CIFARIELLO, Filippo Antonio
Figlio di Ferdinando e di Giovanna Rutigliano, nacque a Molfetta (Bari) il 3 luglio 1864, Il padre, mediocre artista poliedrico, trasferì più volte la famiglia, a Bari, ad Andria, a Trani e infine a Napoli, dove, in tentativi di compagnie di canto, si ridusse in miseria. Il C., primo di cinque figli, dovette presto provvedere alla quotidiana sussistenza dei suoi, rinunciando agli studi: giovandosi di una naturale disposizione verso le arti plastiche, foggiava e vendeva figurine, in creta. Poté tuttavia entrare nell'istituto di belle arti di Napoli e fu allievo del pittore G. Toma, nella classe di disegno da gessi.
Il suo carattere inquieto e spavaldo dispiacque a moltià sì che presto si trovò oggetto di polemiche violente. Nulla mai dichiarò di dovere a maestri scultori (presumibilmente, ad Achille d'Orsi, il più importante a Napoli dei veristi), salvo che a quelli del primo Rinasciniento. Lasciato l'istituto, si diede a modellare, su ordinazione, piccoli busti e ornamenti legati alla sua ispirazione di figulo. Già nel 1881 egli si distinse alla Esposizione romana, con un autoritratto. Nel 1883 fu premiato a Napoli per Vecchia cerinaia e nella stessa città nel 1884 espose una statuina in terracotta, Primi palpiti (Napoli, galleria del Banco di Napoli), che gli valse un'accusa dì eccesso in verismo. Correva il tempo della polemica, fin troppo epidermica, tra accademisti e veristi: a tal punto il C. vi era implicato, che per tre volte si Insinuò pubblicamente che avesse "formato sul vero" (attraverso calchi), piuttosto che "plasmato" le sue figure. Reagiva irriverente, in modi picareschi, ma, se da un lato ripeteva in misure minori la statua incriminata, dall'altro teorizzava: "Io sarò" il primo ad ammirare un collega, che, formando, riesca a fare capolavori... Formate, colleghi, formate pure, a condizione che facciate dell'arte" (Trevite in una, p. 94). Per tale tendenza, a Parigi, durante la Esposizione univers. del 1889, e subito dopo a Londra, in Svizzera e in varie città d'Italia, non ammirò che quadri accademici, e più tardi ebbe a criticare in Rodin l'elemento pittorico e letterario, come "decadente, perché privo di solidità nel tempo" (ibid.., p. 105), e in Menunier, "democratico pietoso" (ibid., p. 106), il simbolismo socialista, che escludeva la psicologia del modello.
Trasferitosi a Roma dopo i successi presso la Esposizione universale del 1889, il C. vi rimase quasi stabilmente fino all'anno 1905, salvo per una parentesi - a cavallo del secolo - di cinque anni a Passau, in Baviera, come direttore della fabbrica Lench, e conseguente ideatore di modellini floreali in biscuit. Nel 1890 fu presente alla Prima Esposizione della città di Roma con tre busti ritratto (premiati con medaglia d'oro) e con Ad maiorem Dei gloriam (U. Fleres, in Arch. storico dell'arte, III[1890], pp. 241 s.; Contessa Lara, in Natura e arte, II[1893], 13, p. 112). Pur fra polemiche artistiche e tragiche vicende biografiche, la fama non lo abbandonò più, finché visse. Socio del romano Circolo artistico internazionale, ricco di amici e mecenati, sorretto dai massimi critici e galieristi, presentato a regnanti e potenti, che spesso gli commissionavano il ritratto, partecipò a esposizioni europee, assicurò opere ai più importanti musei, raccolse premi e onori di ogni genere. Espose per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1899 (pp. 27, 63 del catal.) e poi ancora nel 1903 (pp. 125, 133 del catal.), nel 1912 (p. 52 del catal.), 1921 (pp. 27, 28, 140 del catal.), 1924 (pp. 22, 63 del catal.; ill. 112: E. Novelli), e nel 1926 (p. 108 del catal.; ill. 48: L. Pesaro). Nel 1894 sposò Ninì de Browne, irrequieta canzonettista francese, la cui tormentosa avvenenza riprodusse in allegorie. L'uxoricidio per gelosia, a Napoli, nel 1905, ne fece un protagonista di costume, oggetto di uno dei processi passionali dell'Italia post umbertina. Assolto, malato, si trasferì a Napoli, dove riprese a scolpire per il resto dei suoi anni.
Nel complesso, la sua copiosa produzione non esula dalla cultura figurativa nazionale del tempo, per lo più refrattaria a circolazioni europee che non fossero quelle dello stile fioreale, pur se ricca di artisti, la cui eccentrica biografia contrasta con il conformismo dell'opera. Escluse dunque suggestioni internazionali, né il verismo, di marca politicoletteraria, né il tardo romanticismo, prevalentemente decorativo, del floreale, sembrano offuscare nelle opere del C. l'insistenza di un ennesimo classicismo, in fin dei conti neo accademico. Il che gli fece prediligere il bronzo nella materia e l'allegoria nel soggetto (tipicamente Liberty è una Annunciazione dell'Amore, gruppo per fontana, esposto in gesso a Venezia nel 1899 [ p. 27del catal.], acquistato dalla Galleria d'arte moderna di Boston) e ne fece un credibile autore di monumenti, al centro delle piazze e dei giardini. Efficaci, per compostezza, quelli di Mazzini e dell'Abate Fornari nella nativa Molfetta, del Saffi a Forlì, e, per vigore realistico, quello di Umberto I (1905), a Bari, dal cavallo settecentesco la cui coda a orifiamma il C., onorando la propria leggenda, rifiutò di consegnare, fino a pagamento avvenuto. Eseguì in gran numero statue, di formato minore, dove riecheggiano le sue origini di figulo napoletanoo, ecomposizioni sacre, risentendo della iconografia popolare, soprattutto pugliese. Assai fortunato fu il gruppo - quanto mai accademico - del Cristo morto e la Maddalena (1882), esposto a Palermo (premiato con medaglia d'oro), celebrato a Vienna (il cui Museo ne pretese il gesso) e acquistato dalla Galleria naz. d'arte moderna in Roma. Nel cimitero di Barletta è una sua intensa testa di Cristo.
Il C. scrisse (1931, p. 105) che unica sorgente per gli artisti moderni era "la psicologia figlia della personalità". Perciò, forse, predilesse i ritratti per cui utilizzò una sobria gamma di marmi policromi e anche l'argento (se ne veda una serie di no . nativi in Giannelli, 1916, p. 545): tra i migliori, quelli della pianista Nadler (1898: Milano, Gall. naz. d'arte moderna), dei pittori Boecklin (Roma, Gall. naz. d'arte moderna: il gesso fu.esposto a Venezia nel 1899) e Costa, del tenore Caruso (in argento cesellato: Parigi, già Palais du Luxembourg).
In patria, a Bari, a Molfetta raccolse durature amicizie e onoreficenze, anche nei momenti della sventura. A Molfetta era l'unico suo scolaro di qualche rilievo: l'austero Giulio Cozzoli. Le vicende personali lo mantennero all'altezza del suo destino, quando, nel 1914, la seconda moglie Evelina Fabbri, appena sposa, . perì, arsa da alcool, in una disgrazia domestica. Un terzo tardivo matrimonio con Anna Marzell e la nascita di due figli (Filippo e Antonio) non valsero a recuperare il vecchio scultore dalla depressione. Attese piuttosto a scrivere una bellissima autobiografia, pubblicata nel 1931 a Livorno presso la "Bottega d'arte" col titolo Tre vite in una, certo il più valido risultato della sua personalità artistica, vero codice di poetica figurativa sua e del tempo suo in Italia, oltre che libero e vibrante racconto di eccezionali esperienze umane.
D'improvviso, il 5 apr. 1936, si tolse la vita., nello studio, a Napoli: la stampa, secondo le direttive correnti in quegli anni, ne mitigò la notizia. Nel Museo di S. Martino a Napoli è conservato un marmo dei C., Maternità;nel Gabinetto naz. delle stampe di Roma è conservato un suo schizzo a matitas Prete con tricorno.
Fonti e Bibl.: Fondamentali le autobiografie: Le memorie di F. A. Cifariello, Napoli 1908; Tre vite in una, Livorno 1931. Una nutrita bibl. è in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 574s., e in H. Vollmer, Künstlerlexikon des XX. Jahrh.s, 1, pp. 441s. La monogr. di G. Marangoni, C., Milano 1936, riporta anche numerosissimi articoli apparsi sulla stampa quotidiana e periodica. Si vedano anche i cataloghi delle mostre citate all'interno della voce (per un elenco, sino al 1911, delle opere presentate dal C. alle varie mostre si veda E. Giannelli, Artisti napoletani viventi, Napoli 1916, pp. 545-549);ma vedi anche: VI Esposiz. Parziale d'industrie artistiche, ceramica... guida..., Roma 1889, p. 12 (Esaurimento, terracotta); U. Fleres, La scultura, in Ilsecolo XX, II, Milano s.d., pp. 154 ss.; V. Pica, Artisti contemporanei: F.C., in Emporium, XIX (1904) pp. 169-185 (con 18 ill.); G. Villani, Scrittori e artisti pugliesi, Trani 1904, pp. 257-259;A. Del Mastro, C., Trani 1928;S. Vigezzi, La scultura ital. dell'Ottocento, Milano 1932, pp. 57 s., 98, 129, 132 e tavv. 98, 119; F. Sapori. Scultura ital. moderna, Roma 1949, ad Indicem;A. Schettini-G. Scuderi, Aspetti dell'Ottocento pittorico ital., Putignano 1972, p. 36(Dopo il ballo, bronzo, con ill.); Musei e gallerie di Milano, Museo... alla Scala, I, Milano 1976, p. 114 e tav. 221(Caruso: bronzo).