figgere [il partic. pass. fisso (v.) è adoperato sempre come aggettivo]
Il vocabolo ricorre 14 volte, solo nella Commedia; uniche forme usate sono il pass. rem. fissi (4 volte) e il partic. pass. fitto, quest'ultimo in prevalenza impiegato come aggettivo.
Con il valore di " piantare saldamente ", " conficcare ", compare soltanto in Pg XXXII 132 vidi uscirne un drago / che per lo carro sù la coda fisse.
Frequentemente ‛ fitto ' vale " confitto ", " cacciato a forza ": gli accidiosi sono fitti nel limo (If VII 121); nessun traditore è degno più di Alessandro e Napoleone degli Alberti di esser ‛ fitto ' in gelatina (XXXII 60), cioè di essere immerso nella ghiaccia di Cocito; così pure in XXXIV 103 e 120. In particolare, è usato a proposito della pena inflitta ai sicari, che consisteva nel mettere a morte il reo cacciandolo con il capo all'ingiù in una buca scavata nel terreno: Io stava come 'l frate che confessa / lo perfido assessin, che, poi ch'è fitto, / richiama lui (XIX 50). In un luogo compare come sinonimo di " trafitto ": Vedëa Brïareo fitto dal telo / celestïal giacer (Pg XII 28).
Figurato, in Rime dubbie XXVII 2 De' tuoi begli occhi un molto acuto strale / m'è nel cor fitto.
Riferito a ‛ occhi ' e simili, sta a indicare una particolare intensità dello sguardo: Io avea già il mio viso nel suo fitto (If X 34), dove M. Sansone (Lect. Scaligera I 351) vede nel verbo " non l'ergersi dell'eroe giovane contro l'altro ed antico, ma esprime la misura dello stupore, dell'ammirazione e lo sbramarsi di un'attesa preannunciata già nel colloquio con Ciacco ". Lo stesso senso in Pd I 66 io in lei [Beatrice] / le luci fissi; e così pure in Pg XIX 30, Pd 1 54.
In senso figurato compare ancora in tre luoghi. Per alludere alla sua condizione di vivente, Guido del Duca chiama D. anima ancora fitta / nel corpo (Pg XIV 10; viceversa, Casella [II 89] dice di sé di essere ormai anima sciolta dal mortai corpo). Negli altri due casi il verbo mira a esprimere l'intensità di un sentimento o la vivezza di un ricordo impresso nell'animo: a Iacopo Rusticucci, il quale aveva espresso il timore che la loro miseria di dannati potesse rendere meritevoli di disprezzo lui e i suoi compagni di pena, D. risponde: Non dispetto, ma doglia / la vostra condizion dentro mi fisse (If XVI 53); la stessa reverenza, ma in questo caso resa più accorata dall'affetto, suggerisce l'uso del medesimo traslato nelle parole rivolte a Brunetto Latini: 'n la mente m'è fitta, e or m'accora, / la cara e buona imagine paterna / di voi (XV 82).