ARENA, Filippo
Nato a Piazza Armerina (Sicilia) il 10 maggio 1708, entrò nella Compagnia di Gesù il 14 nov. 1723; insegnò umanità, filosofia e matematica in diversi collegi della Compagnia, a Viterbo, Malta e Palermo, e in quest'ultima città soggiornò per molti anni; dopo la soppressione della Compagnia (1773) si trasferì a Roma, dove morì nel 1789. Pubblicò vari scritti di fisica, matematica e astronomia e un'opera di botanica, La Natura, e Coltura de' Fiori..., a cui è soprattutto raccomandato il suo nome.
Fin dalle prime righe dell'" Introduzione l'A. mette in rilievo quello che ritiene il carattere principale della sua opera, cioè che la materia "qui trattasi fisicamente, con assegnar di ciascuna cosa la ragion fisica, e d'ogni effetto la natural sua cagione, il tutto sempre fondando sul sodo piede dell'osservazione ed esperienza", e in questo concetto egli insiste ripetutamente nel corso defl'opera. Cita spesso diligentemente tutti gli autori che hanno scritto sulla materia di cui egli tratta, mostrando un'erudizione veramente notevole, massime se si considera il tempo e il luogo (la Sicilia) ove egli scriveva. A tal proposito è da notare che cita solo per intesa C. Linneo, di cui non ha potuto vedere il lavoro Sponsalia Plantarum (1749), dal quale forse avrebbe appreso, dice l'A., qualche cosa di nuovo.
Nelle parti I e II dei primo volume l'A. si occupa della sessualità delle piante fanerogame e della necessità dell'impollinazione: al suo tempo l'esistenza della sessualità nei vegetali era ancora molto contrastata, benché R. J. Camerarius l'avesse dimostrata già nel 1694. Il suo scritto è diretto in particolare contro G. Pontedera, professore di botanica a Padova, il quale (1720) aveva fatto diligenti ricerche sulle diverse parti del fiore in molte piante, ma non voleva riconoscere agli stami e al pistillo la loro vera funzione, che è appunto quella riproduttiva. A sostegno della sua tesi, che per ottenere i semi dal pistillo è necessario il polline che deve venire a contatto con gli stimmi di quello, l'A. riferisce un grande numero di osservazioni e di esperienze proprie, fatte con spirito biologico ammirevole. Egli cerca di scrutare la struttura di un granello di polline con l'aiuto di un microscopio di sua costruzione, e dalla complicazione della struttura di esso ne deduce l'importanza funzionale. Rileva inoltre e spiega la grande abbondanza di polline nelle piante a fiori unisessuali e compie esperienze ben disposte per dimostrare la necessità e l'efficacia del polline nella fecondazione. Viene quindi alla sua grande scoperta, che come tale annunzia, cioè che gli agenti dei trasporto dei polline da un fiore ad un altro sono gl'insetti: essi sono " il vero, proprio ed universal mezzo " d'impollinazione; lungamente s'intrattiene a dimostrare la sua scoperta; rileva come i granelli del polline siano attaccaticci e il corpo degl'insetti sia peloso, per modo che i granelli vi restano facilmente aderenti e che anche gli stimmi sono vischiosi e pelosi, che gl'insetti visitando attivamente i fiori in cerca di cibo (nettare e polline) devono urtare nelle antere e negli stimmi. Intravvede che taluni insetti sono deputati in modo 'specifico all'impollinazione di determinate specie vegetali. Assai diffusamente si occupa dell'impollinazione della palma da datteri, del fico, del pistacchio, ecc., e per il fico spiega molto chiaramente la pratica della caprificazione con osservazioni molto accurate. Eccede però nell'applicazione della sua scoperta, perché considera anche le formiche e i ragni quali agenti impollinatori e ritiene entomofile varie piante che sono invece anemofile.
Nella terza parte del primo volume si sforza di penetrare il processo intimo della fecondazione, espone le due teorie allora in discussione, se cioè l'embrione della nuova pianta si trovi nel granello pollinico o nell'ovulo e sostiene la seconda opinione con più argomenti, fra i quali quello, basato su osservazioni proprie, che il granello pollinico non può passare per lo stilo; conclude che la virtù fecondante consiste in un " effluvio spiritoso " che emana dal polline. In fine vuol trovare la " causa effettrice " della nuova pianta nel seme o nella gemma della pianta madre, perdendosi in varie fantasticherie sue e di altri.
Dei secondo volume le parti 1, 111 e IV contengono istruzioni di giardinaggio generale e norme particolari sulla coltivazione delle principali piante da fiore; nella parte Il si occupa della produzione di fiori doppi, delle variazioni di colore, della produzione di nuove varietà di piante da fiori e da frutto, tutto dovuto secondo l'A. al trasporto del polline di una varietà ad un'altra, ossia all'ibridismo; si occupa della cosiddetta degenerazione che si nota in alcune razze di piante coltivate (broccoli, cavoli, ecc.) e che spiega, giustamente, con l'impollinazione incrociata; anche in questo campo l'A. esagera, perché crede che tutte le variazioni siano dovute all'ibridismo. Uno dei concetti più interessanti esposti qui dall'A. è che il polline di altro fiore della stessa specie abbia l'effetto di far meglio granire la semente del fiore su cui si porta e che da questa semente si abbiano piante più rigogliose: questo è il concetto che Ch. Darwin metterà splendidamente in evidenza un secolo più tardi. Avendo notato che nella prole ibrida spunta talora un colore che non si trovava in alcuno dei genitori, gli balenano in mente i concetti della latenza e della disgiunzione dei caratteri, ma non ne raggiunge la chiara concezione (che si avrà appieno con G. Mendel nella seconda metà del sec. XIX).
Particolarmente interessanti sono i capitoli riguardanti le varietà degli agrumi e fra le altre quella detta bizzarria, che del pari crede dovuta a ibridazione; ritiene che le tante varietà di uve, pere, mele, frumenti, ecc., provengano da incroci e osserva che giomalmente si producono nuove varietà di piante da fiori, perché queste si moltiplicano per seme, laddove gli alberi fruttiferi si usa moltiplicarli per innesto e conclude che bisogna eseguire incroci nei fiori di diverse razze per ottenere un numero sempre maggiore di varietà di frutta. Si rammarica di non aver potuto compiere esperienze in proposito, per mancanza assoluta di un giardino.
Le 65 tavole, che costituiscono il III volume dell'opera, furono dall'A. stesso incise in rame, e le figure, com'egli stesso dichiara, sono tolte dall'opera di J. W. Weinmann (Phytanthozaiconographia, Ratisbona 1737-45, voll. 4, in folio), poche essendo quelle originali.
Il lavoro dell'A. non esercitò alcuna influenza sullo sviluppo della biologia vegetale, perché passò inosservato; nella Sicilia stessa non ebbe molta fortuna, infatti è nominato solo da D. Scinà (Prospetto della storia letter. di Sicilia nel sec. decimottavo, Palermo 1824-27, p. 244), il quale loda solo la parte che si riferisce alla dimostrazione della sessualità delle piante e dispregia tutto il resto. Appena nel 1897 il botanico tedesco H. Solms-Laubach lo rese noto al mondo scientifico, pubblicandone una recensione, nella quale rileva le notevoli e originali ricerche dell'A.; più tardi ne parla a lungo D. Lanza. Nei vari trattati di ecologia fiorale di J. Lubbock, P. Knuth, E. Loew, O. Kirchner, ecc. (pubblicati dal 1875 al 1898), nei lavori più recenti che fanno la storia delle ricerche in questo campo e nelle opere di storia della botanica l'A. non è citato affatto. Riassumendo, si può dire che l'A., benché non botanico di professione, ma semplice amatore di piante da fiori, scrisse un'opera di grande interesse per la botanica, i cui meriti principali sono: l'aver addotto ulteriori prove della sessualità delle piante fanerogame, già esposta da R. J. Camerarius nel 1694, ma contrastata e negata da altri botanici posteriori, l'aver dimostrato con osservazioni ed esperienze proprie la necessità dell'impollinazione per la formazione del seme e per aver indicato gl'insetti quali vettori della " polvere fecondante " (polline) quasi contemporaneamente, e indipendentemente, a J. G. Kölreuter (1761) e 25 anni prima di Ch. K. Sprengel (1793), il quale ampliò e precisò le conoscenze in questo campo, per cui è considerato il padre dell'ecologia fiorale; altro merito dell'A. è quello d'avere studiato scientificamente gli ibridi vegetali e di aver messo in evidenza l'importanza dell'ibridismo, particolarmente per la produzione di nuove varietà e di avere spiegato appunto con l'ibridismo la degenerazione delle razze, che avviene quando se ne coltivino due o più insieme o vicine. Benché all'A. si possa fare l'appunto di notevole verbosità e di frequenti ripetizioni, molti capitoli della sua opera sono di avvincente lettura.
Opere: Selecta problemata ex prima Geometriae practicae parte, Palermo 1757; Physicae quaestiones praecipuae resolutae, Roma 1777; La Natura, e Coltura de' fiori fisicamente esposta in due Trattati con nuove ragioni, osservazioni e esperienze. A vantaggio de' Fioristi, de' Fisici, de' Botanici, de' Agricoltori, per il P. Filippo Arena Piazzese della Compagnia di Gesù, Professor di Mattematica nell'Imperial Collegio di Palermo, in 3 voll.: I, Palermo 1767 (di pp. VIII-440), II, ibid. 1768 (di pp. VIII-416 + 167), 111 (65 tavv. in fol. obl.), ibid. 1767. Altre copie portano come autore: Sac. Ignazio Arena da Piazza, Dottore in Sacra Teologia e canonico dell'Insigne Collegiata della sua Patria (forse un nipote di F. A.). Alcuni riferiscono che vi sia stata un'ediz. datata: Cosmopoli 1771.
Bibl.: P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, I, Milano 1952, p. 48; Ch. Sommervogel, Biblìothèque de la Compagnie de Yésus, I, Bruxelles 1890, Col. 527; P. A. Saccardo, La botanica in Italia, in Memorie del R. Ist. Veneto di scienze, lettere ed arti, XXV (1895), D. 17; XXVI (1901), pp. XI, 12 s.; H. Solms-Laubach, in Botanische Zeitung, LV, parte Il, Lipsia 1897, pp. 113-17; R. Pirotta e E. Chiovenda, Flora Romana, Roma 1900, D. 295; D. Lanza, Disegno storico dello sviluppo delle scienze biologiche in Sicilia, in Atti del II Congr. naz. di chimica pura ed AppI., III, Roma 1927, pp. 1515-21; Encicl. Ital.,V, pp. 150 s.; Encicl. Catt., I, col.1852.