BRUNELLESCHI, Filippo
Architetto e scultore, nato a Firenze nel 1377, morto ivi nel 1446. Del padre, ser Brunellesco, si sa che fu notaro, e che la repubblica se ne valse per missioni di fiducia anche in Germania. Sull'adolescenza e sugli studî del B., i biografi hanno notizie generiche e vaghe, talune inattendibili: si sa solo che il padre, volendo secondare l'aperta sua inclinazione alle arti del disegno, lo affidò al un orefice suo amico, e infatti documenti più attendibili confermano che il B. nel 1398 prestò giuramento all'Arte della seta, come apprendista orefice, e che nel 1401 vi fu immatricolato come maestro.
In quegli anni giovanili il B. si applicò con tale ardore alla scultura, che, nel 1401, poté affrontare il grande concorso delle porte di bronzo per il Battistero, con alta lode, anche se non a lui ma al Ghiberti toccò la vittoria. Oggi le due storie in bronzo del Sacrificio di Abramo, che i due concorrenti presentarono, pendono accanto nel Museo Nazionale fiorentino; quella del Ghiberti tutta grazie di forma e raffinatezza decorativa, quella del B. tutta schiettezza ed energia di stile e di espressione.
Oltre a questa, non vi sono da citare che pochissime altre sculture di mano del B.: a Pistoia due busti di profeti (secondo altri due figurette), fra quelli che ornano il celebre altare d'argento di Sant'Iacopo nella cattedrale e a Firenze il grande Crocifisso in legno della cappella Gondi a S. Maria Novella.
Il primo biografo del B. racconta che egli, dopo che rimase soccombente nel concorso della porta istoriata, risolvette di andare in compagnia di Donatello a perfezionarsi (per usare un termine moderno) nell'arte scultoria a Roma; se non che, aggirandosi tra i ruderi degli edifici imperiali, fu sedotto dall'armonia di essi. Così al primo proposito si venne sostituendo quello di dedicarsi interamente all'architettura e di rimettere in onore gli ordini classici, bandendo le bizzarrie gotiche; a questi, poi, si aggiunse l'altro intento di cavare dalle ardite moli romane il segreto per poter innalzare sicuramente la cupola del duomo fiorentino. Ma quel racconto appare inverosimile quando si osserva che le opere del B. palesano ben più stretti rapporti di stile con le fabbriche medievali che con gli edifici romani. L'edificio del Medioevo osservato da lui con studio più profondo e più particolareggiato, e dal quale trasse grande profitto così d'indole tecnica per la costruzione della cupola, come d'indole artistica per le forme degli elementi architettonici, fu il Battistero fiorentino.
Nelle più importanti delle sue fabbriche, cioè nelle chiese di S. Lorenzo e di Santo Spirito, ha tanta parte la colonna nell'originaria funzione di reggere; e quei colonnati corinzî attraggono talmente lo sguardo da far notare meno quelle molte cose che sono lontanissime dagli esemplari classici: la disposizione planimetrica, le cupole sferiche semplici o composte su spazî quadrati: le vòlte a vela rette da colonne; i profili e le proporzioni stesse delle finestre; gli ornati intagliati nell'intradosso delle arcate. Il B. fece uso principalmente del capitello corinzio, plasmandolo con piena libertà; il dorico non usò mai; non conformò lo ionico a nessuno dei tipi classici, ma a quello romanico del Battistero. In generale si può affermare che il B. non si dovette indugiar troppo nello studio delle forme classiche (compresi i profili delle cornici). Egli fece valere cose per sé stesse assai semplici entro le linee costruttive dei suoi edifici: trasse profitto, è vero, largamente, in uno di essi (la cappella Pazzi), della rinnovata arte delle terrecotte invetriate; mentre nella sacrestia di San Lorenzo lasciò largo campo agli stucchi policromati di Donatello.
Se si metta in disparte come poco attendibile il racconto del primo biografo, dobbiamo rassegnarci a un'estrema rarità di notizie, sicurissime però e di grande importanza. Una è che nel novembre del 1404 (cioè un anno dopo che fu deciso il concorso delle porte), il B. venne chiamato dagli Operai di S. Maria del Fiore a discutere insieme con altri artisti circa alcune critiche mosse al capomaestro Giovanni d'Ambrogio per essersi discostato dal modello grande della chiesa, sia negli sproni di contrafforte, sia nelle finestre che si aprono tra essi. Questa notizia rivela con quanta vigile attenzione il B. seguiva la costruzione del massimo edificio fiorentino; ed è lecito pensare ch'egli più degli altri avesse avuto parte nelle accuse al capomaestro e le sostenesse. Giovanni d'Ambrogio rimase alla direzione della fabbrica fino al 1418, quando fu licenziato perché la sua grave età parve serio impedimento a che egli potesse attendere ai lavori della cupola. La costruzione di questa era il problema più considerevole che si fosse presentato fino allora, e l'Arte della Lana, conscia ora più che mai della sua responsabilità, procedette con le più prudenti cautele. Già l'anno innanzi aveva esaminato certe proposte o consigli di Giovanni dell'Abaco e del B. L'ultima notizia intorno all'attività del vecchio capomaestro prima che venisse licenziato è che fu curata da lui l'esecuzione di un modello in legno per l'armatura della cupola; ma non è del tutto certo se l'idea fosse sua o non piuttosto del B. o di altri. Un altro modello mandò in quel tempo da Pisa un maestro di legname; ma ai consoli dell'Arte della Lana parve ormai tempo di bandire un pubblico concorso per un modello col quale fosse dimostrato come si potesse voltare con sicurezza la grande cupola; stabilendo un premio di 200 fiorini, e promettendo giusti compensi a tutti coloro che facessero proposte di qualche importanza per la buona riuscita dell'impresa. Il bando fu fatto il 19 agosto del 1418. Pochi giorni dopo si dava incarico a due degli amministratori dell'Opera di assistere alla costruzione di un modello che il B. avrebbe fatto eseguire in muratura. Della grandezza del quale dà una sufficiente idea il sapere che vi furono impiegati più maestri per il complesso di novanta giornate. Lo scopo per il quale si domandavano i modelli era di ragione tecnica; e il B. col suo volle provare nel modo più pratico come si potesse innalzare la cupola senza una vera e propria armatura di legname. Degli altri modelli, il più ragguardevole fu quello, anch'esso non piccolo, del Ghiberti. E la decisione del concorso fu favorevole all'uno e all'altro; e l'uno e l'altro furono invitati a concertare d'accordo un disegno definitivo e a stendere in scritto il programma da seguirsi nell'effettiva esecuzione della cupola. A essi fu poi aggregato in qualità di capomaestro quello che era stato aiuto di Giovanni d'Ambrogio, Battista d'Antonio. Ai lavori della cupola fu dato principio nel 1420; e fra il 1434 e il 1436 essa fu compiuta fino all'apertura superiore sulla quale doveva innalzarsi la lanterna marmorea. Per questa fu fatto speciale concorso come era consuetudine dell'Opera del duomo; e fu prescelto il modello del B. imponendogli qualche correzione. Egli stesso preparò i marmi, ma fu impedito dalla morte di coronare la mole col tempietto che tanto conferisce alla sua bellezza.
I contemporanei esaltarono il genio del B. nella scienza della costruzione, per aver egli eretta l'ingente mole ad altezza tanto grande senza generale e stabile armatura. Primeggia tra le singole attestazioni quella di L. B. Alberti, e basta essa sola a dimostrare come in quel tempo l'impresa fosse nuova e ardimentosa; non è dunque ragionevole che se ne faccia stima diversa da noi, per esserci noto che ad età assai più remota risalgano vòlte e cupole erette senza il sostegno di potenti castelli in legname. La cupola fiorentina fu potuta innalzare in tal modo per il suo sesto acuto e per l'orditura ingegnosa di tutta la mole. Essa consta di due mantelli, dei quali l'interno ha spessore notevolmente più forte; l'esterno, oltre essere difesa efficace contro le intemperie, contribuisce non poco alla solidità per essere strettamente collegato al primo con sproni poderosi nei canti e altri due per ogni falda. Questi sproni e altri espedienti tecnici appariscono a chi sale nel vano tra le due cupole fino alla lanterna; ma più cose restano celate, che furono certamente eseguite; e intorno ad altre variano le congetture. Fra le cose che ignoriamo è la costituzione particolare delle armature delle centine. Pare appena credibile che si continui a citare come saggio splendido del nuovo stile architettonico, inaugurato dal B., la cupola, la quale di tutta la cattedrale trecentesca ha le linee più spiccatamente medievali.
In verità, sebbene non sia rimasto alcun ricordo in disegno o scritto della forma che la cupola aveva nel grande modello in muratura di tutta la chiesa, molti anni innanzi costruito vicino al campanile, essa non poteva essere che ottagona, come l'alto basamento o tamburo già terminato prima del 1418 e che il Vasari fantasticò fosse una trovata del B.; archiacuta, per diminuire la tendenza a spingere fuori i muri di sostegno; ed è lecito aggiungere che già allora sarà stata immaginata doppia per ridurne notevolmente con vacui interni la massa, ottenendo altresì non piccolo risparmio di tempo e di denaro. Il B., oltre il merito dell'erezione materiale della sublime mole con pieno successo costruttivo e statico, riuscì a dare alla cupola, con la particolar forma dei costoloni marmorei e ancora più della lanterna, il coronamento più perfettamente adeguato e armonico della cattedrale, cioè dell'esempio massimo in Firenze di quello stile ch'egli nelle proprie fabbriche bandì deliberatamente. Pure volle dare non piccolo saggio dello stile suo proprio nelle quattro tribune di pianta circolare addossate nel 1438, quando la cupola era già costruita, ai muri sottostanti al tamburo: e sono forse le cose di lui nelle quali si potrebbe scorgere una derivazione diretta da qualche rudero romano, di tempietto o di sepolcro.
Le opere originali del grande architetto sono: l'ospedale degli Innocenti; la sagrestia di S. Lorenzo e la chiesa alla quale è annessa; la chiesa incompiuta di Santa Maria degli Angioli; la chiesa di Santo Spirito, il palazzo Pitti e la villa Pitti a Rusciano; mentre si possono considerare della sua scuola l'elegantissimo palazzo eretto dai Pazzi prima della famosa congiura, la Badia Fiesolana, il chiostro grande di Santa Croce. Questo elenco delle opere è fatto secondo l'ordine cronologico più verosimile della fondazione; è da avvertire però che, mentre il B. sorvegliò attentamente fino al suo termine la costruzione della cupola, non poté vedere che in parte relativamente piccola levarsi dal suolo muri e colonne, incurvarsi sugli spazî le vòlte e le cupole delle maggiori fabbriche da lui ideate; la ragione di che fu principalmente una: l'insufficienza del danaro disponibile.
Per l'ospedale degl'Innocenti sappiamo che fu acquistato il terreno nel 1419, dopo che sarà stato fatto (è lecito congetturare) almeno un disegno in cui fossero determinate l'estensione e le linee generali della fabbrica dal B., il quale, per attestazione di documenti, diresse i lavori fra il 1421 e il 1424. Non è men certo che in seguito la direzione fu affidata a Francesco della Luna; al quale già il primo biografo rimprovera di non essersi attenuto interamente al disegno originario. Quanta parte si possa credere eretta sotto la direzione del primo architetto, quanta sia da attribuire a innovazioni di Francesco della Luna, non è qui il luogo di discutere; si deve però accennare che l'arcata sotto la quale passa la via della Colonna fu fatta nel 1600, e in tempo assai più vicino l'altra che le fa riscontro a destra del loggiato: aggiunte queste, per vero dire, che il B. stesso non condannerebbe. Né altre aggiunte e sopraelevazioni e manomissioni interne quasi inevitabili impediscono di ammirare la sapiente distribuzione della pianta regolarissima e più ancora la fronte con l'ampia gradinata e col semplice e arioso loggiato.
La sagrestia vecchia di S. Lorenzo fu eretta nelle sue parti essenziali sotto la sorveglianza del B. per commissione di Cosimo dei Medici: opera piccola e di una estrema semplicità nella sua pianta, ma che basterebbe essa sola a farci conoscere con piena sicurezza le idee architettoniche del B. e le forme da lui predilette. La chiesa di S. Lorenzo (della quale Cosimo il vecchio si era proposto fin dal principio di fare nobile mausoleo della sua famiglia, mentre lasciava che le cappelle minori fossero erette a spese delle nobili famiglie della parrocchia) è stata probabilmente tracciata nella sua totale composizione icnografica dal B., traendone l'idea dalla chiesa medievale di Santa Trinita, ma giungendo a effetti del tutto nuovi, tanto diverse sono le armonie degli spazî, le forme degli elementi architettonici, la distribuzione delle luci. La materiale erezione fu in gran parte posteriore alla morte del maestro; e non a lui si deve perciò addebitare il greve capannone, il quale, se protegge efficacemente la cupola dalle intemperie, turba assai l'effetto esterno di tutto l'edificio.
La cappella Pazzi, quel prezioso gioiello che Andrea Pazzi fondò con disegno del B., si cominciò ad erigere nel 1430; ma è difficile il determinare precisamente a che punto il maestro fosse arrivato della sua costruzione ed ornamento quando nell'anno 1446 cessò di vivere. V'è più di un indizio che fosse ancora lontana dal compimento; e pare assai probabile che il colonnato, le vòlte e la fronte del portico siano stati eseguiti più tardi, dirigendo forse i lavori Michelozzo; certamente collaborando, a gara dei più lieti abbellimenti, Luca e Desiderio. La congiura contro i Medici e la rovina e dispersione della famiglia Pazzi impedirono che fosse dato alla fronte l'estremo compimento.
Non si può deplorare abbastanza che la deficienza di denaro abbia troncato sul più bello l'opera che il B. immaginò con più libertà d'ogni altra e secondo un suo ideale architettonico: la chiesa di Santa Maria degli Angioli, fondata per il grande convento camaldolese in Firenze dalla famiglia degli Scolari. Lo spazio interno, ottagono, circondato da cappelle rettangolari, ciascuna con due absidiole, era destinato a essere coperto con cupola di pianta circolare dalla quale doveva scendere la luce; all'esterno esadecagono si alternavano lati piani e grandi nicchie concave (le quali furono riempite più tardi).
La storia della fabbrica di Santo Spirito è oggi assai meglio nota che non fosse prima, in grazia di documenti autentici pubblicati dal Fabriczy. Già prima del 1436 si può ritenere che il B. presentasse disegni; ma, per la scarsezza del denaro occorrente, la fabbrica procedette così lentamente, che il muro di facciata si fondava soltanto nel 1482 (trentasei anni dopo la morte del primo architetto), tra vivaci discussioni di artisti e di cittadini intorno al numero delle porte. Ancora meglio che nella chiesa di S. Lorenzo, si può vedere in questa con quanto geniale libertà Filippo imitasse i monumenti anteriori. Pare certo ch'egli traesse l'idea della pianta dal duomo pisano; ma se Santo Spirito ha con questo comuni la disposizione cruciforme pronunciatissima dentro e fuori; la copertura a vòlta nelle navi minori, a soffitto piano nella navata mediana; la cupola all'incrocio e finalmente i colonnati nei bracci; pure l'aspetto generale del monumento fiorentino non potrebbe essere più diverso dall'insigne suo prototipo, e la novità dell'invenzione più palese. Dopo la morte del maestro, coloro ai quali fu affidata la prosecuzione dell'opera, introdussero in questa, come nella chiesa di S. Lorenzo, modificazioni non insignificanti.
Il palazzo che Luca Pitti si fece erigere su terreno da lui acquistato già nel 1418 nelle vicinanze di Bogole (Boboli), fu piccolo in confronto di quello notissimo che ora si vede, ed ebbe solo sette finestre nei due piani superiori; ma torreggiò quasi da un'acropoli sul quartiere d'Oltrarno, assai più armonico di proporzioni, più compatto, più fiero. Compito assai minore fu quello che Luca diede al maestro, commettendogli di dare nuova forma a una abitazione suburbana nel luogo amenissimo di Rusciano. Il fabbricato che oggi si vede è di aspetto assai diverso dall'originario, tante, e di varî tempi, sono le alterazioni e le aggiunte; conserva però molte parti in assai buono stato; e qua e là una colonna, un capitello, un peduccio, una mensola che ricordano il B. e le opere sue più genuine. Tra le quali, nell'architettura civile, è importante quanto di originario conserva il palazzo di Parte Guelfa.
Alle opere maggiori sono da aggiungerne due assai minori ma non prive d'interesse: la cappella Barbadori nella chiesa di Santa Felicita e il pulpito di S. Maria Novella. Di questo vi è notizia autentica che nel 1443 il B. facesse il disegno compensato con un fiorino d'oro e che la cura dell'esecuzione fosse data al suo scolaro Andrea di Lazzaro Cavalcanti.
Il B., secondo il primo suo biografo, scoprì le regole della rappresentazione prospettica e ne fece applicazione in due quadri nei quali ritrasse la piazza della Signoria e la piazza di S. Giovanni.
Le novità, delle quali il B., almeno con disegni di qualche edificio, diede saggio fino dal 1420, trovarono in Firenze pronto e largo consenso, anche negli scultori, intagliatori, orefici e pittori, per la parte decorativa delle loro storie. Primo e più fervido seguace del nuovo indirizzo fu Michelozzo, che (sebbene manchino attestazioni positive) sembra sia stato vero e proprio scolaro del B.
Basterà infine accennare che il B. fu reputato dai suoi contemporanei come architetto militare e come ingegnere idraulico; che egli amò le grandi opere della letteratura, non ignaro del latino, egli stesso arguto versificatore. Ma queste lodi sono comuni a tanti altri uomini; mentre la vera gloria di lui è nella sua attività architettonica in fabbriche sacre e profane; nell'aver creato uno stile originale attingendo liberamente ora alla tradizione classica ora ad opere del Medioevo, con ispirazione sempre viva e sempre nuova; nell'avere condotto felicemente in porto la grande impresa di coronare la cattedrale fiorentina..
I ritratti del B. più antichi sono: quello al Louvre, dipinto su una tavoletta insieme con Giotto, Donatello e Antonio Manetti, per mano, si crede, di Paolo Uccello e da altri attribuito a Masaccio; e il busto in altorilievo che Andrea di Lazzaro Cavalcanti scolpì per la tomba del suo maestro e benefattore, nel duomo. Si può ritenere come assai probabile che Andrea stesso formasse sul cadavere la maschera in gesso che si conserva nel museo dell'Opera. nella quale i lineamenti rispondono bene all'idea che noi ci formiamo dello spirito elevatissimo, della volontà imperiosa e tenace di Filippo di Ser Brunellesco (V. tavv. CCXXXI a CCXXXIV).
Bibl.: G. Vasari, Le vite, ecc., ed. Milanesi, II, Firenze 1878, p. 327 e segg.; A. Manetti, Vita di Fil. di Ser Brun., ed. E. Toesca, Firenze 1927; C. v. Stegmann e H. v. Geymüller, Die Architektur d. Renaissance in Toscana, Monaco 1885-96, I; C. V. Fabriczy, F.B., Stoccarda 1892; W. Limburger, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, V, Lipsia 1911; H. Willich, Die Baukunst d. Renaissance in Italien, I, Berlino 1914; H. Folnesics, B. Ein Beitrag zur Entwicklungsgesch. d. Frührenaissancearchit., Vienna 1915; P. Fontana, F. B., Firenze 1920; id., Il B., in Atti del X Congr. internaz. di storia dell'arte, Roma 1922; A. Venturi, F. B., Roma 1923; G. L. Luzzatto, B., Milano 1926.