Abstract
I rapporti di filiazione caratterizzati da elementi di estraneità rispetto all’ordinamento italiano sono disciplinati, da un lato, dalle norme della l. n. 218/1995 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato; dall’altro, da una serie di norme contenute in regolamenti dell’Unione europea e in accordi internazionali.
1. Premessa
I rapporti di filiazione non totalmente interni, caratterizzati cioè da elementi di estraneità rispetto all’ordinamento italiano, rientrano nell’ambito di applicazione della l. 31.5.1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), che alla filiazione dedica cinque articoli.
Gli artt. 33-35 affrontano il problema della legge applicabile alla costituzione del rapporto di filiazione. La presenza di regole formalmente distinte in ordine alla costituzione dei tre diversi tipi di filiazione rispecchia le disparità che anche nel nostro ordinamento permangono a seconda della situazione soggettiva dei genitori: le modalità di definizione del rapporto infatti restano diverse a seconda che “a monte” o “a valle” della filiazione vi sia il matrimonio dei genitori.
L’art. 36 si occupa della legge applicabile ai rapporti tra genitori e figli, mentre alla determinazione della giurisdizione italiana in materia di filiazione è dedicato l’art. 37.
2. Principi ispiratori
2.1 Il criterio di collegamento della cittadinanza
Il criterio di collegamento impiegato è sempre quello della cittadinanza, riferito, volta a volta, individualmente a uno dei soggetti del rapporto, principalmente al figlio (soggetto che nel rapporto triangolare si colloca in posizione nei fatti «diseguale» rispetto ai genitori).
Posto che quello della cittadinanza è un criterio di collegamento variabile nel tempo, il legislatore – nella disciplina del momento costitutivo del rapporto – ha optato per la cristallizzazione del criterio di collegamento ad un momento ben definito (nascita, in via di principio, o momento della legittimazione, della morte del genitore legittimante, del riconoscimento). Diversa soluzione è stata invece adottata in ordine alla disciplina dei rapporti tra genitori e figli, in cui il richiamo è “mobile”.
2.2 Il concorso alternativo di leggi
La l. n. 218/1995 fa abbondante ricorso, in materia di filiazione, al concorso di leggi. Chiamate a concorrere in alternativa sono (potenzialmente) ben tre leggi nel caso di legittimazione per susseguente matrimonio (art. 34,co. 1) e due soltanto nel caso di legittimità (art. 33, co. 1) e di riconoscimento del figlio naturale (art. 35, co. 1).
Attraverso il richiamo (concorso) alternativo di più leggi il legislatore persegue il c.d. favor filiationis, ossia tende a favorire l’accertamento formale del rapporto di filiazione. In vista di tale risultato la l. n. 218/1995 affianca alla regola-base secondo la quale lo stato di figlio è determinato dalla di lui legge nazionale al momento della nascita, una serie di altre regole “speciali” atte ad assegnare al figlio, nel suo (astratto) interesse, un preciso status familiae: stato di figlio legittimo (art. 33,co. 2); stato di figlio legittimato (art. 34, co. 1); stato di figlio naturale riconosciuto (art. 35,co. 1).
2.3 Favor filiationis e favor veritatis
Il favor filiationis, operando in astratto, non sempre corrisponde all’interesse concreto del figlio: né sempre corrisponde alla veridicità del rapporto. Basti pensare che possono crearsi situazioni di paternità plurima, in cui cioè la filiazione sussiste nei confronti di più presunti padri, alla luce della legge nazionale di ciascuno di loro: non solo, ma oggi – a seguito della stipulazione dei c.d. contratti di maternità – sono ipotizzabili persino conflitti di maternità.
Circa invece l’interesse alla veridicità del rapporto (favor veritatis), va osservato che in ordine alla filiazione legittima la l. n. 218/1995 tempera in qualche misura il favor filiationis prevedendo all’art. 33, co. 3, che, ove lo stato di figlio legittimo sia stato acquisito sulla base della legge di uno dei genitori, esso «non può essere contestato che alla stregua di tale legge». Sebbene la formulazione non sia del tutto felice, la prescrizione citata è da intendere nel senso che è necessario e sufficiente che la contestazione risulti fondata alla luce della legge in virtù della quale aveva avuto luogo l’acquisizione dello stato di figlio legittimo.
Il principio esplicitato dall’art. 33, co. 3, parrebbe valere, nel silenzio del legislatore, anche in ordine alla filiazione legittimata e alla filiazione naturale. In definitiva, chiunque – incluso lo stesso figlio – voglia contestare lo status familiae di un dato individuo acquisito sulla base di una delle leggi alternativamente concorrenti deve dimostrare l’inesistenza di tale status esclusivamente sulla base della stessa legge che ne ha consentito l’acquisizione, e non già sulla base di tutte le leggi in concorso.
Si può insomma concludere che, nella costituzione del rapporto di filiazione, il concorso alternativo di leggi opera in modo peculiare, in nome di quel contemperamento tra favor filiationis e favor veritatis che anche la Corte europea dei diritti dell’uomo suggerisce (si vedano le sentenze 27.12.1994, Kroon e altri c. Paesi Bassi, e12.1.2006, Mizzi c. Malta).
Non si può fare a meno di accennare poi alla particolare forma assunta, nel campo della filiazione, dal c.d. rinvio (per rinvio si intende la presa in considerazione del richiamo operato dal diritto internazionale privato dello Stato straniero indicato come competente dalle norme della l. n. 218/1995). L’art. 13, co. 1, stabilisce, in generale, che si debba tener conto del rinvio operato dal diritto internazionale privato straniero allorquando detto rinvio indirizzi verso l’ordinamento italiano (c.d. rinvio indietro) o verso un ordinamento straniero che accetta il rinvio (ossia che contiene una norma di diritto internazionale privato che richiama l’ordinamento stesso a cui appartiene: c.d. rinvio altrove accettato). In aderenza allo spirito di favor filiationis che informa la l. n. 218/1995, ilco. 3 dell’art. 13 precisa tuttavia che in materia di accertamento del rapporto di filiazione «si tiene conto del rinvio soltanto se esso conduce all’applicazione di una legge che consente lo stabilimento della filiazione».
La portata di questa norma è stata al centro di un dibattito dottrinale, che ha visto contrapposte due teorie.
Una prima teoria, che presenta il vantaggio della semplicità, ammette il ricorso al rinvio solo se nessuna delle leggi materiali richiamate dagli artt. 33-35 consente lo stabilimento della filiazione. In altre parole, ove il diritto materiale di nessuna delle leggi alternativamente richiamate consenta l’attribuzione dello status di figlio legittimo, legittimato o naturale riconosciuto, e tale attribuzione sia invece possibile sulla base di un’altra legge, alla quale indirizzi il diritto internazionale privato di una delle legge concorrenti, si deve tenere conto del rinvio e applicare conseguentemente quest’altra legge.
Secondo un’altra teoria, invece, si dovrebbe ammettere il rinvio anche se le leggi materiali alternativamente richiamate consentono lo stabilimento della filiazione, con la conseguenza di aumentare il numero delle leggi tra cui individuare quella più favorevole allo stabilimento della filiazione.
2.4 Il riconoscimento automatico dei provvedimenti esteri
Ai sensi dell’art. 65 della l. n. 218/1995, avranno automaticamente effetto in Italia i provvedimenti relativi all’accertamento della filiazione emanati nello Stato la cui legge è richiamata dagli artt. 33-35, o ivi produttivi di effetti ancorché pronunciati in altro Stato. Tali provvedimenti (e le situazioni giuridiche cui danno luogo) saranno però suscettibili di produrre effetti soltanto qualora nel procedimento svoltosi all’estero siano stati garantiti alle parti i diritti essenziali di difesa, e non vi sia contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento (c.d. limite dell’ordine pubblico). Nessuna rilevanza è invece attribuita alla circostanza che in concreto sia stata applicata questa o quella legge materiale: sono, in altri termini, di per sé produttivi di effetti in Italia i provvedimenti adottati — a seconda del tipo di filiazione — nello Stato di appartenenza del figlio o del genitore, indipendentemente dalla legge sulla base della quale sono stati emanati.
3. Filiazione legittima
3.1 Stato di figlio e legittimità
Della filiazione legittima si occupa l’art. 33 che, quantunque dedicato alla Filiazione in generale, contiene norme specifiche in merito allo status di figlio legittimo.
In base al co. 2 dell’art. 33 «è legittimo il figlio considerato tale dalla legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita del figlio». Colpisce il richiamo della legge nazionale dei soli genitori, laddove nella disciplina della legittimazione per susseguente matrimonio (art. 34, co. 1) e del riconoscimento del figlio naturale (art. 35,co. 1) è dato spazio anche alla legge nazionale del figlio (al momento della legittimazione e rispettivamente della nascita). Di qui l’ipotizzata integrazione del co. 2 dell’art. 33 con la regola-base posta dal co. 1 in ordine allo «stato di figlio» («Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita»), con la conseguenza di aggiungere alle leggi in concorso, appunto, la legge nazionale del figlio.
La portata della regola-base contenuta nell’art. 33, co. 1, e il suo rapporto con le regole “speciali” dedicate alla legittimità, alla legittimazione e al riconoscimento del figlio naturale, costituiscono in effetti i problemi interpretativi più delicati cui ha dato luogo disciplina del 1995.
Potrebbe infatti sembrare che la regola-base abbia, come si è appena accennato, la (sola) funzione di integrare le regole speciali”. L’alternativa sarebbe ritenere che l’art. 33, co. 1, abbia invece come oggetto il mero rapporto biologico di discendenza del figlio da un determinato soggetto, e vanti pertanto una propria autonomia. Questa seconda tesi è stata criticata sulla base della considerazione che la discendenza biologica concerne un mero fatto e non solleva problemi di conflitti di legge. Ma è proprio questa critica ad apparire oggi superata, poiché in presenza di talune pratiche di procreazione assistita è il legislatore ad imputare la paternità/maternità ad un soggetto piuttosto che all’altro, superando talvolta il dato biologico. Esemplare è il caso del c.d. contratto di maternità, a seguito del quale il nato può trovarsi ad avere ben tre “madri”: la madre volontaria (o committente), la madre genetica (che fornisce l’ovulo) e la madre di grembo (o portatrice).
In conclusione: l’art. 33, co. 1, pare avere un ambito di applicazione proprio e non un mero ruolo integrativo delle altre norme relative alla costituzione di specifici rapporti di filiazione. L’ambito di applicazione della legge nazionale del figlio al momento della nascita è chiarito dall’art. 33,co. 3, prima frase, che sottopone a detta legge i presupposti e gli effetti tanto dell’accertamento dello stato di figlio quanto della sua contestazione.
3.2 Accertamento e contestazione della legittimità
Per quanto concerne la sfera di applicazione dell’art. 33, co. 2, va detto che la legge da esso richiamata disciplina ogni aspetto dello status di legittimità, ed in particolare la presunzione di legittimità, i mezzi di prova della filiazione legittima, la durata legale del concepimento. Data la stretta connessione con la sostanza dell’istituto, infatti, dette questioni vanno qualificate come attinenti al rapporto, e non già alla procedura: esse sono pertanto da ricondurre entro l’ambito dell’art. 33,co. 2, e non già dell’art. 12 (Legge regolatrice del processo).
La legge sulla base della quale è stato attribuito lo status di figlio legittimo regola altresì il reclamo e la contestazione della legittimità, nonché il disconoscimento di paternità (art. 33, co. 3, ult. frase).
Resta da aggiungere che la contestazione in radice dello stato di figlio in base alla legge nazionale dell’interessato al momento della nascita (art. 33, co. 1) travolge naturalmente l’eventuale legittimità conferita dalla legge nazionale di uno o di entrambi i genitori (sulla conformità all’ordine pubblico delle norme straniere che fissano i termini per l’espletamento dell’azione di disconoscimento di paternità, v. Trib. Milano, 10.10.1974, in Dir. fam., 1975, 532, e in Riv. dir. int. priv. proc., 1975, 123; Trib. Firenze, 22.3.1977, in Dir. fam., 1979, 715).
4. Filiazione naturale
4.1 Legittimazione
L’art. 34 ha per oggetto la legittimazione per susseguente matrimonio (co. 1) o per altro mezzo (co. 2), in relazione alla quale indica la legge destinata a regolare le condizioni, i limiti e gli effetti, e a determinare i soggetti legittimati alla domanda come pure i termini di presentazione della stessa. Per tutte le forme di legittimazione il criterio di collegamento impiegato (cittadinanza del figlio o di uno dei genitori,co. 1; cittadinanza del genitore, co. 2) è preso in considerazione al momento in cui la legittimazione avviene.
Nel silenzio del legislatore, gli aspetti formali devono intendersi sottoposti alla medesima legge che regola gli aspetti sostanziali della legittimazione.
Quanto alla legittimazione per susseguente matrimonio, il favor filiationis trova espressione nel concorrente richiamo di ben tre leggi: la legge nazionale del figlio, quella della madre e quella del padre (art. 34, co. 1). Nel caso che prima delle nozze siano nati più figli e che essi siano portatori di cittadinanze diverse, qualora la legge nazionale dei genitori non ammetta la legittimazione, potrebbero acquistare lo status di legittimi solo quelli tra i figli la cui legge nazionale consenta la legittimazione.
Poiché nel diritto italiano il figlio legittimato per susseguente matrimonio acquista il medesimo status del figlio legittimo, è da ritenere senz’altro applicabile anche nei suoi confronti la regola per cui lo status acquisito in forza di una delle leggi alternativamente in concorso può essere contestato soltanto in forza di quella stessa legge (art. 33,co. 3, ult. frase).
Questo tipo di legittimazione presuppone l’esistenza di un matrimonio, di cui è necessario accertare preliminarmente la validità formale e sostanziale: in conformità all’opinione prevalente in tema di questioni pregiudiziali, è da ritenere che tale accertamento debba essere compiuto alla luce della legge richiamata dalle norme della l. n. 218/1995 che di tali questioni si occupano (artt. 27 e 28).
In merito infine alla legittimazione operata in forma diversa dal susseguente matrimonio dei genitori, l’art. 34, co. 2, indica come competente una sola legge, e precisamente la legge nazionale del genitore nei confronti del quale il figlio viene legittimato, al momento della domanda di legittimazione; qualora la legittimazione sia destinata a produrre effetti dopo la morte del genitore, si deve invece tener conto della legge dello Stato di cui questi era cittadino al momento della morte.
4.2 Riconoscimento
L’intento del legislatore di favorire l’attribuzione al figlio naturale di uno status familiae è reso palese da un inciso dell’art. 35, co. 1, ove a proposito delle condizioni per il riconoscimento del figlio naturale si specifica che la disciplina va desunta dalla legge nazionale del figlio «o, se più favorevole», dalla legge nazionale del soggetto che procede al riconoscimento. Destinatario del “favore” è il figlio, o meglio l’accertamento del suo status di figlio naturale riconosciuto (favor filiationis).
Alla legge richiamata dall’art. 35, co. 1, compete determinare in particolare l’ammissibilità del riconoscimento del figlio nato da una relazione adulterina o incestuosa, e del riconoscimento contrastante con lo status di figlio legittimo o legittimato; e prevedere altresì la necessità del consenso del figlio stesso.
Mentre fissa la cittadinanza del figlio al momento della nascita, l’art. 35, co. 1, cristallizza la cittadinanza del genitore al momento in cui avviene il riconoscimento.
Il co. 2 dell’art. 35 disciplina la capacità del genitore di procedere al riconoscimento, sottoponendola alla sua legge nazionale: in linea, del resto, con le norme generali degli artt. 20 e 23 relative alla capacità giuridica e rispettivamente alla capacità di agire.
Il co. 3 dell’art. 35, infine, è l’unica norma del settore che si occupi dei profili formali, prevedendo il concorso alternativo della legge dello Stato in cui il riconoscimento è fatto e della legge che ne disciplina la sostanza (per un caso di verifica della validità, sostanziale e formale, del riconoscimento operato da un italiano nei confronti del figlio nato da una cittadina britannica v. Cass., 9.2.1999, n. 1101, in Riv. dir. int. priv. proc., 1999, 610).
4.3 Contestazione del riconoscimento e dichiarazione giudiziale di paternità o maternità
L’art. 35 si limita a disciplinare il riconoscimento del figlio naturale, nulla disponendo in ordine alla relativa contestazione né alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità.
Per quel che concerne la contestazione del riconoscimento, si potrebbe, nell’ottica del favor filiationis, ritenere necessaria la verifica della fondatezza della contestazione alla luce sia della legge nazionale del figlio che di quella del genitore (applicazione cumulativa delle leggi). Ma è preferibile, per le già esposte ragioni di contemperamento di favor filiationis e favor veritatis, sottoporre le cause di invalidità e inammissibilità del riconoscimento alla stessa legge sulla base della quale è stato in concreto effettuato il riconoscimento.
Anche circa la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità – ossia la determinazione delle condizioni di ammissibilità di tale azione(v. Cass., 1.12.1999, n. 13408, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 164), della legittimazione attiva e passiva, nonché dei termini entro cui l’azione può essere esperita – si possono ipotizzare due diverse soluzioni. Una è nel senso di modellare la disciplina su quella prevista in tema di riconoscimento e quindi sottoporre la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità alla legge nazionale del figlio o, se più favorevole alla dichiarazione stessa, alla legge nazionale del genitore nei cui confronti la paternità/maternità è dichiarata. L’alternativa è rifarsi alla regola-base dell’art. 33, co. 1, relativa allo stato di figlio, ed applicare in via esclusiva la legge nazionale del figlio.
4.4 Il limite dell’ordine pubblico
Il limite dell’ordine pubblico (art. 16 l. n. 218/1995), che trova nel diritto di famiglia il proprio terreno di elezione, è stato invocato con maggiore frequenza proprio in materia di filiazione naturale. Basti al riguardo esaminare la giurisprudenza degli ultimi anni, che ha ritenuto contraria all’ordine pubblico, e conseguentemente disapplicato, la legge straniera che ammette il genitore a dichiarare unilateralmente la paternità o maternità di un altro soggetto; la legge secondo cui l’accertamento della filiazione naturale costituisce diritto personale del figlio e non può essere richiesto in sua vece da altri; la legge secondo cui è la madre che può chiedere l’accertamento giudiziale di paternità entro pochi anni dalla nascita del figlio, mentre l’azione non può venire promossa dal figlio divenuto maggiorenne (vedi rispettivamente App. Torino, 21.4.1989, in Dir. fam., 1990, 74; Cass., 21.3.1990 n. 2350, in Riv. dir. int. priv. proc., 1991, 734; Cass., S.U., 7.7.1993, n. 7447, ivi, 1994, 597).
Ma il limite dell’ordine pubblico è destinato a intervenire addirittura sistematicamente ogniqualvolta nessuna delle leggi in concorso ammetta lo stabilimento della filiazione al di fuori del matrimonio: il riferimento è anzitutto ai Paesi islamici che conoscono unicamente l’istituto della filiazione legittima. L’accertamento della filiazione naturale dovrebbe di conseguenza avvenire secondo la legge italiana (art. 16, co. 2, ult. frase: in questo senso Cass., 8.3.1999, n. 1951, in Riv. dir. int. priv. proc.,2000, 130; v. altresì Cass., 28.12.2006, n. 27592, ivi, 2007, 443).
5. Surroga di maternità
Nelle ipotesi di maternità surrogata la gravidanza è portata a termine da una donna in esecuzione di un contratto di maternità per concepimento e gestazione (c.d. madre su commissione), per sola gestazione (c.d. madre di grembo sostituita) o per solo concepimento (c.d. madre di concepimento sostituita). E dal momento che anche questo tipo di contratto può presentare elementi di transnazionalità, ci si scontrerà con il problema di individuarne la legge regolatrice (l’importanza delle implicazioni internazionalprivatistiche del fenomeno è testimoniato dal fatto che il primo caso di maternità su commissione presentatosi ai giudici italiani è stato proprio un caso internazionale, anche se di fatto è stato trattato come un caso puramente nazionale: Trib. Monza, 27.10.1989, in Dir. fam., 1990, 173)
Occorre anzitutto qualificare (sulla base della lex fori italiana) la fattispecie in oggetto, ed in particolare capire se si tratta di un vero e proprio contratto o piuttosto di un negozio giuridico familiare, attinente allo statuto personale.
Se si qualificasse l’atto come contratto (e dunque come negozio che, avendo effetti obbligatori, comporta la perdita in capo alla donna della facoltà di stabilire un rapporto di filiazione con il figlio), si dovrebbe ricorrere all’art. 57 l. n. 218/1995 che richiama la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge regolatrice delle obbligazioni contrattuali (oggi sostituita dal regolamento CE n. 593/2008 del 17 giugno 2008), con la conseguenza di ritenere applicabile la legge scelta dalle parti o, in mancanza, la legge dello Stato in cui risiede abitualmente la madre surrogata. Si tratta evidentemente di una soluzione piuttosto azzardata, posto che in via generale il contratto è volto ad incidere su rapporti giuridici di tipo patrimoniale, mentre nella fattispecie rilevano (prevalentemente) i profili personali.
L’alternativa sarebbe qualificare la fattispecie come negozio giuridico familiare, e sottoporla alla legge regolatrice dello statuto personale, ossia in pratica alle leggi nazionali delle persone interessate, salvo poi precisarne il tipo di concorso (applicazione distributiva, cumulativa o alternativa).
È facile peraltro prevedere che di fronte a fattispecie di questo tipo si farà ampiamente ricorso al limite dell’ordine pubblico, in nome soprattutto della indisponibilità dei diritti in gioco (di indubbio interesse è App. Bari, 13.2.2009, in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, 699, che per la prima volta ha affrontato il problema del riconoscimento in Italia di un provvedimento straniero di attribuzione di maternità ad una donna – italiana – diversa dalla partoriente).
6. Il contenuto del rapporto di filiazione
6.1 Relazioni tra genitori e figli
Una volta accertata l’esistenza del rapporto di filiazione sulla base degli artt. 33-35 (o attraverso il riconoscimento di provvedimenti stranieri), si tratta di definirne il contenuto.
La tripartizione operata nella disciplina della costituzione del rapporto di filiazione è ricondotta a unità nella regolamentazione degli effetti del rapporto (art. 36). A differenza delle norme relative alla genesi del rapporto, l’art. 36 non intende perseguire alcun preciso risultato materiale e pertanto non prevede un concorso alternativo di leggi, ma richiama in via esclusiva la legge nazionale del figlio, che in linea di principio non ha maggiori probabilità rispetto alle altre leggi di essere la più favorevole (in concreto) al figlio stesso.
L’art. 36 non predetermina il momento al quale fare riferimento per la considerazione della cittadinanza del figlio: la norma opera infatti un richiamo “mobile” con il risultato che verrà in rilievo la legge dello Stato a cui il figlio appartiene nel momento in cui la specifica questione da regolare viene sottoposta al giudice.
6.2 Potestà dei genitori: legge applicabile e riconoscimento di provvedimenti esteri
Quanto agli specifici istituti che ricadono nella sfera di applicazione della legge nazionale del figlio, basti ricordare, tra i rapporti personali, il diritto del figlio di assumere il cognome del padre, l’obbligo del figlio di convivere con i genitori, l’obbligo dei genitori di educare e istruire la prole; tra i rapporti patrimoniali, l’usufrutto legale del genitore sui beni del figlio. L’obbligazione alimentare nei confronti del figlio esula invece dalla sfera dei rapporti disciplinati dell’art. 36, per ricadere «in ogni caso» – ex art. 45 – nell’ambito di applicazione della Convenzione dell’Aja del 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, ora sostituta dal Protocollo dell’Aja del 2007 (a cui rimanda del resto anche il regolamento CE n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari).
L’unico istituto cui l’art. 36 fa espresso riferimento è la potestà dei genitori: essa cessa con la maggiore età del figlio o con la sua emancipazione, eventi questi da valutarsi anch’essi alla stregua della legge nazionale del figlio (in virtù peraltro dell’art. 23 relativo alla capacità di agire). La potestà dei genitori può tuttavia cessare anche qualora il figlio venga sottoposto a tutela: gli effetti di quest’ultima sulla potestà dei genitori saranno regolati dalla legge nazionale del figlio richiamata dall’art. 36, mentre le condizioni e le modalità di costituzione della tutela saranno regolate dall’art. 42, che richiama «in ogni caso» la Convenzione dell’Aja del 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori.
Per quanto riguarda il riconoscimento in Italia di provvedimenti esteri relativi ai rapporti tra genitori e figli, e principalmente alla potestà genitoriale, vale la pena di ricordare, da una parte, la disciplina generale prevista dagli artt. 64 e 65 l. n. 218/1995 e, dall’altra, la disciplina particolare contemplata nel regolamento CE n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
6.3 Affidamento genitoriale e diritto di visita
Quanto all’affidamento genitoriale e al diritto di visita, va detto che gli aspetti internazionalprivatistici sono emersi solo negli anni Ottanta in relazione al fenomeno della sottrazione internazionale dei minori (c.d. legal kidnapping), ossia al trasferimento illecito dei minori stessi da parte del genitore affidatario o al mancato rientro alla scadenza del periodo di visita presso il genitore non affidatario. Risalgono infatti a quell’epoca due importanti convenzioni: la Convenzione di Lussemburgo del 1980 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e sul ristabilimento dell’affidamento, e la Convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori.
Di particolare rilievo in materia è la Convenzione dell’Aja del 1996 in materia di responsabilità dei genitori e di misure di protezione dei minori.
Al quadro convenzionale si è aggiunto il citato regolamento CE n. 2201/2003 che integra la Convenzione dell’Aja del 1980 nelle ipotesi in cui il minore illecitamente sottratto abbia la residenza abituale in uno Stato membro dell’Unione europea e sia stato trasferito in un altro Stato membro.
La progressiva stratificazione normativa ha inevitabilmente dato origine a sfasature tra le diverse norme speciali applicabili al diritto di affidamento, sfasature che – unite alla non perfetta coincidenza degli Stati vincolati da quelle norme – creano gravi difficoltà nella prassi applicativa (V. Trib. min. Perugia, decr. 10.7.1998, in Fam. dir., 2000, 65: sul diritto di visita v. inoltre Cass., 28.1.1999, n. 746, ivi, 1999, 341; Cass., 10.2.2004, n. 2474, in Riv. dir. int. priv. proc., 2005, 811; e Cass., 18.3.2005, n. 6014, ibidem, 1082). Certo è, inoltre, che possono darsi fattispecie non rientranti nella disciplina convenzionale e dell’Unione europea, e pertanto riconducibili alle norme generali dettate dalla l. n. 218/1995 in ordine ai rapporti tra genitori e figli.
7. Giurisdizione italiana
7.1 Disciplina nazionale
La giurisdizione italiana risulta particolarmente ampia. In base all’art. 37, infatti, i nostri giudici hanno giurisdizione, oltre che nei casi in cui sussistono i titoli generali previsti dall’art. 3 l. n. 218/1995 (ossia quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia, ovvero in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio) e in quelli in cui sussiste la giurisdizione in materia volontaria sulla base dell’art. 9 (ossia «quando il provvedimento richiesto concerne un cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando esso riguarda situazioni o rapporti ai quali è applicabile la legge italiana»), ogniqualvolta uno dei genitori o il figlio è cittadino italiano o risiede in Italia.
La regola contenuta nell’art. 37 riguarda tutte le procedure in materia di accertamento e contestazione della filiazione, come pure di rapporti personali tra genitori e figli.
Quanto ai rapporti patrimoniali, si potrebbe ritenere che, poiché l’art. 36 – ai fini della determinazione della legge applicabile – non distingue tra rapporti personali e rapporti patrimoniali, l’art. 37 sia applicabile per analogia anche a questi ultimi. Ma proprio il fatto che l’art. 36 faccia espresso riferimento ai rapporti patrimoniali, potrebbe indurre a ritenere che il legislatore abbia deliberatamente voluto escludere l’applicazione dell’art. 37 in ordine ai rapporti patrimoniali tra genitori e figli, rispetto ai quali la giurisdizione italiana sussisterebbe solo sulla base dei titoli generali previsti dagli artt. 3 ss. l. n. 218/1995.
7.2 Disciplina europea
Va dato conto ancora una volta del regolamento CE n. 2201/2003 che ripartisce tra i giudici degli Stati membri dell’Unione europea la competenza anche riguardo alle questioni concernenti la responsabilità genitoriale. In tale ambito pertanto il regolamento sostituisce l’art. 37 l. n. 218/1995, che sopravvive, in linea di massima, solo quando il minore risiede abitualmente fuori dall’Unione europea.
Riguardo alle obbligazioni alimentari, nelle ipotesi in cui il convenuto sia domiciliato in uno Stato membro dell’Unione europea, sono invece applicabili le disposizioni del regolamento CE n. 4/2009.
Fonti normative
Artt. 33-37 l. 31.5.1995, n. 218; reg. CE n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale; Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori.
Bibliografia essenziale
Baruffi, M.C., Il diritto di visita nel diritto internazionale privato e comunitario, Padova, 2005; Campiglio, C., sub artt. 33-37, in AA.VV., Commentario del nuovo diritto internazionale privato, Padova, 1996; Carella, G., sub artt. 33-37, inLegge 31 maggio 1995, n. 218. Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, a cura di S. Bariatti, in Nuove leggi civ., 1996; De Cesari, P., L’affidamento dei minori: nuovi principi e tendenze, Comunicaz. Studi, vol. XXIII, 2008, 481 ss.; Picone, P., Le norme di conflitto alternative italiane in materia di filiazione, in Riv. dir. int., 1997, 332 ss.