CACHERANO, Filiberto
Figlio di Giambattista dei signori di Cavallerleone (detti della Consolata per la loro abitazione in Torino dirimpetto alla chiesa della Consolata) e di Anna Bellacomba, se ne ignora la data di nascita. Conclusi gli studi di diritto, fu chiamato da Vittorio Amedeo I il 29 ag. 1636, in riconoscimento dei servigi prestati a suo tempo fra il 1585 e il 1592 dal nonno Carlo alla presidenza della Camera dei conti di Piemonte, a far parte dell'amministrazione ducale come avvocato patrimoniale e fiscale e membro ordinario del Senato di Piemonte, cui precedentemente era stato associato in qualità di avvocato collegiato. La pensione annua di 1062 lire sul tasso di Dronero, allora accordatagli, non è che il primo di una lunga serie di appannaggi di cui il C. verrà a beneficiare nel corso di una carriera, rapida e intensa, in un periodo come quello della Reggenza caratterizzato da laute elargizioni e da frequenti investiture di censi e di beni feudali. Già nel gennaio 1638 egli veniva in possesso, per donazione, di metà del feudo di Cavallerleone, devoluto al fisco ducale in seguito alla morte di Francesco Mentoni; e nell'aprile 1639 gli veniva accordata l'immunità per la dodicesima prole su tutti i beni che la sua famiglia avrebbe acquistato, nonché su altre sostanze personali già in suo possesso.
Schieratosi dalla parte dei madamisti nel corso della guerra dinastica, si vide ricompensato il 20 ag. 1641 da Maria Cristina ("volendo - scriveva la reggente - far conoscere a lui e al mondo la stima che facciamo di tal sua servitù et la particolare satisfatione ch'abbiamo in riguardo dei suoi meriti"), con l'aggiunta, all'ufficio già detenuto di avvocato patrimoniale e fiscale, dell'incarico di avvocato generale e lo stipendio complessivo di 1.500 lire. Tre anni dopo, il 27 sett. 1644, una patente di Madama Reale lo esentava anche dal laudemio e da altri obblighi relativi alle transazioni intervenute nell'acquisto da parte del C. di successive porzioni dei feudi di Cavallerleone, Casalgrasso e Pancalieri.
Ormai inseritosi stabilmente nella cerchia dei "devoti" di corte, il C. si avvaleva del favore della reggente per rafforzare le fortune della sua famiglia, già discrete per possessi fondiari e diritti signorili, con altri acquisti di tenute, beni immobiliari e privilegi fiscali. Né fu del resto il solo ad approfittare della rstanziale debolezza del governo ducale e, in particolare, della arrendevolezza di Madama Reale nei confronti della rivalsa e delle pretese dell'elemento nobiliare. Di fatto egli aggregava tra il marzo e il luglio 1644 alla parte già sotto sua giurisdizione del feudo di Cavallerleone altre 20 "giornate" di terra, acquistate per 3.300 lire dai fratelli Antonio, Cesare e Clemente Nucetti e da Giovan Luca Dusnesi; quindi, altre 26 "giornate" in quel di Casalgrasso comperate, al prezzo di 400 "doppie", da Alessandro Losa e Tommaso Ferrero, oltre a ricevere in dono nuovi beni tratti dalle confische, fra cui una cascina: tutti esenti dal laudemio, dal diritto di cavalcata e da altri obblighi fiscali. E ancora il 29 ott. 1646 incamerava un sostanzioso donativo di 143 scudi d'oro "in considerazione delle sue fatiche".
L'impegno paziente e tenace ad arrotondare le sue sostanze (altri beni venivano incorporati al feudo di Cavallerleone tra il giugno 1653 e il gennaio 1655) non gli impedì di puntare più in alto, di cumulare altre cariche, a cominciare da quella di conservatore e giudice ordinario dell'università, cui fu preposto il 18 giugno 1659, dopo che s'era reso vacante il posto già occupato dal senatore Lorenzo Gueriglio. Il compito cui fu chiamato il C., ad integrazione degli altri suoi incarichi, non era tanto quello di contribuire al rinnovamento degli studi o a una diversa organizzazione dell'ateneo torinese. Egli ebbe a svolgere piuttosto, durante il quinquennio del suo mandato, funzioni di vigilanza intese a prevenire o a dirimere vertenze fra docenti, lettori e studenti, "a fine di sedare i rumori, assistere come ordinario compromattore a tutti i dottoramenti, e procurar l'osservanza de' privilegi" di cui godeva l'università nei confronti della giurisdizione delle magistrature ordinarie dello Stato. Giungeva, infine, il 25 sett. 1660, anche l'investitura, con relativa esenzione di imposte, di parte del feudo di Mombello. Ma con il passaggio del governo a Carlo Emanuele II le sue incombenze di avvocato fiscale erano divenute assai più scomode e faticose.
La politica ducale aveva mutato registro e si sforzava ora di reprimere gli abusi e di controllare più da vicino l'operato degli amministratori comunali, suscitando le vivaci reazioni tanto dei grossi feudatari quanto delle comunità. Intorno all'applicazione del coniparto del grano, un'imposta in natura particolarmente onerosa ma essenziale per le finanze ducali, finiva spesso per convergere il malcontento nelle campagne o si verificavano più di frequente tentativi di evasione. E anche quando tutto sembrava procedere per il meglio occorreva garantire, con un assiduo e oscuro lavoro di vigilanza, che non venissero a mancare i rifornimenti per l'esercito o che le provviste non si assottigliassero.
La nomina del C. a terzo presidente della Camera dei conti del Piemonte, il 7 dic. 1664 (per "somma prudenza et esemplare integrità"), giungeva troppo tardi perché egli si potesse inserire effettivamente nell'indirizzo, allora inaugurato, inteso a rialzare in qualche modo l'autorità del sovrano e a riprendere il processo, interrotto da più di trent'anni, verso la formazione di salde strutture assolutistiche. La sua stessa vicenda conferma del resto quanto fossero ormai solide le basi sulle quali si fondavano la potenza o quanto meno le prerogative dell'elemento aristocratico tanto di antico lignaggio, quanto di formazione più recente, per prestigio di toga, com'era il caso appunto del C., cui era stato riconosciuto infine (il 17 giugno 1662) il titolo comitale sul feudo di Mombello. Alla vigilia della morte, avvenuta a Torino il 12 giugno 1665, egli otteneva il consenso di Carlo Emanuele II (30 aprile) affinché l'ultimo figlio, Giovanni Domenico, subentrasse al suo posto nell'incarico di conservatore generale dell'università.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Sezione I, Lettere particolari, C, mazzo I, corrispondenza 1634-1665;Sezioni riunite, Patenti Piemonte, registri 55, f. 209; 56, f. 253; 57, f. 132; 58, f. 111; 60, f. 150; 63, f. 21; 66, f. 116; Controllo Finanze, registri 1617 in 1626, f. 62; 1636 in 1637, ff. 21, 140, 150, 164; 1637 in 1638, f. 89; 1639, f. 182; 1639 in 1641, f. 151; 1643 in 1644, f. 209; 1644 in 1645, f. 34; 1646 in 1647, ff. 48, 212; 1647 in 1648, f. 88; 1649, f. 140; 1655, f. 157; 1658 in 1659, ff. 192 e 197; 1659 in 1660, f. 125; 1660 in 1661, f. 46; 1661 in 1662, f. 157; 1664 in 1665, f. 166; [G. Galli della Loggia], Cariche del Piemonte, Torino 1798, I, pp. 368 s., 666 s.; II, pp. 31 ss.; V. Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, Torino 1841, I, pp. 670-71; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, II, pp. 380, 404.