Fibrosi
In medicina si definisce fibrosi il processo per il quale in un organo o in un tessuto aumentano le componenti connettivali rispetto a quelle parenchimali. La fibrosi determina importanti conseguenze sulla struttura e sulla funzione specifiche di quell'organo o tessuto.
La fibrosi si verifica attraverso due principali vie patogenetiche. Nella prima si osserva un aumento primitivo delle cellule del tessuto connettivo (fibroblasti, adipociti e, più raramente, cellule endoteliali, cellule muscolari lisce, istiociti e altre cellule connettivali) e delle molecole della matrice extracellulare (collagene, glicoproteine, proteoglicani e altre molecole); le cause e la progressione di questo tipo di fibrosi sono legate a un'alterazione dell'equilibrio tra produzione e demolizione dei componenti connettivali. Nella seconda via patogenetica le cellule specifiche di un organo o di un tessuto vengono danneggiate fino alla necrosi e sono gradualmente sostituite da tessuto connettivo; la progressione di questo tipo di fibrosi, che pertanto è secondario alla risposta riparativa attivata in seguito a un danno prolungato oppure cronico del tessuto parenchimale, è connessa con il persistere del danno e il perdurare della risposta riparativa. A un certo punto del processo, le due vie patogenetiche possono coesistere e potenziarsi a vicenda.
Le cellule del tessuto connettivo propriamente detto (v. connettivo) sono i fibroblasti che producono la matrice connettivale, una sostanza con costituenti amorfi e fibrillari, che rappresenta l'asse portante e nutritivo degli altri tessuti. Una quota rilevante (circa 1%) di queste cellule è costituita da una popolazione staminale ad alto potenziale proliferativo, capace di differenziarsi in fibrociti maturi (specializzati nella produzione di matrice connettivale) e in altre cellule di derivazione connettivale, come angioblasti (da cui derivano i nuovi vasi), cellule muscolari lisce, adipociti, istiociti ecc. I fibroblasti producono la maggior parte delle molecole della matrice connettivale. Una quota più piccola è prodotta dalle altre cellule connettivali e dalle cellule epiteliali. Le molecole della matrice comprendono collagene, glicoproteine, proteoglicani ed elastina; ciascun gruppo è formato da numerose proteine con struttura spesso molto simile (alta omologia), ma con importanti ruoli funzionali che permettono la costruzione e il mantenimento di tessuti, organi e organismi complessi. Queste proteine sono in genere lunghe molecole fibrose che si organizzano in fasci (fibrille, fibre, tralci e capsule) dotati di notevole resistenza agli stress meccanici.
In condizioni fisiologiche i fibroblasti proliferano per garantire il normale ricambio cellulare o nel corso di una risposta riparativa (per es., nella riparazione di una ferita o di un'area di necrosi nei parenchimi). I segnali proliferativi sono innescati da vari fattori di crescita, soprattutto il fattore di crescita trasformante (TGF-β), i fattori di crescita per i fibroblasti (FGFS), il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PdGF) e il fattore di crescita dell'epidermide (EGF) liberati da macrofagi e da altre cellule coinvolte nei processi di infiammazione e cicatrizzazione, e dalle interazioni di membrana con molte delle molecole della matrice extracellulare. In particolare, i fibroblasti possiedono dei recettori, chiamati integrine per il fatto che le due catene di cui sono costituiti (α+β) attraversano tutto lo spessore della membrana plasmatica; queste, interagendo con le molecole della matrice, creano gli agganci meccanici per le cellule (placche di adesione) e generano segnali che attivano o disattivano numerosi geni e sono, perciò, responsabili di fondamentali funzioni biologiche. Inoltre, i fibroblasti posseggono i recettori per i fattori di crescita (TGF-β, FGFs, PdGF e EGF) che, a seconda della combinazione, stimolano la proliferazione e/o la produzione del collagene e di altre molecole della matrice. Tra le varie funzioni modulate da questi complessi segnali sono importanti l'inibizione della proliferazione, la produzione di collagene e di altre molecole della matrice, l'espressione dei sistemi per il controllo della demolizione della matrice e, in particolare, la produzione delle proteasi (collagenasi, ialuronidasi, altre metalloproteinasi, plasmina e altre serin- o cisteinproteasi) e dei relativi inibitori tissutali (TIMPs, o inibitori tissutali delle metalloproteinasi e PAI, o inibitori degli attivatori del plasminogeno). La maggior parte dei meccanismi patogenetici della fibrosi comprende l'alterazione di almeno una di queste vie molecolari.
La fibrosi ha rilevanti conseguenze sulla struttura e sulla funzione dei tessuti e degli organi interessati che si manifestano con sintomi caratteristici, relativi sia alle modalità sia al grado della perdita funzionale. L'aumento dei costituenti connettivali può interessare soltanto l'interstizio, oppure sostituire parte del parenchima danneggiato. I meccanismi di impedimento funzionale comprendono soprattutto tre aspetti: 1) riduzione della componente elastica e irrigidimento (sclerosi) di varie strutture del tessuto e dell'organo, tra cui pareti (per es. setti alveolari), vasi e altri canalicoli (per es., dotti esocrini, bronchi, intestino, canalicoli escretori ecc.); 2) deposizione perivasale con conseguente irrigidimento e riduzione più o meno grave del lume di un vaso: in questo caso saranno evidenti gli effetti sulla circolazione locale (aumento della pressione idrostatica a monte) e sull'apporto di ossigeno e nutrienti alle cellule ipoperfuse a valle, che potranno andare incontro a danno ipossico; 3) disorganizzazione di vario grado dell'architettura dell'organo per l'aumento improprio della componente connettivale, spesso non omogenea e comunque eccessiva; tale disorganizzazione è responsabile di ulteriori e meno riparabili danni funzionali. Nel caso di sostituzione del parenchima, i sintomi sono legati alla deficienza funzionale, la loro gravità è proporzionale alla quantità di parenchima perduto e il quadro è quello dell'insufficienza di organo. La situazione è analoga quando si ha la progressiva disorganizzazione dell'architettura dei tessuti e, soprattutto, dello stroma vascolare, spesso macroscopicamente evidente con alterazioni di forma e di consistenza (sclerosi, scleroinsufficienza).
Il processo di fibrosi mostra caratteristiche peculiari sia eziopatogenetiche sia sintomatologiche a seconda dei vari organi e tessuti che ne siano colpiti.
a) Fibrosi epatica e cirrosi. L'aumento dei costituenti connettivali nel fegato si manifesta come fibrosi epatica o come cirrosi. La fibrosi epatica inizia primitivamente dal tessuto connettivo e solo secondariamente danneggia gli epatociti. La cirrosi si verifica in seguito a un danno cronico del parenchima quando vengono superate le normali capacità di ricambio e di rigenerazione degli epatociti. Pertanto, la genesi della fibrosi epatica dipende dalla primitiva alterazione dell'equilibrio tra produzione e demolizione dei componenti connettivali, frequentemente dovuta a un incremento dell'attività dei recettori per il TGF-β o a deficienza del sistema di demolizione della matrice, spesso legata a perdita di funzione delle proteasi o all'eccessiva funzione dei loro inibitori tissutali (TIMPs). Nella cirrosi, gli stimoli dannosi possono essere di natura tossica (solventi, tetracloruro di carbonio, farmaci e molecole a detossificazione epatica, radicali liberi, etanolo), infettiva, parassitaria (virus epatitici non-A, Schistosoma mansonii ecc.) o endogena (cirrosi primitiva da accumulo intracellulare di prodotti dell'epatocita). In tutti questi casi, lo stimolo dannoso è cronico e, nell'unità di tempo, agisce su un numero limitato di cellule, rendendo il processo relativamente lento. A tale proposito è esemplificativa la differenza tra l'azione dannosa del virus dell'epatite A e quella dei virus dell'epatite B o C (v. epatite). Il primo dà un grado variabile di fibrosi non progressiva, mentre i secondi conducono invariabilmente alla cirrosi. Il virus epatitico A infetta gli epatociti, si replica rapidamente e porta a morte la cellula infettata (ciclo litico).
In questa situazione si possono avere due esiti. Più frequentemente si sviluppa un'efficiente difesa dei linfociti che circoscrivono l'infezione eliminando tutte le cellule infettate, le quali verranno sostituite per proliferazione degli epatociti staminali. Un secondo esito, più raro, è il coinvolgimento nell'infezione di un grande numero di epatociti unitamente a una risposta difensiva inefficiente. Il mancato controllo dell'infezione e il superamento delle normali capacità di rigenerazione degli epatociti sono causa di decesso (epatite fulminante) per il rapido instaurarsi dell'insufficienza funzionale (insufficienza epatica acuta). Il virus dell'epatite B opera con un diverso meccanismo, in quanto non è in grado, se non raramente, di indurre il ciclo litico che porta a morte la cellula infettata; il risultato è quindi la permanenza del virus integrato nelle cellule infettate. Il virus dell'epatite C agisce in maniera simile al virus B. Nelle fasi avanzate di questo processo di fibrosi riparativa, appare evidente la disorganizzazione architettonica del fegato, anche per la presenza di isole di epatociti a maggiore vigore proliferativo che danno origine a pseudolobuli al di fuori del piano anatomico tipico dell'organo. L'insufficienza epatica, globalmente considerata, si manifesta clinicamente quando la massa degli epatociti è scesa al di sotto del 15-20% del totale. Il colorito giallastro della cute e delle mucose (ittero), l'accumulo di liquido nell'addome (ascite) e il fegato piccolo, duro, disomogeneo e di colorito giallo-verde (fibrosi cirrotica) sono i sintomi più tipici dell'insufficienza epatica avanzata.
b) Fibrosi polmonare. La fibrosi polmonare conosce fondamentalmente le stesse vie generali di patogenesi illustrate per il fegato, pur potendo essere differenti le cause di danno. Sono state descritte fibrosi primitive che partono dal tessuto connettivo e coinvolgono il TGF-β, i suoi recettori o altre molecole correlate. Nel ratto, dopo induzione di fibrosi polmonare con bleomicina, è stato dimostrato l'aumento della funzione del TGF-β1 prodotto dai macrofagi. Anche nell'uomo la fibrosi polmonare appare legata al TGF-β1 e ai suoi segnali, spesso attivati da un danno del parenchima provocato dall'azione di virus (polmoniti virali), batteri (tubercolosi, broncopolmoniti croniche), funghi (actinomiceti), sostanze tossiche (pneumoconiosi, ossigeno puro, solventi ecc.), corpi estranei (pneumoconiosi, fumi), allergeni (asma cronica, condizioni autoimmuni). La fibrosi polmonare può interessare diversi distretti anatomofunzionali che concorrono in maniera differente all'insufficienza respiratoria. L'aumento del connettivo fibroso denso a spese delle fibre elastiche riduce l'elasticità dell'organo, requisito essenziale per la compliance, ossia per la capacità di ridurre passivamente lo spazio alveolare in fase espiratoria, dopo l'espansione inspiratoria attiva. Il danno alle fibre elastiche è tipico di quasi tutte le condizioni croniche che interessano diffusamente il polmone, come le polmoniti interstiziali, le pneumoconiosi e la tubercolosi miliare. L'aumento del connettivo si verifica specialmente nella parete alveolocapillare, producendo un aumento di spessore che riduce le capacità di scambio gassoso tra il sangue dei capillari e l'aria degli alveoli; ciò avviene, oltre che nelle condizioni precedentemente accennate, soprattutto nel caso di edema polmonare cronico: l'essudato cronico va incontro a organizzazione con aumento dei componenti connettivali. Infine, la fibrosi può interessare alveoli, bronchioli e vasi, il cui lume viene progressivamente ridotto fino alla completa obliterazione, a causa di essudato fibrinopurulento su cui si organizza il tessuto riparativo fibroso. In tutti i casi descritti si ha insufficienza della funzione respiratoria, che nel sangue si evidenzia con diminuzione della concentrazione di ossigeno (ipossiemia) e aumento di quella di anidride carbonica (ipercapnia); nei tessuti, di conseguenza, diminuisce la disponibilità di ossigeno per la sintesi dell'adenosintrifosfato (ATP). Questo ha numerosi effetti patologici che possono portare a morte la cellula. Il danno ipossico colpisce tutti i tessuti periferici sensibili alla deficienza di ossigeno (fegato, gonadi, rene, miocardio ecc.), i quali, a loro volta, vanno incontro con il tempo alla fibrosi da ipossia cronica.
c) Fibrosi renale (nefrosclerosi o rene grinzo). Il parenchima renale è formato da cellule epiteliali che si organizzano in oltre un milione di nefroni. Il nefrone è l'unità strutturale e funzionale del rene; esso è caratterizzato da una sofisticata architettu- ra a segmenti (glomeruli, tubuli, dotti) che ha una grande importanza nella funzione escretrice renale, in cui la sostituzione connettivale altera rapidamente le capacità funzionali prima del singolo nefrone e poi dell'organo. L'insufficienza si manifesta cronicamente quando il 50% dei nefroni è stato distrutto, e la sua gravità è proporzionale alla quota e alla compromissione di quelli ancora funzionanti. Modelli animali di fibrosi renale hanno evidenziato il ruolo del TGF-β1. Nell'uomo il processo è simile, partendo prevalentemente dal connettivo renale (mesangio) e associandosi alle principali cause di danno renale, come infezioni (glomerulonefriti, nefriti), patologie immunitarie (nefriti da immunocomplessi), intossicazioni (metalli pesanti e farmaci concentrati dal rene), patologie degenerative (ipertensione e glicosilazione non enzimatica nel diabete). L'insufficienza cronica associata alla fibrosi si manifesta con l'incapacità di depurare il sangue da sostanze e prodotti del metabolismo dannosi per l'organismo e con la ridotta (oliguria) o assente (anuria) formazione dell'urina. Prima di raggiungere questi quadri avanzati, l'insufficienza renale si manifesta progressivamente con l'incapacità a concentrare le urine (aumento dell'urina per espellere una maggiore quantità di sostanze dannose), alterazioni del metabolismo ionico con perdita netta di sodio, nonostante l'efficienza del compenso da aldosterone, accumulo nel sangue di urea, acido urico, derivati fenolici e anioni urocromici (aumento dell'azotemia) che portano alla sindrome uremica, e, infine, con la mancata secrezione di eritropoietina, che comporta la diminuita stimolazione del midollo osseo per la produzione di eritrociti (anemia normocromica normocitica).
d) Fibrosi miocardica o miocardiosclerosi. I miocardiociti sono cellule a bassissima capacità proliferativa. Pertanto, la necrosi di queste cellule, come quella che si verifica nell'infarto, viene riparata con una cicatrice fibrosa. Piccoli infarti multipli e disseminati possono portare a un aumento della componente connettivale e di conseguenza alla miocardiosclerosi. Una miocardiosclerosi più diffusa può aver luogo in condizioni di danno subletale per generalizzata sofferenza del tessuto, come si verifica nell'ipoperfusione (ipossia) cronica da aumento della pressione diastolica e in trattamenti farmacologici caratterizzati da spiccata tossicità miocardica (per es. adriamicina). Anche infezioni batteriche e virali possono esitare in miocardiosclerosi. La fibrosi del miocardio ha come principali conseguenze la ridotta mobilità delle pareti e la diminuita forza di contrazione, con gravi problemi sulla gettata cardiaca (quantità di sangue immessa in circolo al completamento della sistole); nel caso di interessamento del tessuto di conduzione, si segnala la presenza di aritmie e blocchi di conduzione.
e) Fibrosi di altri parenchimi. Epiteli di rivestimento, ghiandole endocrine, sistema nervoso, midollo osseo emopoietico, gonadi, pancreas esocrino, vasi e altri tessuti possono andare incontro a fibrosi con sclerosi e perdita delle specifiche funzioni. La sclerosi della cute è presente nelle sclerosi sistemiche, primitive o secondarie, nei cheloidi e nelle cicatrici ipertrofiche da ustioni. La sclerosi delle isole pancreatiche dà luogo a un diabete insulinodipendente. La sclerosi del sistema nervoso centrale si manifesta con complesse sindromi neurologiche, i cui sintomi prevalenti dipenderanno dalle aree cerebrali maggiormente interessate, e con la fibrosi intraoculare. Nella mielosclerosi, in cui viene distrutta la matrice emopoietica del midollo osseo, sono presenti anemia, piastrinopenia e leucopenia, con sostituzione della matrice emopoietica con tessuto fibroso. Molte vasculiti primitive presentano fibrosi sclerotica e occludente della parete vasale. Infine, la sterilità rappresenta la più importante conseguenza della fibrosi dei testicoli e delle ovaie. In conclusione, tutti i tessuti possono andare incontro a fibrosi, le cui conseguenze si traducono in insufficienze funzionali specifiche del tessuto. Le cause più frequenti, come per altri organi, sono legate al danno necrotico e al conseguente processo riparativo cicatriziale fibroso. In tutti i casi citati è stato dimostrato il ruolo cruciale del TGF-β1 e dei segnali da esso generati. Inoltre, si è rivelata importante la diminuita capacità di demolizione della matrice neoformata, sia per diminuzione delle metalloproteinasi sia, più frequentemente, per aumento degli inibitori tissutali (TIMPs).
Dal momento che la fibrosi è un processo che si svolge nell'arco di un lungo periodo di tempo, è necessario per qualunque intervento farmacologico agire tempestivamente, prima che la componente fibrosa abbia sostituito il parenchima specifico. Per questo è necessario anzitutto riconoscere precocemente il danno che uccide le cellule ed eliminarlo, o almeno minimizzarlo, in maniera da permettere al ricambio cellulare di sostituirle efficacemente. Un secondo aiuto può derivare dalla stimolazione specifica alla crescita e alla proliferazione della componente staminale del parenchima. Specialmente in organi e sistemi in cui le cellule staminali sono abbondanti, come il sistema immunitario, il fegato e molti tipi di epitelio, questa via è diventata praticabile, almeno in linea teorica o in animali da esperimento, grazie alle citochine e ai fattori di crescita ricombinanti messi a disposizione dalla moderna biologia molecolare. Recentemente, inoltre, è stato evidenziato il grande ruolo dell'apoptosi nel controllo negativo delle cellule staminali, per cui è stata anche prospettata la possibilità di controllare l'equilibrio tra proliferazione e apoptosi, a favore della prima, mediante l'uso di fattori di sopravvivenza cellulare o di inibitori farmacologici dell'apoptosi. L'uso dei glicocorticoidi, empirico fino a pochi anni fa, trova alcune basi di utilizzazione razionale, nell'inibizione del processo di riparazione mediato dal TGF-β e dalla regolazione del processo di apoptosi, soprattutto nei fibroblasti. Inoltre, si stanno esplorando altre vie (anticorpi e ligandi inibenti) che agiscono sui recettori del TGF-β, maggiormente interessati nella neoformazione del tessuto connettivale fibroso.
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