ANFOSSI, Filippo
Nato a Taggia (Imperia) nel 1748, professò tra i domenicani a Genova e insegnò per molti anni nei collegi dell'Ordine, soprattutto ad Alessandria, dedicandosi contemporaneamente alla predicazione. Degli anni postrivoluzionari, tardive quindi, sono le sue prime prove di scrittore controversista, in polemica con le tendenze razionalistiche, illuministiche e giansenistiche dello scorcio del secolo: Le fisiche rivoluzioni della natura o la Palingenesi filosofica di Carlo Bonnet convinta di errore..., Venezia 1802, Roma 1820; L'uomo politico-religioso o sia la cattolica religione considerata ne' suoi rapporti colla civile società, Venezia 1802, 4 ediz. Roma 1822 (non sono state rintracciate le edizioni intermedie); Il poema di San Prospero contro gl'ingrati, tradotto in terze rime italiane..., Venezia 1802, Roma 1818, con note e testo latino a fronte; scritti che, raccolti insieme nella prima edizione veneziana, non presentano originalità di formulazione, ma valgono a delineare i motivi salienti di tutta la successiva attività pubblicistica dell'Anfossi.
Modesta declamazione contro l'evoluzionismo del naturalista ginevrino, e più genericamente contro il materialismo e l'ottimismo illuministico, sono Le fisiche rivoluzioni della natura:, entro schemi invecchiati, spiegabili peraltro con il ritardo della stampa rispetto alla data di composizione dell'opera, offre qualche interesse solo il richiamo alla dottrina tomistica, che avrà nella produzione dell'A. impensati sviluppi. Di maggior rilievo L'uomo politico-religioso, frutto di prediche tenute l'anno precedente a Treviso e interessante espressione della propaganda antirivoluzionaria del clero, quando già gli animi rifluivano verso decise soluzioni conservatrici e autoritarie preludenti all'età napoleonica: esso sembra anticipare taluni aspetti del pensiero politico della Restaurazione. Privo, certo, di una meditata considerazione storica del decennio rivoluzionario, l'opuscolo riesce, però, a superare, nell'analisi polemica del dramma vissuto dalla Chiesa romana, il tradizionale binomio società-cristianesimo e la discussione delle benemerenze sociali del cristianesimo nei riguardi del corpo politico, temi cari a tanti scrittori tardosettecenteschi, per tracciare le linee maestre di un nuovo e più rigido accordo tra forze religiose e forze politiche (significativi gli spunti ricavati dal De regimine principum di s. Tommaso e quelli vagheggianti un programma duramente repressivo, il rifiuto della libertà di stampa, la proposta di esclusione dagli impieghi statali dei nemici della religione, la difesa dell'Inquisizione e, in genere, l'esaltazione dell'ancien régime). Alcune pagine conclusive sulla restituzione dei beni nazionali agli ecclesiastici configurano già un problema lungamente presente nell'opera dell'Anfossi.
La traduzione del Carmen de ingratis di s. Prospero d'Aquitania rimane un tentativo di presentare, con significato ortodosso, un testo su cui, attraverso traduzioni ed edizioni annotate, più volte si era cimentata la pubblicistica giansenistica o giansenisteggiante del precedente quarantennio.
Un breve scritto di poco posteriore, Rimedio contro gli scrupoli per la compra de' beni ecclesiastici, Venezia 1803, che prende di mira un opuscolo del giansenista V. Palmieri, e la polemica che seguì (cfr. Codignola, I, p. CCXXVI), furono occasione di una svolta nella vita dell'A., che, chiamato a Roma nello stesso anno, ebbe incarico ufficiale dal generale dell'Ordine G. Gaddi di confutare le tesi del canonista lovaniese J. Le Plat e di altri oppositori (tra cui il vescovo di Novi, B. Solari) alla bolla Auctorem fidei con cui Pio VI aveva condannato il sinodo di Pistoia: nacque così la Risposta... alle lettere del Plat e alle oppositioni di alcuni altri teologi che hanno preteso d'impugnare la bolla Auctorem fidei..., 2 voll., Roma 1805.
Ma questa, e più la seconda edizione ampliata apparsa a Roma, in tre volumi, nel 1816, col titolo fin troppo promettente di Difesa della bolla Auctorem fidei in cui si trattano le maggiori questioni che hanno agitata in questi tempi la Chiesa, edizioneche originò un'astiosa polemica col Palmieri sulle indulgenze (cfr. Codignola, I, p. CCXXVII), sono ormai frutti fuori del tempo: il ripensamento degli avvenimenti trascorsi è limitato al puro e semplice piano ecclesiastico (un'appendice di Considerazioni sulla costituzione civile del clero e la Chiesa constituzionale di Francia non è, anch'essa, che un secco ragionamento canonistico); la polemica contro giansenismo, gallicanesimo, richerismo, contro l'anticurialismo settecentesco, ha un suono debole, quasi bilancio di discussioni già esaurite, e offre solo modo all'A. di portare un tenue contributo a favore dell'infallibilità papale nelle decisioni di fede.
Nel decennio napoleonico l'A. passò a battere in breccia le riemergenti tendenze gallicane della politica ecclesiastica imperiale, la legge sul divorzio sancita dal nuovo Codice, ecc., ma sempre con un che di chiuso e di angusto che nulla risente del grande conflitto di idee e dei grandi constrasti religiosi e politici del momento: si susseguono i Motivi per cui il p. F. A. D. ha creduto di non potere aderire alle quattro proposizioni gallicane, tomi 2, s. l. 1813; le Amichevoli riflessioni sopra l'opuscolo intitolato "Expositio declarationis cleri gallicani anni 1682"..., s. l. 1814; La ragione e la fede in collera con F. C[arrega] per la sua dissert. sulla legge del divorzio, Roma 1814.
Costretto a vivere ritirato nel paese natale, e osteggiato dalle autorità francesi, nel 1814, con il ritorno di Pio VII nello Stato pontificio, la lunga sua fedeltà alla sede romana ("scrittore affatto romanesco", il Degola definirà l'A. in una lettera al Grégoire del 24 ag. 1808) e l'opera sua trovano ampi e consistenti riconoscimenti: il pontefice lo nomina nel novembre, temporaneamente, insieme al p. Olivieri, assistente dell'ex generale e allora vicario dell'Ordine Gaddi, accusato violentemente (anche dall'A.) di cedevolezza e compromissione di fronte al regime napoleonico. La divina istituzione e indefettibilità della cattolica romana Chiesa e della Sede di Pietro che ne è la base..., Roma 1815, che appare nel frattempo, è come un "manifesto" dottrinale che da un punto di vista curiale sembra meglio riassumere l'atmosfera romana della Restaurazione: lo stesso anno l'A. viene nominato maestro del S. Palazzo.
Prese allora l'A. a svolgere un'intensa attività a difesa e rafforzamento del centralismo romano, accentuando, sul piano dottrinale, il tomismo già affiorato nelle prime opere, e talvolta superando perfino, nel suo zelo intransigente, i più chiusi orientamenti curiali, finendo col trovarsi in contrasto con gli stessi papi, Pio VII e Leone XII, e con cardinali e prelati del più diretto entourage pontificio. Scarsamente, se non affatto permeato dai nuovi orientamenti spirituali dei primi decenni dell'800, l'A. sembra impersonarne gli aspetti più retrivi e legati al vecchio ordine di cose, ama identificare la difesa degli interessi della S. Sede con una precisa tendenza di politica ecclesiastica, e in un'età che vede il sorgere e il diffondersi di nuovi tipi di apologetica e di nuovi fermenti costruttivi nella vita della Chiesa, uscita dall'esperienza rivoluzionaria, rimane ancorato agli schemi polemici settecenteschi.
Si spiegano e si inquadrano così le ristampe delle opere sue poco o nulla mutate nell'essenziale, e l'ostilità contro la Metaphysica sublimior de Deo trino et uno (1816) di M. Mastrofini, alla cui concezione platonizzante l'A. oppose un tomismo estremamente rigido con Il grido della fede..., Monaco [Roma] 1820, e con altri opuscoli (notizie in S. Ciuffa, p. 180 ss.): aspra battaglia dottrinale che lo stesso pontefice Pio VII biasimò, sconfessando più volte l'operato del maestro del Sacro Palazzo, e che trova anche una sua origine e dimensione politica, apertamente dichiarata dall'A., in una sia pur tarda reazione contro quel Mastrofini, autore, al tempo della Repubblica romana, dell'Onestà del civico giuramento..., Roma,anno VI repubblicano, I romano. Rigido tomismo che traspare anche in altra operetta dell'A., Se possa difendersi ed insegnare non come semplice ipotesi, ma come verissima e come tesi la mobilità della terra e la stabilità del Sole da chi ha fatta la professione di fede di Pio IV..., Roma 1822, che nella lotta alle proposizioni scientifiche discostantesi dalle formulazioni tomistiche (analogamente a quanto era avvenuto prima, contro il Mastrofini, su un piano gnoseologico-metafisico) configura il sorgere di quelle tendenze tipiche della scuola tomistica romana dei successivi decenni: aspetto, questo, del pensiero dell'A. che unicamente ha un qualche spiraglio verso l'avvenire.
Poco più che un episodio della vita dell'A. resta difatti il breve scambio epistolare intercorso in quegli anni con il Lamennais, provocato dalle discussioni sull'Essai sur l'indifférence en matière de religion (Paris, 1817-1823): l'A. ufficiosamente approvò l'opera e diede il permesso di stampa per una traduzione italiana. Ancora nel 1823 Lamennais pregò l'A. di indicargli i passi dei volumi III e IV, allora apparsi, ritenuti degni di censura dai teologi romani, dichiarandosi pronto alle opportune correzioni.
Ultimo singolare avvenimento, che attesta l'atteggiamento puramente reazionario dell'A., è quello riguardante le polemiche sorte intorno all'ultima opera apparsa lui vivente, La restituzione de' beni ecclesiastici necessari alla salute di quelli che ne han fatto acquisto senza il consenso e l'autorità della S. Sede apostolica, Roma 1824.
Lo scritto rappresenta un tentativo degli "zelanti", capeggiati dal cardinale A.G. Severoli, di rivedere, all'inizio del pontificato di Leone XII, gli orientamenti moderati della politica di Pio VII. Riaprire la discussione in quel momento, in cui il ministro Villèle perseguiva in Francia una politica di pacificazione (e di indennizzo) nei riguardi degli emigrati, per la quale appariva necessaria la incommutabilità della vendita dei beni ecclesiastici, significava riproporre con crudezza rivendicazioni e questioni che gli ambienti più avvertiti della Curia romana consideravano definitivamente superate. Il tentativo rientrò presto dopo che il segretario di stato Della Somaglia, di fronte alle proteste francesi e delle altre potenze interessate, diede piena assicurazione che nessuna innovazione sarebbe stata presa dalla S. Sede circa i beni nazionali la cui vendita, in Francia e altrove, era stata dichiarata valida, e che lo scritto dell'A., ufficiosamente disapprovato, non sarebbe uscito dallo Stato pontificio. Lo stesso Leone XII rimproverò il Severoli per l'appoggio all'A., raccomandandogli di seguire la linea più cauta propria della politica pontificia "allo scopo di lasciar l'Europa in pace ...".
L'A. morì a Roma il 17 maggio 1825.
Sono da ricordare, oltre gli scritti menzionati, alcune altre opere tra le moltissime dell'A.: le Memorie istoriche appartenenti alla vita del beato Iacopo da Varagine... pubblicate da... mons. Giuseppe cardinale Spina, Genova 1816, più che obbedire a intenti storico-eruditi meglio si inquadrano negli orientamenti controversistici, agiografici ed edificanti dell'A., volto a difendere contro gli assalti della critica razionalistica ripercorrenti per tutto il sec. XVIII l'autore della Legenda aurea; un suo Quaresimale, Roma 1815, e suoi Panegirici sacri, Napoli 1834, sarebbero da vedere nell'ambito dell'oratoria sacra tra '700 e '800. Alla storia della pietà ottocentesca e particolarmente alla forte ripresa della devozione tipicamente domenicana del Rosario, sancita anche dall'Ad augendam di PioVII nel 1808, appartiene la Maniera di recitare con profitto il Rosario di Maria SS., disposta in nove brevi Sermoni, Roma 1814.
Fonti e Bibl.: Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, I e II, Firenze 1941, passim, partic. I, pp. CII-CIII, nota, CCXXVI-CCXXVIII; Artaud de Montor, Storia del pontefice Leone XII, Milano 1843, I, pp. 189-190; II, pp. 16 s.; S. Ciuffa, Marco Mastrofini..., Memorie storico-apologetiche, Roma 1875, passim; F. H. Reusch, Der Index der verbotenen Bücher, II, Bonn 1185, pp. 400, 962, 1094, 1226; H. Hurter, Nomenclator liter. theol. cath.,V, Oeniponte 1912, coll. 866-867; D. A. Mortier, Histoire des maîtres généraux de l'Ordre des Frères prêcheurs, VII, Paris 1914, p. 460; I. Taurisano, Hierarchia Ordinis Praedicatorum, Romae 1916, p. 61; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-ecclesiastica, XLI, p.217; XLIX, p. 158; LX, p. 163; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, coll.1-2; Dict. de Théol. cathol. I, col.1188; Enciclopedia Ecclesiastica, I, p. 160.