GUALTIERI (Gualterio), Filippo Antonio
Nacque a Fermo, nelle Marche, il 24 marzo 1660, figlio di Gualtiero, marchese di Crognolo, membro del patriziato di Orvieto, e di Anna Maria Cioli, appartenente a una famiglia patrizia di Todi.
Era pronipote del cardinale Carlo Gualtieri, arcivescovo di Fermo, e nipote di Giannotto Gualtieri, che nel 1668 successe allo zio Carlo alla guida dell'archidiocesi di Fermo. Il G. fu battezzato a Fermo il 28 marzo 1660, nella cappella del palazzo arcivescovile, ed ebbe come padrino il prozio cardinale.
Sotto la tutela di questo, il G. compì gli studi nel collegio Clementino di Roma. Il 22 ag. 1679 a Fermo si addottorò in utroque iure, in filosofia e in teologia.
Iniziò la carriera ecclesiastica nel 1684 come referendario della Segnatura di grazia. Il 17 febbr. 1685 fu nominato governatore di San Severino, il 20 febbr. 1686 di Fabriano e nel 1688 di Jesi, dopo essere entrato, nel 1687, nel Collegio dei referendari delle due Segnature. Nel 1689 fu nominato governatore di Camerino: prese possesso dell'incarico il 16 settembre per ordine del S. Collegio, in tempo di sede vacante in seguito alla morte di Innocenzo XI. Nell'ottobre del 1692 fu nominato governatore di Loreto, alle dipendenze del cardinale Paluzzo Altieri, protettore della S. Casa: partì da Camerino per la nuova destinazione il 3 nov. 1692. Dal 27 giugno 1695 fu governatore di Viterbo. L'8 marzo 1696 divenne vicelegato di Avignone e in quell'occasione ricevette gli ordini sacri. Arrivò a destinazione il 15 giugno 1696. Durante gli anni del suo mandato ebbe stretti rapporti con François de Mailly, arcivescovo di Arles e si preparò la strada per essere nominato nunzio in Francia. Nella sua corrispondenza con Roma inviò notizie dettagliate sulle guerre tra Francia e Spagna in Catalogna e sui movimenti di truppe in Piemonte.
Il 30 marzo 1700 fu nominato arcivescovo di Atene in partibusinfidelium e il 3 aprile fu inviato nunzio in Francia. Il 16 maggio, nella chiesa dei Gesuiti di Avignone, fu consacrato vescovo da F. de Mailly. Non essendo ancora arrivato il successore, Antonio Francesco Sanvitali, lasciò il governo della Legazione all'uditore, l'abate G.B. Cicci. Partito da Avignone il 26 luglio 1700, giunse a Parigi il 7 agosto. Il 9 agosto ebbe la prima udienza ufficiale dal re e il 19 agosto si presentò al re Giacomo II d'Inghilterra, esule in Francia.
In seguito mantenne contatti con il sovrano inglese e i suoi sostenitori fino alla morte di lui, avvenuta il 16 sett. 1701, e ne assistette i figli, che più tardi si sarebbero trasferiti a Roma sotto la protezione dei pontefici.
Il G. fu informato degli affari correnti dall'internunzio Carlo Francesco Conti, designato come incaricato d'affari dal nunzio Giovanni Delfino al momento di partire da Parigi.
Al suo arrivo era in corso un'assemblea del clero, che richiese l'intervento mediatore del Gualtieri. Sedicenti discepoli di s. Agostino di tendenze gianseniste avevano pubblicato un opuscolo che esortava i membri dell'assemblea a reprimere la morale casuista, ritenuta rilassata. I gesuiti avevano replicato con una Théologie morale de saint Augustin, approvata dal vicario generale di Reims. Evitando di urtare le tendenze gallicane dell'assemblea, il G., per mezzo del cardinale Louis-Antoine de Noailles, arcivescovo di Parigi, eletto all'unanimità presidente dell'assemblea, ottenne che non si approvasse alcunché di contrario alla giurisdizione pontificia, in particolare alle decisioni in materia di morale già espresse da Alessandro VII e da Innocenzo XI.
Il 1° nov. 1700 Carlo II di Spagna morì senza lasciare discendenza dopo aver scelto come successore Filippo di Borbone duca di Anjou, secondo figlio del delfino di Francia Luigi di Borbone. Luigi XIV accettò il testamento e il 16 novembre Filippo fu presentato come re di Spagna. L'imperatore era contrario all'ascesa di un Borbone sul trono di Spagna e minacciava la guerra. Il G., condividendo il clima che si respirava a Parigi, confidava nella forza di Francia e Spagna unite e nella linea di difesa del Reno. Solo le colonie americane potevano essere in pericolo, ma le potenze marittime dovevano temere i corsari francesi. Il 28 dic. 1700 Clemente XI mandò a Luigi XIV un breve in favore della pace minacciata e della salvaguardia dello Stato della Chiesa. Al nunzio che glielo consegnava il re di Francia assicurò che avrebbe fatto il possibile per mantenere la pace d'Italia e che avrebbe soccorso lo Stato pontificio; chiedeva però che il papa si unisse ai principi italiani per poter resistere alle forze tedesche in caso di minaccia. Nel febbraio del 1701 le truppe francesi entrarono nelle piazze dei Paesi Bassi occupate dagli Olandesi. Ciò ebbe come conseguenza il riconoscimento di Filippo V da parte degli Olandesi, avvenuto il 17 apr. 1701.
Il 21 nov. 1701 il G. fu nominato vescovo di Imola, mantenendo il titolo di arcivescovo di Atene. La mensa episcopale, che aveva una rendita di 4000 scudi annui, gli fu assegnata affinché potesse sostenere le ingenti spese della nunziatura, data la modestia del suo patrimonio familiare. Impiegò cospicue somme per erigere un Monte frumentario a sollievo dei poveri e ampliò la parte superiore del palazzo episcopale.
Verso la fine del 1702, con la pubblicazione dell'opuscolo Cas de conscience proposé par un confesseur de province touchant un ecclésiastique…, ripresero le polemiche gianseniste. L'opuscolo accettava la condanna delle cinque proposizioni, ma rifiutava di attribuirle a Giansenio; sosteneva inoltre posizioni rigoriste in ambito morale e metteva in guardia contro alcune forme di devozione, soprattutto alla Vergine. L'esposizione dottrinale era seguita dal parere di quaranta dottori della Sorbona e portava la data del 20 luglio 1701. L'iniziativa fu riprovata da L.A. de Noailles. A Roma il S. Ufficio, riunito l'8 febbr. 1703 alla presenza di Clemente XI, decise di condannare l'opuscolo con il breve apostolico Cum nuper. Il G., nel consegnare il documento pontificio all'arcivescovo di Parigi, lo invitò all'esemplare punizione dei responsabili. Lo stesso fece l'11 marzo 1703, in occasione della sua visita al re, quando propose di privarli della cattedra. Luigi XIV, deciso a procedere ulteriormente contro un possibile risorgere delle controversie sul giansenismo, chiese al Parlamento di Parigi di registrare il breve Cum nuper. Nella seduta del 9 maggio 1703 il Parlamento trattò il breve con rispetto, ma non lo registrò, in quanto la prassi prevedeva solo la registrazione delle bolle; nei mesi seguenti i Parlamenti delle province procedettero più o meno allo stesso modo. Quando Roma richiese al G. che nelle loro ritrattazioni i firmatari del Cas de conscience facessero menzione del documento pontificio, egli, considerando la situazione locale, suggerì di ritenere concluso l'affare senza chiedere la pubblicazione del breve. Nel maggio del 1703, quando Pasquier Quesnel fu arrestato a Bruxelles, apparve l'ampiezza insospettata del partito giansenista. Nel mese di agosto Luigi XIV sollecitò al papa una nuova costituzione che confermasse i provvedimenti di Innocenzo X e di Alessandro VII, da pubblicarsi in occasione della grande assemblea del clero prevista per il 1705. Ad aprile del 1705 furono recapitati a Parigi i documenti preparatori, affinché il documento pontificio fosse redatto in modo conforme alle leggi e alle tradizioni di Francia, allo scopo di facilitarne la registrazione. La bolla Vineam Domini fu letta il 16 luglio 1705 e inviata a Parigi, dove era in corso l'assemblea del clero. Il 28 luglio il G. la presentò a Luigi XIV, accompagnata da un breve con il quale Clemente XI pregava il re di mettersi al servizio dell'ortodossia. Il sovrano si dichiarò soddisfatto ed espresse la sua volontà di far rispettare la bolla e di estirpare il giansenismo; lo stesso manifestarono il presidente del Parlamento e i vescovi, con a capo l'arcivescovo di Parigi. La bolla fu registrata dal Parlamento il 4 settembre.
Quando, all'inizio di ottobre, arrivarono a Roma gli atti dell'assemblea del clero, in Curia si cominciò a comprendere pienamente i sentimenti dei protagonisti dell'assise. Il G. inviò il testo delle lettere patenti emesse per la registrazione della bolla Vineam Domini, nelle quali Roma vide la ripresa degli articoli del 1682, che limitavano l'autorità della S. Sede in Francia. A fine ottobre il segretario di Stato Fabrizio Paolucci notificò al G. che il papa non voleva lasciar correre e che a suo tempo gli sarebbero state comunicate le opportune decisioni.
Dopo aver ricevuto il dispaccio, il G. si recò dal cardinale César d'Estrées, il quale riconobbe che le espressioni usate dal clero, pur rientrando nello stile francese, avrebbero potuto essere evitate. Il G. gli fece notare che nella bolla erano state omesse tutte le espressioni non gradite ai Francesi, poiché gli era stato promesso un atteggiamento di reciprocità; ma la promessa non era stata mantenuta. Il G. si dichiarava disposto a esporre le stesse argomentazioni ai dignitari secolari ed ecclesiastici, ma non riteneva opportuno presentare una dichiarazione scritta, temendo la reazione dei Parlamenti. Nel frattempo, il G. approfittava di tutte le occasioni possibili per manifestare il malcontento della Curia romana. A metà febbraio del 1706 il cardinale de Noailles gli inviò una lettera di risposta a un breve ricevuto da Clemente XI, nella quale manifestava al papa la devozione del clero francese. Il G. suggerì di interpretarla come una parziale riparazione per le espressioni usate dall'assemblea. Da Roma gli fu ordinato di non intavolare alcuna trattativa che potesse limitare la libertà di azione del papa, perché il pontefice voleva avere campo libero per difendere l'autorità della S. Sede quando e come avrebbe ritenuto opportuno, mentre il suo suggerimento di accettare l'ultima lettera del de Noailles come riparazione degli atti dell'assemblea del clero fu riprovato.
Il 17 maggio 1706 il G. fu creato cardinale e, con breve del 26 maggio 1706, il papa gli mandò la berretta cardinalizia, impostagli il 4 agosto, secondo l'uso, da Luigi XIV. Al momento della partenza, il neo cardinale salutò i bastardi del re con lo stesso cerimoniale usato per i principi di sangue, dando luogo a un caso diplomatico che fu interpretato da alcuni come una inopportuna iniziativa personale, mentre altri vi intravidero la tacita approvazione del pontefice, dato che non furono presi particolari provvedimenti. Il G. partì da Parigi il 31 agosto, lasciando all'uditore Rainiero Simonetti un'istruzione per il successore Agostino Cusani e il compito di occuparsi degli affari correnti. Dopo aver toccato Lione, Avignone e Marsiglia, approdò a Livorno il 21 novembre. Immediatamente, senza passare da Roma, partì per la Romagna, di cui era stato nominato legato il 25 giugno 1706. Il 7 dicembre visitò per la prima volta la città episcopale di Imola. Arrivò a Ravenna, sede della Legazione, l'11 dic. 1706 e prese possesso dell'incarico il 14 dicembre.
Il suo triennio di governo fu fortemente condizionato dal conflitto tra il papa e l'imperatore, nell'ambito della guerra di successione spagnola. Dopo aver obbligato le truppe francesi ad abbandonare l'Italia settentrionale, l'esercito imperiale, comandato dal principe Eugenio di Savoia, nel dicembre del 1706 occupò le Legazioni di Ferrara e di Bologna, esigendo contributi dalle popolazioni. Da qui un contingente, al comando del generale W.P.L. Daun, attraversò lo Stato pontificio, diretto alla conquista di Napoli. A metà gennaio del 1707 il G. chiese istruzioni a Roma. La situazione dell'esercito pontificio non consentiva un'opposizione efficace e alla fine di giugno del 1707 il G. si trasferì a Imola, da dove si riprometteva di governare più efficacemente la Legazione e la diocesi.
Nel marzo 1708 il G. si recò a Roma per ricevere il cappello cardinalizio. Fece il solenne ingresso da porta del Popolo il giorno 19. Nel concistoro pubblico del 22 marzo il papa gli conferì il cappello e il 30 aprile gli assegnò il titolo di S. Crisogono, che avrebbe mutato, il 29 genn. 1725, con quello di S. Cecilia e, il 31 luglio 1726, di S. Prassede.
Nell'ottobre del 1708 riprese la guerra tra il papa e l'imperatore. A novembre le truppe imperiali attraversarono il territorio di Bologna e occuparono Forlì e Faenza, dove il comandante Daun stabilì il quartier generale. Ludovico Ferdinando Marsili, generale delle truppe pontificie, evitando ogni combattimento si ritirò dapprima a Pesaro e poi si trincerò ad Ancona. Dopo aver consultato il cardinale F. Paolucci, che gli consigliò di ritirarsi a Orvieto o a Todi o, in caso estremo, a Roma, il G., per evitare di cadere nelle mani dei Tedeschi, si spostò dapprima a Fano, poi ad Ancona, a Loreto e infine a Orvieto, dove rimase i primi mesi del 1709. La sua situazione finanziaria era precaria, avendo perduto le entrate dell'abbazia della Ss. Trinità di Capo di Lago, in diocesi di Milano, le rendite del vescovato di Imola e quelle della Legazione. Conclusa la pace, il 15 genn. 1709, tra il papa e l'imperatore e ritiratesi le truppe tedesche dai territori dello Stato della Chiesa, a metà aprile il G. ritornò nella sua Legazione. A metà settembre da Roma gli fu comunicata la nomina del successore, il cardinale Tommaso Ruffo.
Il 14 ott. 1709 il G. fu nominato vescovo di Todi. Il papa gli concesse una pensione di 1400 scudi sulle Chiese di Fermo e di Ancona. Alla fine di novembre si trovava a Todi, dopo aver lasciato la guida della Legazione al vicelegato Gaetano Stampa; comprò il palazzo Landi come sede per il seminario e vi aggiunse un'ala di fabbrica. Costruì per sé una villa nelle vicinanze della città, chiamata il Broglino. Rinunciò alla diocesi il 5 dic. 1714 in favore del fratello Ludovico Anselmo, vescovo di Veroli, che egli aveva consacrato a Orvieto il 3 giugno 1708, e si riservò una pensione di 800 scudi.
Stabilitosi a Roma, partecipò attivamente all'attività amministrativa: dal 2 marzo 1712 al 30 genn. 1713 fu camerlengo del S. Collegio; nel 1714 era membro delle congregazioni di Avignone, del Concilio, dei Vescovi e regolari, dell'Indice, di Propaganda Fide, della Casa di Loreto.
Nel gennaio del 1710 il G. prese in affitto il palazzo d'Aste, situato presso la chiesa di S. Eustachio, e vi fece innalzare lo stemma del re Cristianissimo accanto a quello del papa. Clemente XI si mostrò irritato perché il G., da lui creato cardinale e ben provvisto di rendite ecclesiastiche, aveva troppo apertamente preso partito in favore della Francia. Come riconoscimento di ciò, nel luglio del 1710 Luigi XIV gli conferì l'abbazia di St-Rémy di Reims, di cui prese possesso il 24 sett. 1710 per mezzo di un procuratore. Nel 1713 effettuò un viaggio in Francia per ossequiare il re. A Parigi, in luglio e agosto, incontrò Francesco II Rákóczy, principe di Transilvania e capo della Confederazione ungherese, recatosi nella capitale francese per chiedere aiuti contro gli Asburgo. A quell'incontro fece seguito una corrispondenza su problemi politici e morali. Nel corso del viaggio di ritorno in Italia, il G. andò in Lorena a salutare Giacomo III Stuart, pretendente al trono d'Inghilterra, e trascorse alcuni giorni nell'abbazia di St-Rémy di Reims. Nel marzo del 1716 gli fu conferita l'abbazia di St-Victor di Parigi, una delle più ricche di Francia.
A partire dal 1720 il G. appoggiò la nomina cardinalizia di Guillaume Dubois, arcivescovo di Cambrai, protagonista della politica francese negli anni della reggenza e recentemente nominato ministro degli Esteri.
Attraverso Pierre-François Lafitau, vescovo di Sisteron, ambasciatore francese a Roma, che agiva in accordo con il G., Dubois entrò in trattative con il cavaliere di S. Giorgio, come veniva chiamato Giacomo III, pretendente al trono d'Inghilterra, riconosciuto da Roma come legittimo sovrano con diritto di proporre candidati al cappello cardinalizio. Questi avrebbe presentato Dubois, il quale, in cambio, prometteva di finanziarlo occultamente attraverso Lafitau, lasciandone però l'onore pubblico al papa. Il pontefice promise di elevare il ministro al cardinalato, a condizione che le corti di Vienna e di Madrid non esigessero una contropartita.
Nel novembre del 1721 Lafitau fu richiamato in Francia per occuparsi della sua diocesi e si prospettò la nomina del G. come ambasciatore di Francia a Roma. Tuttavia non si ritenne opportuno conferirgli ufficialmente l'incarico per non urtare il governo inglese: il 6 luglio 1717 era stato nominato protettore d'Inghilterra e coltivava strette relazioni con Giacomo III e i suoi partigiani. Per aggirare gli ostacoli, Dubois valutò la possibilità di affidargli l'archidiocesi di Narbona, il cui titolare era affetto da una grave malattia, oppure quella, vacante, di Rouen, che però aveva l'inconveniente di essere troppo vicina alle coste inglesi. Si ricorse quindi alla soluzione di nominare ambasciatore a Roma l'abate Pierre Guérin de Tencin, apprezzato e controllato dal G., con cui Dubois intratteneva una corrispondenza permanente. Come riconoscimento dei servizi prestati, il 20 maggio 1724 il G. fu creato commendatore dell'Ordine dello Spirito Santo e nominato membro onorario della Académie des inscriptions et belles-lettres.
Il G. coltivò interessi letterari, artistici, archeologici e scientifici. Durante la sua nunziatura in Francia ebbe rapporti con gli eruditi del tempo: l'abbé Bignon, il benedettino Jean Mabillon, Foucault, Nicolas de Malebranche. Volendo scrivere una storia universale, dalle origini del mondo fino ai suoi tempi, sul modello di Francesco Bianchini, raccolse volumi e manoscritti, medaglie, strumenti matematici e opere d'arte, che spedì in Italia al momento della sua partenza. Questo suo materiale andò perduto in un naufragio. Nei primi anni della legazione di Ravenna il G. ricostruì la sua biblioteca, che fu distrutta dalle truppe imperiali: in quel frangente si pensò a una ritorsione contro la sua attività di nunzio in Francia, piuttosto che a un danno inflitto al legato pontificio. A partire dal 1710 realizzò una terza biblioteca che, al momento della sua morte, contava circa 32.000 volumi e occupava nove stanze del palazzo Manfroni in via del Corso, prospiciente il palazzo Ruspoli, nel quale il cardinale aveva stabilito la sua dimora. La raccolta comprendeva opere di diritto civile e canonico, letteratura, medicina, dizionari, erudizione antica, manoscritti, testi biblici, patrologia, teologia, storia ecclesiastica, controversie, filosofia, matematica, geografia, storia naturale e botanica. Nell'aprile del 1714 il G. promosse la costituzione di un'accademia di fisica detta "del lunedì", in quanto i membri si riunivano in tale giorno due volte al mese.
Nelle riunioni, aventi carattere di conversazioni private, venivano tenute dissertazioni riguardanti le scienze naturali e la fisica, accompagnate da esperimenti. Di proposito furono esclusi argomenti riguardanti temi di "metafisica". Nella prima riunione Francesco Bianchini illustrò le teorie di Pierre Gassendi sulla luce, Giambattista Resta quelle di Christiaan Huygens, Celestino Galiani quelle di René Descartes e di Isaac Newton e fu deciso di ripetere gli esperimenti dello scienziato inglese.
Durante gli anni romani il G. si dedicò al collezionismo d'arte e di antichità. L'interesse per gli oggetti archeologici risaliva al periodo trascorso a Viterbo come governatore, quando aveva conosciuto Feliciano Bussi, che gli procurava oggetti antichi. Raccolse vasi e urne etruschi, lucerne, bronzetti, monete e medaglioni greci e romani, gemme e intagli antichi, reperti egiziani. Tale raccolta fu sistemata in varie stanze del suo palazzo, insieme con una collezione di ceramiche e di porcellane rinascimentali, cinesi e giapponesi. Accanto alla parte artistica erano collocati i gabinetti scientifici, che comprendevano disegni, carte geografiche, strumenti matematici e ottici. La sua collezione di storia naturale era composta da reperti ossei, coralli, conchiglie, suppellettili di pietra e di legno, marmi colorati e minerali.
Si affermava allora una figura di prelato orientata verso l'erudizione e la scienza, come pure verso l'arte e l'antichità. Clemente XI, nell'intento di rafforzare la concezione universalistica del Papato, si adoperò affinché Roma divenisse il centro dell'arte e della cultura e le collezioni del G. avevano per lui lo scopo di presentare un modello ridotto dell'universo attraverso i campioni di ogni categoria di oggetti.
Il 19 febbr. 1728 il G. fu vittima di un colpo apoplettico che lo privò dell'uso della parola. Il fenomeno si ripeté il 20 aprile e lo condusse alla morte, avvenuta il 21 apr. 1728 a Roma nel palazzo Manfroni.
Le esequie furono celebrate dal papa il 23 aprile nella chiesa di S. Prassede, di cui era titolare, e dove trovò la prima sepoltura. Successivamente il corpo fu trasportato nella cattedrale di Orvieto e tumulato nella tomba del cardinale Carlo, suo prozio, nella cappella gentilizia.
Per pagare i debiti, che ammontavano a 20.000 scudi, nel testamento il G. aveva disposto la vendita della biblioteca e delle collezioni. Nel 1729 i libri furono acquistati per 10.000 scudi dal cardinale Lorenzo Corsini, il quale, divenuto papa con il nome di Clemente XII, l'anno successivo acquistò la collezione di vasi etruschi, collocata nel 1732 sopra gli armadi della biblioteca nella nuova Galleria Clementina e più tardi, passata ai Musei vaticani, costituì il primo nucleo del Museo Gregoriano. Numerosi altri oggetti divennero proprietà di collezionisti di tutta Europa, in particolare inglesi.
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