PINGONE, Filiberto
PINGONE, Filiberto (Emmanuel- Philibert de Pingon, barone di Cusy). – Figlio di Louis II Pingon e di Françoise de Chabeau, nacque a Chambéry il 18 gennaio 1525.
I Pingon erano una famiglia della piccola nobiltà della Savoia, la cui origine era considerata sufficientemente illustre da avere accesso all’Ordine di Malta, come accadde ad Antoine, fratello minore di Emanuel, cavaliere nel 1548, morto in battaglia contro i Turchi. La famiglia vantava poi un lungo servizio alla corte ducale: Louis I, avo di Filiberto, era stato segretario di Amedeo IX; Louis II aveva svolto lo stesso incarico per Carlo II, fungendo anche da ambasciatore presso gli Svizzeri e divenendo poi maestro della Camera dei conti. Prozio di Filiberto era Jean-Michel de Pingon, che segnalatosi per alcuni poemi latini composti per il duca Filiberto II, s’era trasferito a Roma, dove era stato creato ‘poeta laureato’ al Campidoglio, ricevendo anche la cittadinanza romana. A prova ulteriore degli stretti rapporti dei Pingon con l’alta nobiltà di corte, madrina di battesimo di Filiberto era stata Manuela Pacheco, una delle dame lusitane che avevano seguito in Piemonte la duchessa Beatrice; padrino era, invece, il marchese Philibert de la Chambre.
La formazione di Pingone avvenne negli anni dell’occupazione francese dello Stato sabaudo (1530-1559/62). Egli iniziò i suoi studi a Chambéry, passando poi a Lione (1536), Annecy (1537) e a Parigi (1540). Qui studiò al College de Sainte-Barbe, entrando in contatto con gli ambienti della Compagnia di Gesù: egli stesso racconta d’aver partecipato, il 23 agosto 1544, agli esercizi spirituali: un’esperienza che avrebbe lasciato su di lui un segno molto forte. Nel 1546 lasciò Parigi minacciata dalle armate spagnole e si trasferì a studiare diritto all’Università di Padova.
La scelta dell’Ateneo patavino non era rara per le élites savoiarde e piemontesi. Diversi giuristi sabaudi del primo Cinquecento non avevano solo studiato a Padova, ma vi avevano anche insegnato: si pensi, per esempio, a Carlo e Giovan Franco Luserna Manfredi, docenti di diritto solo pochi anni prima, e a Gerolamo Cagnolo, già senatore di Piemonte, che fu docente di Pingone. Con lui si recò a Padova anche Louis Millet, futuro barone di Faverges e gran cancelliere di Savoia, che fu per tutta la vita uno dei suoi più stretti amici. Nominato nel 1548 vicerettore dell’Università (carica che, come quella di rettore, era assegnata a uno studente), in tale veste Pingone fu chiamato nel 1549 a far parte di una delegazione inviata al doge Francesco Donà per difendere i privilegi dell’Ateneo. Negli anni padovani ebbe una relazione con tale Lucia Sensi, dalla quale ebbe due figli: una femmina, morta infante, e un maschio di nome Ludovico (1547-1565), cui fu molto legato e che avviò alla carriera ecclesiastica dopo averlo fatto studiare a Padova.
Laureatosi in diritto il 1° aprile 1550, una decina di giorni dopo si recò a Roma con l’amico Milliet per assistere al giubileo per l’elezione di papa Giulio III. Vi restò sino al 4 luglio, ospitato dal vescovo di Nizza e ambasciatore sabaudo a Roma François de Lambert. Durante il viaggio di ritorno in Savoia, Pingone passò per Firenze e Milano e alla fine di luglio giunse a Vercelli, dove aveva posto la propria residenza il duca di Savoia Carlo II, cui fu presentato dal senatore Claude Millet, padre del suo compagno di viaggio. Pingone svolse allora alcune missioni diplomatiche per il sovrano, recandosi a Torino dal conte Charles Cossè di Brissac, allora nominato governatore del Piemonte occupato.
Fra i risultati del suo soggiorno in Italia fu l’Antiquitatum Romanarum Aliarumque Congeries (Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’Interno, Storia della Real Casa, Categoria II, Storie generali, m. 6, f. 1), una miscellanea epigrafica che iniziò a Roma e proseguì attraverso le città toccate nel viaggio di ritorno. Il testo, se da un lato è di grande importanza per aver registrato lapidi latine poi scomparse, dall’altro rivela l’abilità di Pingone come disegnatore e la sua conoscenza di Albrecht Dürer e di altri modelli iconografici, cui sarebbe restato fedele nelle opere successive.
Rientrato in patria in ottobre, il 9 novembre 1550 fu nominato avvocato nel Parlamento francese di Chambéry e nel novembre 1551 fu eletto primo sindaco della città. Nel 1554, divenne priore del locale Collegio degli avvocati: una carriera folgorante, nella quale fondamentale s’era rivelato il patronage della famiglia Millet. Grazie alla fama conquistatasi, nel 1554 passò al servizio del duca Giacomo di Savoia Nemours, esponente del principale ramo cadetto della dinastia, e che s’era schierato coi Francesi, tanto da scontrarsi in battaglia contro lo stesso Emanuele Filiberto di Savoia, dal 1553 nuovo duca di Savoia. Il legame di Pingone con il Nemours è attestato anche dalla nomina del fratello minore Louis a gentiluomo del duca. Questi fece presto di Pingone uno dei suoi più stretti collaboratori, chiamandolo prima a far parte del Consiglio supremo di giustizia del Ducato del Genevese, suo ricco appannaggio, e poi nominandolo presidente dello stesso nel 1559.
Agli anni di Annecy risale la stesura della sua prima opera storica, il De regno, gestis ac situ Allobrogum: una storia dalla Savoia pre-romana (rimasta manoscritta, Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’Interno, Storia della Real Casa, Categoria II, Storie generali, m. 4, ff. 1, 3).
Nel frattempo, la pace di Cateau Cambresis (2-3 aprile 1559) aveva restituito gli Stati a Emanuele Filiberto. Pingone ebbe occasione d’incontrare il duca nell’ottobre di quello stesso anno, durante un breve soggiorno che questi fece nella Bresse, mentre si recava a Nizza dove aveva fissato la propria corte. Ma la vera svolta nella vita di Pingone si verificò nel 1560. All’inizio dell’anno fu inviato dal duca di Nemours come oratore presso il duca di Savoia, al fine di trattare diverse questioni relative al proprio appannaggio. Il duca, colpito dalla sua cultura, in novembre lo nominò consigliere di Stato e referendario di Savoia. Nel frattempo, il 23 aprile 1560, Pingone aveva sposato Philiberte de Bruel, figlia di Bertrand, uno dei diplomatici inviati da Emanuele Filiberto a Cateau Cambresis. Quindi, portò la moglie al castello di Cusy – dove il 4 gennaio 1561 ella diede alla luce il primogenito Jean Berold – e subito dopo si trasferì a Vercelli.
In breve divenne una delle figure più in vista dell’entourage ducale. Il 26 ottobre 1562, poco prima di recuperare Torino, il duca lo nominò riformatore degli studi, incaricandolo di gestire lo Studio della capitale, una volta che questa fosse tornata sotto il controllo sabaudo. Quando, nel febbraio 1563, il duca fece ingresso ufficiale a Torino, gli affidò la stesura dei testi per gli apparati festivi allora realizzati (poi riprodotti nell’Augusta Taurinorum, pp. 125-129). Deciso ormai a stabilirsi anch’egli a Torino, si fece raggiungere dalla moglie, che nel novembre 1562 diede alla luce a Fossano la loro prima figlia, Margherita. A prova della vicinanza di Pingone al duca, la piccola ebbe come madrina la duchessa di Savoia. L’anno successivo, anche il terzogenito Filippo (1563-1565) ebbe come padrino un esponente di casa ducale, il conte Filippo di Savoia Racconigi, capo della fazione filofrancese. Nel 1563 divenne barone di Cusy e nel 1564, accompagnando il duca a Lione per incontrare il re di Francia, fu nominato vice gran cancelliere (massima carica dello Stato).
Non stupisce, quindi, trovarlo nel 1565 fra i personaggi più illustri della corte sabauda raffigurati da Giovan Battista Giraldi Cinzio negli Hecatommiti. Lo stesso anno, per garantirgli maggiori risorse finanziarie il duca lo creò governatore di Ivrea, ma senza obbligo di residenza, mentre la moglie divenne governante delle figlie d’onore della duchessa. Pienamente inseriti nell’entourage ducale, Pingone e la moglie acquistarono allora una ‘vigna’ sulla collina torinese, nell’attuale Val Salice. Una lapide posta nell’occasione informava che la villa era «ad mutui amori perp. mem.». Il matrimonio della coppia, in effetti, sembrava particolarmente felice, segnato da continue nascite di nuovi figli: nel 1565 Ludovico Angelo, nel 1566 Maria e nel 1568 Carlo Emanuele. Quest’ultimo ebbe come padrino il principe ereditario e nel 1573, sebbene avesse solo cinque anni, fu chiamato tra i primi cavalieri dell’allora istituito Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
In quegli anni, Pingone fu autore di diverse opere poetiche in latino, fra cui nel 1562 il poema Sindon, poi confluito nella Sindon evangelica, e alcuni versi per il battesimo di Carlo Emanuele I (A. Bucci, Il battesimo del serenissimo prencipe di Piemonte fatto nella città di Turino, Mondovì 1568). Nel 1569 ricevette la cittadinanza di Torino dal Consiglio della capitale. Risale al 1571 la medaglia con il suo profilo sul recto e il motto «Sapienter Aude» accompagnato dalla figura di due colombe, una delle quali in atto di spiccare il volo. Negli anni Settanta, Pingone lavorò alle opere che ne fanno il fondatore della moderna storiografia sul Piemonte e lo Stato sabaudo: l’Augusta Taurinorum (Taurini, apud Haeredes N. Bevilaquam, 1577); la Sindon evangelica (Taurini, apud Haeredes N. Bevilaquam, 1581) e l’Inclytorum Saxoniae Sabaudiaeque Principum Arbor Gentilitia (Taurini, apud Haeredes N. Bevilaquam, 1581), albero genealogico dei Savoia. Manoscritti restarono, invece, i Sabaudae Historia libri XII, iniziati nel 1572 e terminati nel 1581 (Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’Interno, Storia della Real Casa, Categoria II, Storie generali, m. 4, f. 2) e le Imagines Ducum Sabaudiae (m. 3, f. 3).
Pingone morì a Torino il 15 aprile 1582 e fu sepolto nella Chiesa di S. Domenico. Un anno dopo, grazie alle opere da lui composte, Carlo Emanuele I ottenne dall’Impero il riconoscimento della superiorità dei Savoia sugli altri principi italiani in virtù delle loro origini sassoni.
Erede di Pingone fu suo figlio Jean Berold (1561-post 1602). Fra 1580 e 1584 questi studiò all’Università di Padova e si laureò poi a Torino nel 1585: il suo ritorno in Piemonte coincise con la perdita di potere del partito filofrancese in seguito alle nozze di Carlo Emanuele I con l’infanta Caterina d’Asburgo. Egli, allora, sposata Charlotte Vautravers de Charrin, lasciò Torino e si ritirò nel castello di Crest, vicino a Montmelian.
Le ricerche operate da Filiberto Pingone fecero grande impressione in una città come Torino, che alla fine del XVI secolo mancava di cultura storica, tanto che il suo stesso nome entrò nella cultura popolare come sinonimo di erudito e antiquario. Sino almeno alla fine dell’Ottocento l’espressione ‘antichità d’monsù Pingon’ finì per indicare, anzi, qualsiasi cosa che fosse molto antica (l’uso è attestato da diversi dizionari dell’Ottocento, almeno a partire da L. Capello, Dictionnaire portatif piémontais-français, Torino 1814, p. 27). Anche in virtù di questa diffusa popolarità, lo scrittore Luigi Gramegna fece di Pingone l’eroe del romanzo storico Monsù Pingon (Torino 1906), apprezzato, fra gli altri, da Luigi Einaudi, Piero Gobetti, Antonio Gramsci e Umberto Eco. Ancora oggi una delle poche case medievali della città è detta per antonomasia ‘la casa di Pingone’.
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