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BUONARROTI, Filippo

di Mario MENGHINI - Enciclopedia Italiana (1930)
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BUONARROTI, Filippo

Mario MENGHINI

Cospiratore e uomo politico, nato a Pisa l'11 novembre 1761, morto a Parigi il 17 settembre 1837. Apparteneva a famiglia che, discesa da Michelangelo, era devota alla corte lorenese. Compì gli studî di legge all'università di Pisa, e fin d'allora accolse con entusiasmo le idee innovatrici, iscrivendosi a una loggia massonica, dove s'agitò tanto da venire in sospetto della polizia toscana, che nel 1786 gli sequestrò libri ritenuti irreligiosi; e poiché il B. continuò nella sua propaganda politica, intensificata quando giunse notizia in Toscana della rivoluzione francese, lo costrinse a esulare in Corsica (1789). Colà fondò società patriottiche e un periodico, l'Amico della libertà italiana, che fu il primo giornale italiano inneggiante alla rivoluzione francese. A Bastia fu addetto alla segreteria del dipartimento; ma nel giugno 1791, essendosi il popolo ribellato contro i commissarî francesi, il B. fu costretto a fuggire a Livorno, dove fu chiuso in carcere, quindi liberato per intercessione paterna, ma espulso dalla Toscana. Ripreso il suo ufficio in Corsica, nel settembre 1792 fu nominato commissario nazionale dell'arrondissement di Corte, con in più l'incarico di vigilare e coordinare la spedizione di Sardegna, alla quale partecipò. In ricompensa dei servigi resi, gli fu decretata la cittadinanza francese (27 maggio 1793). Fu inviato subito dopo a Lione insorta, quindi, ma senza successo, di nuovo in Corsica, dove Pasquale Paoli si era dichiarato avverso alla repubblica. Contro di lui il B. aveva già stampato un opuscolo: Les grandes trahisons de Pascal Paoli, poi rifuso col titolo: La conjuration entièrement devoilée, in cui chiedeva che il vecchio patriota corso fosse ghigliottinato. Il B. fu quindi destinato a seguire, in qualità di "agente rivoluzionario", l'esercito d'Italia guidato dal Massena. Caduto il Robespierre, di cui il B. seguiva le idee, il governo aveva ordinato (19 febbraio 1795) che il B. fosse arrestato e condotto a Parigi. Internato nelle carceri di Pleissis, insieme con i componenti dei comitati rivoluzionarî, vi conobbe il Babeuf, col quale (26 ottobre 1795) fu posto in libertà. Per l'influenza esercitata su di lui dal Babeuf, il B. s'infervorò per idee che portarono il suo acceso giacobinismo a una forma di rigido comunismo, in quanto ammetteva, contro le sentenze della costituzione dell'anno III che era indispensabile fissare "la comunione dei beni e dei lavori". Insieme col Babeuf, col Darthé, col Fontenelle, ecc., formò pertanto un centro rivoluzionario, chiamato direttorio segreto di sicurezza pubblica, che aveva il proposito di abbattere il governo e di fondare la "repubblica degli eguali". Nacque così la congiura, che prese il nome dal Babeuf (v.), alla quale il B. collaborò attivamente, in ispecie per la redazione del Manifesto degli eguali e di numerosi libelli. Il 10 maggio 1796 il B. e gli altri congiurati furono arrestati e condotti all'Abbazia, quindi inviati dinnanzi all'alta corte di giustizia di Vendôme, dove il rivoluzionario toscano si difese energicamente. Condannato alla deportazione, il B. fu condotto a Cherbourg, in attesa di essere deportato alla Guiana, e a Cherbourg rimase tre anni, durante i quali sopraggiunse il 18 brumaio. Chiese allora invano la revísione del processo di Vendôme; tuttavia gli fu concesso di essere internato a Oléron (Charente-Inférieure), quindi a Ginevra (1806), dove visse dando lezioni di musica e di lingua italiana. Colà continuò a cospirare: fondò la società degli Amici sinceri, con l'intento di rovesciare l'impero e di proclamare la repubblica, e, con l'aiuto della massoneria, quella dei Filadelfi. Denunziato per le sue mene rivoluzionarie, nel febbraio del 1813 gli fu imposto di trasferirsi a Grenoble; ma caduto l'impero, tornò a Ginevra, divenuta asilo di patrioti italiani e francesi. Colà fu riconosciuto capo della carboneria, alla quale diede un nuovo ordinamento, con vendite particolari o locali, con vendite centrali, in fine con l'Alta vendita, da lui diretta. Perseguitato dall'Austria, che fece pressioni sul governo svizzero, nel febbraio del 1824 il B. fu costretto a rifugiarsi a Bruxelles, dove visse sotto il nome di Gian Giacomo Raimond e pubblicò (1828) la Conspiration pour l'égalité, dite de Babeuf. La rivoluzione del luglio 1830 diede nuova attività politica al B. Andato a Parigi, formò col conte Porro Borromeo, con C. Bianco, con P. Murri, e con F. Salfi un comitato insurrezionale per preparare un'invasione in Savoia e penetrare in Italia per il Piemonte, invasione che fu ostacolata dal governo francese. Il Mazzini fondando la Giovine Italia dava un fiero colpo alla carboneria riformata del B., sebbene, in un primo tempo, le due associazioni avessero cercato d'intendersi, e anzi il cospiratore toscano avesse accettato di collaborare nel periodico mazziniano. Apertamente contrario al moto insurrezionale in Savoia del febbraio 1834, che dichiarava privo di prudenza e d'ogni probabilità di buon successo, e capace solamente di dar nuove vittime alla tirannide, il B. si staccò definitivamente dal Mazzini. Da parte sua, il Mazzini deplorò che il suo antagonista ritenesse spettare sempre alla Francia il primato dell'iniziativa rivoluzionaria dei popoli. La rottura avvenne quando, fondata per opera del Mazzini la Giovine Europa (14 aprile 1834), il B. emanò una circolare, diffidando tutti coloro che appartenevano alla carboneria riformata e ai Veri italiani dall'accettarne i principî. In quegli ultimi anni di vita il vecchio cospiratore ebbe anche a soffrire le persecuzioni del governo francese, che riteneva, la carboneria riformata complice dei disordini di Lione; ed ebbe pure a constatare che molti dei suoi seguaci lo abbandonavano per seguire le dottrine del Blanqui e del Barbès.

Bibl.: G. Romano-Catania, F. B., Palermo 1902; G. Weill, F. B., in Revue Hist., 1901; id., Les papiers de F. B., ibid., 1905.

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