FIDIA (Φειδίας, Phidias)
Il più famoso scultore greco. Di nessun altro artista dell'antichità gli scrittori classici hanno lasciato tante notizie quante se ne hanno di F. Di poche altre cerchie o scuole artistiche si sono individuate le caratteristiche più salienti meglio che di quella che fa capo a F. Eppure, non solo la vita di lui rimane avvolta nell'oscurità, ma forse di nessun altro grande artista conosciamo così poco o con così poca sicurezza l'opera personale. Figlio di Carmide, era ateniese di nascita, come egli stesso si qualificò nell'epigrafe sulla base della statua di Zeus in Olimpia. Plinio colloca il momento culminante della sua attività nella 83ª Olimpiade, cioè intorno al 448 a. C. (Nat. Hist., XXXIV, 49). In base all'ovvia supposizione che l'acme indicata da Plinio corrisponda alla maturità dell'uomo e non trascurando la voce, tramandataci da Plutarco, che F. abbia riprodotto la propria effigie sullo scudo della Parthenos sotto le sembianze di un vecchio calvo (Pericl., 31), si calcola comunemente che egli sia nato nel secondo decennio del sec. V a. C., e più precisamente tra il 490 e il 485. Si diceva che, come il fratello Paneno, si fosse dapprima dedicato alla pittura, ma è certo che poi la scultura l'attrasse definitivamente. Ebbe a maestri l'ateniese Egia e l'argivo Agelada. Dalle testimonianze degli scrittori risulta che fu molto versatile in fatto di tecnica: comporre statue di oro e avorio era la sua specialità; ma fu maestro anche come bronzista, come scultore in marmo e come toreuta; e se predilesse le opere colossali, pare che si sia reso famoso anche come esecutore di lavori minutissimi.
La fase più brillante della sua carriera è quasi tutta strettamente legata ai fasti del più splendido periodo della storia ateniese. Amico personale di Pericle, dovette all'amicizia e alla protezione di lui se al suo genio fu dato di estrinsecarsi in tutta la sua potenza. Non solo egli ebbe agio di creare di sua mano capolavori della scultura, ma anche la possibilità, come soprintendente ai lavori che si eseguivano in Atene, specialmente sull'Acropoli, di guidare e di coordinare a suo talento l'opera di un gran numero di architetti e scultori di alto valore e di capi d'arte e artigiani d'ogni genere. Così da questa bene affiatata collaborazione di nobili ingegni, dominati dalla forza di un genio capace d'imprimere unità di indirizzo all'attività di tutti, nacque una delle più splendide e armoniose opere d'arte che lo spirito umano abbia mai create: il Partenone.
Ma prima ancora che imprendesse a svolgere la sua maggiore attività nella città natale, sembra che F. avesse già un gran nome. Nella stessa Atene, fin dal tempo di Cimone, è probabile che avesse collaborato all'abbellimento della città. E sembra che già da giovane avesse dato prova della sua particolare valentia di scultore specialista nella composizione di statue crisoelefantine, adoperando questa tecnica in una statua di Atena per la città di Pellene nell'Acaia. Sembra altresì attendibile l'opinione prevalente, nonostante una versione contraria che attribuiva all'ultima fase dell'attività del maestro la creazione della colossale statua di Zeus per il tempio di Olimpia, che questo capolavoro abbia preceduto in ordine di tempo il periodo pericleo. Il dato cronologico pliniano non è certo privo di fondamento, tanto più in quanto in quell'epoca i grandi lavori di Atene sotto Pericle non erano ancora incominciati; onde la verisimiglianza che Plinio si riferisca alla statua di Olimpia. Con questa datazione forse potrebbe anche concordare quel tanto di positivo che è lecito ravvisare nella narrazione che fa Pausania della storiella di Pantarkes, descrivendo il trono di Zeus: "Queste sembrerebbero immagini di antiche gare, poiché quelle per fanciulli non erano ancora istituite al tempo di F. Si dice che il fanciullo che si cinge la testa con una tenia somigli nell'aspetto a Pantarkes, poiché si narra che Pantarkes, ragazzetto eleo, sia stato il favorito di F.: Pantarkes poi riportò anche una vittoria nella lotta di fanciulli nell'Olimpiade ottantesima sesta" (VI, 11, 3). Evidentemente Pausania intende dapprima riferirsi al tempo in cui F. lavorava alla statua di Zeus; e, siccome le gare di fanciulli figurano già istituite nella 86ª Olimpiade, è chiaro che la data dello Zeus deve riportarsi a parecchi anni innanzi.
Si ritiene generalmente che dieci anni dopo, nel 438, F. abbia condotto a termine il suo secondo capolavoro, cioè la statua crisoelefantina di Atena Parthenos per il maggior tempio dell'Acropoli. Ora, con l'esecuzione di questa statua si collega la caduta in disgrazia dell'artista presso i suoi concittadini. Nemici di Pericle, non osando affrontare direttamente l'odiato dominatore, e sperando di colpirlo colpendo il suo grande protetto, accusarono costui di aver rubato una parte dell'oro e dell'avorio destinati alla statua; e, andata a vuoto, a quel che sembra, questa prima accusa (su tutta questa faccenda le notizie degli scrittori sono contraddittorie), passarono ad accusarlo di empietà, per aver riprodotto la propria effigie e quella di Pericle sullo scudo della dea. Secondo la versione di cui si è fatto cenno, F. sarebbe riuscito a fuggire nell'Elide; secondo un'altra, assai più attendibile, sarebbe stato imprigionato e, durante il processo, sarebbe morto in carcere, di malattia o di veleno. Se non che sarebbe così trascorso un tempo molto lungo dall'inaugurazione della Parthenos all'epoca del processo (intorno al 432), nel quale i contemporanei ravvisavano la causa occasionale di uno dei più notevoli avvenimenti della storia greca, lo scoppio della guerra del Peloponneso (Aristoph., Pax, 605 segg.); ritenendo che Pericle, sentendosi in certo modo coinvolto nello scandalo, per evitare di render conto del proprio operato, avesse scatenato la guerra (Suida, sotto Φειδίας); ragione per cui qualcuno ha messo in dubbio l'esattezza della cronologia corrente sul compimento della Parthenos. Ma sta in fatto che lo scoliasta di Aristofane parla espressamente di un intervallo di sette anni (generalmente inteso come quello che trascorse dall'inaugurazione della statua al processo), e fonti antiche riferiscono all'Olimpiade 85ª l'esecuzione della Parthenos.
Oltre alle opere alle quali abbiamo accennato, parecchie altre gli scrittori antichi ne attribuiscono al grande scultore. Per Delfi avrebbe eseguito un gruppo di bronzo, composto di un gran numero di figure (Paus., X, 10, 1); per Platea, una statua di Atena Area, di legno dorato, con il viso, le mani e i piedi di marmo pentelico (Paus., IX, 4, 1). Per l'Acropoli ateniese una statua di Atena, in bronzo, detta Promachos, collocata, a quanto sembra, tra i Propilei e l'Eretteo; di così grandi dimensioni, che a detta di Pausania (I, 28, 2), i naviganti ne scorgevano il cimiero dell'elmo e la punta della lancia, appena doppiato il capo Sunio.
Le suddette opere, alla pari della statua di Pellene e dello Zeus di Olimpia, sono generalmente riferite al periodo prepericleo. È probabile che allo stesso periodo si debbano riferire la statua crisoelefantina di Afrodite Urania, eseguita per Elide (Paus., VI, 25, 1) e l'Anadumenos di Olimpia (Paus., VI, 4, 5). Invece, al periodo pericleo, oltre alla Parthenos apparterrebbe un'Afrodite di marmo pario, scolpita per il santuario di questa divinità nel quartiere di Melite in Atene (Paus., I, 14, 7).
D'incerta datazione sono: l'Atena Lemnia, in bronzo, che si trovava sull'Acropoli di Atene (Paus., I, 28, 2; Plin., Nat. Hist., XXXIV, 54); un'altra statua di Atena, che Paolo Emilio avrebbe consacrato in Roma nel tempio della Fortuna huiusce diei, e tre statue (due panneggiate e una nuda colossale), tutte di bronzo, anch'esse trasportate a Roma e collocate nello stesso tempio della Fortuna huiusce diei (Plin., Nat. Hist., XXXIV, 54); un Ermete Pronaos, in Tebe (Paus., IX, 10, 2); un'Afrodite di marmo "eximiae pulchritudinis" che Plinio ricorda come esistente in Roma (Nat. Hist., XXXVI, 15); un'Amazzone per l'Artemisio di Efeso (Luciano, Imag., 4; Plin., Nat. Hist., XXXIV, 53). Gli scrittori accennano ancora: a un Apollo Parnopios, sull'Acropoli di Atene (Paus., I, 24, 8); a una statua di Atena eseguita in gara con Alcamene, a una statua di Era e a un'altra di Eracle (Tzetz., Chil., VIII, 329); a un Apollo in marmo esistente a Costantinopoli (Cedren., Comp. hist., p. 323 c). Inoltre si parla di statue che Fidia avrebbe eseguite e lasciate firmare da Agoracrito, suo discopolo prediletto (Plin., Nat. Hist., XXXVI, 17). E, finalmente, occorre accennare alle opere della microtecnica, che F. non avrebbe adoperato unicamente nelle minute decorazioni delle grandi statue crisoelefantine, ma pure in minuscole creazioni a sé. Gli si attribuiscono infatti: una cicala, un'ape, perfino una mosca e anche dei pesci. Di altre opere ritenute di attribuzione del tutto erronea, come ad esempio uno dei Dioscuri di Monte Cavallo (Roma, Piazza del Quirinale) non è il caso di parlare.
A prescindere dallo Zeus di Olimpia e dall'Atena Parthenos, è stato sempre vivo negli archeologi il desiderio di poter identificare, in copie o in derivazioni, alcune per lo meno delle opere di Fidia. Riproduzioni dell'Atena Promachos si sono riconosciute in monete ateniesi; nelle più antiche la statua è rappresentata con tutta l'Acropoli, vista dal Ceramico; in altre dell'età romana è riprodotta la sola statua: la figura, vestita di peplo, apparisce in piedi, in atteggiamento rigido; lo scudo è infilato nel braccio sinistro, la lancia è nella mano destra abbassata. Sembra che rivolgesse la testa a guardare la sottostante città; ma si può dubitare che questo movimento della testa, in modo da presentarsi di profilo, sia una modificazione del modellatore della moneta. Dell'Afrodite Urania di Elide si è creduto di riconoscere una copia nella statua panneggiata (già a Venezia e ora nel Museo di Berlino), che poggia un piede sopra una tartaruga, in quanto questo particolare è ricordato da Pausania. Dell'Anadumenos qualcuno ha creduto di riconoscere una copia nel Diadumeno Borghese del Museo Britannico. E tentativi d'identificazione della Lemnia sono stati fatti a più riprese: in una testa di Madrid, in figure di Atena riprodotte in stele sepolcrali attiche; ma assai maggior fortuna ha goduto per un certo tempo un'ipotesi del Furtwängler, che credette di riconoscere una copia dell'Atena Lemnia in una statua marmorea dell'Albertinum di Dresda (atena, V, p. 167) alla quale pensava si adattasse la superba testa giovanile, dalla folta chioma cinta da benda, del Museo Civico di Bologna. La Lemnia infatti sembra fosse rappresentata senza elmo in testa. Se non che presentemente si dubita persino che la testa di Bologna sia femminile.
Un'impostazione più concreta hanno avuto le discussioni sull'Amazzone di Efeso, in quanto alla tradizione letteraria fa effettivamente riscontro l'esistenza di parecchi tipi di Amazzoni, tutti databili dal primo al secondo decennio della seconda metà del sec. V a. C. Si è ondeggiato nel riconoscere l'opera di Fidia ora nel tipo capitolino, ora nel tipo Mattei. Ma, a prescindere dalla difficoltà di stabilire quale sia veramente il tipo fidiaco fra opere che mostrano tra loro tanta affinità stilistica, non solo si ha ragione di pensare che la gara fra quattro artisti (Fidia, Policleto, Cresila e Fradmone) sia una storiella, ma è lecito anche il dubbio che Fidia non abbia fatto alcuna statua di Amazzone.
Un'ipotesi è forse lecito avanzare nei riguardi dell'Ermete Pronaos di Tebe. Si sa che di Alcamene, uno dei discepoli e collaboratori di Fidia, era un Ermete Propylaios presso l'ingresso dell'Acropoli di Atene (Pausania, I, 22, 8). Una copia di quest'opera, con il nome dell'autore, è stata trovata a Pergamo; e così abbiamo appreso che di nient'altro si trattava che di una testa barbata su erma, eseguita in uno stile semiarcaistico. Forse non inesattamente è stata intravveduta, più che lo stile di Alcamene, la maniera di Fidia. Ora - sempre nella supposizione che l'Ermete Pronaos fosse effettivamente di Fidia - è lecito pensare che l'idea di ispirarsi all'arte arcaica per l'esecuzione di un Ermete Pronaos sia prima venuta a Fidia, e che Alcamene abbia poi imitato il maestro nell'eseguire il suo Ermete Propylaios.
E veniamo ai due capolavori. La statua di Zeus di Olimpia, una delle sette "meraviglie del mondo", era colossale. Le notizie che si hanno sulle sue dimensioni variano da scrittore a scrittore, e qualcuna è semplicemente fantastica: la statua avrebbe avuto 89 metri di altezza! È generalmente accettato il calcolo che, con tutta la base, le attribuisce un'altezza di circa 14 metri. Pausania ce ne ha lasciato una descrizione minuziosa (V, 11, 1-10): "Il dio, costruito d'oro e d'avorio, è assiso in trono: una corona che imita ramoscelli di olivo, gli sta sul capo. Egli porta nella mano destra una Vittoria, anch'essa di avorio e d'oro, che tiene una tenia e porta una corona in testa. Nella mano sinistra del dio è uno scettro ornato d'ogni genere di metalli. L'uccello che è posto in cima allo scettro è l'aquila. D'oro sono anche i calzari del dio e così pure il mantello. Sul mantello sono posti, come ornamento, piccole figure e fiori di giglio. Il trono è variamente ornato di oro e di pietre preziose, e anche di ebano e di avorio, e in esso ci sono figure rappresentate in pittura e figure scolpite. In ciascuna delle gambe del trono sono quattro Vittorie, che presentano lo schema delle danzatrici; ce ne sono poi due altre alla base di ciascuna gamba. Sopra ciascuna delle gambe anteriori si trovano dei fanciulli tebani rapiti da Sfingi, e, sotto le Sfingi, Apollo e Artemide saettano i figli di Niobe. Tra le gambe del trono sono quattro sbarre, ciascuna delle quali traversa dall'una all'altra gamba. Sulla sbarra anteriore (quella ch'è proprio dirimpetto all'entrata) si trovano sette statuette; l'ottava infatti non sanno in che modo sia sparita... Sopra alle restanti sbarre è rappresentata la schiera combattente con Eracle contro le Amazzoni. Il numero di queste e di quella insieme è di circa ventinove; anche Teseo è in mezzo ai compagni di Eracle. Non le sole gambe però sostengono il trono, ma anche colonne eguali alle gambe e poste tra esse. Non è poi possibile andare sotto il trono, così come noi in Amicle penetriamo nell'interno. In Olimpia sono d'impedimento certe barriere fatte a guisa di muri. Di queste barriere, quella che è di faccia alla porta è soltanto colorita in azzurro; le altre presentano pitture di Paneno... Nella più alta parte del trono ed a maggiore altezza del capo della statua, Fidia fece da una parte le Cariti e dall'altra le Ore, le une e le altre in numero di tre... Lo sgabello posto sotto i piedi di Zeus, chiamato thranion dagli abitanti dell'Attica, ha leoni d'oro, e, scolpita in rilievo, la battaglia di Teseo contro le Amazzoni, la prima prodezza degli Ateniesi contro gli stranieri. Sopra la base poi che sostiene il trono e tutti gli ornamenti posti intorno a Zeus, ci sono delle sculture d'oro: Elio che è salito sul carro, e Zeus e Era... e presso a lui Carite. Vicino a questa è Ermete e ad Ermete segue Estia. Dopo Estia è Eros che accoglie Afrodite sorgente dal mare; e Peitho che incorona Afrodite. Vi sono poi scolpiti Apollo con Artemide, Atena e Eracle, e presso l'estremità della base Anfitrite e Poseidone e Selene che cavalca, come mi sembra, un cavallo...".
Malgrado la minuziosità della descrizione di Pausania e gli accenni di altri scrittori, della grande opera di Fidia non possiamo formarci che un'idea approssimativa. Quanto al suo insieme, ci aiutano molto alcune monete di Elide del tempo di Adriano: alcune riproducono la statua quasi di prospetto, altre di profilo. Una figura di Zeus seduto su trono, in una pittura murale scoperta a Eleusi presso i grandi propilei, per quanto semplificata e composta in un atteggiamento teatrale, dipende certamente dall'opera di Fidia; ma si pensa che riproduca più direttamente, non l'originale, bensì la riduzione, egualmente in oro e avorio, che Adriano ordinò per l'Olimpieio di Atene. Un recente tentativo d'identificazione in una testa di marmo rivenuta a Cirene non ha incontrato l'approvazione dei dotti. Nella testa del Museo di Boston, proveniente da Milasa, nella Caria, si è visto solo un'opera ispirata dalla creazione di Fidia; né sappiamo fino a che punto possa essersi spinta quest'ispirazione. La sola riproduzione, che può ritenersi sicura, della testa dello Zeus di Olimpia è quella di un'altra moneta di Elide (v. fig. a pag. 229); ma si tratta di opera molto rimpicciolita e imperfetta; tale cioè da non poter rendere la caratteristica espressione del volto piena di dolcezza e di bontà, tanto decantata da Dione Crisostomo (Orat., passim); lo stesso si dica per alcune gemme, fra cui quella del Museo di Berlino.
Ma il vero tormento degli archeologi è stato sempre il trono, per il quale né le monete di Elide né la ceramografia, che pure indirettamente offre preziosi elementi di confronto, si sono rivelate sufficienti a illustrare le parole di Pausania. Comunque, tra i risultati che sembrano attendibili degli studî antichi e recenti, nei riguardi dei punti più oscuri e controversi, si possono ricordare i seguenti: che i braccioli fossero sorretti da figure di Sfingi; che la strage dei Niobidi fosse rappresentata sulle facce laterali del sedile; che le gambe del trono fossero ornate ciascuna di sei figure di Vittorie, quattro alla sommità (una per ciascuna faccia) e due alla base, perché a due delle quattro facce di questa si ritiene aderissero le barriere fatte "a guisa di muri", che impedivano di penetrare sotto il trono e che altro non sarebbero state se non delle altre traverse più o meno analoghe, per lo meno nella struttura, a quelle che collegavano tra di loro le quattro gambe del trono; che il sedile fosse internamente sorretto da quattro colonne; che la spalliera fosse rettangolare e che i due gruppi delle Ore e delle Cariti ne adornassero gli angoli a guisa di acroterî; che, finalmente, nello sgabello la rappresentazione dell'Amazzonomachia fosse trattata a rilievo e che i leoni di cui parla Pausania fossero due, di tutto tondo, e fiancheggiassero lo sgabello vero e proprio.
Anche della Parthenos abbiamo una descrizione di Pausania, ma assai più succinta e un poco anche lacunosa nel testo. La dea era rappresentata in piedi, vestita di peplo con sovrapposta l'egida, decorata sul petto dal gorgoneion; aveva in testa un elmo sormontato da una sfinge con ai fianchi due grifi; nella mano destra, sorretta da una colonna, portava una Vittoria e con la sinistra la lancia, mentre ai suoi piedi, dallo stesso lato, stava lo scudo e, dietro lo scudo, un serpente rappresentante Erittonio. Sulla base era raffigurata la nascita di Pandora. Plinio, che della statua dà anche le dimensioni (26 cubiti, cioè circa 12 metri), aggiunge che sulla faccia convessa dello scudo era rappresentata un'Amazzonomachia e sulla faccia concava la Gigantomachia, e sul taglio verticale delle suole dei sandali scene della battaglia dei Lapiti contro i Centauri; e, a proposito della nascita di Pandora, dice che alla scena assistevano venti divinità (Nat. Hist., XXXVI, 18).
Per la conoscenza della Parthenos più scarse notizie, ma maggiori sussidî nel materiale monumentale. Due statuette in marmo del museo di Atene, trovate l'una sulla Pnice, detta Atena Lenormant, l'altra al Varvakeion (v. atena, V, p. 165) possono considerarsi copie - piccole, ma nelle linee generali specialmente la seconda, sufficientemente fedeli - dell'opera originale. Inoltre esistono delle grandi figure statuarie, come quella firmata da Antiochos (o Metiochos) della Collezione Boncompagni-Ludovisi, che, se non ne sono copie fedeli, ne sono tuttavia delle derivazioni abbastanza istruttive. In migliori condizioni ci troviamo nei riguardi della testa. Un marmo policromato del museo di Berlino, proveniente da Roma, la riproduce di tutto tondo; un medaglione d'oro trovato a Kul-Oba, nella Russia meridionale, in rilievo di prospetto (v. atena, V, p. 168), e di profilo la famosa gemma di Aspasio, ora al Museo delle Terme (aspasio, IV, p. 966). Per il particolare dello scudo abbiamo il sussidio dello scudo Strangford del Museo Britannico, di marmo, frammentato, che appunto sulla parte convessa rappresenta in rilievo la battaglia degli Ateniesi contro le Amazzoni, e nel quale si vede raffigurato tra i guerrieri un vecchio calvo nell'atto di vibrare un colpo di bipenne, che può corrispondere al ritratto di Fidia di cui parla Plutarco. Recentemente sono stati ricuperati nel porto del Pireo dei rilievi di marmo, alcuni dei quali con scene di Amazzonomachia, e si è pensato a riproduzioni dei gruppi componenti l'Amazzonomachia dello scudo. Ma tutto al più si può ammettere che siano libere derivazioni da quella composizione, non senza l'influenza di elementi di un'arte alquanto posteriore, rappresentata per esempio (nei riguardi dello stesso soggetto) dalle figure del donario di Attalo. Per l'altro particolare della decorazione a rilievi figurati del taglio verticale delle suole dei sandali, non per il soggetto e tanto meno per lo stile, ma semplicemente per la maniera della composizione, un'idea può darcela il piede colossale frammentato del Palazzo dei Conservatori.
Dal punto di vista della tecnica, solo un po' a stento possiamo formarci un'idea precisa della combinazione dell'oro e dell'avorio e dell'effetto di questa combinazione; ma, per ciò che riguarda la semplice scultura in avorio applicata a opere di notevoli dimensioni, abbiamo un buon sussidio in una testa del Museo Vaticano (v. crisoelefantina tecnica, IV, p. 911).
Per potere, infine, attribuire a F. le decorazioni plastiche del Partenone, bisognerebbe essere assolutamente certi della data di compimento della Parthenos, e, qualora risultasse esatta quella generalmente accettata (438 a. C.), conoscere quanta parte dei predetti lavori fosse già condotta a termine allorché la statua fu finita e inaugurata. Che già fossero a posto le sculture del frontone orientale, che fossero in preparazione quelle dell'occidentale, ecc., non è che una congettura. Certo è che nei conti dell'anno XI (437-436) si notano ancora spese per l'acquisto del marmo per i frontoni; e nulla vieta di pensare che l'ordinazione del marmo abbia preceduto di alcuni anni l'esecuzione delle figure; certo è altresì che fino all'anno 432 alle decorazioni del tempio si lavorava ancora. Ora, fin tanto che F. fosse rimasto occupato a lavorare alla statua della Parthenos, opera sicuramente del tutto o quasi del tutto personale e lavoro minuzioso e indubbiamente lungo e di pazienza, si può pensare che difficilmente avrebbe potuto attendere di persona, nello stesso tempo, anche alle sculture decorative del tempio. Il suo compito non avrebbe potuto che limitarsi al coordinamento del lavoro altrui. Si parla di cartoni, come oggi si direbbe, da lui preparati; ma anche su questo ci sarebbe parecchio a ridire. Se si potesse invece dare per dimostrato che l'inaugurazione del Partenone e della statua di Atena avvenne in occasione delle feste panatenaiche del 438 e che nel tempio, in quell'epoca, non si trovassero a posto altre decorazioni figurate al di fuori delle metope (e la maggiore arcaicità delle metope conforta una simile ipotesi), e che a tutto il rimanente si dovesse ancora provvedere, questa semplice constatazione gioverebbe a gittare un vivido sprazzo di luce su varî punti oscuri. Comprenderemmo in che modo possa essersi esplicata l'attività di F. durante il lungo periodo che va dal compimento della Parthenos all'epoca del processo; troveremmo più che fondata l'ipotesi che F. abbia atteso non soltanto alla preparazione dei "cartoni", ma anche alla modellazione per lo meno di una gran parte delle sculture decorative, e, di conseguenza, sentiremmo quasi soddisfatto il nostro desiderio di scoprire la paternità di un complesso di creazioni, quali le meravigliose sculture frontonali (rappresentanti la nascita di Atena dalla testa di Zeus nel frontone orientale, e la contesa tra Atena e Poseidone per il dominio dell'Attica, nell'occidentale) e il delizioso fregio a bassorilievo della cella del tempio con la processione delle Panatenee, che sono tra le cose più straordinarie che abbia mai prodotto la scultura greca. Si ha la sensazione che il loro autore non può essere stato che un autentico genio, mentre ci sembra d'intuire che tra i collaboratori e scolari di F., per quanto valenti, nessuno fosse in grado di elevarsi a tanta altezza. Ma la documentazione, che dovrebbe sostituirsi a una pura impressione, purtroppo manca.
Così ci viene anche a mancare un termine concreto di riferimento che possa avvalorare certe attribuzioni, che di quando in quando si è tentato di fare alla mano di F., di opere, quali gli originali della supposta Artemide di Ariccia e della Demetra di Villa Mattei (che secondo alcuni sarebbero da identificarsi con le statue panneggiate esistenti in Roma nel tempio della Fortuna huiusce diei), oppure l'originale dell'Apollo del Tevere e della replica di Cherchell. Anche di queste opere si può pensare che siano della cerchia artistica fidiaca, ma non affermare che siano uscite dalle sue mani.
V. tavv. XLV e XLVI.
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