e anche in Siria e Palestina per effetto delle crociate, e durante gran parte del XIII secolo nell'area bizantina sottoposta all'imperatore latino insediato a Costantinopoli.
In queste regioni periferiche, dall'Inghilterra al Medio Oriente, la solidarietà nata dalla conquista di un paese straniero contribuì a mantenere viva l'efficacia del vincolo di fedeltà reciproca fra signore e vassallo e di amicizia fra i compagni di vassallaggio. Avvenne anzi che le curiae dei pari acquistassero un particolare peso nelle decisioni dei propri rispettivi seniores. Il caso più clamoroso fu in Inghilterra, dove ai supremi livelli della gerarchia feudale la curia dei vassalli potenti del re si trasformò nel magnum consilium, destinato ai grandi sviluppi parlamentari dell'età moderna. Ma nella tradizione di questo regno di origine anglo-normanna non tutto procedette dalle consuetudini vassallatiche, dal dovere cioè di prestare auxilium e consilium al proprio senior, poiché parenti e familiares e alti funzionari ebbero anch'essi un peso nelle deliberazioni regie, non inferiore a quello dei baroni e prelati organizzati feudalmente. Le limitazioni che derivarono al potere regio possono farsi risalire allora in modo più generale alla concezione medievale del re, in Occidente, non come autocrate, bensì come un capo che operava, pur se rivestito di autorità sacra, sempre in raccordo con tutti i grandi del regno. È pur vero, tuttavia, che fin dall'età carolingia questo raccordo aveva trovato una consacrazione normale proprio nel simbolismo feudo-vassallatico. Se dunque il magnum consilium della dinastia anglo-normanna era qualcosa di più di una curia parium in senso rigorosamente feudale, attingeva in realtà dalle abitudini formatesi in queste curiae di vassalli cooperanti con il senior un modello e un supporto di grande efficacia nell'accentuare la concezione medievale del regno nella direzione che condusse al costituzionalismo moderno.
È vero peraltro che questo possente sviluppo delle fedeltà vassallatiche verso un mutamento storico del regime monarchico, se ebbe nel vigore delle solidarietà personali il suo primo fulcro, s'inquadrò in pari tempo in un'evoluzione del rapporto feudale tutt'altro che peculiare delle aree periferiche della cristianità latino-germanica, bensì presente in tutto il mondo feudale durante il passaggio, intorno all'XI secolo, dall'alto al basso Medioevo. Si tratta cioè dell'importanza crescente che entro il nesso tra fedeltà e beneficio andò assumendo, rispetto all'elemento personale, l'elemento reale, in origine puramente subordinato, come rimunerazione del servizio fedele, alla generosità del senior. Il beneficio divenne una ragion d'essere essenziale per la creazione del vincolo. Con il nome di feudo il beneficio finì per qualificare un sistema di rapporti, dove la dedizione del vassallo al signore e la protezione corrispondente mantennero con difficoltà e molte eccezioni l'originaria connotazione affettiva. Il significato grave del vincolo ritualizzato si mantenne, ma come aspetto sbiadito di un contratto avente per oggetto il contemperamento ben calcolato fra due situazioni di natura economico-sociale o di natura politica. Per questa via la simbologia vassallatico-beneficiaria si avviò a ridursi a formalità esteriore, obliterabile poi nel linguaggio storiografico e sociologico fino a condurre all'uso attuale dei termini 'feudo' e 'feudale' anche fuori del significato attestato dalle fonti. Ma prima di abbandonare la sfera di quei rapporti giuridico-sociali in cui il simbolismo feudo-vassallatico ebbe una reale efficacia, occorre un cenno sul problema sociologico della possibilità di una comparazione di questo istituto con civiltà esterne al mondo di tradizione occidentale.
Forme simboliche di sottomissione di una persona libera a un potente, fornito o no di autorità pubblica, furono presenti in tutte le civiltà, dai giuramenti di fedeltà alle prosternazioni rituali, ma non assunsero quella complessità di struttura e quella forza emotiva che contraddistinsero il vincolo intenso e reciproco fra i contraenti nella feudalità latino-germanica. Il caso meno lontano dalle clientele vassallatiche europee è rappresentato dal rapporto formatosi in Giappone, per molti secoli della sua storia, fra i grandi signori e i loro samurai, guerrieri dotati di un codice morale severo, fatto di coraggio eroico e di senso dell'onore e della giustizia, ma con una dedizione incondizionata al signore, ben diversa dalle esigenze di reciprocità proprie della feudalità europea. Ogni altro tentativo di comparazione, per quanto riguarda il vincolo personale, si è dissolto nella categoria generica del rapporto clientelare. Oppure ha posto il suo fulcro, dall'area slava e dal mondo islamico agli imperi dei Mongoli e della Cina, nella concessione di beni, redditi e poteri a retribuzione di servizi, così accogliendo una nozione di feudalesimo trasposta sul piano politico-istituzionale o su quello economico.
Al di là dell'erudizione squisitamente giuridica, il pensiero moderno pose una particolare attenzione al rapporto feudale in età illuministica, nelle discussioni di carattere politico-istituzionale, poiché da molto tempo le applicazioni pratiche dell'istituto feudo-vassallatico rientravano quasi tutte nella sfera del diritto pubblico. Il contenuto della concessione beneficiaria connessa con la fedeltà vassallatica era infatti solitamente costituito ormai dal potere attribuito al vassallo beneficato di esercitare la giurisdizione e di esigerne i proventi, insieme con altre esazioni di natura pubblica come dazi, pedaggi e monopoli, nell'ambito del territorio assegnatogli come feudo: un feudo dunque di contenuto non puramente economico, bensì, come usa dire, un 'feudo di signoria'. Nel linguaggio dei giuristi più rigorosi, conforme ancora a quello prevalente nei testi medievali, la natura feudale della concessione con gli obblighi reciproci inerenti alla protezione e alla fedeltà, riguardava il rapporto fra il senior concedente, che era normalmente il sovrano o principe territoriale, e il vassallo concessionario che diveniva a sua volta signore subordinato. Diverso era il rapporto reciproco di signoria e sudditanza che l'infeudazione creava fra il vassallo-feudatario esercitante la giurisdizione signorile e tutti i residenti nel territorio a lui infeudato. Ma qui appunto si accentuò una confusione terminologica, perché nel linguaggio libero di letterati, filosofi e pubblicisti si finì correntemente per dire feudale anche il rapporto di sottomissione dei sudditi al feudatario, anche quando esprimeva una dipendenza di natura pubblica, senza alcun carattere di contratto bilaterale fra senior e vassi; e il termine di 'feudalesimo' o di 'feudalità' fu usato per indicare ogni sistema politico in cui il potere pubblico, anziché appartenere esclusivamente all'ente sovrano e ai suoi funzionari amovibili, risultasse distribuito fra l'ente medesimo, con il suo proprio apparato, e quei giurisdicenti che avessero ottenuto, all'interno del territorio statale, il riconoscimento di una signoria di carattere parimenti territoriale.
Così avviene che tuttora, quando si dice 'sistema feudale', spesso si pensa non ai peculiari valori simbolici e giuridici dei vincoli interni a una gerarchia di seniores e vassi, bensì piuttosto a una gerarchia di poteri territoriali radicati patrimonialmente negli interessi di dinastie signorili o di singoli enti religiosi: poteri dunque di natura pubblica, ma che si possono dire privatizzati, in quanto conferiti in forme durature di dominio nell'interesse non solo della collettività dei sudditi, ma anche di entità diverse da quelle aventi per definizione finalità pubblica. Ma allora diviene necessario un discorso che, pur senza trascurare l'eventuale forma tecnicamente feudo-vassallatica di questo sistema politico o di parti di esso, lo consideri come oggetto suo proprio in una prospettiva storica adeguata.
Nella medesima età carolingia in cui si ebbero i primi sviluppi del rapporto vassallatico-beneficiario, si manifestarono anche i segni precursori delle autonomie signorili dilaganti nel Medioevo centrale. Ciò avvenne in correlazione con l'espansione del grande possesso fondiario e dei diritti di protezione esercitati dal proprietario del suolo sui coltivatori. Questa protezione si tradusse in una limitazione della giurisdizione pubblica e raggiunse particolare chiarezza nei rapporti del potere regio con le maggiori chiese vescovili e monastiche, a cui fu riconosciuta l'immunità da interventi coattivi degli ufficiali pubblici nelle terre ecclesiastiche. L'immunità, concessa formalmente alle chiese cospicue e conseguita di fatto anche dai maggiori possidenti laici, si accompagnò allo sviluppo dei nuclei armati, spesso di carattere vassallatico, che i medesimi detentori della ricchezza fondiaria andavano reclutando a imitazione del potere regio e a difesa delle proprie persone e delle proprie cose.I centri di gestione dei maggiori complessi fondiari - i centri curtensi - divennero così, nella transizione all'età postcarolingia, fulcri di potenza signorile, e ciò appare soprattutto visibile allorché furono incastellati.
Le fortezze signorili si moltiplicarono e funzionarono come simboli e sedi di poteri di banno, poteri cioè di costrizione e di giurisdizione concorrenti con quelli di origine pubblica. Esse del resto imitavano un processo in corso nell'ordinamento pubblico stesso dei regni. Le fortezze, infatti, erette in numero crescente, a protezione territoriale, dagli ufficiali pubblici, conti e marchesi e duchi e loro agenti subordinati, acquistarono spesso una notevole autonomia rispetto al potere regio e divennero sedi di dinastie funzionariali fornite di una propria base fondiaria, in questo modo assumendo un carattere signorile analogo a quello delle signorie ecclesiastiche e laiche in via di formazione spontanea. I due processi convergenti, degli ufficiali pubblici verso un assetto dinastico signorile e dei nuclei parentali ed ecclesiastici potenti verso l'assunzione di fatto di funzioni di carattere pubblico, conferirono intorno al Mille all'Europa di ascendenza carolingia una fisionomia politica singolarissima, determinata da un confuso intreccio dell'autorità regia e del suo apparato in disfacimento, in ciascuno dei regni in cui l'Occidente si articolava, con una moltitudine di chiese e famiglie cospicue per base fondiaria, nuclei armati, fortificazioni e conseguente esercizio del banno.
La struttura topografica del grande possesso fondiario non era in realtà tale da favorire l'aggregazione dei poteri signorili in aree territoriali coerenti. Ogni complesso curtense era per lo più costituito da un insieme di edifizi e di terreni sfruttati come incolto o come coltivo, distribuiti in più villaggi in modo discontinuo, perché frammischiati con beni di altri signori o di piccoli proprietari (allodieri). Ma nell'esercizio del banno come protezione militare e funzione giurisdizionale, la discontinuità del possesso fondiario signorile non impedì il formarsi di una continuità territoriale della zona protetta dal centro curtense o dalla fortezza come fulcri di egemonia locale. Il signore infatti, come detentore del banno, lo esercitava per irradiazione tutt'intorno al nucleo militare in sua mano, non solo dunque sui coltivatori delle proprie terre, ma anche su quanti, economicamente da lui indipendenti, risiedessero nella zona, su terre confinanti con i suoi beni. Fu in questo senso che l'Europa postcarolingia risultò disgregata in una moltitudine di signorie locali, sia ecclesiastiche sia laiche, imperniate economicamente sul possesso fondiario e intrecciate con i resti del fatiscente ordinamento pubblico.
In questa coesistenza fluida fra ordinamento regio e signorie locali spesso ebbero spazio le relazioni tecnicamente vassallatico-beneficiarie. Già fin dall'età carolingia era avvenuta una convergenza fra i rapporti di dipendenza degli ufficiali pubblici dal potere regio e il simbolismo del vassallaggio e della connessa investitura. La fedeltà dovuta al re dai conti e dai marchesi o duchi si era andata arricchendo di connotazioni proprie dell'omaggio vassallatico; e l'assegnazione delle circoscrizioni pubbliche, comitati, marche o ducati, a fedeli del re aveva assunto il carattere proprio dell'investitura di benefici, benché il contenuto di tale assegnazione non si presentasse soltanto come una rimunerazione con beni fiscali, bensì anche e soprattutto come l'esercizio di una funzione pubblica. Questa complicazione vassallatico-beneficiaria di per sé non incrinava il rapporto della dipendenza pubblica, ma anzi mirava a rafforzarla mediante il vincolo di carattere strettamente personale. Quando poi in età postcarolingia il rafforzamento locale degli ufficiali pubblici, per accrescimenti patrimoniali ed erezione di fortezze, orientò la loro potenza verso forme di dominazione signorile dinastica, il persistente rapporto vassallatico con il potere regio valse a temperare la loro aspirazione all'autonomia, mantenendo una parvenza di gerarchia di funzionari culminante nel re, sotto forma di una gerarchia di signori collegati fra loro dal simbolismo vassallatico-beneficiario e dalle obbligazioni che vi erano connesse. Il contenuto del beneficio comitale o marchionale o ducale, come già in età carolingia, era, oltre che economico, anche politico-giurisdizionale, salvo che ora la funzione pubblica, pur formalmente delegata dal re, si trasmetteva sempre più spesso per via ereditaria, così assumendo progressivamente carattere patrimoniale signorile.
La patrimonialità inerente ai poteri signorili si andò dunque configurando in due diverse forme giuridiche. Quella dei signori locali pervenuti a livello politico-territoriale per forza propria, muovendo da una prevalenza economica, era una patrimonialità allodiale, caratteristica cioè di qualsiasi proprietà piena e privata, implicante la libera disponibilità di beni e diritti. La patrimonialità invece a cui tendevano i poteri signorili conseguiti dagli ufficiali pubblici, vassalli del re o vassalli di suoi vassalli, era di carattere feudale, implicava cioè una disponibilità di beni e diritti condizionata dal rispetto di determinate norme di successione ereditaria e dalle prestazioni politico-militari dovute al senior come sovrano o come rappresentante del sovrano. Quanto ai prelati e agli enti religiosi, la patrimonialità dei loro diritti su cose e su uomini, anche dunque del loro banno signorile, aveva forma allodiale, ma implicava l'inalienabilità delle proprietà ecclesiastiche e la fedeltà e i servizi dovuti al sovrano come supremo garante e protettore delle chiese. Per comprendere quindi in un'unica formula la varietà dei modi in cui fra X e XI secolo nell'Europa di ascendenza carolingia era detenuto un potere così frammentato, non si dovrebbe a rigore parlare di un sistema feudale, e neppure propriamente di un qualsiasi sistema, bensì di una coesistenza di dominazioni signorili giustapposte e sovrapposte disorganicamente le une alle altre, fino a un vertice regio plurivalente, fluido e ambiguo nella sua difficile e contraddittoria definizione giuridica.
La peculiare patrimonialità a cui il feudo in genere e il feudo di signoria in particolare pervennero dopo il Mille, esprimeva un equilibrio fra l'aspirazione all'autonomia del vassallo-signore di fronte al suo senior e l'esigenza di collegamenti che evitassero l'isolamento giuridico in cui viveva il signore allodiale. Il feudo di signoria divenne quindi un modello a cui si guardò, nel disordine delle consuetudini signorili, per ricomporre un quadro di relazioni fra i poteri locali e regionali germinati ovunque in concorrenza fra loro e con il vertice regio. Fu un processo lento e irregolare di ricomposizione durato secoli, volta a volta spontaneo o pianificato, in tutti i regni nati dalla matrice carolingia. Per lo più furono gli stessi signori allodiali che l'uno dopo l'altro, nel cercare alleanze a propria difesa o per meglio aggredire, rinunziarono, a favore di qualche signore più potente, alla libera proprietà allodiale delle fortificazioni in cui si concentrava il loro potere di banno: cedevano l'allodialità del castello al potente, si dichiaravano suoi vassalli e riavevano il castello medesimo in feudo dal senior. L'ereditarietà del potere signorile, ormai garantita nell'istituto feudale, rimaneva pressoché inalterata rispetto al possesso allodiale anteriore, e i nuovi vincoli di fedeltà e di consilium e auxilium verso il senior erano compensati dalla sua protezione. L'espansione spontanea del rapporto feudo-vassallatico fra i centri locali di potere fu tale da coinvolgere anche le repubbliche comunali, allora in via di sviluppo soprattutto in Italia. Nonostante che i vincoli di natura personale male si adattassero alle relazioni con enti collettivi quali erano i Comuni, questi non di rado se ne valsero per esprimere la propria egemonia territoriale sulle dinastie signorili arroccate in castelli nelle aree di espansione politica delle città: ciò del resto aveva un modello approssimativo nella sottomissione vassallatica di non pochi signori alle comunità monastiche o canonicali cospicue, in uso da tempo per integrare i patrimoni di beni e diritti delle famiglie signorili con feudi ritagliati all'interno delle proprietà ecclesiastiche.In questo processo di feudalizzazione giuridica dei rapporti fra i poteri locali si inserì dal XII secolo l'iniziativa calcolata dell'autorità regia o imperiale. La monarchia francese, che si era di fatto ridotta a una piccola parte del regno, cominciò allora a ripresentarsi nelle regioni da cui la sua autorità era svanita, accendendo rapporti di vassallaggio nelle dinastie signorili che in concorrenza fra loro cercavano collegamenti politici.
Parallelamente in Germania il potere regio e imperiale si orientò verso il riconoscimento di un gruppo supremo di principi territoriali dipendenti vassallaticamente dal re e cooperanti con lui nella direzione politica del mondo teutonico. Il medesimo potere imperiale tedesco andò moltiplicando nell'Italia centro-settentrionale un rapporto personale diretto con le dinastie comitali e marchionali che il movimento comunale cittadino mortificava. In tutti questi casi al rapporto personale del principe o signore con il sovrano corrispondeva l'assunzione del territorio signorile o di una sua parte nella rete delle subordinazioni feudali. A questo quadro si aggiunga il rigido ordinamento feudo-vassallatico che già sappiamo imposto in Inghilterra dalla dinastia normanna conquistatrice.Sarebbe tuttavia errato pensare che il molteplice orientamento dei regni dell'Occidente europeo verso un assetto politico fondato sulle gerarchie feudali si sia sviluppato organicamente. Contemporaneamente alla moltiplicazione dei legami feudo-vassallatici a contenuto politico, si manifestò ovunque, nei regni e nei principati dipendenti e nelle repubbliche comunali, una graduale ricostruzione di gerarchie di funzionari amovibili per l'amministrazione diretta dei territori non infeudati e per il controllo di quelli infeudati. Si andò così delineando la struttura composita degli Stati funzionanti nei primi secoli dell'età moderna mediante la giustapposizione di feudi di signoria, di residue autonomie comunali e di territori amministrati direttamente dal governo centrale, salvo che lo sviluppo dell'assolutismo monarchico ridusse via via il contenuto politico-giurisdizionale del feudo a profitto della burocrazia regia, fino alle soppressioni dell'ultimo Settecento.
Si può dunque concludere che uno Stato organicamente feudale, nel senso di una gerarchia di signorie territoriali, coordinate fra loro a costituire la compagine di un regno, nell'Occidente europeo fu sempre incompleto. Quando nel corso dell'età carolingia il rapporto vassallatico-beneficiario si andò generalizzando entro la gerarchia degli ufficiali pubblici culminante nell'imperatore o in ciascun re, quel rapporto non aveva il significato di un raccordo fra signorie, perché l'ufficio comitale o marchionale o ducale si configurava ancora come servizio pubblico revocabile secondo le esigenze dell'impero o del regno. Successivamente, via via che tale ufficio mostrò di trasformarsi in una dominazione dinastica, il territorio della circoscrizione corrispondente si andò disgregando e riducendo o anche allargando, sempre in forme geograficamente irregolarissime e spesso discontinue, per l'infittirsi delle immunità connesse con i grandi patrimoni fondiari, per il moltiplicarsi delle fortezze esercitanti il banno locale e per la conflittualità militare fra tutti i poteri sia tradizionali sia di nuova formazione nell'intera area dei regni. Quando poi, nelle aree periferiche del mondo latino-germanico e nel faticoso processo di ricomposizione dei regni continentali o dei grandi principati territoriali al loro interno, sembrava delinearsi una struttura più sistematicamente feudo-signorile, il processo avvenne in concorrenza con la ricostruzione di una rete di funzionari che controllò via via tutte le autonomie e sempre più le ridusse nella loro estensione geografica e nei loro contenuti.
Fin dai primi dibattiti settecenteschi sulle strutture feudo-signorili si manifestò la contrapposizione fra gli assertori del feudalesimo latino-germanico come esperienza unica nella storia universale (Montesquieu) e i teorizzatori del feudalesimo come fase ricorrente nella storia dei popoli (Vico, Voltaire). In verità la dilatazione sociologica del concetto feudale è tanto più agevole quanto più si riduca alla constatazione che vi sono state spesso nel mondo entità politico-territoriali di notevole ampiezza, prive di rigidezza amministrativa e comprendenti in sé sfere di dominazione regionale dotate di larga autonomia. In questo significato generico si possono individuare sistemi cosiddetti feudali altrettanto incoerenti nella loro struttura signorile quanto furono i regni dell'Occidente medievale e moderno, ma talvolta fors'anche meno incoerenti di essi. L'antico Egitto conobbe in più fasi della sua storia crisi profonde della propria unità, ma quando nel XXIII secolo e poi nel XVII e fra l'VIII e il VII a.C. i principi territoriali si moltiplicarono accanto al potere del faraone, con le complicazioni sacerdotali peculiari di quella civiltà, non risulta che il frazionamento, pur nelle sue incontestabili violenze e irregolarità, si sia attuato nel modo abnorme e spesso informe, radicalmente contraddittorio e capillare, che fu proprio di gran parte dell'Occidente europeo intorno al Mille.
Similmente nell'antica Cina, dall'VIII al IV secolo a.C., l'Impero conobbe al suo interno le investiture di numerosi principati ereditari di varia estensione, largamente autonomi e spesso in guerra fra loro, investiture ritualizzate entro il culto dovuto al dio del territorio concesso al principe. Fu in questa Cina politicamente feudale che, trascorrendo dall'uno all'altro principato e per qualche tempo operando anche come alto ufficiale di un principe, Confucio diffuse il suo insegnamento morale e politico. Il confucianesimo anzi risultò così legato all'esperienza feudale, da apparire pericoloso nel successivo avvento di un impero centralizzato e da provocare la distruzione, per decreto imperiale, degli scritti di ispirazione confuciana. Si avvicendarono poi secoli di decomposizione politica, di invasione di nomadi, di riunificazione statale, non senza influenza su regioni vicine, fra le quali il Giappone. Qui il modello imperiale cinese si innestò su tradizioni patriarcali e gentilizie, dando vita a un'amministrazione unitaria prematura, che presto si tradusse, dal IX secolo in poi, in una feudalità politica eterogenea, dotata di cospicua base terriera e sempre variamente intrecciata, fino alla restaurazione imperiale del secolo scorso, con residui o nuovi spunti di ordinamento pubblico intorno a un'autorità centrale a sua volta mutevole nella struttura di potere e nel suo funzionamento: qualcosa di analogo, anche nell'impiego di una clientela militare formata dai già ricordati samurai, alle intricate vicende politico-feudali di taluni regni del Medioevo europeo, senza che tuttavia si possa riscontrare anche nel mondo nipponico quella moltiplicazione di signorie politico-giurisdizionali di estensione strettamente locale, ma di carattere territoriale e non puramente fondiario, che ben conosciamo in tutto il nostro Occidente.
Il concetto di una feudalità politica come sistema di signorie territoriali viene applicato di solito anche al mondo islamico, per il decomporsi dell'immenso Impero arabo, dall'VIII secolo in poi, in emirati autonomi, divenuti spesso entità statali del tutto indipendenti; e anche al vasto principato di Kiev, articolatosi fra l'XI e il XIII secolo in principati minori, assegnati ai vari membri della famiglia principesca, rivali fra loro nell'aspirazione al 'seniorato'; e più in generale a tutti gli imperi che subirono processi di disgregazione. Ha cercato di mettere ordine in queste applicazioni, in un intento congiuntamente storico e sociologico, il saggio pubblicato da Otto Hintze nel 1929 intitolato Wesen und Verbreitung des Feudalismus, teorizzando come autentico feudalesimo, in senso politico-signorile, non già una fase storica necessaria nello sviluppo dei popoli, bensì più propriamente quella in cui vennero a trovarsi i popoli che, su uno sfondo di economia a base agraria e di un clientelismo militare, furono sollecitati da esperienze esterne a interrompere la normale e graduale evoluzione da situazioni tribali a sistemazioni statali, improvvisando un imperialismo a orientamento ideologico universale, imperfettamente istituzionalizzato e perciò destinato a tradursi in un particolarismo diffuso.
È un modello teorico manifestamente costruito sull'esperienza storica del mondo carolingio e postcarolingio, dove l'istituzione imperiale rappresentò l'incontro fra l'espansione militare dei Franchi, provocata dalle tensioni con le altre stirpi germaniche, e l'ideologia universalistica di ascendenza romana. Le analogie sono chiare con la nascita dell'imperialismo arabo da un mondo tribale internamente aggressivo e deviato verso orizzonti sconfinati dall'incontro con l'universalismo monoteistico di matrice ebraico-cristiana. Qualche aspetto comune vi è pure con la vicenda di Kiev, dove l'aggressività del nucleo dominatore normanno non creò un vero impero unitario, ma fu certo influenzato, attraverso la conversione religiosa, dall'universalismo bizantino. Le vicende cinesi risultano assimilabili solo in parte al modello, quando testimoniano il carattere politicamente prematuro di talune costruzioni imperiali, certamente dotate di ideologia universalistica, ma in verità imperniate non sul clientelismo militare, bensì sull'amministrazione civile dei mandarini. Il caso giapponese può rientrare nel modello teorizzato in quanto, muovendo da una società di tipo rurale e da un'aristocrazia guerriera, subì d'un tratto l'incidenza dell'idea statale cinese, che non resistette a lungo alle pressioni del particolarismo.
Questa teorizzazione ingegnosa del feudalesimo politico-signorile richiede tutta una serie di aggiustamenti per far rientrare i singoli casi entro il tipo proposto, ma evita ciò che vi è di eccessivamente generico nell'uso del termine 'feudale' per ogni esperienza politico-territoriale imperniata sulla coesistenza di un vertice regio con l'autonomia di stirpi dinastiche o di comunità religiose. L'idea di una deviazione prematuramente imperiale rispetto a un più normale sviluppo delle istituzioni politiche evita il dogma di un evoluzionismo inesorabile e contribuisce peraltro a mediare, in una pluralità di casi documentabili, fra l'esigenza di individuazioni storiche rigorose e la constatazione di analogie di percorso che sollecitano, per una valutazione adeguata dei processi creativi stessi, procedimenti di comparazione. Appare così confermato dalla comparazione che il feudalesimo politico europeo scaturì dall'azione corrosiva esercitata reciprocamente dalle esperienze germaniche e dalle tradizioni mediterranee, rinvigorite le une e le altre dalla costruzione imperiale effettuata dalle aristocrazie franche in simbiosi con l'ordinamento ecclesiastico-romano. E nel tempo stesso appare chiarito che il risultato della disgregazione e della liberissima riplasmazione si manifestò in modi peculiarissimi rispetto a ogni altra esperienza pur comparabile nella storia universale, perché la sovrapposizione intimamente eterogenea di diversi modi di concepire e di vivere i rapporti di potere condusse, nei secoli centrali del nostro Medioevo, a un groviglio di diritti e giurisdizioni signorili, che si espresse caso per caso con una meticolosità pari spesso alla loro incongruenza e non riscontrabile nei cosiddetti feudalesimi politici di altre civiltà, un groviglio di cui il simbolismo feudo-vassallatico fu solo, e non in tutti i casi, un aspetto.
Quella che nella trasposizione storiografica dell'idea feudale era divenuta, divergendo dal rigore del linguaggio giuridico, una categoria politico-istituzionale di contenuto signorile, subì un'ulteriore alterazione nelle correnti di pensiero che approfondirono l'esame dello sviluppo economico europeo. L'alterazione fu resa possibile sia dal rilievo che sempre si diede negli studi sulle clientele vassallatiche altomedievali alla struttura agraria delle rimunerazioni beneficiarie, in un mondo di scarsa circolazione monetaria, sia dall'attenzione crescente, nelle interpretazioni politico-signorili del feudalesimo, all'innestarsi delle signorie locali sul grande possesso fondiario. Quando poi si giunse, con le teorie di Marx e di Engels, a interpretare le strutture politico-istituzionali in genere come sovrastrutture della realtà socioeconomica, il rilievo tradizionalmente conferito al momento economico-agrario nella formazione dei vincoli vassallatico-beneficiari e nello sviluppo dei poteri signorili locali si tradusse nello spostamento concettuale del termine feudalesimo, a significare un sistema di produzione imperniato sulla grande proprietà agraria e sulla sua egemonia nel mondo del lavoro, fosse o no espressa questa egemonia in rapporti giuridicamente clientelari e nell'esercizio privato di poteri di natura pubblica.
Non però che questo mutamento concettuale abbia fatto obliterare il significato vassallatico-beneficiario del termine, né quello territoriale-signorile. È perciò avvenuto, ad esempio, nel congresso tenuto nel 1978 presso l'École française de Rome su Structures féodales et féodalisme dans l'Occident méditerranéen, che si siano intrecciate liberamente le relazioni più diverse per natura e contenuto, dagli interventi rigorosamente fedeli al tema del vassallaggio e dei connessi benefici, ai contributi attinenti al problema delle articolazioni signorili nell'ordinamento politico, alle ricerche di interesse schiettamente economico sulle forze produttive nel régime domanial (il 'sistema curtense' della terminologia italiana) o sullo sviluppo delle aziende curtensi in Italia. Ma poiché si tratta di discorsi diversi, occorre considerare anche il feudalesimo di significato socioeconomico entro una tematica sua propria, che è quella del funzionamento del grande possesso fondiario nel contesto del mondo rurale in età medievale e preindustriale.
Nell'Occidente europeo di ascendenza romana la grande proprietà fondiaria, sia delle famiglie potenti, sia delle chiese cospicue, era già ben presente nella tarda antichità e nei primi secoli del Medioevo, ma risulta in costante accrescimento in età carolingia rispetto alla popolazione dei piccoli allodieri, aventi possessi propri, i quali tuttavia non scomparvero, pur riducendosi di numero per la diffusa tendenza a cercare la protezione dei potenti mediante la trasformazione del piccolo allodio in terra tributaria entro la proprietà signorile. I grandi patrimoni erano articolati in più aziende agrarie, le corti (curtes), e queste amministrativamente erano per lo più bipartite, divise cioè fra la riserva padronale, a conduzione diretta mediante manodopera servile (gli schiavi prebendari), e il massaricio a conduzione indiretta per mezzo sia di schiavi casati sia di uomini liberi, forniti gli uni e gli altri di poderi e di una certa autonomia di gestione.
A seconda del tipo di produzione, prevalentemente pastorale, o a colture specializzate, o a prevalenza cerealicola, la riserva e il massaricio potevano essere fra loro indipendenti, con obbligo per i coltivatori del massaricio di contribuire al reddito signorile soltanto con il pagamento di un censo in natura e parzialmente anche in denaro, oppure si costituiva invece un rapporto economico più o meno intenso fra le due parti della corte, ed è questo il sistema curtense storiograficamente denominato classico, quando cioè il massaro, fosse schiavo o fosse libero, contribuiva a favore del signore, oltre che col censo pagato per le terre avute in godimento, anche mediante periodiche giornate o parecchie settimane all'anno di lavoro sulla riserva padronale.
Questi sistemi di gestione della grande proprietà implicavano, insieme con i diritti di carattere economico, anche poteri di varia intensità sugli uomini. Ciò anzitutto per la condizione dei servi, perché nelle campagne la schiavitù, pur se numericamente in dimensioni meno ampie che nell'antichità, durò per tutto l'alto Medioevo e talvolta anche oltre e significò sempre lesione gravissima della dignità della persona, sottoposta all'arbitrio del padrone per quanto riguardava sia le punizioni - normalmente corporali e senza procedure formali nella loro applicazione, qualunque fosse la natura della colpa imputata -, sia tutta la sfera dei rapporti privati, dal controllo delle unioni carnali e dalla sorte che toccava alla prole, alla precarietà del peculio consentito o ritolto.
L'esercizio del potere sui servi, considerato inerente al dominio privato sulle loro persone, si inseriva in realtà a tal punto, come modello di riferimento, nel funzionamento della gestione economica, da costituire una tentazione, per il signore e per i suoi agenti, ad allargare in senso coercitivo anche la sfera di azione sui coltivatori giuridicamente liberi, ma entrati in rapporto di dipendenza economica in un contesto curtense, specie quando il rapporto sussistesse da più generazioni.
La consuetudine di lavoro di una famiglia contadina sui fondi del grande proprietario, sotto la direzione o la vigilanza dei suoi agenti nella complessa struttura della corte agraria e a fianco della manodopera servile, abituava alla sottomissione anche di fronte a richieste di contributi straordinari al signore per ogni sua urgente necessità, o per ottenerne il consenso a un matrimonio con persona estranea al gruppo curtense, o per succedere nei beni già in godimento nella famiglia. La sottomissione poteva anche manifestarsi come dovere di ospitare il signore o qualche suo rappresentante in occasione del loro passaggio nella località, o come ricorso al potere signorile per dirimere questioni attinenti ai rapporti agrari o alla convivenza civile nella corte. Nascevano così, zona per zona, specifiche consuetudini curtensi implicanti un potere signorile che interferiva in tutta la vita dei lavoratori dipendenti. Si noti che questo processo, di cui è difficile indicare l'origine, anche perché si riproduceva ogni volta che si determinava un rapporto duraturo fra il signore fondiario e i coltivatori non soggetti a schiavitù personale, era così strettamente connesso con la struttura della corte come entità economica, da non essere di per sé percepito come acquisizione di poteri di natura pubblica da parte di signori privati. E quando oggi i teorici del feudalesimo socioeconomico pongono l'esercizio di un potere signorile fra i segni distintivi del sistema feudale, non tanto intendono riferirsi alla signoria locale di banno, come l'abbiamo definita trattando del feudalesimo politico-istituzionale, cioè come potere territoriale per lo più incentrato su una fortezza, quanto piuttosto pensano agli elementi di coazione formatisi spontaneamente nella regolazione dell'attività produttiva del grande possesso fondiario, in assenza degli o in parallelo con gli sviluppi politici della signoria rurale.
Per quanto concerne l'Occidente europeo in età postcarolingia, è lecito parlare di parallelismo tra l'assetto fondiario e l'assetto territoriale della potenza signorile, anche se la formazione di una dominazione territoriale, soprattutto se di dimensioni locali, presupponeva normalmente una prevalente base fondiaria del signore nella zona da lui dominata.
E di parallelismo si può parlare per un duplice rispetto. Ci fu infatti non di rado competizione, in una medesima zona, nelle pressioni esercitate sui contadini per sottoporli all'imperio signorile e alle contribuzioni straordinarie, fra le signorie che raggiunsero sulla zona il predominio militare e quelle rimaste in essa puramente allo stadio fondiario. E ci fu simultaneamente un parallelismo nei mezzi usati per l'esercizio del potere signorile, anche all'interno dello stesso assetto curtense, ogni volta che la corte signorile si estese fino a incorporare anche quei piccoli allodieri circostanti, trasformati in dipendenti a contratto, che mantenevano intatta la coscienza della propria libertà personale e nell'aderire alla signoria ne accettavano il potere coercitivo solo in forme analoghe a quelle dell'autorità pubblica, soprattutto nei procedimenti giudiziari: si ebbero così nell'ambito curtense placiti signorili (processi giudiziari diretti dal signore o da un suo rappresentante) riservati alla popolazione libera pertinente alla corte signorile e strutturati a imitazione dei placiti pubblici tenuti dai conti o da altri ufficiali del regno; ciò in parallelo e in contrasto con il trattamento a cui era soggetta nel medesimo complesso curtense la manodopera servile e semiservile. Ma ciò avveniva in un contesto rurale dove, sul finire dell'alto Medioevo, la nozione di servitù personale si andava a sua volta trasformando.
Il mutamento avvenuto intorno all'XI secolo nella nozione di servus è uno dei segni più profondi dell'evoluzione dei sistemi curtensi, di per sé inclini all'autosufficienza economica, verso forme più libere e aperte di gestione della ricchezza signorile.Dopo l'incorporazione dei Sassoni nella dominazione dei Carolingi, l'assenza di guerre di espansione aveva interrotto nell'impero e nei regni che ne derivarono il principale apporto non solo all'incremento, ma anche alla semplice conservazione numerica della schiavitù, ridotta ormai ad alimentarsi essenzialmente mediante la sua trasmissione ereditaria, una trasmissione ostacolata, oltre che da singole affrancazioni per ragioni di pietà umana e religiosa, dalla condizione precaria dei nuclei familiari servili con le sue presumibili conseguenze demografiche. È vero, d'altra parte, che quando uno schiavo discendeva da schiavi di una stessa signoria, una consuetudine di rapporti poteva attenuare l'arbitrio del potere padronale, specie quando le difficoltà di gestione diretta della riserva curtense suggerirono di incrementare la gestione indiretta e di introdurvi anche schiavi tratti dalla riserva. In questi casi la relativa autonomia di cui i poderi tributari godevano, avvicinò di fatto la condizione degli schiavi che li gestivano a quella dei massari liberi. E quando fra il X e l'XI secolo si ebbe l'impianto graduale della signoria locale di banno su tutti i residenti nella zona che essa proteggeva, fossero piccoli allodieri o affittuari o massari liberi o schiavi, la distinzione tra libertà e schiavitù nel mondo contadino si ridusse ulteriormente e si orientò verso la formazione di peculiari ceti rurali di origine giuridicamente mista, ceti non di rado qualificati dalle fonti con il nome di servi per le limitazioni che il signore fondiario e il signore locale imponevano alla loro libertà di azione; erano dei 'non liberi' che in realtà vivevano in una condizione giuridica ben diversa da quella tradizionale degli schiavi, e per distinguere la loro condizione di 'non libertà' dalla schiavitù si è introdotto nella storiografia il termine di 'servaggio'. Poiché d'altra parte la loro soggezione servile era in più casi mediata dalla residenza sui beni fondiari di proprietà signorile, o per lo meno sul territorio su cui il banno signorile si esercitava, è invalso l'uso di indicarli come 'servi della gleba', denominazione giuridicamente scorretta se estesa ai molti homines de corpore od homines proprii, limitati anch'essi nella loro libertà, ma legati personalmente al padrone, pur senza essere schiavi.
Fu l'età del cosiddetto servaggio e delle sue ambiguità giuridiche e socioeconomiche quella che vide la signoria fondiaria partecipare in Occidente in modo sempre più attivo al grande processo di dissodamento dei terreni incolti fino a tutto il XIII secolo, in concomitanza con un intenso sviluppo demografico, e la vide adattarsi all'economia di mercato che aveva ormai i suoi centri propulsori nelle città.
Se la diffusione del servaggio in Occidente, nella sua multiforme manifestazione durante i secoli centrali del Medioevo, caratterizzò una fase ulteriore dei sistemi curtensi rispetto a quella altomedievale, che aveva conosciuto una larga coesistenza della schiavitù con altre forme di subordinazione contadina alla dominazione signorile, la crisi del servaggio può a sua volta assumersi a segno di un deciso orientamento della grande proprietà verso modi di funzionamento meno direttamente coercitivi. Le grandi affrancazioni collettive dai limiti imposti alla libertà personale dei ceti rurali cominciarono nel XIII secolo e si protrassero nell'età moderna, sopprimendo gli oneri di assai varia natura che si aggiungevano, come conseguenza della protezione signorile, alle prestazioni e ai censi dovuti in corrispettivo del godimento economico della terra altrui. La via era aperta allo sviluppo del salariato, in concomitanza con la crescente commercializzazione della terra, la penetrazione progressiva di elementi cittadini nel ceto padronale delle campagne, la commutazione di prestazioni d'opera agricola con censi spesso ormai in moneta. Significativa fu la sorte delle comunità rurali a tendenza autonoma, cresciute all'ombra del potere signorile, via via riconosciute nelle consuetudini tradotte in carte locali di inquadramento e di libertà, ma sempre più spesso a contatto diretto con l'apparato statale sovrapposto all'ordinamento signorile.Nelle trasformazioni che l'economia signorile subì in Occidente durante la transizione dal Medioevo all'età moderna, operarono le forze generatrici del capitalismo europeo, dallo sviluppo del grande commercio e del credito finanziario al moltiplicarsi delle iniziative imprenditoriali connesse con la concentrazione dei capitali. Ma per secoli, fino alla rivoluzione industriale, le innovazioni economiche spesso convissero con i declinanti sistemi rurali di tradizione signorile, non senza ricorso a grandi affittuari per dare efficienza anche all'esercizio dei diritti consuetudinari e della coercizione extraeconomica, oltre che per una conduzione più razionale delle fattorie.
Le fasi dell'ampia evoluzione sperimentata dai sistemi curtensi fino alla loro disgregazione entro l'economia di orientamento capitalistico conobbero variazioni notevoli entro il quadro complessivo dell'Occidente europeo, indipendentemente dalla maggiore o minore diffusione del simbolismo feudo-vassallatico e in correlazione mutevole anche con il feudalesimo politico-istituzionale.Il perfezionamento della bipartizione fra riserva signorile e poderi tributari mediante il nesso economico fra le due parti della corte, nesso realizzato dall'apporto di lavoro dei massari a profitto della riserva, ebbe il suo epicentro nella Gallia dei Franchi e si estese con varia intensità in Europa per le conquiste carolinge, prendendo a modello i grandi patrimoni fiscali ed ecclesiastici. Al di là della Manica si innestò efficacemente, con la conquista normanna, su analoghi precedenti anglosassoni. In tutte le regioni d'Italia di ascendenza bizantina pare fosse assente; e così pure nel Mezzogiorno longobardo, oltre che in quello bizantino, fino alla conquista normanna, dopo la quale si conoscono manifestazioni concomitanti con la feudalizzazione politico-istituzionale: segno probabile di una molteplice influenza tardiva delle consuetudini ancorate nella tradizione franca.
Quanto alle situazioni createsi con la scomparsa della schiavitù rurale e la diffusione dei vari tipi di servaggio, un particolare rilievo assunsero le complicazioni procedenti dallo sviluppo cittadino nell'Italia centro-settentrionale, dove l'ampia espansione politico-militare delle repubbliche comunali sul contado incise sui rapporti fra signori e contadini: dapprima con un certo equilibrio fra le esigenze di approvvigionamento delle città e gli interessi conservatori di un ceto signorile presente spesso simultaneamente in città e in campagna; poi decisamente in senso avverso a tutti i vincoli del servaggio rurale, ostacolo alla pienezza di iniziative dei ceti urbani in tutto l'ambito territoriale dominato dal comune cittadino e sottoposto a nuove forme private di controllo economico del lavoro contadino.In contrasto con questi precoci mutamenti italiani e con il generale estinguersi del servaggio nell'Occidente europeo, si delineò alla fine del Medioevo nei territori di colonizzazione tedesca recente, oltre l'Elba, la formazione di signorie di cavalieri a carattere compattamente fondiario e giurisdizionale, aperte ai profitti commerciali, ma funzionanti con vari tipi di un servaggio destinato a durare fino al principio del XIX secolo. È il cosiddetto secondo servaggio, analogo a quello documentabile per gli stessi secoli in gran parte del bacino danubiano e nelle aree slave dell'Europa centro-orientale, in regioni estranee all'evoluzione occidentale, dall'economia signorile a componente schiavista fino alla crisi dei sistemi curtensi.Anche le situazioni signorili riscontrabili fuori d'Europa presentarono talvolta analogie con i sistemi imperniati sul servaggio, pur risultando da percorsi diversi da quello europeo occidentale: ciò vale per l'antico Egitto nei periodi di massimo sviluppo del grande possesso fondiario, con attrazione sui possessori minori ma senza derivazione da un'economia largamente schiavista; vale per il colonato del tardo Impero romano ma in rapporto con una legislazione costrittiva; mentre nelle millenarie vicende del mondo cinese e giapponese le condizioni di dipendenza personale o fondiaria dal grande proprietario risultano di definizione altrettanto varia che nel cosiddetto feudalesimo europeo, ma di difficile comparazione con esso per la forte incidenza delle istituzioni imperiali.
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