FIBRA VULCANIZZATA
VULCANIZZATA (fr. fibre vulcanisée; sp. fibra de vulcán; ted. Vulcanfiber; ingl. vulcanized fibre) - Prodotto ottenuto trattando carta o pasta di carta con cloruro di zinco. È stato anche chiamato da qualcuno vulcanite (il che va però evitato per non generare confusioni tra fibra vulcanizzata ed ebanite). Il nome "vulcanizzata" che gli è stato dato per analogia con la gomma, non deve far supporre che nella sua fabbricazione essa subisca un'effettiva vulcanizzazione.
Nel 1859 T. Taylor di Midlesex brevettò in Inghilterra un metodo per ottenere carta pergamenata per trattamento con cloruro di zinco, e, subito dopo, la preparazione di oggetti più spessi ottenuti riunendo sotto pressione più fogli di questa carta. Va notato che l'uso del cloruro di zinco per irrigidire la carta era già noto dal 1856; non era invece noto il processo di formazione di oggetti spessi. La prima fabbrica sorse negli Stati Uniti nel 1878 (secondo Ferenczi) o ancora prima (nel 1873, secondo una pubblicazione della American Vulcanized Fibre Co.). L'industria è rimasta localizzata in America fino allo scoppio della guerra mondiale, benché in Europa esistesse qualche fabbrica da tempo (in Germania dal 1880). Durante la guerra l'industria della fibra si è diffusa in molti altri paesi, soprattutto in Inghilterra e in Germania. Anche in Italia in questi ultimi anni ha avuto un discreto svìluppo.
Nella fabbricazione della fibra vulcanizzata inizialmente si partiva solo da carta non incollata, fatta con fibra di cotone. Successivamente si è riusciti ad adoperare materie di minor costo come le più diverse fibre vegetali e anche pasta da carta, cioè cellulosa ricavata da legno: va notato però che i prodotti ottenuti con fibra di cotone sono migliori di quelli ottenuti con pasta di legno. L'agente chimico che rigonfia e idrolizza la cellulosa e ne gelatinizza la superficie, in modo da rendere possibile il perfetto incollamento dei varî strati, è in genere, come abbiamo detto, il cloruro di zinco. Tuttavia si è trovato che si può anche far uso dei composti clorurati di calcio, di alluminio e di magnesio, nonché di acido solforico. Si può ottenere un prodotto simile alla fibra vulcanizzata, idrolizzando a mezzo di riscaldamento prolungato, la fibra di canapa. Il prodotto così ottenuto - che gl'Inglesi chiamano horn fibre - è però meno duro, può essere prodotto solo in piastre di non grandi spessori ed è pochissimo usato.
I tipi di fibre che si preparano sono due: la fibra dura e la fibra elastica. La fibra dura, che ha la durezza del corno, è tenace, ha alto carico di rottura a trazione; sopporta alte pressioni e temperature, si lavora facilmente, con la sega, il tornio, la pialla, ecc., si lucida e ha un discreto potere isolante. Con essa si fanno ceppi per freni, varî oggetti per elettricisti e si possono costruire ruote dentate (per avere trasmissioni silenziose), manici, cornici, rivestimenti di pareti, piastre per tavoli, ecc. Ha sul legno il vantaggio di non scheggiarsi; ha però il difetto di assorbire umidità, il che ne limita l'uso come isolante elettrico. La fibra elastica rassomiglia al cuoio, è allungabile e pieghevole. Serve per costruire valige, portacarte, piccole cinghie, ecc. La fibra elastica può essere indurita per azione dell'aria e del calore; indurita, può essere rammollita di nuovo tenendola a lungo in acqua.
I dettagli di fabbricazione della fibra vulcanizzata sono tenuti segreti. Secondo Almy si fa passare la cellulosa di cotone attraverso cilindri scaldati a 400 in un bagno di cloruro di zinco a 70° (questa soluzione, secondo Luttringer ha la densità 1,854 = 70° Bé); poi la si avvolge su un cilindro caldo, lasciandovela il tempo necessario perché acquisti la resistenza desiderata; in seguito la si tratta con soluzioni di cloruro di zinco sempre più diluite fino a che il tenore di cloruro in queste si riduca inferiore a 0,15%. Il procedimento è - e deve essere se si vogliono prodotti buoni - molto lento; a seconda dello spessore delle piastre dura da un mese (spessore di ¼ di pollice) a otto mesi (spessore di 2 pollici). Occorre poi lavare bene la piastra, in modo da asportare completamente il cloruro di zinco. La necessità di asportare completamente il cloruro di zinco limita la possibilità, dichiarata da Schwalbe, di preparare piastre di qualsiasi spessore; in pratica si preparano piastre di spessori variabili da 0,5 a 50 mm. e larghe 130 ÷ 180 cm. Per evitare il disgregamento dei margini e la conseguente separazione dei fogli durante il lavaggio è stato proposto il trattamento dei margini stessi con sostanze idrofughe, ad esempio con catrame. Il foglio lavato va seccato e, contemporaneamente, schiacciato fra cilindri di calandre scaldati a 40° ÷ 60°, con che si riduce a metà lo spessore della piastra. E indispensabile ricuperare quanto più sia possibile il cloruro di zinco, trattandosi di quantità notevoli (circa 4 kg. di soluzione concentrata per chilo di carta). La preparazione dei tubi ha luogo in modo analogo a quello delle piastre. Descrizioni più particolareggiate del procedimento sono dovute a H. Hofmann e a F. Ahrens.
Molti perfezionamenti sono stati proposti e brevettati nei riguardi del processo di fabbricazione. Così, per es., Schwalbe ha notato che usando carta non incollata, spesso, se la temperatura è elevata, la cellulosa si degrada con scomparsa della struttura fibrosa; se si usa invece carta incollata o semincollata gli strati di cellulosa difficilmente aderiscono fra loro. Egli ha proposto di correggere ciò ricoprendo le fibre con una certa quantità di piccole particelle minerali od organiche finemente divise (per sospensione in acqua). Si potrebbero usare ossidi di ferro, di alluminio, di cromo, di silicio, nerofumo, ecc., sostanze che si fisserebbero sulla fibra cellulosica per semplice assorbimento, senza intervento di alcun legante, e che andrebbero usate nella quantità assorbibile, evitando assolutamente eccessi. La fibra avrebbe così il 5 ÷ 8% di carica, e ricaverebbe da questa incrosiazione delle pareti dei miglioramenti nelle caratteristiche meccaniche. Thomas Oye ha brevettato l'impregnamento con olio, della fibra precedentemente trattata con cloruro di zinco e seccata, per aumentarne la flessibilità. La I. I. G. Farbenindustrie ha brevettato il trattamento con liquidi organici o con soluzione di materie organiche. Bresser ritiene che si possa eliminare bene il cloruro di zinco con metodi elettrosmotici.
Le proprietà della fibra vulcanizzata variano moltissimo col variare della materia prima. La resistenza diminuisce fortemente in aria umida. Il carico di rottura a trazione secondo O. Regel è di 7 ÷ 8 kg./mmq. nella direzione della fibra, e di 4 ÷ 5 in direzione normale. Secondo altri si potrebbero raggiungere i 14 kg./mmq. L'allungamento di rottura è in generale inferiore al 10%. Regel ha mostrato la forte influenza dell'umidità. Il carico di rottura a compressione secondo Baumann è di 15 ÷ 25 kg./mmq. (28 ÷ 42 kg. secondo altri) quando il carico agisce normalmente alla superficie della piastra, e di 3 ÷ 6 kg./mmq. in direzione normale alla precedente (in aria con 65% di umidità). Il limite di elasticità è di kg. 2,8 nella direzione della fibra e il carico di rottura al taglio di 6,5 ÷ 9,35 kg./mmq. La durezza Brinell (in kg./mmq.) è di 25 ÷ 50. La densità è di 1,1 ÷ 1,5.
Non agiscono sulla fibra alcool, benzolo, olî animali e vegetali, ammoniaca, soluzioni di sali neutri, acidi diluiti. L'acqua è assorbita in quantità notevoli.
Bibl.: Hans Blücher, Plastische Massen, Lipsia 1924; A. D. Luttringer, La fibre vulcanisée, in Le Caoutchouc et la Guttapercha, Parigi 1926, p. 12; 1930, pp. 15 e 23; Bresser, Die Herstellung von Vulkanfibermassen, in Kunststoffe, Monaco 1930, p. 34; O. Regel, Über Vulkanfiber, ibid., 1930, p. 241; 1931, pp. 81 e 246 (con esauriente bibliografia anche nei riguardi dei brevetti).