FIESCHI
. Tipico esempio di famiglia feudale che, assorbita dal comune col quale è stata a lungo in lotta, penetra nella sua vita e vi esercita un'azione preponderante, i F. sono il ramo più importante della numerosa e prolifica stirpe dei conti di Lavagna, che nel sec. XII rinnovarono più volte il giuramento di fedeltà al comune e alla Compagna genovese. Da un Rufino che aveva preso parte a quei giuramenti, ma ancora ribelle nel 1173 e morto nel 1177, nacque Ugo che si chiamò Fliscus e che è perciò il capostipite della famiglia, la quale diede alla Chiesa due papi, 72 cardinali e centinaia di altri prelati, alla repubblica di Genova generali, ammiragli, ambasciatori e gareggiò costantemente con le altre maggiori, specialmente coi Doria e con gli Spinola.
Con Ugo, del quale si hanno notizie tra il 1155 e il 1214, e coi figli di lui la partecipazione dei F. alla vita del comune genovese fu intensa e continua; ma essi acquistarono un'importanza assai più che locale, allorché il figlio di Ugo, Sinibaldo, nel 1243 fu assunto al pontificato col nome di Innocenzo IV (v.). In realtà i F. erano congiunti per interessi e parentele con la nobiltà aderente al partito imperiale, ma quando il loro congiunto divenuto papa capitanò la lotta contro l'impero, i F., indotti anche da vantaggi personali e familiari, si trovarono alla testa del partito guelfo genovese nella lotta contro Federico II e i ghibellini. Notevoli specialmente Ugo e Alberto, figli di Tedisio e nipoti di Ugo: il primo, legista e giudice, fu anche ambasciatore del comune, mentre Alberto, futuro capitano generale dell'esercito pontificio, recava aiuti a Parma ribellatasi a Federico. Nell'ultimo periodo della grande contesa i F. esercitarono un vero predominio sulla città. Ma, morto Federico II e richiamati, anche per consiglio del pontefice, e persino indennizzati i capi ghibellini, si compì un rapido mutamento. Cessato il pericolo esterno, gli altezzosi atteggiamenti, aggravati dal proposito della costruzione di un palazzo in posizione dominante e minacciosa, destarono il sospetto degli altri nobili e in particolare dei Doria e provocarono una sommossa che impedì ai F. di raggiungere l'intento.
Congiunti coi Grimaldi, i F. capitanarono la parte guelfa alla quale ormai si erano decisamente legati, tanto più che il cardinale Guglielmo (morto a Roma nel 1256) era stato legato papale e Alberto conte di Lavagna capo dell'esercito di Innocenzo IV contro Manfredi, mentre il cardinale Ottobono, altro nipote del pontefice e più tardi per brevissimo tempo papa anche lui (Adriano V), era nel collegio cardinalizio uno dei maggiori sostenitori di Carlo d'Angiò. Con Ugo, fratello di Ottobono, legato a trattare coi Pisani nel 1258, i F. partecipano ancora alla vita ufficiale del comune; ma poi congiurano contro il nuovo capitano del popolo Guglielmo Boccanegra e sono costretti a uscire di città. Il trattato di Ninfeo e il ristabilimento dell'impero greco a Costantinopoli che allontanano maggiormente Genova dalla politica papale contribuiscono a rendere i F. sempre più avversi al Boccanegra, onde essi sono con i Grimaldi gl'ispiratori della rivoluzione che nel 1262 abbatte il capitano e ristabilisce un governo nettamente nobiliare e guelfo. Questo, senza rompere gli accordi conchiusi con Manfredi e utili agl'interessi commerciali, per opera di Tedisio F. e Bovarello Grimaldi stipula il 21 luglio del 1262 con Carlo d'Angiò un trattato di reciproca amichevole neutralità. Dopo la vittoria di Carlo e la morte di Manfredi e di Corradino, i F. e i Grimaldi riprendono il predominio e riaccostano Genova all'angioino, ma per breve tempo; la condizione di sottomissione quasi umiliante che ne deriva determina la reazione ghibellina capitanata dai Doria e dagli Spinola. Esclusi dal potere, i F., stretti intorno al cardinale Ottobono ricchissimo e potente, legato in parentela coi maggiori sovrani d'Europa, influente per aver molto contribuito all'elezione di Gregorio X, concludono, insieme coi Grimaldi, una convenzione segreta con Carlo d'Angiò; ripreso col suo aiuto il predominio, faranno nuovamente di Genova un centro del guelfismo, devoto al re di Sicilia. Alberto e Nicola, fratelli di Ottobono, sono proclamati ribelli e combattuti nella riviera di Levante che hanno fatta insorgere, come i Grimaldi in quella di Ponente; e la contesa si allarga a guerra aperta con Carlo d'Angiò. La pace conchiusa nel 1276 porta per conseguenza la cessione di molte terre dei F. al comune; mentre, morto dopo brevissimo pontificato Adriano V, la potenza politica della famiglia comincia a declinare, né vale a rialzarla il tentativo rivoluzionario guelfo del 1289 capitanato da Opizzo, patriarca di Antiochia, nominato dal papa Nicolò IV amministratore della sede arcivescovile di Genova. I capitani del popolo ritengono però prudente e politico non infierire con vendette e punizioni; ma alcuni anni dopo, il 30 dicembre 1295, F. e Grimaldi provocano un nuovo e più grave tumulto che mette in serio pericolo per due mesi la vita cittadina: questa volta i ribelli sono mandati in esilio. Poiché i ghibellini vittoriosi si combattono fra loro, i F. nel turbine delle lotte civili dei primi anni del sec. XIV adottano il sistema di aizzare gli uni contro gli altri i Doria e gli Spinola, contribuendo a indebolirli, e nel 1317 Carlo F. e Gaspare Grimaldi riescono a farsi eleggere capitani del popolo, ottenendo però l'effetto della riconciliazione fra i capi ghibellini; ne deriva la lunga guerra con intervento dei guelfi e dei ghibellini di gran parte d'Italia, terminata col dominio di Roberto di Napoli nel 1331. Notevoli in questo periodo il cardinale Luca, che ebbe vita politica e religiosa intensa, liberò Bonifacio VIII ad Anagni, fondò chiese e comperò nel 1319 il sacro Catino regalandolo alla cattedrale e morì ad Avignone nel 1336; e Giovanni, capo della famiglia e del partito, costretto all'esilio dalla nuova rivoluzione ghibellina del 1335.
La trasformazione politica del 1339 con l'istituzione del dogato popolare escluse i F., come le altre grandi famiglie, dall'esercizio del potere, non dagli uffici diplomatici e militari. Tentarono sulle prime, ma invano, di abbattere il nuovo ordinamento; poi adottarono verso i nuovi dominatori i metodi già adoperati con gli Spinola e i Doria, soffiando nel fuoco delle dissensioni e delle lotte faziose tra le nuove famiglie ducali, mirando a indebolire i contendenti e a elevarsi su quel dissidio. Non solo, ma avviavano trattative prima coi conti di Savoia, poi con la Francia per riottenere sotto il predominio di queste potenze l'autorità perduta. I tentativi di Nicola e Carlo F. e di altri nobili con Amedeo VI e VII non riuscirono; ma nelle turbinose lotte degli ultimi anni del sec. XIV Carlo stesso e Raimondino ebbero con Antoniotto Adorno una parte molto considerevole nello stabilire a Genova la dominazione francese, prima col duca d'Orléans e poi (1396) col fratello di lui Carlo VI. Alleati di Tommaso Fregoso già doge, Nicola e Gian Luigi F. tentarono nel 1425 di sottrarre Genova al dominio di Filippo Maria Visconti, che la possedeva dal 1421, ma il tentativo fallì ed essi ne ebbero danneggiate molte terre nella riviera di Levante. Tuttavia rimasero avversi ai Visconti fino al rivolgimento del 1436 che sottrasse Genova a Milano, ristabilendo il dogato del Fregoso. Ma quando questi si propose di mettere il fratello Giovanni al comando dell'armata contro Alfonso d'Aragona, ora alleato al duca di Milano, Giovanni Antonio F. che aspirava a quel comando, fatta insorgere la riviera di Levante s'impadronì con un tumulto di Genova il 18 dicembre 1442 e, cacciato il Fregoso, diventò uno degli otto capitani della libertà. Continuò poi negli atteggiamenti sediziosi contro il nuovo doge Raffaele Adorno; ma nel 1447, il doge Giano Fregoso, avuta la prova di nuove sue trame per consegnare Genova alla Francia, lo mandò a morte. Il cugino Gianfilippo, durante il dogato di Pietro II Fregoso, capitanò l'opposizione contro di lui, riaccostandoglisi poi quando il Fregoso, malcontento dell'aver chiamato nuovamente i Francesi a Genova, ricorse per aiuto a Francesco Sforza e a Ferdinando d'Aragona. In un tentativo di sorpresa su Genova (1459) Gianfilippo morì e lo sbandarsi dei suoi parenti avidi di assicurarsene l'eredità fece fallire l'impresa: uno dei congiunti, Orlando, preso dai nemici fu mandato a morte. Questo carattere d'insofferente e turbolenta faziosità continua nei F. per tutto il secolo. Favorevoli dapprima al governo sforzesco, gli si fecero poi aspramente avversi sotto la guida di Obietto (1435-1497), irrequieto tipo di prelato avventuriero, considerato il capo della famiglia, del fratello Gian Luigi (1441-1508) del ramo di Torriglia e di Matteo del ramo di Savignone. Questi partecipò alla congiura antisforzesca di Girolamo Gentile nel 1476 e, abbattuto l'anno successivo il dominio milanese, fu eletto capitano del popolo, carica che cedette a Obietto appena tornato da Roma dove era riparato col fratello. Breve il nuovo dominio: dopo un mese Bona Sforza nell'aprile 1477 tornò al possesso di Genova, e Obietto, costretto ad andare a Milano, fu poco dopo imprigionato per aver partecipato alla congiura di Cicco Simonetta. Allora i parenti e specialmente Gian Luigi ripresero le armi, accendendo un'aspra e varia guerra sui monti e sulla riviera, continuata anche dopo la perdita di Genova da parte degli Sforzeschi nel 1478. Da questo momento, mentre Obietto divenne cardinale e protonotario apostolico e Filippino altro fratello fu (1489) capitano generale in Corsica contro l'insurrezione di Ranuccio da Leca e più tardi a Milano castellano del Castello di Porta Giovia, Gian Luigi (v.) ebbe parte predominante sino alla morte nella vita della repubblica.
Con Gian Luigi il Vecchio la famiglia raggiunse il massimo della potenza: l'uccisione dei suoi due figli Gerolamo e Giovanni Ambrogio nel 1513 per opera di un parente del doge Giano II Fregoso spinse sempre più la casa verso la Francia, atteggiamento che essa riprese anche dopo la riforma di Andrea Doria, per cui costituì uno dei 28 Alberghi. Ma la fastosa munificenza di Sinibaldo ne intaccò la potenza economica; e questa condizione d'inferiorità, congiunta con una serie di cause morali e politiche, contribuì a determinare il geloso risentimento del figlio Gian Luigi contro i Doria, scoppiato nella celebre congiura del 1547. Con questo avvenimento può dirsi segnata la fine della famiglia Fieschi, nel suo ramo più potente, quello di Torriglia, continuato dagli eredi di Scipione, il solo sopravvissuto ai fratelli di Gian Luigi, ed estintosi nella discendenza francese con Gian Luigi Mario nel 1708, mentre un ramo rimasto in Italia arrivò sino al principio del sec. XIX. A questo ramo appartiene Sinibaldo che, dopo essere stato agente in Turchia con agitate vicende, riparato in Francia ottenne che per imposizione di Luigi XIV si riaprisse il processo per la restituzione dei beni familiari.
Sopravvisse invece, ma meno ricco e potente, il ramo dei conti di Savignone, che diede numerosi ufficiali, senatori e diplomatici alla repubblica, come Ugo inviato straordinario a Londra (1654-55) e Giambattista, Carlo Maria e Giovanni Francesco ministri residenti a Milano tra il 1650 e il 1679. Vi appartennero anche il cardinale Lorenzo (1642-1726), nunzio in Francia e arcivescovo di Genova, Domenico (morto nel 1762), benefattore, fondatore di un conservatorio detto delle Fieschine, Luca Donato scrittore genealogista del sec. XVIII, e il conte Agostino (1760-1829) che appartenne al governo della breve repubblica del 1814 e fu poi ufficiale di Vittorio Emanuele I dopo l'annessione al Piemonte.
I F. hanno avuto anche figure femminili molto notevoli: celebri specialmente per opere di pietà Caterina (v.), moglie di Giuliano Adorno (1447-1510), fondatrice di comunità religiose maschili e femminili, elevata agli onori degli altari, celebrata come "la santa di Genova"; e Tommasina (1448-1534), anch'essa insigne per santità di vita e nota come scrittrice di materie ascetiche, come pittrice e ricamatrice.
Bibl.: Oltre alle storie generali, F. Federici, Trattato della famiglia Fiesca, Genova s. a.; id., Abecedario delle famiglie genovesi, ms. Bibl. Missioni urbane, Genova; Giscardi, Origine delle famiglie genovesi (ms. Bibl. Berio); Battilana, Genealogia delle famiglie nobili di Genova, Genova 1833; U. Foglietta, Elogio degli uomini chiari della Liguria, trad. Conti, 2ª ed., Genova 1860; L. M. Levati, I dogi perpetui di Genova, Genova [1930]. Sui F. ricordati da Dante, v. la bibliografia di L. Valle, in Dante e la Liguria, Milano 1922. Su Obizzo vescovo di Parma v. Arch. stor. per le provincie parmensi, n. s., XX (1920). Su Opizzo patriarca di Antiochia, Giornale stor. letter. della Liguria, 1900, p. 353 segg. Sul cardinale Luca, ibid., 1904, p. 168 segg. Su Giovanni Antonio e Gianfilippo, ibid., 1915, p. 361 segg. e Atti Soc. ligure di st. patria, VI, p. 463 segg. Su Obietto, F. Gabotto, La storia genovese nelle poesie del Pistoia, in Giornale ligustico, XV (1888), p. 96 segg.; C. Bornate, I F., commendatari dell'Abbazia di Sannazzaro Sesia, in Arch. Soc. vercellese di st. e d'arte, XI (1920), p. 17 segg. Su Sinibaldo di Gian Luigi, Atti Soc. lig. storia patria, X, 705-772; Su Sinibaldo agente in Turchia, Arch. di stato di Genova, Lettere ministri Costantinopoli, 3/2171-5/2173. Su Tommasina Fieschi, Soprani, Vita di suor T. F. e della beata Caterina F. A., Genova 1667; Alizeri, Di suor T. F., pittrice e ricamatrice, in Atti Soc. lig. storia patria, VIII, ii (1872).