Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Filippo Brunelleschi è il primo architetto del Rinascimento italiano. Le sue opere introducono un linguaggio che, improntato a una concezione razionale dello spazio, rinnova il metodo progettuale e il lessico ornamentale divenendo riferimento imprescindibile per gli sviluppi successivi. Con accezioni diverse rispetto a Leon Battista Alberti, egli contribuisce all’affermazione della centralità della figura del progettista nel processo che dall’ideazione porta alla realizzazione degli edifici.
La formazione a Firenze
Nato a Firenze nel 1377, Filippo Brunelleschi si forma come orafo e scultore; è documentato a Pistoia fra il 1399 e il 1400 e nella città natale, dove partecipa al concorso del 1401 per la porta bronzea del battistero di San Giovanni. In quell’occasione realizza la formella con Il sacrificio di Isacco (Firenze, Museo Nazionale del Bargello), contraddistinta da una nuova concezione dello spazio. La rappresentazione, scandita in profondità e arricchita da citazioni tratte dalla statuaria antica, è organizzata intorno a un fulcro centrale: la drammatica scena dell’uccisione scongiurata dell’angelo. Dopo la vittoria attribuita al rivale Lorenzo Ghiberti, Brunelleschi compie un primo viaggio a Roma con il giovane Donatello. L’obiettivo è studiare la scultura, le tecniche costruttive e l’architettura degli antichi, riferimento di primaria importanza per la sua poetica.
Mentre continua a operare come scultore – al secondo decennio del Quattrocento risale il Crocifisso ligneo attribuito nella chiesa di Santa Maria Novella – si dedica a esperimenti ottici. Egli definisce i principi della costruzione prospettica lineare, poi codificata da Leon Battista Alberti, che costituisce il fondamento dell’arte rinascimentale. Le fonti riferiscono della realizzazione di due tavolette, perdute, rappresentanti il battistero fiorentino di San Giovanni visto dal duomo e la piazza della Signoria secondo un’angolazione obliqua, che rivelava le facciate settentrionale e occidentale di palazzo Vecchio. Le affinità tra le indagini brunelleschiane e le soluzioni adottate da Masaccio nelle sue opere hanno fatto ipotizzare la collaborazione dell’architetto nella definizione delle ambientazioni prospettiche degli affreschi della cappella Brancacci nella chiesa di Santa Maria del Carmine (Storie di San Pietro, dal 1424) e di Santa Maria Novella (La Trinità, 1426-1428), a Firenze.
Fra gli interessi che ne connotano il genio versatile – stimolato dal rapporto con insigni scienziati dell’epoca come Paolo dal Pozzo Toscanelli – sono anche la statica, l’idraulica, la matematica e l’ingegneria, di cui darà prova come esperto di fortificazioni e ideatore di macchine: esse innovano anche il campo della rappresentazione teatrale, ma è soprattutto in architettura che porteranno a esiti straordinari procurandogli grande fama già fra i contemporanei.
La cupola di Santa Maria del Fiore
Ambito privilegiato per le sue sperimentazioni è il cantiere del duomo di Santa Maria del Fiore a Firenze, cui Brunelleschi collabora fin dagli inizi del secolo, vincendo nel 1418 il concorso indetto per l’edificazione della grande cupola. Conserverà la carica di capomastro della fabbrica dal 1420 fino alla morte. Nel rispetto dello schema ogivale a otto spicchi previsto fin dal Trecento, ma impossibile da attuare per l’inadeguatezza dei sistemi costruttivi, Brunelleschi segue ogni aspetto dell’impresa.
Per la cupola, mette a punto un sistema autoportante che, grazie alla disposizione a spina di pesce dei mattoni ispirata dalle tecniche romane (bizantine secondo alcuni storici), non necessita nelle fasi di costruzione delle tradizionali armature lignee, dette centine. Per alleggerire il peso, la cupola è costituita da due calotte concentriche il cui spessore si riduce gradualmente verso l’alto; sono rinforzate da costoloni, otto dei quali visibili all’esterno. Responsabilità di Brunelleschi, che nel 1436 si aggiudica anche il concorso per la costruzione della lanterna che chiude la cupola, è anche la gestione del lavoro degli operai, facilitato dall’introduzione di nuovi sistemi di carico e trasporto dei materiali. Nel ruolo organizzativo svolto all’interno del cantiere, oltre che in quello progettuale, risiede il cambiamento in senso moderno impresso da Brunelleschi alla figura dell’architetto, un’evoluzione complementare al riscatto tutto intellettuale promosso da Alberti.
Architettura civile: l’Ospedale degli Innocenti e il Palazzo di Parte guelfa
L’Ospedale degli Innocenti è la prima opera nella quale si esplicita il linguaggio moderno di Brunelleschi, basato sull’introduzione di geometrie e proporzioni semplici nonché su un gusto ornamentale ispirato all’antico. Era stato commissionato fra il 1419 e il 1421 dall’Arte della seta e degli orafi, di cui faceva parte lo stesso architetto, per l’assistenza ai bambini abbandonati.
Pur tenendo conto delle modifiche apportate in un periodo successivo, tanto in pianta che in facciata, quello che è talora indicato come primo intervento rinascimentale mostra, soprattutto nel prospetto principale, una concezione determinata dall’adozione di misure che, riproposte in termini di multipli e sottomultipli (il cosiddetto modulo), generano uno spazio regolare e ritmato. Il senso della misura e dell’armonia, impliciti nell’architettura medievale fiorentina, la cui memoria qui sopravvive, sono letti alla luce della razionalità umanistica e nel recupero dell’antico: fattore chiave è l’utilizzo dell’ordine classico, che viene proposto forse per la prima volta in forme compiute. Basato sulla successione di spazi a pianta quadrata, per la sua vocazione urbanistica, il fronte porticato degli Innocenti verrà esteso a tutta la piazza della Santissima Annunziata.
All’ambito dell’architettura civile appartiene anche il Palazzo detto di Parte guelfa dalla fazione politica che gli affida l’incarico dopo il 1419. Incompiuto e manomesso, il progetto iniziale prevedeva un grande salone per le riunioni. Esternamente l’edificio è caratterizzato da un’estrema sintesi formale.
La committenza medicea
Due fra le opere brunelleschiane fondanti per l’architettura del Rinascimento sono realizzate per la chiesa di San Lorenzo su committenza della famiglia de’Medici, il cui ruolo egemone, nel contesto economico e politico cittadino, diviene in quegli anni sempre più esplicito.
Intorno al 1418 Giovanni di Bicci (1360-1429) affida a Brunelleschi la realizzazione della sacrestia della basilica, con la probabile intenzione di farne il proprio mausoleo. Detta Sacrestia Vecchia, in contrapposizione a quella simmetrica modellata da Michelangelo Buonarroti nel secolo successivo, è cominciata nel 1421 e compiuta nelle parti strutturali nel 1428. Il cantiere decorativo, aperto subito dopo, vede attivi fra gli altri Donatello.
Si tratta di uno spazio di grande rigore formale che non ha precedenti nell’impianto geometrico, scandito dal grigio della pietra serena: un cubo coronato da una cupola emisferica articolata da costoloni e posta su pennacchi, nella quale si è letta una vicinanza a modelli bizantineggianti del Nord Italia (il battistero della cattedrale di Padova); su un lato dell’ambiente si apre un vano proporzionalmente più piccolo ma dalle stesse caratteristiche, dove è posto l’altare.
Nel contesto della costruzione della Sacrestia matura l’idea della riedificazione in forme moderne dell’intera basilica di San Lorenzo, che, già iniziata, viene affidata dai Medici a Brunelleschi. I lavori cominciano su suo progetto nel 1421 e procedono a rilento. Ripreso solo nel 1441 da Cosimo I, il cantiere viene chiuso dopo la scomparsa dell’artista. Rimasta incompiuta la facciata non sappiamo come Brunelleschi avrebbe affrontato l’impegnativa questione: non ci è noto, peraltro, alcun prospetto progettato dal fiorentino per edifici religiosi.
Lo schema a sviluppo longitudinale della chiesa precedente, di età romanica, è restituito secondo un’estrema chiarezza compositiva. Nel ricordo dell’antichità e delle basiliche paleocristiane, lo spazio è costruito nel rigore geometrico del calcolo proporzionale e della ricerca di simmetria che generano una dimensione variata ma omogenea, immediatamente leggibile.
Perduto è il progetto che l’architetto realizza per il palazzo di Cosimo I intorno al 1442. La proposta, che poneva l’edificio su una piazza da realizzare dinnanzi a San Lorenzo, viene scartata per lo spirito ambizioso e non conforme alla politica di prudenza praticata dal committente, divenuto di fatto signore di Firenze nel 1434. È probabile che alcune delle caratteristiche originali siano state accolte nel disegno affidato a Michelozzo Michelozzi e destinato a stabilire, con l’eccezione del palazzo Rucellai progettato da Leon Battista Alberti una decina d’anni dopo, il canone della residenza signorile fiorentina nel corso del Quattrocento e oltre.
La cappella Pazzi e la chiesa di Santa Maria degli Angeli
La cappella Pazzi, costruita a partire dai primi anni Trenta del Quattrocento nel complesso francescano di Santa Croce, consente di sottolineare l’evoluzione del linguaggio brunelleschiano. Destinato al capitolo dei frati e commissionato da Andrea de’Pazzi, l’ambiente è solo in apparenza simile alla Sacrestia Vecchia; ne trasforma infatti lo schema quadrato in un rettangolo, con il risultato di una maggiore complessità spaziale. Più ricca e variata è di conseguenza anche l’articolazione delle pareti, su cui si infittisce la trama degli elementi architettonici, che segnano i punti nevralgici della struttura.
Una concezione spaziale innovativa contraddistingue anche la chiesa di Santa Maria degli Angeli, il primo esempio rinascimentale di edificio a pianta centrale, tipologia che, per la perfezione geometrica e il portato simbolico delle sue linee, godrà di grande fortuna nel corso del Quattrocento e del Cinquecento. Memore degli studi condotti a Roma sulle rovine antiche, forse anche in occasione di un secondo viaggio, Brunelleschi lavora qui sul valore plastico della muratura. Iniziata nel 1434 ma lasciata incompiuta a causa dei problemi economici del committente, Filippo Scolari detto Pippo Spano, la chiesa prevedeva una planimetria ottagonale con cupola, e una raggiera di cappelle il cui profilo avrebbe dovuto emergere all’esterno, ponendo l’edificio in dialogo con il contesto. Nella stessa direzione si pongono i corpi semicircolari (detti tribune morte) eretti intorno alla cupola di Santa Maria del Fiore al di sotto del tamburo, l’opera che in modo più compiuto mostra di avere nell’antico la sua fonte di ispirazione.
La chiesa di Santo Spirito
Un rapporto simile a quello che lega la cappella Pazzi alla Sacrestia Vecchia intercorre anche fra la chiesa fiorentina di Santo Spirito e la basilica di San Lorenzo, la cui lettura parallela consente di constatare le novità introdotte nell’opera, punto di approdo della carriera brunelleschiana. Progettati forse fin dal 1428 ma cominciati nel 1436, i lavori procedono in un arco di tempo che si protrae, sotto la direzione di altri, oltre la morte di Brunelleschi, avvenuta il 15 aprile 1446, compromettendo in parte il disegno originale. Fra gli elementi di maggiore novità è l’intenzione, non realizzata, di rivelare all’esterno l’andamento convesso del muro perimetrale, in corrispondenza delle cappelle che si aprono lungo il corpo della chiesa. Il rapporto con la città è anche in questo caso molto sentito da Brunelleschi: egli avrebbe proposto di modificare l’orientamento dell’edificio al fine di ricavare uno spazio adeguato per l’apertura di una piazza, una delle prime pianificate nel Rinascimento, ma nulla si fece per gli elevati costi delle demolizioni.
Basata sul consueto schema a croce latina con tre navate, la chiesa è all’interno un esempio di armonia spaziale e concezione monumentale. L’effetto è raggiunto grazie al calibrato disegno della pianta che, perfezionando il modello laurenziano, è basata sulla ripetizione di moduli legati fra loro da rapporti proporzionali semplici (1:2 fra le campate centrali e quelle laterali). Ma una nuova concezione contraddistingue le membrature architettoniche, improntate a una tendenza alla tridimensionalità nell’impiego di colonne e semicolonne, con il risultato di ammorbidire e rendere ancora più omogeneo il trapasso fra le varie parti dell’edificio.