CAMPANILE, Filiberto
In assenza di elementi biografici precisi, si può situare l'arco biografico del C. a cavallo tra il secolo sedicesimo e il diciassettesimo. La sua attività intellettuale è del resto contenuta in un arco di tempo abbastanza ristretto: tra il 1606 e il 1618; fatto questo che potrebbe far congetturare la morte del C. nel primi decenni del Seicento.
Delle tre opere a stampa del C. quella di maggior rilievo (e anche di più ampio successo editoriale nel Seicento) è, senza dubbio, L'armi, overo insegne de' nobili (Napoli 1610 e ancora 1618 e 1680). Si tratta di un testo di notevole importanza storica, perché testimonia la crescente domanda, da parte della nuova feudalità meridionale, di un'attività storiografica rivolta alla celebrazione del suo ruolo politico tramite la ricostruzione di genealogie a volte grossolanamente falsificate o mistificate. La disponibilità del C. a questa funzione intellettuale subalterna (documentata anche da un altro testo direttamente destinato a tracciare la Istoria della famiglia Di Sangro, Napoli 1615) si rivela ampiamente nelle Armi, anche se occorre riconoscere al C. una certa perizia archivistica e storiografica, già attribuitagli dall'editore della terza edizione, che lo celebrava come "assai versato nella cognizione dell'istorie del nostro Regno e ne' regali e altri pubblici archivi dell'istesso".
L'articolazione interna delle Armi situa il testo in una posizione di contaminazione di due elementi in precedenza distinti nella trattatistica tardo-cinquecentesca: da una parte la storiografia genealogica, dall'altra l'emblematistica. E se la prima costituisce un settore in pieno sviluppo, collegato all'offensiva neofeudale in atto nel Regno, la seconda è in una fase di degradazione consumistica, almeno rispetto ai grandi testi di fondazione della letteratura sugli emblemi (Alciato, ad esempio), rispetto ai quali risultano del tutto smarriti i precisi e qualificanti connotati teorici platonico-ermetizzanti. In questo senso il testo del C. si ricollega ad analoghe operazioni già realizzate dalla cultura napoletana di fine Cinquecento (soprattutto dal Capaccio), anche se si distingue da altre esperienze più direttamente encomiastiche (come quelle di Enrico Bacco o di Francesco De Pietri).
L'elemento caratterizzante delle Armi è nel suo strutturarsi come "trattato" diretto a indicare le modalità di realizzazione di insegne nobiliari (come già avveniva nel trattato Delle imprese del Capaccio, che è del 1592), scandendone organicamente la formulazione con la descrizione di "armi" di alcune famiglie nobili napoletane, e quindi con la narrazione della loro storia. Particolarmente minute sono le notazioni relative alle "armi", che interessano colori e metalli, forme e proporzioni, ma sono organizzate con criteri di disposizione coerente del materiale, come il C. stesso indica nel proemio dell'opera: "con più strette leggi e più fondate ragioni, con più ordinato discorso, abbiam proposto farne un picciol trattato".
Di notevole rilievo per la valutazione storica dell'uso sociale del testo del C. è l'analisi delle molteplici variazioni introdotte tra la prima e la seconda edizione: varianti che non interessano in alcun modo la parte trattatistica delle "armi", ma esclusivamente quella di documentazione della storia di nobili famiglie napoletane. Nella seconda edizione il C. elimina molte esemplificazioni, perlopiù pertinenti famiglie di nuova feudalità, e quindi di storia anche recente: e ciò potrebbe derivare da sopraggiunti scrupoli storiografici e filologici. Ma il fatto che poi sostituisca alle soppresse famiglie altre egualmente di poco illustre tradizione rivela che le mutazioni introdotte derivano esclusivamente da variazioni di committenza. Ed è questa la documentazione interna più probante della condizione subalterna, rigidamente organica all'assetto neofeudale, di operazioni culturali come questa del C., e più complessivamente di tutto l'insieme di questa storiografia degradata ed encomiastica particolarmente intensa nel primo Seicento.
La disponibilità intellettuale divulgativa e compilativa del C. si rivela anche nell'altra sua opera, L'idee overo forme dell'eloquenza (Napoli 1606), che costituisce un'ordinata, e per più aspetti esemplare e didascalica, esposizione delle "idee" di Ermogene, che storicamente assume un ruolo di documentazione del progresso disgregativo degli istituti retorici classici e della normativa aristotelico-oraziana tramite l'impiego di forme retoriche non regolari, comunque ben presenti alla meditazione della trattatistica cinquecentesca anche in area meridionale (dal Quattromani al Severino).
Particolarmente interessante nel trattatello del C. è l'impiego delle esemplificazioni, desunte dalla tradizione lirica volgare italiana (Petrarca e Boccaccio, ovviamente, secondo la normativa classicistica bembesca), con la notevole apertura a Dante, che è già segno d'un comportamento più agile sul piano della designazione delle auctoritates. Se da una parte queste esemplificazioni mostrano l'arco delle letture del C. e ne indicano gli interessi culturali, colpisce dall'altra nel trattatello l'assenza d'una qualsiasi indicazione di scelte teoriche di fondo, sia attraverso il privilegiamento caratterizzante di una delle "idee" ermogeniane, sia attraverso lo svolgimento, di considerazionì in qualche misura autonome. Cosicché L'idee resta come documentazione, certamente preziosa, di una circolazione problematica diversa nel campo della trattatistica sull'arte poetica rispetto alla linea aristotelica, che però non coinvolge il C. in prima persona, ma ne registra la presenza passiva e ancora una volta intellettualmente subalterna. Peraltro l'attenzione del C. per una tematica retorico-ermogeniana, la cui presenza è caratteristica nella cultura del secondo Cinquecento, permette di situare, con un margine maggiore di precisione, la data di nascita intorno al 1560-1570: e questo darebbe anche una più pertinente collocazione storica alla tipologia storiografica dell'Armi, dall'impianto ancora vagamente classicistico.
Bibl.: Scarne notizie biobibliografiche sono reperibili in Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 9263: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, f. 405r; L. Accattatis, Racc. di biografie d. uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza 1870, p. 137; F. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, I, Reggio di Calabria 1955, p. 135.