ARCHINTO, Filippo
Nacque a Milano il 3 luglio 1500 da Cristoforo e da Maddalena Torriani e si addottorò in utroque iure a Pavia circa venti anni più tardi, dopo aver frequentato anche l'università di Bologna ed essersi interessato di filosofia ed astronomia. Nel 1519 figurava tra i Dodici di provvisione di Milano e poco dopo fu iscritto al Collegio dei giuristi milanesi; dal 1526 fu per alcuni anni avvocato della Fabbrica del duomo. Nel 1527 fu incaricato dal Senato milanese di una missione presso la corte spagnola a Valladolid. Al ritorno ebbe le funzioni di uditore generale del de Leyva, governatore spagnolo della città. La fortuna dell'A. iniziò proprio con la fiducia e la stima nata negli ambienti spagnoli nei suoi confronti. Tornò così alla corte di Carlo V a Barcellona nell'aprile del 1529 e poi di nuovo, qualche mese più tardi, a Bologna come oratore milanese per la cerimonia dell'incoronazione. La sua simpatia per gli spagnoli era tanto accentuata che suscitò la diffidenza del duca Francesco Sforza, il quale lo fece bandire da Milano. Provvedimento che, però, non andò ad effetto per la mediazione del Tavema, il quale sottolineò i buoni uffici che l'A. avrebbe potuto continuare a svolgere tra il duca e gli Spagnoli. L'A. era ormai uno degli uomini di fiducia dell'imperatore in Italia e nel 1535, recatosi alla corte imperiale a Napoli con una delegazione núlanese, ricevette da Carlo V l'onorifico e importante incarico di una missione presso Paolo III a proposito della controversia relativa alla successione nel Monferrato, di cui si era già interessato nel 1533.
A Roma invece l'esperto diplomatico milanese, forse sollecitandola egli stesso, ebbe dal papa l'offerta di passare ai suoi servizi. Erano gli anni più felici del pontificato del Farnese, in cui si può dire che questi raccogliesse intorno a sé uomini abili e preparati da ogni parte d'Italia. L'A. nel 1535 accompagnò il papa al convegno di Nizza e l'anno successivo entrò formalmente nella curia romana, acquistando un ufficio di scrittore delle lettere apostoliche. Il 23 nov. 1536 ricevette dal papa la tonsura, che lo costituiva giuridicamente nello stato clericale, anche se senza alcun impegno spirituale. Contemporaneamente era nominato protonotario apostolico partecipante e governatore della città di Roma. Secondo il Giussano, già l'anno successivo ebbe l'offerta di acquistare l'ufficio molto più importante di uditore generale della Camera apostolica, ma rifiutò per protesta contro il sistema della vendita degli uffici curiali. In mancanza di testimonianze dirette, si è incerti se attribuire questa rinuncia a una rinnovata sensibilità religiosa o a motivi di interesse e di convenienza, che oggi sfuggono. Dalla fine del 1539 ebbe, sino al termine del pontificato di Giulio III, l'ufficio di referendario delle due Segnature, attribuitogli in base alla sua competenza giuridica. L'intimità dell'A. con Paolo III era sicuramente accresciuta, come testimonia H fatto che fu,appunto l'A. a pronunciare il discorso ufficiale al matrimonio di Ottavio Farnese, nipote del papa, nel novembre del 1538.
Finalmente il 19 marzo 1539 fu eletto vescovo di Borgo S. Sepolcro e, quasi contemporaneamente, vicario della S. Sede per il Plebanato sistino; cessò nello stesso tempo dal governatorato di Roma. Ciò significava formalmente il passaggio dalla carriera civile a quella ecclesiastica, cui doveva certo corrispondere una qualche modificazione nel suo atteggiamento interiore; il che però non gli impedì di accettare una serie di benefici minori, che trattenne sin quando non gli fu possibile passarli, mediante la resignazione, ad alcuni nipoti. Certamente l'A. continuò a svolgere le sue funzioni presso la curia romana, disinteressandosi della piccola diocesi toscana. Infatti nel 1540 ebbe il comando delle truppe pontificie inviate a reintegrare a Camermio Ottavio Farnese, finché nel 1542 (3 novembre) successe al cardinal Guidiccioni nell'ufficio di vicario del papa per la diocesi di Roma.
Il 19 ott. 1546 ottenne, rimanendo vicario di Roma, il passaggio alla diocesi di Saluzzo, che aveva un'importanza e, soprattutto, un reddito ben maggiore di S. Sepolcro. Nel frattempo aveva cumulato anche parecchi benefici, come quello di deputato alla Fabbrica di S. Pietro e di protettore della Sapienza di Roma, ottenuti nel 1539. Poco dopo ebbe anche la commenda di Vertemate, in diocesi di Como, dell'abbazia di S. Bartolomeo, in quella di Pavia, e di un priorato a Bologna. Secondo il Biaudet nel 1545avrebbe svolto anche le funzioni di nunzio in Polonia, ma tale affermazione non risulta confermata da nessuna fonte. Oltre al vantaggio economico derivante dal fatto che i redditi di Saluzzo erano almeno cinque volte quelli di S. Sepolcro, nel 1547 ottenne anche una pensione di 200 ducati l'anno.
A Roma, l'A. proseguì la linea di governodel suo predecessore Guidiccioni, uomo di grande statura morale, ma legato a schemi conservatori, pur dimostrando maggiore apertura e maggior dinamismo. Con lui l'ufficio del "vicarius urbis" cessò di essere una mansione curiale per divenire un incarico pastorale; altro però sarebbe dire che l'A. abbia dato prova di un reale anelito per una riforma generale e profonda della vita ecclesiastica. Egli si mosse quasi esclusivamente verso la restaurazione di un certo ordine nella vita del clero e soprattutto nel conferimento degli ordini sacri. Cercò di ottenere la collaborazione dei primi gesuiti per poter affidare loro l'esame degli ordinandi oltre che una prima forma di preparazione religiosa per il clero. Fu questo il settore più importante di tutta l'opera dell'A. e gli va riconosciuto il merito di aver intuito la grande importanza della nuova Compagnia di Gesù, che aiutò e potenziò energicamente.
Personalmente si preoccupò di formulare un breve sommario delle verità di fede, Christianum de Fide et Sacramentis edictum, che pubblicò, all'inizio del 1545, presso l'editore Blado di Roma.
Il testo, in latino, fa pensare che fosse rivolto piuttosto al clero che non ai semplici fedeli Dedicata a Paolo III, l'operetta tratta di alcum punti dogmatici nella prima parte e nella seconda dei sacramenti, dei voti monastici e del culto delle immagini. L'influsso della preoccupazione polemica verso i protestanti è molto evidente, anche se sorprende il silenzio relativo alla Chiesa e al primato del papa. Ebbe comunque buona accoglàenza, tanto da avere nel 1545 una ristampa a Cracovia, nel 1546 un'edizione a Ingolstadt, curata e postillata dal grande teologo cattolico tedesco Cochlaeus, e una nuova ristampa a Torino nel 1549; comparve un'ultima volta a Roma nel 1578.Si è voluto vedere nel Christianum de Fide et Sacramentis edictum una adesione alla teoria della doppia giustificazione, ma non sembra che vi sia alcun fondamento serio per, concludere in tal senso. La distinzione tra iustificatio prima e iustificatio secunda era classica nella dottrina cattolica e fu accolta integralmente dal concilio tridentino. L'A. pubblicò anche nel 1544 una De nova christiani orbis Pace oratio presso lo stesso editore Blado. Nell'ultima pagina dell'edizione è spiegato che si tratta di un discorso tenuto a S. Maria sopra Minerva nell'ottobre 1544 dopo la messa solenne. Il Tacchi-Venturi ha pubblicato anche un, lettera dell'A. con la quale questi inviava al cardinale Famese una lettera da lui intercettata ed inviata nel dicembre del 1545da un gruppo di luterani romani a Lutero. A molti manoscritti dell'A. fa generico riferimento il Mazzuchelli, affermando che essi erano conservati nella biblioteca Archinto; il Forte sostiene di non aver ritrovato più nulla.
Non si conosce la data della sua ordinazione sacerdotale né quella della consacrazione episcopale: ricevette però quest'ultima certamente prima della fine del 1545, dato che nel novembre dello stesso anno consacrò vescovo il nuovo tesoriere pontificio B. Elvino. A Roma l'A. era troppo impegnato nel delicato ufficio di vicario del papa per intervenire al concilio che si aprì a Trento nel dicembre del 1545. Solo quando tra i legati papali, che presiedevano l'assemblea, e parimenti a Roma prevalse l'orientamento favorevole ad un trasferimento del concilio in una città più comoda e più sicura, in una parola più vicina a Roma, allora si progettò concretamente anche l'invio del fedelissimo Archinto. Pubblicamente si prese il pretesto della necessità che ai dibattiti sulle principali questioni relative alla riforma intervenissero anche i maggiori esponenti della curia romana, di fatto si voleva dare un appoggio valido e sicuro al gruppo curialista dei prelati tridentini. Così il 22 nov. 1546 l'A. giunse a Trento in compagnia dell'uditore generale della Camera apostolica, G. B. Cicada, e di due altri vescovi, inviati tutti e quattro per "opporsi agli spiìriti maligni". Col Cicada, l'A. intervenne subito con particolare vivacità in tutte le discussioni conciliari, divenendo tra i più assidui e ascoltati consiglieri dei legati.
Egli si dimostrò fondamentalmente contrario al concilio, convinto che "a la età nostra, ogni concilio serà mal, dove non è special timor del vero capo". Prima dei trasferimento del concilio e della successiva sospensione, l'A. fece in tempo a partecipare ad alcune discussioni su argomenti di grande importanza. A proposito dell'origine del dovere della residenza nel diritto divino prese una posizione fieramente polemica, negando addirittura, in nome dell'autorità papale, che si potesse mai parlare di impedimenti alla residenza derivanti ai vescovi dal papa. Per la sua esperienza e preparazione nel diritto canonico fu chiamato a far parte di parecchie conunissioni conciliari. Dopo il trasferimento a Bologna, continuò a partecipare ai lavori, salvo una breve parentesi estiva trascorsa forse a Saluzzo. Rientrò finalmente a Roma all'inizìo del marzo 1548;durante tutta la sua assenza aveva intrattenuto una corrispondenza epistoIare molto intensa ed interessante con il cardinal-nepote Farnese.
La partecipazione al concilio rinsaldò la sua posizione di esponente qualificato della curia romana. Al concilio si acquistò anche la fiducia del cardinal Del Monte, il quale, all'inizio del proprio pontificato, lo confermò vicario per Roma. Da Giulio III ebbe anche l'incarico di vice-camerario, sinché il 26 giugno 1554 cessò dagli uffici romani, inviato a Venezia come nunzio. Per questo periodo non si hanno notizie di un suo interessamento per le diocesi di cui era titolare. Probabilmente non mise mai piede a San Sepolcro e riservò a Saluzzo visite molto fugaci, in una delle quali avrebbe celebrato un sinodo. La visita pastorale del 1548, di cui è rimasta traccia, fu più verosimilmente opera di un vicario.
A Venezia rimase solo due anni, perché il 16 dic. 1556, su proposta di Filippo II, fu eletto da Paolo IV arcivescovo di Milano. Da questo momento ebbe inizio una dura ed aspra lotta condotta contro di lui da ambienti della curia milanese, probabìlmente allarmati dalla fama di riformatore che precedeva l'A. e spinti anche da vecchi rancori cittadini. La controversia relativa alla presa di possesso della diocesi cadde nel mezzo del grave dissidio tra papa Carafa e la Spagna e non poté essere sciolta prima della morte del vescovo eletto, il quale aveva trascorso i suoi due ultimi anni a Bergamo, dove esercitò le funzioni vescovili nella sua qualità di arcivescovo metropolitmo, dato che il vescovo Soranzo, sotto processo per eresia, si era rifugiato a Venezia. A Milano entrarono solo le spoglie mortali dell'A. ad opera del suo successore, Carlo Borromeo: egli era morto a Bergamo il 21giugno 1558.
In sostanza, una figura di riformatore zelante nell'esecuzione dei compiti affidatìgli più che di pastore mosso dalla fedeltà interiore alle anime della sua Chiesa e dal bisogno di giovare alla riforma della cristianità. Gli fu estranea ogni problematica interiore come ogni rapporto di solidarietà con gli ambienti della riforma cattolica, se si eccettua la simpatia per i gesuiti. Fu infatti l'A. uno dei tramiti mediante il quale Ignazio da Loyola ottenne da Paolo III le prime concessioni a favore della Compagnia come sottolineò egli stesso scrivendo nel 1542: "Por su mano tenemos la nuestra iglesia y otras cosas adherentes a ella contra toda razón humana, venciendo la divina". Dato questo debito di riconoscenza, nel 1547 il fondatore della Compagnia non poté rifiutarsi quando l'A. gli chiese di assumersi con i suoi compagni l'onere dell'esame ai candidati agli ordini sacri per Roma. Anche per questo aspetto della personalità e dell'opera dell'A. va però tenuto presente che si trattò piuttosto di un rapporto istituzionale che di un contatto spirituale determinato da una effettiva consonanza interiore.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. stor. civico, Fondo Famiglie, n. 59; B. Katterbach, Referendarii utriusque signaturae a Martino V ad Clementem IX..., Città del Vaticano 1931, pp. 901 102, 110; Arch. Segreto Vaticano, Schedario Garampi, XXXVIII 143v; LXI 93;P.Tacchi-Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, I, 2, Roma 1950, p. 137; F. Ughelli-N. Coleti, Italia Sacra, I, Venetiis 1717, col. 1229; III, ibid. 1718, coll. 199 ss.; IV, ibid. 1719, coll. 275; G. van Gulìk-C. Eubel, Hierarchia Catholica..., 3 ediz., III, Patavii 1960, pp. 143,240, 290; H. Biaudet, Les nontiatures apostoliques permanentes iusqu'en 1648, Helsinki 1910, p. 96; Concilium Tridentinum, Friburgi, i.b. 1901-46, I, II, IV, V, VI, VII, X, XI, passim, v.indice sub voce. I dispacci dalla nunziatura veneta sono in Arch. Segreto Vaticano, Lettere di Principi 15 e 22 e Fondo Barberini lat., V, 714; Milano, Bibl. Ambrosiana, Ins. C 324 inf (1). Per la controversia relativa alla diocesi milanese: Bruxelles, Bibliothèque royale de Belgique, ms. II, 617,ff. 175-176. Per i rapporti con i gesuiti si vedano i Monumenta Historica Societatis Iesu. Per gli anni 1538-1554, dove sono pubblicate anche alcune lettere dell'Archinto; G. Giussano, Vita dell'ill. et rev. mons. F. A. arcivescovo di Milano..., Como 1611; G. G. Vagliano, Sommario delle vite ed azioni degli arcivescovi di Milano, Milano 1715. pp. 330-339; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, pp. 73 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753. p. 956; G.A. Sassi, Archiepiscoporum Mediolanensium series historico-chronologica, III, Mediolani 1755, pp. 1009-1016; P. Litta, Fam. celebri italiane, Archinto, tav. II; Annali della Fabbrica del Duomo, III, Milano 1880, pp. 234, 258; F. Forte, Archintea laus, Milano 1932, pp . 68-83; G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento (1545-1547), Firenze 1959, passim, G. Marcora, La Chiesa milanese nel decennio 1550-1560, in Mém. stor. della diocesi di Milano, VII(1960), pp. 305-331; cfr. anche le voci dei Dict. de Théol. cath., I, col. 1769; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, coll.1550-1553; Encicl. Cattolica, I, col. 1814; Lexikon für Theologie und Kirche, I, col. 825.
Per singoli aspetti dell'attività dell'A.. A. Salomoni, Memorie stor-diplom. degli ambasciatori, incaricati d'affari..., che la città di Milano inviò a diversi suoi principi dal 1500 al 1796, Milano 1806, pp . 50.60, 66 s., 76-82; H. Hurter, Nomenclator literarius theologiae catholicae, IV, Oeniponte 1913, pp. 1178 s.; G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien um die Mitte des XVI. Jahrh., Paderbom 1910, p. 292 n. 1; F. Savio, Saluzzo e i suoi vescovi (1475-1601), Saluzzo 1911, pp. 206-225; F. Lauchert, Die italienischen literarischen Gegner Luthers, Freiburg 1912, pp. 466-474; L. v. Pastor, Storia dei Papi, V, Roma 1924, passim; VI, ibid. 1927, p. 624; L. Dorez, La cour du pape Paul III..., Paris 1932, p. 98; F. Chabod, Per la storia religiosa dello stato di Milano durante il dominio di Carlo V, in Annuario d. R. Ist. stor. ital. per l'età moderna e contemp., II-III(1936-37), pp. 6 s., 32; G. Pelliccia, La preparazione. ed ammissione dei chierici ai santi ordini nella Roma del sec. XVI, Roma 1946, passim; H. Jedin, G. Seripando, I, Würzburg 1937, p. 430; Id., Geschichte des Konzils von Trient, II, Freiburg 1957, v. indice sotto Saluzzo; P. Tacchi-Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, cit., I, 1, pp . 10, 46; I, 2, pp. 22, 269, 297; II, 2, pp. 21-23, 75, 90, 154 n. 4; I. Rogger, Le nazioni al Concilio di Trento, Roma 1952, sub voce Saluzzo; E. Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche milanesi, in Storia di Milano, IX,Milano 1961, pp. 519, 532.