Filiazione e procreazione medicalmente assistita
Lo sviluppo e l’ampia diffusione di pratiche di procreazione medicalmente assistita hanno sollevato l’attenzione su inedite questioni attinenti la creazione di rapporti di filiazione sorti all’esito del ricorso a tali interventi. Il presente contributo delinea una ricognizione delle numerose e recenti decisioni giurisprudenziali con le quali le Corti interne e sovranazionali sono state chiamate a pronunciarsi sul riconoscimento giuridico di legami genitoriali di fatto tra il minore e il genitore cd. “sociale”, partner del genitore “biologico”, nell’ambito di coppie di persone dello stesso sesso; ovvero, sul riconoscimento di legami genitoriali, accertati all’estero, all’esito del ricorso a pratiche di procreazione medicalmente assistita vietate dall’ordinamento interno, quali la gestazione per altri. Temi sensibili e dalle rilevanti implicazioni bioetiche che hanno imposto la creazione di un diritto pretorio al fine di supplire al vuoto normativo.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 PMA e omogenitorialità 2.2 Riconoscimento di atto estero
2.3 L’adozione del figlio del partner 2.4 Omogenitorialità e adozione in casi particolari 2.5. Filiazione e surrogazione di maternità 3. I profili problematici
La l. 19.2.2004, n. 40 introdotta nell’ordinamento italiano per disciplinare la procreazione medicalmente assistita (PMA)1 ha fissato molti limiti per l’accesso a tale pratica, tra i quali: divieto di diagnosi preimpianto; divieto di fecondazione eterologa; divieto di accedere alla fecondazione assistita per coppie di persone dello stesse sesso o per singoli; divieto di maternità surrogata. Molti di questi limiti, come per esempio quello di fecondazione eterologa sono stati rimossi2, altri continuano a permanere.
Lo stretto perimetro delineato dal legislatore nazionale non è stato argine sufficiente alla creazione di nuovi modelli familiari, sconosciuti in passato. La possibilità del cd. turismo procreativo, ha permesso di aggirare i limiti nazionali, potendo i singoli e le coppie, omo ed eterosessuali, accedere a pratiche riproduttive non permesse in Italia, recandosi in altri Paesi privi di legislazioni ovvero con normative più permissive. La presenza di figli nati da tali percorsi, inseriti in contesti familiari, ha sollevato istanze tese a ottenere riconoscimento giuridico per i nuovi rapporti familiari di fatto.
Il disposto normativo che esprime un deciso favor per l’acquisto dello status di figlio dei genitori “committenti”, in capo al minore nato all’esito di PMA (art. 8, l. n. 40/2004), con divieto per la madre di avvalersi del diritto di non essere nominata alla nascita (art. 9, co. 2, l. n. 40/2004) e per il padre di esperire azione di disconoscimento di paternità ovvero di impugnazione del riconoscimento (art. 9, co. 1, l. n. 40/2004), non è applicabile alle situazioni “vietate” dalla normativa. La giurisprudenza è stata investita di istanze per il riconoscimento giuridico della cd. omogenitorialità3, nonché per il riconoscimento dello status di figlio nato da maternità surrogata4, pratica di PMA vietata in Italia.
La possibilità di accedere all’estero a pratiche di PMA eterologa da parte di singoli, e di coppie di persone dello stesso sesso, ha realizzato un nuovo modello di famiglia, cd. arcobaleno, nella quale, sulla base di un progetto genitoriale condiviso da entrambi, i partner della coppia omosessuale decidono di far nascere dei figli. Nella prassi si rilevano diversi modelli di famiglie omogenitoriali (i cui partner sono spesso legati da matrimoni o unioni civili celebrate all’estero): famiglie con figli di cui uno solo dei partner della coppia è genitore genetico; famiglie con figli nati con patrimonio genetico di una partner con gravidanza portata a termine dall’altra; famiglie con figli nati con patrimonio genetico estraneo alla coppia con gravidanza portata a termine da una delle partner; figli nati ricorrendo a maternità surrogata.
La l. 20.5.2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), dopo ampio e difficile dibattito parlamentare, non ha disciplinato gli aspetti connessi alla filiazione sorta all’interno delle nuove realtà familiari omogenitoriali, non ha rimosso il limite contenuto nella l. n. 40/2004, che esclude le coppie delle stesso sesso dalla possibilità di ricorrere a PMA, e dopo aver esteso, al co. 20 dell’art. 1, l’applicazione ai partner dell’unione civile di gran parte delle disposizioni disciplinanti il matrimonio, ha espressamente escluso l’applicabilità della l. 4.5.1983, n.184, in materia di adozione, inserendo tuttavia un sibillino inciso: «Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti».
L’inciso è frutto di un compromesso politico che, a fronte dello stralcio, dal testo finale della legge della disposizione che ammetteva la possibilità di accedere all’adozione in casi particolari, ex art. 44, co. 1, lett. b), l. n. 184/1983, per il partner del genitore biologico del figlio nato nella coppia omosessuale unita da unione civile, parificando, anche a tali fini, il partner dell’unione civile omosessuale al coniuge, ha voluto precisare che le nuove disposizioni non avrebbero dovuto incidere sulla situazione esistente. Il legislatore era ben consapevole dell’adozione di decisioni di merito che affrontavano due ordini di temi inerenti l’attribuzione di un formale status giuridico ai rapporti di filiazione sviluppatisi all’interno delle famiglie arcobaleno: il riconoscimento di atti esteri che attribuiscono al figlio nato nell’ambito del progetto omogenitoriale lo status di figlio della coppia; la richiesta di adozione del figlio del partner da parte del genitore sociale, ex art. 44, co. 1, lett. d), l. n. 184/1983.
Sul riconoscimento di atti esteri si sono positivamente pronunciate alcune Corti d’appello.
La Corte d’appello di Torino5, richiesta di pronunciarsi sulla trascrizione di un atto di nascita, adottato da autorità spagnole, di minore che risultava essere figlio di due madri, tra loro coniugi poi divorziate secondo il diritto spagnolo, una cittadina italiana, madre genetica, donatrice dell’ovocita, e l’altra cittadina spagnola, madre biologica, che ha dato alla luce il figlio, riformando la decisione di primo grado, ha disposto la trascrizione. La decisione, applicando la
l. 31.5.1995, n. 218, nella quale è chiaramente espresso un generale favore per l’accertamento dello stato di filiazione (artt. 13 e 33), ed è stabilito che hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi all’esistenza di rapporti di famiglia purché non contrari all’ordine pubblico (art. 65), ha correttamente affermato che non possa ravvisarsi contrarietà all’ordine pubblico nel caso di riconoscimento di atto di nascita che preveda la presenza di due madri, in quanto la nozione di ordine pubblico, deve intendersi riferita all’ordine pubblico internazionale6, inteso come complesso di principi fondamentali comuni ai diversi ordinamenti, e dovendo ogni decisione essere vagliata alla luce dell’interesse del minore all’identità personale e al riconoscimento di un unico status di filiazione. Il decreto della Corte di Appello di Torino è stato confermato dalla Corte di cassazione che ha rigettato i ricorsi proposti dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino e dal Ministero dell’interno7.
La necessità di riconoscere specifica tutela al rapporto di filiazione, anche qualora sganciato dal dato genetico, perché derivato da un percorso di PMA, discende dal superamento del divieto di fecondazione eterologa e dunque dalla possibilità, presente nel nostro ordinamento di far sorgere rapporti di filiazione nei quali si abbia dissociazione tra dato genetico e dato giuridico.
Ad analoghe conclusioni sono giunte le Corti di appello di Milano8 e Napoli9, investite della richiesta di riconoscimento di provvedimenti di adozione piena, emessi da autorità di altri Paesi dell’Unione europea, con i quali era stata dichiarata l’adozione del minore da parte della coniuge, dello stesso sesso, della madre biologica. Entrambe le Corti hanno fondato la decisione sulla non contrarietà dell’atto all’ordine pubblico internazionale, e sulla necessità di integrare le fonti interne con le fonti sovranazionali dirette alla protezione dei diritti fondamentali della persona. Inoltre, la trascrizione di atti, entrambi provenienti da Stati membri dell’Unione europea, era necessaria per salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione, quali quello di non subire discriminazioni, e per non limitare le libertà di circolazione e di stabilimento, limitazioni che sarebbero necessariamente derivate qualora ai minori fossero stati attribuiti diversi status nei diversi paesi europei.
Le pronunce richiamate hanno posto a fondamento della decisione fonti sovranazionali, in particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata con la l. 4.8.1955, n. 848, che all’art. 8 tutela la vita privata e familiare e all’art. 14 vieta le discriminazioni, nonché i corrispondenti articoli (artt. 7 e 21) della Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione europea – o Carta di Nizza – che, in forza dell’art. 6 del Trattato di Lisbona, ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
La Corte europea dei diritti dell’uomo è stata direttamente investita di questioni relative al diniego di adozione del figlio del partner da parte del genitore sociale, nell’ambito di una coppia di persone dello stesso sesso, emettendo due importanti pronunce, solo apparentemente di segno opposto, in realtà entrambe fondate sulla necessaria coerenza interna dell’ordinamento e sul rispetto del principio di non discriminazione.
Nella sentenza C. eur. dir. uomo, 15.3.2012, Gas Dubois c. Francia, la Corte di Strasburgo ha negato che vi fosse violazione degli artt. 8 e 14 CEDU da parte della Francia, che aveva respinto la richiesta di adozione del figlio del partner, formulata da una donna legata alla madre del minore con una convivenza registrata, in quanto l’ordinamento francese, pur ammettendo l’adozione coparentale per le coppie coniugate, la negava per il partner del genitore nel caso di unioni registrate, senza tuttavia distinguere tra coppie omosessuali o eterosessuali. La Corte di Strasburgo non ha affrontato direttamente il punto nodale della possibile discriminazione: l’impossibilità per le coppie di persone dello stesso sesso di accedere in Francia, al momento in cui la decisione venne emessa, al matrimonio. Se, infatti, è indubbia la discrezionalità degli Stati nel disciplinare diversamente i diritti dei coniugi da quelli dei soggetti uniti con legami diversi dal matrimonio, tale discrezionalità potrebbe risultare discriminatoria laddove l’ordinamento non riconoscesse alle persone dello stesso sesso la possibilità di accedere al matrimonio o ad istituti che garantiscano pari diritti. La discriminazione prima che in danno dei partner dell’unione dovrebbe ravvisarsi in danno dei minori. Infatti, a fronte della analoga situazione di fatto, ravvisabile nella presenza di legami genitoriali di fatto e in assenza di legami biologici tra il figlio e il partner del genitore, ammettere la possibilità per il genitore sociale di adottare il figlio del coniuge, e negare analoga possibilità in assenza di matrimonio, negando contestualmente la possibilità a persone dello stesso sesso di accedere al matrimonio o a istituti analoghi, impedirebbe al minore di ottenere riconoscimento giuridico al positivo legame instaurato con il genitore sociale, in violazione del suo interesse.
In una successiva decisione, C. eur. dir. uomo, 19.2.2013, X e altri c. Austria10, la Corte ha ravvisato una violazione del combinato disposto degli artt. 8 e 14 CEDU, a fronte del diniego pronunciato dalle corti austriache di adozione coparentale nell’ambito di unione omosessuale, in quanto la legislazione austriaca, pur riconoscendo la possibilità alle coppie non sposate di sesso diverso di accedere all’adozione del figlio del partner, negava analoga possibilità a coppie di persone dello stesso sesso; affermare, aprioristicamente, che un contesto familiare omosessuale non garantisca, al pari di quello eterosessuale, la sana crescita, quando ad una concreta verifica emerga il corretto accudimento del minore, esprime un pregiudizio discriminatorio perché fondato sulla tendenza sessuale.
Pur in mancanza di espressa disciplina legislativa, le corti italiane sono state investite di numerosi ricorsi di adozione coparentale proposte dal genitore sociale nell’ambito di coppie omogenitoriali. Come spesso accade, in presenza di vuoti normativi, si sono formati due orientamenti: uno nettamente dominante, favorevole all’adozione del minore da parte del genitore sociale ex art. 44, co. 1, lett. d), l. n. 183/1984, uno minoritario che ha negato tale possibilità.
La prima pronuncia sul tema è stata emessa dal Tribunale per i minorenni di Roma11 che ha accolto la domanda di adozione in casi particolari proposta della compagna dello stesso sesso della madre di una minore nata, a seguito di PMA, nell’ambito di una coppia composta da donne italiane, unite in Spagna da vincolo matrimoniale. L’adozione in casi particolari, anche detta lieve o non legittimante, è disciplinata dall’art. 44, l. n. 184/1983, e conferisce al minore uno stato di filiazione che non si sostituisce ma si sovrappone allo status esistente. L’adozione può essere chiesta da un singolo o da una coppia, quando sia verificata l’impossibilità di affidamento preadottivo (esprimendo il legislatore una preferenza per l’adozione legittimante), in quattro specifiche ipotesi tra le quali, quella di cui al co.1, lett. d). Ratio della disposizione è favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e adulti, anche singoli, che già abbiano con lo stesso un rilevante legame affettivo, previo accertamento in concreto, attraverso l’ascolto del minore, indagini dei servizi e ogni altro approfondimento, che ciò sia conforme al suo interesse. La decisione si è incentrata sull’interpretazione del presupposto della constatata impossibilità di affidamento preadottivo, ritenendo la procura minorile, contraria all’accoglimento del ricorso della madre sociale, che dovesse essere verificata l’impossibilità “di fatto” di affidamento preadottivo, rilevabile quando il minore pur essendo in stato di abbandono non abbia potuto concludere il percorso dell’adozione legittimante per ostacoli fattuali (per impossibilità di reperire idonea coppia adottante per es. a causa dell’elevata età del minore ovvero per specifiche caratteristiche psicofisiche). Il Collegio romano ha accolto la domanda della co-mamma affermando che per applicare l’art. 44, co. 1, lett. d), l. n. 184/1983, non occorra verificare la sussistenza di una situazione di abbandono del minore, dovendosi optare per un’interpretazione estensiva della norma, peraltro già sostenuta da numerosi tribunale per i minorenni, che avevano accolto la domanda di adozione in casi particolari, di minore da parte del partner eterosessuale convivente more uxorio con il genitore biologico12. La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello capitolina13.
Il tribunale per i minorenni Roma ha emesso numerose altre pronunce di adozione del figlio del partner nell’ambito di coppie di persone dello stesso sesso, accogliendo anche ricorsi cd. incrociati14, in cui la domanda di adozione coparentale era stata proposta da entrambe le partner con riferimento al figlio biologico dell’altra.
Un diverso orientamento è stato espresso nelle decisioni emesse dal Tribunale per i minorenni di Torino15 che ha rigettato la domanda di adozione coparentale proposta dal partner dello stesso sesso del genitore del minore, ritenendo necessario per procedere all’adozione lieve il presupposto di uno stato di abbandono del minore. La Corte di appello di Torino16, investita del ricorso della comamma avverso la decisione di primo grado, ha accolto il ricorso disponendo l’adozione, aderendo all’orientamento estensivo già fatto proprio dalle decisioni romane.
Al momento si rinviene sulla materia una sola pronuncia di legittimità, nella quale la Suprema Corte17, confermando la decisione della Corte d’appello romana, ha affermato il principio di diritto per il quale l’art. 44, co. 1, lett. d), l. n. 184/1983, può essere applicato anche in caso di impossibilità di affidamento preadottivo “di diritto”, negando che presupposto per l’applicazione della norma sia il preesistente stato di abbandono o semi abbandono, essendo sufficiente verificare in concreto l’interesse del minore a vedere riconosciuti, con l’adozione in casi particolari, i legami affettivi esistenti con il genitore sociale. La decisione della Corte di cassazione è perfettamente rispondente alla ratio dell’adozione lieve, ravvisabile nel riconoscimento giuridico di relazioni continuative e stabili tra minore e l’adulto di riferimento, caratterizzate dall’adempimento di doveri di accudimento analoghi a quelli genitoriali, previo accertamento rigoroso della corrispondenza di tale situazione con l’effettivo interesse del minore. Interesse che deve ravvisarsi anche nell’accettazione sociale del vincolo genitoriale di fatto, accettazione di cui il riconoscimento giuridico costituisce un importante tassello.
Le numerose decisioni, emesse dal Tribunale per i minorenni di Roma, di adozione del figlio del partner nell’ambito di coppie omogenitoriali, hanno riguardato coppie di sole donne; una sola decisione ha accolto la domanda formulata dal partner del padre biologico del bambino nato nell’ambito di una famiglia arcobaleno18. Il dato non è casuale, poiché nel caso di coppie composte da uomini, a monte della procreazione vi è la surrogazione di maternità, tecnica di PMA che solleva specifiche e delicate problematiche.
La surrogazione di maternità, o gestazione per altri, prevede l’impianto di un embrione nell’utero di una donna che assume l’obbligo di portare a termine la gravidanza per conto della coppia o del singolo committente, che diverranno genitori del figlio, con espressa previsione che non sorga alcun legame genitoriale tra la madre “portatrice” ed il minore. Nella surrogazione omologa l’embrione è formato da gameti della coppia committente che all’esito della nascita saranno i genitori anche biologici del figlio; nella surrogazione eterologa i gameti sono forniti da soggetti estranei a uno o a entrambi i membri della coppia committente, che alla nascita saranno, negli ordinamenti che ammettono la surrogazione di maternità, comunque considerati genitori.
L’art. 12, co. 6, l. n. 40/2004, vieta la surrogazione di maternità in qualunque sua forma, divieto assistito da sanzioni penali. Prima dell’entrata in vigore della l. n. 40/2004 la giurisprudenza era stata chiamata a pronunciarsi sulla validità del contratto di surrogazione di maternità ritenuto in una decisione nullo per contrarietà all’ordine pubblico19, in altra lecito20 per la meritevolezza degli interessi perseguiti.
La presenza del divieto non ha superato le difficoltà connesse alla filiazione sorta da maternità surrogata, in considerazione dalla presenza di minori nati all’estero all’esito di tali pratiche eseguite in Paesi che, seppure con diversi presupposti, consentano di ricorrervi.
Gli interrogativi e i dubbi ermeneutici si sono quindi spostati, anche in questa materia, su due diversi piani: il riconoscimento nel nostro ordinamento di provvedimenti emessi all’estero, attributivi dello status di filiazione tra il nato e i genitori “committenti”; la richiesta di adozione in casi particolari formulata dal genitore sociale, quando il partner (omo o eterosessuale) sia genitore genetico del figlio nato da maternità surrogata. In entrambe le ipotesi la presenza di un legame genitoriale di fatto pone serie difficoltà sullo status da riconoscere al minore nato da maternità surrogata.
La Corte europea dei diritti dell’uomo sembra dare prevalenza alla conservazione di rapporti genitoriali di fatto anche se scissi dal dato della genitorialità genetica21. La Corte di Strasburgo investita del ricorso di due coppie francesi, alle quali le locali autorità avevano negato il riconoscimento dei certificati di nascita di minori nati negli Stati Uniti, attraverso la pratica della surrogazione di maternità, ha accertato la violazione del diritto alla vita privata dei minori (art. 8 CEDU), a causa della incertezza sul loro status derivante dalla mancata trascrizione degli atti di nascita e dall’esistenza di una condizione di filiazione “zoppa”, perché riconosciuta in uno stato e non nell’altro, rilevando che sebbene il padre biologico dei minori fosse francese, a causa del mancato riconoscimento della filiazione in Francia, i figli dovevano affrontare incertezze riguardo alla possibilità di ottenere la cittadinanza francese, con ripercussioni negative sulla definizione della loro identità personale e compromissione dei diritti ereditari22.
Grandi discussioni ha suscitato la successiva sentenza della Corte di Strasburgo23 adita da due coniugi italiani, registrati come genitori di un minore in atto di nascita russo, senza indicazione della maternità surrogata, che si erano visti sottrarre il minore perché, all’esito dell’apertura di un procedimento per la dichiarazione di adottabilità, era stata accertata l’assenza di legami genetici tra entrambi i genitori e il figlio, nonché la violazione delle norme dello stesso Stato di nascita del minore, con conseguente dichiarazione di adottabilità e affidamento ad altra famiglia. La Corte riconoscendo l’esistenza di «de facto family life between the couple and the child», ha condannato l’Italia per violazione dell’art 8 CEDU, a causa dell’allontanamento del minore dalla coppia senza che fosse stato considerato il periodo, peraltro di soli sei mesi, di coabitazione tra il minore e i genitori “committenti”.
Nella giurisprudenza di merito a fronte di sentenze che ammettono la trascrizione dell’atto estero, qualora sia accertata la sussistenza di un legame biologico tra il genitore che ha fatto ricorso alla maternità surrogata e il figlio, vi sono pronunce che negano la trascrizione con riferimento a chi pur risultando genitore dall’atto estero, non abbia tale legame24. Netta è la posizione espressa dalla Suprema Corte25 che affermando la contrarietà all’ordine pubblico della maternità surrogata ha confermato la declaratoria di adottabilità di minore che non aveva alcun legame genetico con i committenti che risultavano genitori dall’atto di nascita estero.
Nella richiamata sentenza del Trib. min. Roma, 23.12.2015, con la quale è stata accolta la domanda di adozione in casi particolari proposta dal padre sociale del figlio del partner, nato da maternità surrogata, non sono stati rinvenuti profili di contrarietà all’ordine pubblico, richiamando la giurisprudenza sovranazionale in materia, ed evidenziando la gratuità, nella fattispecie considerata, del negozio di maternità surrogata, la sua conformità alla legge del Paese di nascita del minore, e la sussistenza di una continuativa relazione tra i due padri, il minore e la madre portatrice, con conseguente possibilità per il minore di avere conoscenza delle proprie origini.
In presenza di figlio nato all’estero da maternità surrogata sono stati sollevati, dal curatore speciale del minore, nominato ex art. 264 c.c. su istanza del pubblico ministero, giudizi di impugnazione di riconoscimento per difetto di veridicità con riferimento ad atti di nascita relativi a minori, aventi la sola cittadinanza italiana, nei quali il minore risultava figlio dei genitori “intenzionali”. Il Tribunale di Milano con sentenza n. 396/2014 ha accolto la domanda proposta dal curatore speciale dichiarando che il minore, nato in India da maternità surrogata, non fosse figlio della madre “intenzionale” stante l’accertata mancanza di legami genetici (rilevati, nel caso di specie, quanto al padre del minore). La Corte di Appello di Milano26 investita dell’appello proposto dalla madre sociale, ravvisando una potenziale violazione dei diritti costituzionali del figlio a mantenere un legame giuridico con la madre “intenzionale”, stante la necessaria prevalenza del principio del favor minoris rispetto al favor veritatis, come desumibile dalla riforma della filiazione del 2012/2013, dalla disciplina della impossibilità di rimuovere lo status del minore in caso di fecondazione eterologa (ex artt. 8 e 9 l. n. 40/2004), e dai principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost. e all’art. 117, co.1, Cost. in relazione all’art. 8 CEDU, nella parte in cui la norma non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio minore, nato da maternità surrogata, possa essere accolta solo quando ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del figlio.
La permanenza dell’assordante vuoto legislativo fa presumere che le risposte ai rilevanti profili problematici connessi alla sensibile materia del riconoscimento giuridico dei nuovi modelli familiari non saranno univoche e certe27. La scelta di non prevedere alcuna norma sulla filiazione nella l. n. 76/2016, che ha introdotto nel nostro ordinamento le unioni civili, non faciliterà il compito degli interpreti. Per alcuni versi può correre il rischio di complicarlo, in quanto, l’espressa esclusione dell’applicabilità della legge adozioni, che contiene la disciplina dell’adozione, ex art. 44, co. 1, lett. d), l. n. 184/1983, istituto applicato per l’adozione coparentale nell’ambito della famiglie omogenitoriali, potrà sollevare dubbi ermeneutici sul possibile divieto di ricorrere all’applicazione di questa disposizione per i ricorsi proposti dopo l’entrata in vigore della legge. Rischio che, tuttavia, appare scongiurato dal necessario riconoscimento giuridico di relazioni genitoriali di fatto qualora ne sia verificata la conformità all’interesse del minore, deponendo in tal senso le fonti e le decisioni sovranazionali, nonché la necessità di assicurare al minore, per tutelare la sua identità personale, un unico status, nei diversi Paesi.
Le recenti novelle normative appaiono imporre tale soluzione: l’unicità dello stato di figlio introdotta dalla l. 10.12.2012, n.219; il diritto del figlio di ricevere assistenza morale e materiale prescindendo dal legame tra i genitori e il superamento della stessa “qualificazione” del figlio come legittimo, naturale, adottivo28; l’introduzione, con il d.lgs. 28.12.2013, n. 154, di stretti limiti per proporre le azioni di disconoscimento di paternità ed impugnazione del riconoscimento, a fronte dell’imprescrittibilità dell’azione riguardo al figlio; il riconoscimento del diritto alla continuità affettiva, nell’affido familiare, di cui alla l. 19.10.2015, n.175. Le norme richiamate evidenziano l’introduzione nel nostro ordinamento di una tutela del rapporto genitoriale di fatto, con sempre minore rilevanza del dato genetico della filiazione, fermo l’unico invalicabile limite rappresentato dalla necessità di verificare, in concreto, prima di pervenire ad un riconoscimento giuridico del rapporto genitoriale di fatto ovvero ad una rimozione dello status di diritto, che la decisione sia conforme all’interesse del minore.
Note
1 Cfr. Bianca, C.M., Diritto civile, II, 1, La famiglia, Milano, 2014; Villani, R., La procreazione medicalmente assistita. La nuova legge 19.2.2004, n. 40, Torino, 2004; Dogliotti, M.Figone, A., Procreazione assistita, fonti orientamenti, linee di tendenza, Milano, 2004.
2 C. cost., 18.6.2014, n. 162, in Foro it., 2014, I, 2343, con nota di G. Casaburi.
3 Sul tema dell’omogenitorialità: Gattuso, M., Orientamento sessuale, famiglia, eguaglianza, in Nuova giur. civ. comm., 2011, II, 584; Bilotta, M., Omogenitorialità, adozione e affidamento famigliare?, in Dir. fam., 2011, 1375; Long, J., Omogenitorialità e principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, in Bioetica, 2011, fasc. 2, 1.
4 Casaburi, G., Maternità Surrogata, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016, 15 ss.; Tonolo, S., La trascrizione degli atti di nascita derivati da maternità surrogata: ordine pubblico ed interesse del minore, in Riv. dir. int. priv. proc., 2014, I, 81.
5 App. Torino, sez. min., 4.12.2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 441, con nota di L. Franco.
6 Sulla nozione di ordine pubblico internazionale, Cass., 23.2.2006, n. 4040; Cass., 22.8.2013, n. 19405.
7 Cass., 30.9.2016, n. 19599.
8 App. Milano, sez. min., 1.12.2015, in Fam. dir., 2016, 199.
9 App. Napoli, sez. min., 30.3.2016, in dirittoegiustizia.it.
10 In Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 519, con nota di C. Fatta e M. Winkler.
11 Trib. min. Roma, 30.7.2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 109, con nota di J. Long.
12 Trib. min. Milano, 28.3.2007, in Fam. min., 2007, 83; App. Firenze, sez. min, 4.10.2012, in aiaf.avvocati.it.
13 App. Roma, sez. min, 23.12.2015, in articolo29.it; il Collegio ha richiamato la sentenza della C. cost., 7.10.1999. n. 383, nella quale l’art. 44, co.1, lett. d), l. n. 183/1984, è stata considerata norma di chiusura, che non impone il previo accertamento dello stato di abbandono del minore quando l’adozione in casi particolari risulti comunque opportuna nell’esclusivo interesse del minore.
14 Trib. min. Roma, 22.10.2015, in articolo29.it.
15 Trib. min. Torino, 11.9.2015, n. 258 e n. 259, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 205 ss., con nota di A. Nocco.
16 App. Torino, sez. min., 27.5.2016, in articolo29.it.
17 Cass., 26.5.2016, n. 12962.
18 Trib. min. Roma, 23.12.2015, in articolo29.it.
19 Trib. Monza, 27.10.1989, in Giur. it., 1990, I, 2, 295 con nota di G. Palmieri.
20 Trib. Roma, 17.2.2000, in Foro it., 2000, I, 972.
21 C. eur. dir. uomo, 26.6.2014, Mennesson c. Francia, in Foro it., 2014, IV, 561, con nota di G. Casaburi; C. eur. dir. uomo, 26.6.2014, F.L. e M.L. c. Francia.
22 A seguito delle decisioni della Corte di Strasburgo, la Corte di cassazione francese con sentenza del 3 luglio 2015, n. 1421323 ha autorizzato la trascrizione di atto di nascita formato in Russia nel quale un cittadino francese risultava padre di un minore nato da maternità surrogata, ritenendo che, in ottemperanza a quanto statuito nelle sentenze della Corte europea, non vi è contrarietà all’ordine pubblico qualora l’atto di nascita non sia falsificato e sia accertato il legame biologico di paternità.
23 C. eur. dir. uomo, 27.1.2015, Paradiso Campanelli c. Italia; la decisione è stata sottoposta su ricorso del Governo italiano al giudizio della Grande Chambre della Corte e si attende la decisione definitiva.
24 Trib. Forlì, 25.10.2011, in Dir. fam., 2013, 532 che ha negato la trascrizione dell’atto con riferimento alla madre committente del figlio nato da maternità surrogata all’estero, disponendo la trascrizione dell’atto con riferimento alla sola paternità conforme al dato biologico. Al contrario, applicando la normativa anteriore all’approvazione della l. n. 40/2004, App. Bari, 13.2.2009, in Giur. mer., 2010, 349, ha riconosciuto effetti in Italia all’atto inglese che dichiarava la filiazione di due minori in capo alla madre sociale, coniuge del padre biologico, di figli nati all’esito di maternità surrogata.
25 Cass., 11.11.2014, n. 24001, in Foro it., 2014, I, 3408 con nota di G. Casaburi.
26 App. Milano, 25.7.2016.
27 Conti, R., I giudici e il biodiritto, 2014, Roma; D’Avack, L., Il progetto filiazione nell’era tecnologica. Percorsi etici e giuridici, II ed., Torino, 2014.
28 Bianca, M., L’unicità dello stato di figlio, in La riforma della filiazione, a cura di Bianca, C.M., Padova, 2015.