FIAMMIFERO (fr. allumette; sp. cerilla, fósforo; ted. Streichholz, Zündholz; ingl. match)
Stelo di materia combustibile con capocchia formata di sostanze che prendono fuoco se strofinate su una superficie ruvida o spalmata di miscele speciali.
L' uso del fiammifero risale a epoca relativamente recente. Fino ai primi decennî del sec. XIX, infatti, si usavano, per l'accensione, acciarino e pietra focaia con esca, o anche stecchini di legno impregnati di zolfo. Nel campo chimico, però, già fin dal 1680, G. Haukwitz, lavorando sotto la direzione di R. Boyle, che in quel tempo aveva scoperto il modo di preparare il fosforo, pensò di servirsi di piccoli pezzi d; fosforo, infiammati per strofinamento, per accendere pezzetti di legno impregnati di zolfo. Questo mezzo di accensione (fiammifero chimico) non passò nell'uso comune, perché pericoloso a usarsi, e per l'alto costo del fosforo. Nel 1805 fu preparato dallo Chancel, assistente di L. J. Thénard a Parigi, un diverso tipo di fiammifero chimico; consisteva in un legnetto, impregnato di zolfo e recante una capocchia composta di clorato di potassio e zucchero, il quale s'infiammava immergendolo in una bottiglietta contenente acido solforico. Altre applicazioni del medesimo principio si ebbero nel 1823 con la lampada di Döbereiner, di J. U. Döbereiner, e nel 1832 con il Promethean di S. Jones. Questo genere di fiammiferi non ebbe largo uso, e veniva sostituito dai fiammiferi chimici accendibili per strofinamento, chiamati Congreves in onore di W. Congreve, inventore dei razzi, fabbricati e venduti dapprima in Inghilterra (1827) da J. Walker, droghiere di Stockton-on-Tees: erano formati di uno stelo impregnato di zolfo e fornito di una capocchia contenente solfuro di antimonio, clorato di potassio e gomma, e venivano accesi per strofinamento su una striscia di carta vetrata. Verso il 1830, fiammiferi chimici simili a questi vennero introdotti anche in altri paesi e il merito della loro invenzione fu disputato fra molti. Da alcuni è attribuito al francese Ch. Sauria, da altri al tedesco J. F. Kammerer, da altri ancora agli austriaci J. Preschel e S. Röhmer, al tedesco F. Moldenhauer, all'italiano S. Valobra. È facile però supporre che tutti questi non abbiano fatto che far conoscere nei rispettivi paesi, magari con qualche modificazione, il fiammifero alla Congreve. Comunque è certo che intorno a quest'epoca ebbe inizio appunto la produzione su scala industriale.
In generale, i fiammiferi in uso a quest'epoca portavano capocchie composte di fosforo bianco, clorato di potassio, colla e altre materie aventi la proprietà di sviluppare prontamente ossigeno e agevolare la combustione. La presenza del fosforo bianco in queste composizioni le rendeva fortemente velenose, e per di più dava luogo durante la manipolazione allo sviluppo di emanazioni fosforiche, che provocavano negli operai addetti all'industria fenomeni d'intossicazione, noti sotto il nome di fosforismo e talvolta anche la necrosi fosforica (v. fosforo). La scoperta del modo di produrre il fosforo rosso o amorfo, che è meno velenoso del fosforo bianco e non dà luogo a emanazioni nocive, segna un'importante innovazione nei metodi di fabbricazione dei fiammiferi. L'uso del nuovo prodotto fu studiato e brevettato nel 1844 da G. E. Pasch, svedese, quando ancora esso era conosciuto come un ossido di fosforo; l'applicazione pratica ne fu fatta l'anno stesso da J. E. Lundström, pure svedese di Jönköping, che iniziò la produzione di un nuovo tipo di fiammiferi, detti appunto svedesi: la capocchia di essi è formata principalmente di clorato di potassio, colla, solfuro di antimonio e sostanze sviluppanti ossigeno; il fosforo amorfo è contenuto in una miscela che viene spalmata sui fianchi della scatola, e i fiammiferi si accendono soltanto se strofinati su questa miscela, sono detti perciò fiammiferi di sicurezza, o anche amorfi. Il nuovo ritrovato diede luogo alla nascita e al rapido sviluppo dell'importante industria svedese, della quale la città di Jönköping fu il centro più importante (ad A. Lagerman della stessa città fu pure dovuta la macchina da fiammiferi che è in uso tuttora con pochi perfezionamenti).
Tuttavia i fiammiferi a fosforo bianco continuavano a essere fabbricati e usati specialmente nell'Europa meridionale. Intorno al 1900 furono bensì studiate e brevettate diverse altre composizioni prive di fosforo bianco, fra cui importanti industrialmente le composizioni a base di sesquisolfuro di fosforo, prodotto non velenoso e che non sviluppa emanazioni fosforiche, adottate primamente in Francia sin dal 1897 e le composizioni a base di fosforo amorfo opportunamente trattato con speciali metodi, studiate intorno al 1900 dai fratelli L. e A. Purgotti di Perugia. Poiché però l'uso di simili composizioni stentava a generalizzarsi, per lottare contro il fosforismo e la necrosi fosforica fu propugnato un accordo internazionale, in virtù del quale l'uso del fosforo bianco per la fabbricazione di fiammiferi avrebbe dovuto essere vietato in tutti i paesi. Due conferenze internazionali seguirono a Berna negli anni 1905 e 1906, frutto delle quali fu la convenzione di Berna (26 settembre 1906). Con essa Francia, Germania, Danimarca, Olanda, Svizzera e Lussemburgo s'impegnarono al divieto dal 1° gennaio 1912: seguirono poi le altre nazioni, cui era assegnato un termine da 3 a 5 anni per l'applicazione del divieto; fra esse l'Inghilterra nel 1908, la Svezia nel 1920, la Cecoslovacchia e l'Austria nel 1921, il Belgio nel 1922. L'Italia aderì alla convenzione di Berna il 6 luglio 1910 e col 1914 avrebbe dovuto applicare l'interdizione di cui si è detto; tuttavia a causa della guerra e soprattutto per la mancanza di materie prime, tale interdizione fu sancita soltanto il 31 dicembre 1920 con vigore dal 1° gennaio 1921.
Gli Stati Uniti d'America non hanno finora adottato leggi inibenti l'uso del fosforo bianco per i fiammiferi; ma praticamente hanno raggiunto lo scopo con l'applicazione di una tassa molto elevata sul tipo di fiammiferi (zolforati) per i quali era maggiormente usato il fosforo bianco, e concedendo l'importazione (sempre con dazio assai elevato) soltanto ai fiammiferi di sicurezza.
I tipi di fiammiferi oggi in uso possono essere classificati, per quanto riguarda la capocchia, in fiammiferi a capocchia fosforica, che si accendono per strofinamento su qualunque superficie ruvida, e fiammiferi a capocchia senza fosforo (amorfi) che si accendono solo se sfregati su una superficie spalmata di miscela fosforica.
Con riguardo allo stelo, in: cerini, in cui lo stelo consta di un lucignolo di cotone impregnato e rivestito di uno strato di miscela stearica; legnetti, in cui lo stelo è formato da un fuscello di legno, impregnato a un'estremità con paraffina fusa (fiammiferi paraffinati) o con zolfo liquefatto (fiammiferi solforati); fiammiferi di cartone, il cui stelo è formato di cartone speciale, impregnato a un'estremità di paraffina fusa. Un tipo speciale è rappresentato dai fiammiferi controvento, costituiti da uno stelo di legno che porta una grossa capocchia formata di materie atte a bruciare con fiamma assai viva, resistente al vento; questa capocchia alla sua estremità è ricoperta da una goccia delle solite miscele infiammabili, che accendendosi per strofinamento ne provoca la combustione; il tipo è usato specialmente in automobilismo e aviazione, e in genere in quelle circostanze nelle quali i soliti fiammiferi non possono rimanere accesi a causa di forti correnti d'aria.
Fabbricazione. - Le materie prime che si usano nella fabbricazione sono: per lo stelo dei fiammiferi di legno: legname in tronchi (si usano il pioppo nelle diverse varietà, la remula, l'abete e altre piante simili); paraffina, bifosfato di ammonio, zolfo; per lo stelo dei fiammferi di cera: filato di cotone, gomma Manilla o Damar, stearina; per lo scatolame: cartoncini e carte diverse, legno di pioppo in tronchi, amidone, allume di rocca, granetta di vetro, sabbie di mare, colle per cartonaggi, anellini di gomma elastica; per le miscele infiammabili: materie combustibili (fosforo amorfo, sesquisolfuro di fosforo, zolfo, solfuro di antimonio, gomma arabica o Senegal, colle forti, colofonia); materie comburenti (clorato di potassio, biossido di manganese, bicromati di potassio); materie inerti (ossido di zinco, carbonato di calcio, vetro in polvere, farina fossile, scagliola e simili); infine coloranti diversi.
Fabbricazione dei fiammiferi di legno. - Il tronco d'albero, che deve essere senza nodi e non stagionato, viene segato meccanicamente (fig.1) in pezzi lunghi da 40 a 80 cm. Questi vengono scortecciati, indi passano alla macchina sfogliatrice (fig. 2), che si compone essenzialmente di due robusti pernî (p) che tengono saldamente il cilindro di legno e gl'imprimono un movimento di rotazione sul suo asse in un piano orizzontale; e di una lama (l) lunga quanto il cilindro stesso, in posizione parallela all'asse del medesimo e animata da un movimento di avanzamento graduale, la quale incidendo la superficie del cilindro lungo una generatrice, ne ricava col girare del cilindro su sé stesso un foglio di legno di spessore uguale a quello di un fiammifero; questo a sua volta può essere diviso in due o più strisce da uno o più coltelli (c) che lavorano in senso perpendicolare alla lama (l). Queste strisce sovrapposte una all'altra in buon numero, vengono poi introdotte nella macchina tagliatrice (fig. 3) che si compone di un congegno di avanzamento (a) che spinge avanti la massa dei fogli di legno a piccoli scatti, per circa 2 mm. alla volta (spessore di un fiammifero); e di un apparecchio di taglio, formato da una serie di coltelli (c) che incidono in senso longitudinale la massa dei fogli di legno, dividendone la larghezza in segmenti lunghi quanto un fiammifero, e di una lama (l) che trancia in senso trasversale la massa dei fogli; si ricavano così i fuscelli che formeranno lo stelo dei fiammiferi.
Dopo il taglio i fuscelli vengono asciugati, facendoli passare in essiccatoi nei quali circola aria calda; talvolta però prima dell'essiccamento vengono sottoposti a un bagno a base di bifosfato di ammonio, che ha lo scopo di evitare che il legno rimanga incandescente dopo la combustione; i fiammiferi che hanno subito questo trattamento sono detti impregnati. Dall'essiccatoio i fuscelli passano a un rullo pulitore e successivamente a un vaglio, per la pulitura e l'eliminazione dei frammenti, delle schegge e dei fuscelli di dimensioni non normali; indi, a mezzo di macchine ordinatrici vengono raccolti e ordinati in apposite cassette, mediante le quali si effettua il carico dei fuscelli nelle macchine continue (fig. 4). Queste constano principalmente di un largo nastro continuo (n) formato di una serie di piastre metalliche nelle quali sono praticate file di fori di diametro leggermente inferiore alla sezione di un fuscello; questo nastro occupa tutta la lunghezza della macchina, e con diversi giri forma un circuito chiuso, lungo il quale le piastre si spostano gradatamente, scorrendo lungo guide laterali; di un congegno di caricamento (c) dal quale i fuscelli, attraverso una tramoggia e una piastra scannellata, vengon conficcati entro i fori del nastro continuo, rimanendo ritti e allineati in file; di un meccanismo per applicare lo zolfo o la paraffina (p), dal quale i fuscelli portati dal nastro continuo vengono immersi in un bagno di paraffina fusa (per i fiammiferi paraffinati) o di zolfo liquefatto (per i fiammiferi zolforati); di un meccanismo incapocchiatore (i) nel quale i fuscelli sempre portati dal nastro continuo vengono a contatto con la miscela infiammabile mantenuta allo stato pastoso, in modo che ogni fuscello raccoglie una goccia di pasta che ne forma la capocchia; di un congegno di scaricamento (s) dal quale, dopo che il nastro continuo li ha trasportati, per un certo percorso durante il quale avviene l'asciugamento delle capocchie, vengono espulsi dai fori del nastro e collocati in apposite cassette.
I fiammiferi finiti passano successivamente all'inscatolamento. Questa operazione per gli amorfi viene compiuta automaticamente da apposite macchine inscatolatrici (fig. 6); in queste macchine un nastro trasportatore (n) riceve le scatole dal serbatoio delle scatole (sc) e le porta, prima ad un meccanismo che le apre (a) indi al congegno riempitore (r) al quale i fiammiferi scendono nella quantità voluta dal serbatoio dei fiammiferi (sf); successivamente il nastro trasporta le scatole piene al meccanismo che ne opera la chiusura (ch) e a un altro che le espelle (e). Per i fiammiferi a capocchia fosforica, dei quali il leggiero strofinamento operato dalle macchine provocherebbe l'accensione, l'inscatolamento viene fatto manualmente.
Fabbricazione dei cerini. - La lavorazione parte dal filato di cotone; un certo numero di fili di cotone compongono l'anima del cerino, e vengono fatti passare in una serie di bacinelle contenenti una miscela stearica (stearina e gomma Manilla o Damar) mantenuta allo stato liquido mediante opportuno riscaldamento; il cotone assorbe la miscela, la quale, solidificandosi, stratifica tutto intorno, e si forma così un filo cerato, che acquista consistenza e uniformità di calibro passando, dopo ogni bacinella, attraverso una filiera di diametro adatto. Questa operazione chiamasi tiraggio del cerino ed è fatta meccanicamente per mezzo di una serie di rulli cilindrici rotanti su pernî. Segue la lucidatura che consiste nel far passare il filo cerato in un ultimo bagno di una speciale miscela stearica e attraverso una filiera riscaldata, per renderlo lucido.
Il filo cerato viene poscia avvolto, mediante macchine avvolgitrici (fig. 7) su rulli dentati (fig. 8) costruiti in modo che da ogni rullo si possono trarre molti fili contemporaneamente. Questi fili vengono introdotti nella macchina intelaiatrice (fig. 9) la quale consta essenzialmente di un congegno di avanzamento (a) che spinge avanti a scatti e per uno spazio uguale alla lunghezza di un cerino il piano formato dai molti fili cerati paralleli, di una lama (l) che taglia i fili stessi in pezzi lunghi quanto un cerino; di un congegno di intelaiatura (i) il quale, appena la fila di cerini è tagliata, la abbassa e vi sovrappone una sottile stecca di legno rivestita di panno (s), sopra la quale viene poi ad adagiarsi la fila di cerini successiva; le stecche, sovrapponendosi l'una all'altra a mano a mano scendono a collocarsi in un telaio di legno (t) di forma quadrata. Questo (figura 11) è composto di quattro regoli (r) di cui uno mobile, che tengono ferme le stecche per le due estremità, e di un congegno di chiusura (c) che a telaio pieno trattiene il regolo mobile; quando il telaio è pieno esso porta un certo numero di stecche disposte di piatto l'una contro l'altra, e, compresse fra l'una e l'altra stecca, una serie di file di cerini, ritti e sporgenti da una parte per un terzo circa della loro lunghezza.
I telai passano successivamente alla macchina incapocchiatrice, nella quale un serbatoio contiene la miscela infiammabile allo stato pastoso, e un rullo rotante su sé stesso porta un leggero strato di questa miscela a contatto con l'estremità dei cerini sporgente dai telai, i quali, scorrendo su apposite guide, passano sopra il rullo distributore di miscela; ogni cerino raccoglie così una piccola quantità di miscela infiammabile, che ne forma la capocchia.
Dopo di ciò i telai vengono introdotti in appositi camerini, opportunamente riscaldati occorrendo, nei quali si compie l'essiccazione delle capocchie; poi i cerini, tolti dai telai, sono inscatolati, manualmente.
Lavorazione delle scatole. - L'industria dei fiammiferi comprende pure la produzione delle scatole. Per le scatole, buste e astucci di cartone, si parte dal cartoncino in fogli e in rotoli. Questo viene stampato occorrendo, indi fustellato e rigato; passa poi alle macchine confezionatrici, nelle quali, mediante opportune piegature e spalmature con salda d'amido adesiva, vengono formati gl'involucri. Se la scatola è composta di due parti, queste (esterno o coulisse e interno o tiretto) vengono successivamente riunite e si applica la superficie ruvida per l'accensione.
Per le scatole di legno si parte dal tronco di pioppo che viene segato e scortecciato, indi sfogliato analogamente a quanto si pratica per la produzione dei fuscelli per i fiammiferi, ma in strisce più sottili. Da queste strisce, col taglio, si ricavano assicelle per involucri esterni oppure listelle e fondi per tiretti; quelle e questi, dopo opportuna cernita, passano alle macchine confezionatrici, nelle quali vengono piegati e rivestiti con una striscia di carta spalmata di salda d'amido; indi esterni e tiretti vengono essiccati e riuniti per formare la scatola, e a questa vengono ancora applicate l'etichetta e la superficie ruvida per l'accensione dei fiammiferi.
Sviluppo dell'industria. - Si è già detto come la produzione di fiammiferi su scala industriale avesse inizio intorno al 1830. Una delle prime fabbriche, anzi la prima di una certa importanza, pare sia stata quella impiantata da J. Preschel (al quale sono dovuti i primi perfezionamenti dell'industria) e da Stefano Rhomer nel 1833 presso Vienna. Altre fabbriche non tardarono a sorgere e a svilupparsi, fra le quali si ha notizia di una aperta in tale epoca da F. Moldenhauer a Darmstadt (Germania). Nel 1844-45 sorse la prima fabbrica di fiammiferi svedesi a Jönköping a opera dei fratelli J. E. e C. F. Lundström. L'industria si andava così organizzando un po' dovunque. Dopo la prime applicazioni di sistemi meccanici di produzione, si andarono formando nell'industria potenti gruppi industriali e finanziarî, ai quali è stato possibile perfezionare ancora i processi di lavorazione ed estendere sempre più l'applicazione dei sistemi meccanici con l'assorbimento di altri minori produttori. Il raggruppamento si è svolto tanto in senso "orizzontale" quanto in senso "verticale"; ed esistono oggi organismi che controllano fabbriche di fiammiferi, cartiere, fabbriche di prodotti chimici, officine meccaniche specializzate nella produzione di macchinario per fiammiferi e scatole, e dispongono di foreste per l'approvigionamento del legname. Uno dei centri di simili aggruppamenti è la Svezia. Già fin dal 1858 i fratelli Lundström sostituivano alla loro prima fabbrica un grosso organismo, la Jönköpings Tändsticksfabriksaktiebolag, ma presto sorsero in Svezia altre fabbriche (fra le quali la grande Vulcan a Tidaholm) e ne seguì un'aspra concorrenza. Nel 1903 si poté raggiungere una prima fusione delle sei maggiori fabbriche nella Jönköping och Vulcans Tändsticksfabriks A. B. ma parecchie rimasero indipendenti. Nel 1913, I. Kreuger, fondatore della ditta Kreuger e Toll, di costruzioni edilizie, entrò in questo nuovo campo di attività, e raggruppò le fabbriche indipendenti nell'Aktiebolag Förenade Svenska Tändstickfabriker, mettendone le azioni in possesso della Kreuger e Toll. Egli cominciò a razionalizzare l'industria all'interno e creò una prima fabbrica all'estero, in Norvegia. Acquistò successivamente enormi estensioni di foreste in Svezia e negli stati baltici, impiantò fabbriche di polpa e di carta, tipografie per le etichette, laboratorî per la produzione di clorato di potassio e di fosforo. Nel 1917 fuse il suo gruppo e il gruppo rivale della Jönköping nella Svenska Tändsticks Aktiebolaget, costituendo così uno dei più grandiosi organismi industriali del mondo. Dopo la guerra mondiale andò conquistando al trust il Belgio, l'Austria, la Cecoslovacchia, l'India, la Polonia. In Inghilterra costituì la British Match Corporation, in Giappone si unì con una potente ditta locale. Nel 1923 organizzò negli Stati Uniti, con sussidio di capitali locali, la International Match Company; nel 1925 vi organizzò la Swedish-American Investment Corporatinn, che ha finanziato e tenuto molte della attività della Svenska nel campo delle proprietà immobiliari, dei minerali, della carta e delle banche. In complesso, il trust svedese ha avuto per centro l'antica Kreuger e Toll, che ha controllato la Swedish Match Co., la quale a sua volta controllava la Intemational Match Co., la Swedish-American Investment Corporation e centinaia di altre sussidiarie, con più di 150 fabbriche in tutto il mondo dirette da svedesi. Nel 1932, tuttavia, il trust ha subito una gravissima crisi, e, dopo la morte del suo fondatore, il Kreuger, sembra avviarsi a una fase di liquidazione.
Accanto alla Svezia, in Europa, si hanno centri di produzione notevoli in Italia, in Inghilterra, in Belgio e in Cecoslovacchia. Le altre nazioni o hanno produzione limitata al consumo interno, o sono importatrici, generalmente, di prodotti svedesi. Nell'America Latina, l'industria locale, largamente sviluppata e che fabbrica, in gran parte, fiammiferi di cera, può supplire quasi totalmente al consumo locale. Vi era importante un tempo l'esportazione italiana; ma, col sorgere dell'industria locale, essa fu colpita da forti dazî doganali e dovette cessare. Solo alcuni stati del Pacifico continuano a importare fiammiferi di legno dall'America Settentrionale e dalla Svezia.
Nell'America Settentrionale in connessione o no col trust svedese, esistono forti raggruppamenti industriali per la produzione di fiammiferi, i quali coprono tutto il consumo, e alimentano correnti di esportazione, dirette specialmente verso l'America Centrale e Meridionale. L'Africa non ha produzione propria; essa è ancora un vasto mercato d'importazione, tributario in genere delle industrie europee, e massimamente della Svezia e dell'Italia. In Asia esiste una forte produzione giapponese, che copre quasi totalmente Giappone e Cina, si espande verso le Indie, e raggiunge l'Afghānistān, la Persia e i mercati del Mar Rosso e del Levante Mediterraneo, in concorrenza con l'industria svedese. Australia e Nuova Zelanda furono in passato mercati d'importazione, ai quali l'industria italiana forniva importanti quantità di cerini; attualmente vi esistono produzioni locali e le importazioni, alquanto ridotte, sono alimentate prevalentemente, per ragioni doganali, da prodotti inglesi.
Nei riguardi del consumo, hanno la massima diffusione nel mondo fiammiferi di sicurezza o amorfi (in inglese safety matches), legnetti paraffinati a capocchia senza fosforo contenuti in scatole talvolta di cartone, più comunemente di un foglio sottilissimo di legno, rivestito di carta. Rappresentano il genere più corrente nell'Europa settentrionale, centrale e orientale (Inghilterra, Scandinavia, Olanda, Paesi Baltici, Russia, Penisola Balcanica, Germania, Austria, Cecoslovacchia e Svizzera) nel Nordamerica, in Asia, in quasi tutta l'Africa, e nei Paesi che formano l'Impero Britannico. Hanno pure diffusione in questi paesi i cosiddetti paraffin matches (si può tradurre "fiammiferi paraffinati" avvertendo però che con questo stesso termine sono pure indicati, in Italia, i fiammiferi di sicurezza). Sono legnetti paraffinati con capocchia fosforica e venduti in scatolette generalmente di legno, talvolta di cartone. Essendo accendibili per sfregamento su qualsiasi superficie ruvida, vengono indicati talvolta e con maggior precisione, come anystrike matches ("fiammiferi strofinabili ovunque"). Nell'Europa sud-occidentale (Francia, Belgio, Penisola Iberica), nell'Africa nord-occidentale e nell'America Latina sono pure usati entrambi i tipi sopra descritti, ma accanto a essi, e talora più diffusamente, i cerini, venduti in scatolette di cartone, o di legno, o in parte di legno e in parte di cartone.
In alcuni paesi si usano infine anche i fiammiferi di cartone paraffinato ("Minerva") a capocchia senza fosforo, in bustine formate di una striscia di cartoncino sottile, che, ripiegata e cucita nel mezzo, trattiene il foglietto di cartone spesso, pure ripiegato in due, nel quale sono intagliati, senza essere completamente separati, i fiammiferi; questi risultano così disposti su due file, e portano all'estremità libera la capocchia infiammabile. Queste bustine, pur rappresentando un genere di consumo secondario, sono largamente usate, specie in Germania e nell'America Settentrionale, a scopo di pubblicità.
L'industria in Italia. - La prima fabbrica di fiammiferi in Italia fu, probabilmente quella fondata nel 1831 presso Empoli da tal Barrier, francese. Essa fu ceduta nel 1832 a L. Santini, l'opera del quale le assicurò grande sviluppo e notevoli perfezionamenti. Frattanto sorgevano altre fabbriche e nel 1845 se ne potevano contare una diecina in Piemonte, Toscana e Sicilia. Poi l'industria si estese ad altre regioni. Attualmente l'industria ordinata in consorzio (v. più oltre), conta una cinquantina di fabbriche fra grandi e piccole, dislocate un po' dovunque, e assorbenti circa 6000 operai. Il gruppo industriale più importante è costituito dalla S. A. Fabbriche Riunite di fiammiferi, sorta sin dal 1898 in Milano. Essa gestisce, fra l'altro, la grande fabbrica di Pontenuovo, fondata nel 1871 da G. De Medici, con circa 1600 operai e con una potenzialità attuale di produzione di 35-40 miliardi di fiammiferi.
L'industria italiana consuma annualmente per i fiammiferi di legno circa 300 mila q. di legname, costituito, per la massima parte, da pioppo canadese ridotto in fuscelli; e per i cerini circa 300 mila kg. di cotone e 12 mila q. di stearina da saponificazione. La produzione complessiva si aggira intorno agli 80 miliardi di fiammiferi all'anno, dei quali 65 (30 di cerini, 30 di solforati e 5 di paraffinati) sono consumati nel regno e nelle sue colonie.
In Italia si usano i fiammiferi di sicurezza in scatolette di legno, e i cerini in scatolette di cartone, come articoli fini. Un articolo più grossolano e di poco prezzo è rappresentato dagli zolfanelli o zolfini (anche solfonelli o solfini), legnetti zolforati con capocchia al sesquisolfuro di fosforo, venduti in buste o astucci di canoncino paglia. Un articolo di lusso, a consumo limitato, è rappresentato dai fiammiferi "Minerva" (v. sopra).
L'esportazione di fiammiferi dall'Italia, notevole nell'anteguerra (q. 35.134 nel 1913), è andata riducendosi per la chiusura di molti mercati e per la più aspra concorrenza. Comunque essa nel 1930 raggiungeva ancora i 12.000 q. È diretta nel Marocco, alle isole Canarie, nel Levante, nell'Africa Settentrionale e Occidentale; i fiammiferi di legno di sicurezza, tipo svedese, si esportano verso il Levante mediterraneo e le colonie italiane; quelli zolforati in Egitto.
Ordinamento tributario. - Il fiammifero rappresenta un genere di prima necessità e di larghissimo consumo; e quindi esso in molti paesi ha formato e forma oggetto di tassazione erariale sotto diverse forme: imposta di fabbricazione, monopolio di vendita esercito direttamente dallo stato o appaltato a concessionarî, monopolio di fabbricazione, esso pure esercito direttamente dallo stato, ovvero dato in appalto.
In Italia fu applicata nel 1896 l'imposta di fabbricazione, incassata mediante marche-valori da applicarsi alle scatole; queste marche venivano cedute ai fabbricanti sia contro pagamento in contanti sia anche a fido con opportune garanzie. L'ammontare dell'imposta nell'anno 1914 rappresentava all'incirca il 35% sui prezzi di vendita al consumatore per i cerini, il 50% per gli svedesi, il 30% per il tipo di consumo popolare (zolforati). Era teoricamente ammessa l'importazione, ma alle scatole da importarsi dovevano essere applicate le marche dell'imposta di fabbricazione, e tale operazione doveva essere effettuata presso le dogane italiane: cosicché in pratica l'importazione risultò nulla, non potendo la merce sopportare l'aggravio del disimballaggio e ricondizionamento, oltreché dell'imposta e del dazio doganale. La esportazione era libera, ed esente dall'imposta, ma soggetta all'osservanza di determinate formalità, intese a verificare che la merce uscente dalle fabbriche come merce di esportazione venisse realmente spedita all'estero.
Questo sistema durò fino a tutto il 1916. Col 1° gennaio 1917 entrò in vigore il monopolio di vendita, esercito direttamente dallo stato. Le fabbriche non poterono più vendere il loro prodotto, per il consumo interno, se non allo stato, il quale provvedeva alla vendita al minuto per mezzo della stessa organizzazione che cura lo spaccio del sale e dei tabacchi. L'importazione continuò a essere sostanzialmente proibita, anche perché acquirente avrebbe dovuto rendersi lo stato, che trovava invece all'interno produzione superiore al consumo e a prezzi più convenienti di quelli che avrebbe dovuto pagare ai produttori esteri. L'esportazione continuò a essere libera, subordinatamente però alle esigenze del mercato interno.
Il monopolio di stato durò fino al 1923; dal 1 giugno 1923 fu ripristinata l'imposta di fabbricazione. Fu costituito un consorzio, del quale fanno parte tutti i fabbricanti italiani di fiammiferi; ad esso lo stato ha concesso, dietro opportune garanzie, il diritto esclusivo della vendita dei fiammiferi nel regno e nelle colonie mediterranee. Il consorzio provvede alla distribuzione e alla vendita al pubblico, e versa all'erario l'ammontare dell'imposta sulle quantità di merce che esso ritira dalle fabbriche. L'imposta rappresenta attualmente circa il 63% sul prezzo di vendita al consumatore per i cerini, il 69% per i fiammiferi svedesi, il 57% per i fiammiferi zolforati, il 74% per i fiammiferi tipo "Minerva". Per l'importazione vale quanto s'è detto; l'esportazione è libera, sotto controllo dell'effettiva uscita dal regno delle merci prodotte per esportazione, che sono esenti da imposta.