Figlio
Il concetto di figlio rimanda alla posizione intergenerazionale di un individuo all'interno di un sistema familiare, al quale è legato da vincoli di natura non solo biologica ma anche sociale e psicologica, in cui evolve e si struttura come persona, ovvero come essere relazionale. In virtù della prolungata dipendenza fisica, psicologica e operativa dall'ambiente, che connota in modo specifico il cucciolo dell'uomo rispetto alle altre specie viventi, la letteratura psicologica attribuisce in genere particolare rilievo alle relazioni familiari, come dimensioni costitutive dello sviluppo individuale, che consentono la maturazione delle potenzialità evolutive di cui ogni essere umano è dotato alla nascita. Le teorie di matrice psicoanalitica analizzano l'influenza della famiglia intesa soprattutto come nucleo affettivo originario, la cui importanza è considerata decisiva fin dalle prime esperienze di vita del soggetto.
Nella teorizzazione di S. Freud, il bambino è dotato alla nascita di una particolare eredità evolutiva, costituita dall'energia pulsionale (v. pulsione) destinata a percorrere precisi stadi di sviluppo, organizzando il rapporto dell'individuo con il mondo esterno. La madre, ovvero la persona che si occupa del bambino nelle prime fasi della vita, ha per il figlio un significato inizialmente soltanto biologico; il legame si struttura poi come relazione affettiva a partire dalla soddisfazione dei bisogni fisiologici e persiste successivamente a prescindere da questi. Nei primi due anni, infatti, la madre costituisce per il suo piccolo il principale oggetto d'amore, dal quale egli inizialmente dipende in modo totale e che non riesce a differenziare da sé. A questa età il bambino non possiede un'immagine integrata dell'oggetto, ma ne percepisce separatamente i diversi aspetti (parti del corpo, atteggiamenti, comportamenti, umori) che vengono raggruppati in due categorie fondamentali: la madre che appaga i desideri e la madre che li frustra (Brenner 1957). È solamente con la fase edipica, tra il terzo e il quinto anno, che il bambino sperimenta in modo compiuto le relazioni familiari, in quanto acquista un'importanza particolare anche la figura paterna, vissuta come oggetto d'amore dalla bambina e come rivale da parte del figlio maschio: la risoluzione di questo insieme di affetti di amore e di ostilità verso i genitori comporta la rinuncia del bambino alla conquista del genitore del sesso opposto e la sua identificazione con quello dello stesso sesso come primo modello sessuale (v. complesso). Conseguenza è la strutturazione del Super-Io, come istanza fondamentale della personalità, costituita dall'interiorizzazione degli aspetti morali e proibitori dei propri genitori, a partire dall'angoscia di essere punito per i desideri incestuosi, che il bambino finisce per abbandonare. La figura paterna, dunque, concorre allo sviluppo sociale del bambino, inducendolo a uscire dall'iniziale legame simbiotico con la madre per assumere un ruolo e un'identità propria all'interno del nucleo familiare.
Pur partendo da fondamenti epistemologici diversi, anche A. Adler, contemporaneo di Freud e fondatore della 'psicologia individuale', conferisce importanza alle figure genitoriali sullo sviluppo del singolo, estendendo peraltro l'analisi all'intera costellazione familiare. Secondo Adler, l'ordine di genitura assegna a ciascun figlio un posto specifico nell'ambito della famiglia che, seppure alla luce dell'interpretazione soggettiva che l'individuo ne farà, spesso rappresenta il ruolo che egli assumerà nella vita. Il primogenito risulta più favorito rispetto ai fratelli, in quanto più spesso valorizzato dai genitori; tuttavia questi, generalmente, hanno nei suoi confronti aspettative più alte, che lo inducono a sperimentare ansia e ad assumere comportamenti competitivi in modo più marcato rispetto ai fratelli. Frequentemente il primogenito evidenzia caratteristiche di responsabilità, autodisciplina, tendenza all'ordine e a comportamenti precocemente adulti. Al contempo, però, egli è sottoposto a intensi vissuti negativi al momento della nascita di un fratello, percepito generalmente come rivale e usurpatore dell'affetto dei genitori. Può allora manifestare il suo disagio attraverso difficoltà di adattamento, condotte regressive, ostili nei confronti del nuovo nato, dei genitori o di sé stesso. Talora si osservano invece atteggiamenti particolarmente responsabili e adulti, nonché protettivi verso il fratello, che tuttavia possono contenere aspetti di malcelata aggressività. Il secondogenito appare stimolato nello sviluppo dal desiderio di superare il fratello maggiore e si presenta spesso come più intraprendente e aggressivo; nello stesso tempo, può trovarsi preso dalla rivalità per l'ultimo nato. La sua posizione risulta quindi piuttosto delicata e poco precisa. L'ultimo nato è caratterizzato generalmente dalla volontà di superare i fratelli, da atteggiamenti esibizionistici ed egocentrici e spesso è trattato con maggiore indulgenza dai genitori. Se i fratelli si presentano ai suoi occhi come competitori difficili a superarsi, egli può optare per un atteggiamento pigro e rinunciatario, per comportamenti di aggiramento ed evitamento degli ostacoli, dietro i quali si nasconde spesso un accentuato sentimento di inferiorità. Il figlio unico, infine, corre il rischio di essere viziato, egocentrico, di subire l'eccessiva protettività dei genitori, nonché il carico delle loro aspettative e aspirazioni. Il raggiungimento dell'autonomia può quindi essere ostacolato da un concetto di sé inadeguato (in quanto eccessivo o carente) e dalla scarsa abitudine ad affrontare frustrazioni e difficoltà. Tuttavia, può presentare un'evoluzione psicologica più semplificata e lineare, con il passaggio graduale dalla relazione primaria con la madre al rapporto con il padre, senza particolari turbamenti emotivi che inevitabilmente comporta il rapporto con i fratelli. Tutti questi modelli di sviluppo sono, comunque, soggetti a variazioni in funzione degli intervalli di età tra i figli, del rapporto tra maschi e femmine e delle loro rispettive posizioni all'interno della famiglia (Adler 1930).
Le teorie psicoanalitiche che prendono avvio dall'elaborazione del pensiero freudiano hanno via via sottolineato l'importanza della dimensione relazionale, rispetto al piano intrapsichico: le pulsioni emergono nel contesto di una relazione e sono intrinsecamente dirette verso un oggetto. L'interesse della psicoanalisi si focalizza progressivamente sul rapporto madre-bambino nelle fasi pre-edipiche, rendendo marginali gli altri rapporti familiari e sociali. Un contributo particolarmente rappresentativo in tal senso è quello di M. Klein (1928), considerata la fondatrice della 'teoria delle relazioni oggettuali'. Secondo l'autrice, il bambino possiede una serie di immagini innate e inconsce che orientano gli impulsi istintuali ed esistono indipendentemente dagli apporti percettivi del mondo esterno. Queste immagini inconsce sono connotate da una doppia polarità, positiva e negativa, che rispecchia quella tra pulsione di vita e pulsione di morte teorizzata da Freud. L'impulso della nutrizione, per es., è organizzato intorno a un'immagine fantasmatica di seno materno che preesiste alla scoperta di quello reale e interagisce con esso: nel momento in cui questo è fonte di gratificazione conferma l'aspetto libidico e positivo dell'immagine inconscia, nel momento in cui è assente o inadeguato al bisogno ne conferma la connotazione negativa. Le relazioni oggettuali reali costituiscono quindi delle impressioni volte a confermare o 'disconfermare' i contenuti innati di pensiero. L'evoluzione dell'individuo è dunque legata alla risoluzione dell'ambivalenza verso la madre (percepita separatamente come buona e cattiva), più che allo sviluppo pulsionale. Ne consegue che, ai fini di una crescita armonica, è necessario che le esperienze gratificanti superino quelle frustranti, in modo che le prime si sviluppino gradualmente in un'immagine interna positiva e rassicurante della figura materna (Vegetti Finzi 1986).
La teoria kleiniana ha avuto un grande seguito, influenzando in qualche misura tutte le attuali correnti psicoanalitiche. Le stesse formulazioni, tuttavia, sono state oggetto di numerose critiche, anche da parte dei teorici delle relazioni oggettuali, soprattutto in merito all'importanza attribuita alla dimensione fantasmatica, a scapito degli apporti formativi dell'esperienza reale e degli scambi interattivi nel contesto di vita in cui il bambino è inserito. In tale prospettiva si collocano, in particolare, gli autori della scuola britannica, tra i quali D.W. Winnicott (1965). La presenza di una 'madre sufficientemente buona', ovvero capace di supportare empaticamente il figlio, rispondendo tempestivamente ai suoi bisogni e preservandolo da eccessive stimolazioni ambientali, costituisce, secondo Winnicott, una premessa indispensabile perché questi possa evolvere verso l'autonomia, a partire dallo stato iniziale di indifferenziazione e di dipendenza assoluta.
Per evolvere in modo armonico, il lattante ha bisogno di sperimentare, nei primi mesi di vita, una fase di allucinazione onnipotente, attraverso la quale si illude di creare gli oggetti che gratificano i suoi bisogni, anzitutto la madre. Il fantasma precursore dell'oggetto, di cui parla Klein, è considerato da Winnicott "uno schema che acquista efficacia conoscitiva soltanto quando entra in rapporto con l'oggetto della percezione" (Vegetti Finzi 1986, p. 343). Successivamente, le frustrazioni che inevitabilmente vengono provocate dalla madre, sebbene inizialmente stimolino la distruttività del bambino, gradualmente gli permettono di perdere la sua onnipotenza e di abbandonare la fusione originaria con lei, per cimentarsi nella comunicazione esplicita dei propri bisogni e acquisire il senso della realtà. Si struttura così progressivamente la distinzione tra mondo interno e mondo esterno, rendendo possibile la relazione del bambino con un oggetto autonomo e separato da sé. Questo passaggio può essere facilitato dal cosiddetto oggetto transizionale, costituito in genere da un oggetto caldo e morbido (ma può essere anche l'atto di succhiare il pollice, di stringere un cuscino, un lembo della coperta ecc.) che, simbolizzando una parte di sé e una parte della madre, viene a rappresentare una sorta di ponte tra la dimensione soggettiva e la realtà esterna.
Prendendo le mosse dall'osservazione sistematica di coppie madre-figlio in contesti naturali, M. Mahler (1975) suggerisce che la vera e propria nascita psicologica del bambino avvenga durante i primi tre anni di vita, attraverso un percorso intrapsichico, denominato 'processo di separazione-individuazione', che comprende la differenziazione a partire dallo stato iniziale di simbiosi con la madre, la conquista del senso di individualità e l'interiorizzazione della figura materna come oggetto intero integrato, come immagine mentale emotivamente confortante (a cominciare dalle rappresentazioni parziali, scisse in una componente idealizzata e una persecutoria). Questo percorso può avvenire in modo compiuto a condizione che la figura materna sia in grado di adattarsi alle richieste del figlio con costante disponibilità emotiva e, nel contempo, sappia incoraggiarne l'indipendenza e l'allontanamento da sé.
La dimensione relazionale dello sviluppo individuale è accentuata ulteriormente nella 'teoria dell'attaccamento' di J. Bowlby, elaborata alla fine degli anni Sessanta del 20° secolo, secondo cui il bambino nasce con una predisposizione genetica alla socialità e all'attaccamento affettivo a una figura specifica (che in genere è la madre), indipendentemente dalla soddisfazione dei bisogni biologici. Il corredo innato del bambino prevede una serie di sistemi comportamentali, che consentono di assumere una posizione attiva nella relazione con la madre. Tale relazione, resa possibile dalla presenza continuativa e stabile della figura materna, è considerata non solo essenziale ma anche il prototipo di tutte le relazioni successive (Bowlby 1979).
La 'psicologia dell'Io', evolutasi contemporaneamente alla teoria delle relazioni oggettuali, prendendo spunto dalle ipotesi freudiane sulla funzione delle istanze psichiche (Es, Io e Super-Io), comprende contributi significativi in merito alle questioni evolutive secondo una prospettiva relazionale. Tra gli autori più importanti, E. Erikson (1963) propone uno schema di evoluzione psicosociale finalizzata a conseguire l'adattamento nella relazione tra individuo e ambiente, attraverso l'equilibrio fra esigenze interiori e richieste sociali. Anche in questo caso il punto di partenza è il rapporto madre-figlio, la cui qualità è decisiva per l'acquisizione della 'fiducia di base', che consente di affrontare le tappe successive che portano alla costruzione dell'identità. Tra i contributi successivi, la teorizzazione di O. Kernberg (1976) ribadisce l'importanza delle prime relazioni oggettuali per la strutturazione del Sé, considerando l'interazione costante tra oggetti reali, oggetti fantasmatici e sviluppo pulsionale. L'autore concentra la sua analisi in particolare sull'evoluzione dell'aggressività, in funzione della relazione d'oggetto, la quale può supportarne la canalizzazione, la neutralizzazione e l'utilizzo a fini costruttivi, o accentuarne la connotazione distruttiva oppure difensiva.
Con la terza area teorica di derivazione psicoanalitica, cioè con la 'psicologia del Sé', si viene ad attribuire un significato minimale alla dimensione fantasmatica, mentre si sottolinea l'importanza delle relazioni esterne come contributo essenziale per l'acquisizione della stima di Sé e per la coesione del Sé. Secondo H. Kohut, che a partire dagli anni Settanta ha dato avvio a questo approccio teorico, una delle esigenze fondamentali del bambino è quella di ricevere dalla madre risposte empatiche di approvazione ai suoi bisogni narcisistici ed esibizionistici (Sé grandioso-esibizionistico) e al bisogno di idealizzarla; se le cure genitoriali sono adeguate, il bambino riesce ad acquisire il senso di integrità e di considerazione di sé stesso, il Sé grandioso viene trasformato in ambizioni sane, mentre l'immagine genitoriale idealizzata viene interiorizzata come ideali e valori (Kohut 1971). Questi concetti hanno ricevuto un particolare supporto dalle indagini osservative sui bambini condotte da D. Stern all'inizio degli anni Ottanta. L'evoluzione del bambino è strettamente connessa all'armonia affettiva con la madre che, 'sintonizzandosi' con il figlio fin dai primi momenti della nascita attraverso la condivisione di uno stesso codice di segnali, consente l'acquisizione delle caratteristiche essenziali del senso di Sé, ovvero: coerenza, affettività, attività e continuità (Stern 1985).
Negli ultimi decenni, gli studi sul legame madre-figlio hanno esteso l'indagine alla fase della gestazione, evidenziando l'esistenza di relazioni emotive e mentali tra la madre e il feto, che vanno al di là degli scambi di tipo biologico (v. feto). I risultati di queste ricerche costituiscono un elemento particolarmente importante nel pensiero di F. Fornari, in quanto rappresentano, a suo giudizio, una riprova dell'esistenza di un codice genetico affettivo, come competenza innata comune a tutti gli esseri umani. Secondo la 'teoria coinemica' proposta da Fornari, la prima esperienza di conoscenza della realtà e di sé avviene attraverso la significazione affettiva, a partire da "unità minime di significato" (Fornari 1979, p. 16), denominate coinemi. I coinemi sono delle categorie mentali inconsce, che hanno la funzione di anticipazione e preformazione dell'esperienza. Si tratta di categorie affettive metastoriche, indipendenti dall'esperienza, che ordinano i fantasmi inconsci (il riferimento è alla teoria kleiniana) secondo determinate regolarità, precostituendo delle scelte che il desiderio umano segue per scaricarsi. I coinemi sono pre-concezioni del padre, della madre, del bambino, del fratello, della nascita, del rapporto sessuale, della morte, del corpo umano, della nudità. La loro funzione consiste quindi nell'anticipare le unità elementari delle relazioni di parentela e dell'istinto di riproduzione, tutte collegate alla nascita e alla morte come rispettive simbolizzazioni di buono e cattivo. Se i bisogni sono primariamente di sopravvivenza, gli stati del mondo esterno sono primariamente segmentati in base alla connotazione soddisfazione-insoddisfazione, quindi si dividono in oggetti buoni e oggetti cattivi. La soddisfazione dei bisogni primari è tuttavia inserita fin dall'inizio della vita in una dimensione relazionale, in quanto la realtà del bambino è mediata dalla presenza di altre persone, in primis le figure parentali. I coinemi possono collegarsi fra loro, dando luogo a costellazioni di immagini inconsce, quali per es. la 'madre buona', il 'padre buono', la 'madre cattiva', il 'padre-madre', la 'bisessualità' ecc. La lettura emozionale permette di conoscere la realtà articolandola secondo queste aree di significazione: così, per es., gli oggetti che soddisfano, proteggono, accolgono si riferiscono all'area di significazione materna; gli oggetti che separano, ordinano, allontanano il pericolo si collocano nell'area di significazione paterna; gli oggetti che si collegano all'essere riconosciuto, inteso come interlocutore, si riferiscono all'area della filiazione e così via. Le relazioni di parentela, paternità, maternità e filiazione sono dunque inserite geneticamente nell'orientamento istintivo di ogni soggetto, costituendo nuclei attraverso i quali ruotano la lettura e l'interpretazione delle esperienze successive, nonché la comunicazione con gli altri esseri umani, in quanto costituenti di un vocabolario naturale e comune. In questo modo, il modello kleiniano viene ad assumere una dimensione collettiva, nella quale il mondo dell'esperienza soggettiva si rifà alla storia dell'umanità e all'appartenenza al genere umano.
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