ARTALE, Filadelfo
Nato nel 1716, si addottorò in legge ed entrò nelle magistrature del Regno di Sicilia, percorrendo una brillante carriera. Fu giudice della Corte pretoriana di Palermo nel 1754-55 e nel 1768-69, giudice del Tribunale del Concistoro nel 1759-60 e nel 1760-61, giudice della Gran Corte civile nel 1772. Il 26 marzo 1773 fu nominato avvocato fiscale del Tribunale del Real Patrimonio, una carica stabile (quelle ricoperte precedentemente erano annuali) di notevole importanza. L'A. era ormai considerato, a sentire il Villabianca, un "ministro in vero di gran talento e di molta vaglia presso il governo", anche se "in concetto di non tanta grazia riguardo al popolo". Che la considerazione del govemo, e nella fattispecie del viceré marchese Fogliani, non fosse mal riposta, si vide bene nel corso della rivolta palermitana dell'ottobre 1773, durante la quale l'A. si mostrò fermo assertore dell'ordine costituito e deciso sostenitore del viceré.
All'insorgere della rivolta, davanti alla folla in armi che chiedeva le dimissioni del Foghani, ormai in procinto di lasciare Palermo, l'A. gli consigliò di rassegnare nelle mani dell'arcivescovo di Palermo non il governo di tutto il Regno (cioè la presidenza del Regno), come volevano il consultore del viceré D. Targiani e i capi dei rivoltosi, ma solo quello della capitale (un vicariato quindi), lasciandosi così la possibilità di ritornare nel pieno esercizio della sua carica al primo rffluire dei tumulti. Tale proposta fu contrastata violentemente dal Targiani e dai capi dei rivoltosi, mentre il Fogliani restava irresoluto, cosicché l'A., che pure l'aveva lanciata, dovette lasciarla cadere. Riparato il Fogliani a Messina, l'A. alla prima occasione cercò di intavolare trattative con i consoli delle corporazioni artigiane, che dirigevano ufficialmente la rivolta, per ottenere il ritorno del viceré. A tal fine convocò nella sua abitazione i consoli più in vista, cercando di convincerli a firmare un memoriale al re, nel quale-fra l'altro si chiedeva il ritorno del Fogliani. Il suo tentativo però falli clamorosamente e minacciò di costargli caro. La mattina del 15 ottobre apparve infatti un cartello sedizioso che lo indicava allo sdegno popolare:. una folla sempre più minacciosa cominciò a raccogliersi sotto la sua abitazione, dalla quale l'A., avvertito in tempo, aveva "tolto... tutto il migliore che vi teneva, ed il meno imbarazzante", fuggendo "ratto ratto con la famiglia ai colli, nella casena del principe di S. Vincenzo Vanni". La sua casa fu salvata dal saccheggio dal deciso intervento delle maestranze artigiane, interessate ormai a mantenere l'ordine in città. Il Fogliani scrisse al Tanucci qualche tempo dopo da Messina: o mi penetrò il cuore la notizia del pericolo in cui si pose il barone Artale".
La linea di condotta dell'A., che sembrò dettata da assoluta fedeltà al sovrano e al suo rappresentante nell'isola (ma in realtà i rapporti che legavano l'A. al corrotto ed intrigante Fogliani non sono affatto chiari), non mancò di essere apprezzata a Napoli: il 10 sett. 1774 fu nominato maestro razionale onorario del Tribunale del Real Patrimonio, con l'impegno a continuare ad esercitare la carica di avvocato fiscale, "a causa del maggior servigio della corona". Nominato nel 1776 consultore interino della Giunta pretoria di Palermo, nel 1778 passò, sempre come avvocato fiscale,, nel Tribunale della Regia Gran Corte.
Nel giugno dello stesso 1778 fu mandato a Messina, dove erano scoppiati tumulti, accompagnato da cinquanta cavalleggeri e due compagnie rusticane, "con la conunissione di farla da ministro di Stato per detti affari popolari". A Messina l'A. si comportò con molto tatto ed energia e riportò l'ordine, mandando in galera alcuni senatori responsabili dei disordini e alla forca un paio di poveri diavoli tra i più compromessi nei tumulti. Rientrò a Palermo nel gennaio del 1779, avendo assolto "il ministeriale incarico", annotò il Villabianca, "con la più lodevole condotta, meritatamente applaudita dal popolo".
Il 15 marzo 1780 l'A. fu chiamato, a coronamento della sua carriera burocratica, all'alta carica di reggente regio consultore nella Giunta di Sicilia a Napoli; quivi morì il 23 ag. 1782.
I servigi prestati alla corona procurarono all'A. anche il titolo di marchese, concessogli dal re con privilegio del 2 genn. 1779, con la facoltà di appoggiarlo su un feudo acquistato o da acquistare. L'A. aveva acquistato nel 1777, attraverso i fratelli Margaglio che li tenevano in enfiteusi, la baronia e feudi di Colla Soprana, Sottana o Cannata. Nel 1778 riscattò il canone enfiteutico dovuto al precedente feudatario, e nel 1780 se ne investì.
Fonti e Bibl.: F. Emanuele e Gaetani di Villabianca, Diario palermitano, in G. Di Marzo, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, Palermo 1875, XIX, pp. 103, 130; XX, ibid., pp. 21, 139; XXI, ibid., pp. 55 ss., 260; XXXVI, ibid. 1979, pp. 38, 192 s., 214 s.; XXVIII, ibid. 1880, pp. 10, 49 s., 378; G. E. Di Blasi, Storia cronologica dei viceré luogotenenti e presidenti del regno di Sicilia, Palermo 1880, pp. 643, 644, 659, 1027; N. Caeti, La cacciata del viceré Fogliani, in Arch. stor. siciliano, n. s., XXXVI (1911), pp. 160, 162 ss., 165 s., 188 s.; F. San Martino de Spucches. La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, III, Palermo 1925, pp. 44, 45.