FILIGRANA
Il termine, di cui s'ignorano gli equivalenti antichi, è applicato a quella particolare tecnica della oreficeria, ancora in uso ai nostri giorni, che ottiene motivi decorativi ripiegando e saldando sottili fili, d'oro o argento, o meglio - a seguire il suo valore etimologico - fili di minuti grani. Nella terminologia corrente, però, la decorazione con granelli aurei ha assunto il nome di "granulazione", mentre con "filigrana" si indicano in particolare i lavori con filo vero e proprio, liscio o cordonato, sia esso applicato su una lamina di fondo, o, con effetto di maggiore leggerezza, variamente intrecciato "a giorno".
Mancano notizie sulla maniera con cui gli antichi ottenevano i fili, se cioè li preparassero soltanto intagliandoli da lamine auree o con battiture di martello o se, come è possibile, conoscessero qualche procedimento analogo a quello in uso nella oreficeria moderna e che consiste nel far passare il metallo in piastre di acciaio forato, così che esso divenga sempre più sottile, assumendo di conseguenza la forma e la grossezza dei diversi fori. Sappiamo, invece, che essi usavano in molti casi intrecciare i fili a guisa di piccoli cordoni, talora a due per volta, talaltra invece in più numero, sì da formare veri e propri nastri di filo aureo.
Da questo tipo di f. va distinta la pseudo-f. dell'oreficeria egizia, che risulta dalla saldatura "a giorno" di elementi disparati: verghette, fili, laminette ecc., riuniti a formare un unico gioiello con un effetto quindi vicino, piuttosto che alla f., ai lavori in metallo intagliato. In Egitto, infatti, la f. vera e propria giunge tardi ed è frutto di importazione greca. Nell'ambiente egeo la f. compare nelle sue prime applicazioni ad Hissarlik, nel II e III strato e pertanto si data come inizio fra il 2500 ed il 2000 a. C.; un esempio già maturo ce ne è dato appunto da uno spillo datato fra il 2350 ed il 2100 (Otto-Herbig, Handbuch der Arch., iv, 1950, p. 215, tav. 17, n. 2) in cui la capocchia, in forma di un ampio rettangolo di lamina, risulta decorata da 4 file simmetriche di fitte spirali in filigrana. Rari, invece, ne sono gli esempi tra gli ori di Micene e nella più tarda età micenea ad Enkomi. Mentre solo occasionalmente compare nelle oreficerie di Efeso e Camiro della fase orientalizzante (VIII-VII sec.), la f. si afferma nello stesso periodo in Etruria, dove se ne ha quindi la prima, più larga e completa applicazione in una serie di oggetti di varia provenienza e probabilmente anche di officine differenti, che tuttavia restano caratterizzati appunto dalla piena e perfetta applicazione di tale tecnica; essa normalmente esclude nei gioielli in cui compare la tecnica coeva della granulazione, tanto cara anche essa agli orafi etruschi, e si afferma, peraltro, non solo come elemento decorativo, ma anche come elemento formativo ed essenziale del gioiello stesso.
Tanto Vetulonia, quanto altre località non precisate dell'Etruria meridionale, ci hanno reso infatti esemplari di un unico tipo di bracciale "a sistema elastico" costituito da una fascia rettangolare con fermaglio, composto a sua volta dalla giustapposizione di fettucce di lamina parallele alternate a fili ondulati a trina; in varî casi le fettucce di lamina scompaiono, sostituite ora da fili lisci o cordonati, ora dall'alternarsi di trine con motivi ad ondulazione semplice con altre ripiegate a meandro. I fili sono uniti gli uni agli altri con saldature finissime ed il gioiello risulta pertanto leggero e trasparente, come un autentico merletto. Alla f. le officine etrusche restano legate a lungo, soltanto ne variano l'applicazione e l'uso col generale mutare dello stile negli ori della fase più tarda (VI-V sec.); negli orecchini "a baule" (v. orecchini), che costituiscono un modello particolare della oreficeria locale, e negli ori dello stesso stile, il filo aureo, oltre che per conchiudere e delimitare l'oggetto stesso, o i campi decorativi in cui può essere diviso, è fissato sulla lamina di fondo in modo da disegnare sotto forme di spirali arrotolate e ripiegate in cerchio, piccoli fiori in rilievo o motivi analoghi.
Nella oreficeria greca la f. ha la sua fase di maggior sviluppo fra il IV e il III sec. a. C. in forme ed applicazioni ancora nuove ed aderenti, non solo ai gioielli che è chiamata a decorare, ma anche, con quella unità di concezione che riunisce in una visione unica le varie classi in cui si è soliti dividere la produzione antica, alla sintassi decorativa in uso. Non più lavorata a giorno e libera da ogni irrigidimento geometrico, la f. pertanto, a parte il più modesto compito di delimitazione che le è proprio in ogni età, è chiamata a decorare con motivi vegetali, concepiti in libere volute o in fiori e palmette stilizzate, le superfici lisce del gioiello. Nella semplicità essenziale della forma, essa ne costituisce pertanto, in molti casi, il principale motivo di bellezza, che l'orafo crea con tecnica sicura e felice fantasia. Esempio tra i più ricchi sono le fibule di un corredo tombale da Teano, ora a Napoli (L. Breglia, Cat. delle Oreficerie del Museo Naz. di Napoli, tav. xi, n. 2, 3), anche se la limpidezza dell'ornato vi è turbato dalla visione piuttosto "barocca" dell'insieme. In maniera differente risentiamo questo stesso difetto di eccessivo affollamento in molte oreficerie di età ellenistica, orecchini soprattutto, in cui l'amore per la decorazione affollata e minutissima fa perdere il senso della leggerezza che resta pregio intrinseco dei più bei lavori in filigrana.
L'oreficeria etrusca di età ellenistica ignora la f. che ritroviamo al contrario in età romana, soprattutto in funzione di bordure di oggetti o di incastonature di perle e pietre; la troviamo inoltre ancora in uso in questa età per nastri di collane di filo intrecciato a trina, che tuttavia appaiono ben lontani dai loro finissimi prototipi dell'oreficeria ellenistica ed etrusca di età arcaica.
Un rinnovato amore per la f. ritroviamo in età tarda fra gli ori bizantini e barbarici, quando il diffondersi dei lavori metallici a traforo (A. Riegl, Spätrömische Kunstindustrie2, Vienna 1927, p. 289 ss.) rinnova il gusto per i preziosi frastagli e le sottili trine. Lontani echi di modelli di età geometrica troviamo infatti in un tipo di orecchini il cui corpo semilunato consta di un bordo di lamina aurea su cui le pietre si alternano alla decorazione in f., mentre la parte centrale è formata di f a giorno in fasce alterne in cui i fili paralleli si alternano ad altri ripiegati a triangolo (L. Breglia, in Japigia, 1939, p. 36 e fig. 24). In altri esemplari particolarmente ricchi del museo di Berlino, la f., con motivi alterni, spirali, zig-zag, ecc., tesse tutto il gioiello arricchito solo da un filo di perle, o ne costituisce la principale parte (H. Schlunk, Kunst der Spätantike in Mittelmeerraum, Berlino 1939, tav. 15, n. 85).
Nella oreficeria barbarica, la f., non più lavorata a giorno, è di nuovo impiegata a decorare le superfici di lamine d'oro o a cingere i castoni delle pietre e degli smalti variopinti. Ma i disegni non sono più ispirati alla ricchezza di forme del mondo vegetale, bensì ritornano motivi decorativi stilizzati: fasce concentriche ad onda continua, o intrecci di spirali disposte in posizioni differenti. In altri casi, invece, riprendendo ancora vecchi tipi di decorazione, la f. si dispone a cerchietti che incorniciano un grosso globetto aureo ottenendone una curiosa decorazione bullonata (Schlunk, op. cit., tav. 16, n. 83). A voler riassumere pertanto la storia della f. si può dire che essa compare prestissimo nella oreficeria ed è rappresentata in ogni età, anche se dobbiamo ricercarla ora in un ambiente ora in un altro; l'oreficeria greca di età classica ce ne dà la più felice applicazione come elemento decorativo sussidiario, in quanto se ne serve con ispirazione più libera, riprendendo con vario stile gli infiniti motivi del mondo vegetale. Nelle altre fasi, più povere di elementi fantastici, la f., tanto che sia lavorata a giorno, tanto che ritorni come decorazione di superfici laminate, resta legata ad un repertorio geometrico di per se stesso irrigidito e povero. La scarsezza dei disegni: spirali, qualche meandro, qualche motivo ad onda e a zig-zag, generano pertanto la strana conseguenza di curiose affinità fra gioielli di età ed ambienti diversissimi così che orecchini bizantini ricordano decorazioni del geometrico e in qualche oro barbarico riecheggiano le lontane voci dell'Età del Bronzo.
Bibl.: H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Künste, Lipsia 1886, IV, pp. 250-51 e 316-17; F. H. Marshall, Catalogue of the Jewellery in the Brit. Museum, Londra 1911, p. LV; G. Karo, in Milani, Studi e Materiali di Arch. e Numism., II, Firenze 1902, p. 102 ss.; M. Ebert, Reallexicon der Vorgeschichte, s. v.; Dict. Ant., s. v. Caelatura, (col. 794); F. Rossi, in Enc. It., s. v. (con bibl.); nonché soprattutto: M. Rosenberg, Geschichte der Goldschmiedekunst aus technischer Grundlage, Francoforte sul M. 1922; H. Marion, Fine Metal-Work, in History of Technology, Oxford 1956, p. 449-484 (generico sull'oreficeria).