BUONDELMONTI, Filippo
Figlio di Lorenzo di Andrea e di Francesca di Giovanni Del Bene, nacque in Firenze il 3 ag. 1434. Si addottorò in diritto civile e canonico ed esercitò per qualche tempo la professione forense, guadagnandosi una buona fama di giureconsulto. Rinunziò a questa attività per dedicarsi completamente ai commerci ed alle attività finanziarie. Per parecchi anni diresse una banca a Napoli, a quanto pare con notevole successo, giacché quando ritornò definitivamente a Firenze, intorno al 1480, aveva accumulato un ingente patrimonio. Da allora si dedicò intensamente alla vita politica, ricoprendo varie cariche di medio rilievo sino alla cacciata di Piero de' Medici da Firenze: nel 1482 fu vicario in Val d'Elsa, nel 1484 fu eletto tra i gonfalonieri di compagnia. ed a questa medesima carica fu nuovamente chiamato nel 1487; nel 1490 ricoprì la carica di vicario di S. Miniato e della regione della valle inferiore dell'Arno, nel 1494 fu di nuovo eletto gonfaloniere di compagnia.
Quando Piero de' Medici, al presentarsi in Toscana di Carlo VIII, acconsentì a cedere al re francese Pisa, Livorno, Sarzana e le altre piazzaforti minori, il patriottismo spinse il B. nel numero dei più decisi avversari del figlio di Lorenzo, sebbene per tradizione la famiglia Buondelmonti fosse assai legata ai Medici. Divenuto uno dei più autorevoli esponenti del nuovo regime, nel 1495 fu chiamato a far parte dei Dieci di libertà e di pace, l'anno successivo fu nominato vicario nel Valdarno superiore, nuovamente fuchiamato tra i Dieci di Balia nel 1497 e nominato vicario in Val di Cecina nel 1498.
Queste cariche fecero del B. uno dei principali responsabili della condotta della guerra contro Pisa, che egli volle con una ostinazione e una decisione mai scosse dal benché minimo dubbio sull'opportunità di quell'impresa che provocò un enorme dispendio finanziario e una indubbia perdita di prestigio alla Repubblica. Riferendosi a un momento in cui il B. era, insieme con Francesco Papi, a capo dei Dieci di Balia, il Guicciardini ricorda che nell'impresa di Pisa "si spese tanta somma di danari, che vulgarmente e' dieci che sedevano si chiamarono e' dieci spendenti, che furono e' primi dieci eletti dal popolo; uomini la maggior parte vecchi e tenuti buoni, ma poco pratichi a governare lo stato" (Storie fiorentine, p. 120).
Ma per suo conto il B. era piuttosto incline a ritenere responsabile degli insuccessi la sola direzione militare della guerra, sicché nel 1499 fu tra i più violenti accusatori di Paolo Vitelli in seno alla Balia, dove il dissenso verso la conduzione delle operazioni affidate al condottiero umbro finì per risolversi in una esplicita accusa di tradimento. Quando infine fu deciso di arrestare il Vitelli, il B. fu nominato con questo specifico compito commissario al campo, insieme con Luca Albizzi: missione che i due portarono a termine con tutta la circospezione necessaria a evitare di provocare con quel provvedimento un ammutinamento tra le truppe. Nel procedimento sommario contro il Vitelli il B. fu tra coloro che sostennero la necessità del castigo capitale, non solo per punire le colpe del Vitelli, rimaste del resto abbastanza problematiche, ma per dimostrare anche, sia alle potenze amiche sia a quelle che sostenevano i Pisani, la decisa volontà della Signoria fiorentina di procedere con fermezza in quella interminabile impresa.
Nel 1500 il B. fu eletto tra i Priori e assunse quindi la sua parte di responsabilità in un'altra vicenda sfortunata per la Repubblica: i torbidi causati in Toscana dalla cacciata dei Panciatichi da Pistoia. Una lettera di Totto Machiavelli, figlio di Niccolò, al padre, inviato in Francia, in data 27 ag. 1500, testimonia come il B. facesse uso della sua influenza nel governo cittadino perché fossero soddisfatte le richieste di aumento del soldo del segretario. Era una delle ultime manifestazioni dell'autorità del B. nel governo democratico di Firenze: di lì a poco egli cominciò ad allontanarsi dalle cariche pubbliche.
Da una parte, infatti, lo scontento generale della cittadinanza per la direzione dello Stato in quegli anni tutt'altro che fortunati e prestigiosi non poteva risparmiare il B., largamente responsabile dei molti errori del governo fiorentino; dall'altra la riforma costituzionale del 1502, che attribuiva il gonfalonierato a vita a Pier Soderini, doveva naturalmente scontentare gli ottimati, alcuni dei quali, e tra questi il B., andarono riaccostandosi alla fazione medicea, tanto più che la morte di Piero, nel 1503, veniva a togliere di mezzo il principale ostacolo ad una intesa. Tuttavia i contatti con i Medici si svolsero negli anni seguenti con estrema cautela e sebbene le rinnovate simpatie politiche del B. non fossero ignote in Firenze, e costituissero quindi una sufficiente ragione di tenerlo lontano da compiti di governo, non furono ritenute però così pericolose alla Repubblica da provocare un qualche provvedimento contro di lui, tanto meno il suo allontanamento dalla città.
Anche in questo il Soderini si mostrò imprevidente: quando, infatti, in seguito al sacco dato a Prato dall'esercito ispano-pontificio, e alla conseguente minaccia su Firenze, la posizione del gonfaloniere a vita si fece difficile, il B. certamente non fu estraneo al sommovimento che ne provocò la caduta e riaprì le porte della città al governo dei Medici: un figlio di lui, Benedetto, fu infatti nel numero di quei "giovinastri, tutti di malaffare", secondo l'espressione di Iacopo Guicciardini (Perrens, p. 509), che il 30 agosto dell'anno 1512 diedero l'assalto al palazzo della Signoria. I contemporanei furono concordi nel ritenere che quei "giovinastri" avessero agito "con l'ordine però degli altri macchinatori di lunga mano di tutti questi mali" (Nardi, I, p. 427). Che tra questi fosse anche il B. appare chiaro dal suo immediato ritorno alle responsabilità di governo non appena fu ristabilito in città il governo dei Medici, il 1º sett. 1512. In quello stesso giorno egli fu infatti eletto tra i Venti "sopra la reformatione della città" e, all'ingresso di Giuliano de' Medici, il 16 settembre, tra i Cinquantaquattro "sopra il governo" per il quartiere di S. Maria Novella, come ricorda il Sanuto (Diarii, XV, col. 94). Il B. figurò così tra gli accoppiatori, cui era attribuito il compito di valutare i requisiti dei candidati alle magistrature: compito che egli assolse naturalmente a tutto favore del nuovo regime. Abolita quindi la carica di gonfaloniere a vita, e stabilita la durata del gonfalonierato in un anno, nel novembre del 1512, due mesi appena dopo l'elezione, G. B. Ridolfi vi rinunziò: benché egli fosse stato ostilissimo al Soderini e uno dei principali esponenti degli ottimati, non era tuttavia abbastanza ligio ai Medici. Al suo posto venne eletto il B., a conferma dell'affidamento che su lui facevano i nuovi signori: del resto la scelta del B. fu accolta da un vasto malcontento della cittadinanza, che vedeva così spegnersi, affidata la suprema magistratura ad un uomo come il B., ogni residuo della "libertà" fiorentina.
Nel 1513, eletto al pontificato Leone X, il B. fu nominato nell'ambasceria straordinaria che si recò a Roma per rendergli omaggio e per riaffermargli la fedeltà di Firenze: fu un'ambasceria inconsueta, poiché di solito in simili occasioni non si superava il numero di sei oratori, mentre ora se ne inviarono dodici. Si voleva così celebrare solennemente il Medici "o per essere il primo pontefice di nostra nazione, o vero per essere come padrone e capo della nostra patria" (Nardi, II, p. 27). Ma con quanta sufficienza il pontefice considerasse l'omaggio della sua città, della quale si riteneva l'indiscusso padrone, egli dimostrò assegnando, contro l'uso, il titolo di cavaliere a due soli degli oratori fiorentini, o perché fossero i più anziani, o perché fossero ritenuti i più fedeli: Agnolo Della Stufa e il Buondelmonti. Nello stesso anno il B. fu chiamato a far parte dei Dieci di Balia e negli anni seguenti ricoprì tutte le principali magistrature: fu tre volte tra i Dieci di Balia due volte camerlengo del Comune e nuovamente, nel 1517, gonfaloniere di giustizia. Sempre egli si mostrò un fedelissimo sostenitore dei Medici e il figlio Benedetto poteva ricordare fieramente nel 1531 a Giovan Francesco da Mantova "aver lui sempre corrisposto alla fede si aveva per li nostri padroni in lui".
Ma il B. non fu soltanto un puntuale esecutore: egli viene ricordato anche come uno dei più ostinati sostenitori della trasformazione della preminenza cittadina dei Medici in aperta signoria e pare che fosse tra quelli che nel 1515 confortarono Lorenzo de' Medici nel progetto, poi abbandonato per l'ostilità di Leone X, di farsi signore di Firenze. A questo proposito il Guicciardini ricorda il detto di Alfonso Strozzi, secondo il quale "volendo sanare la città bisognava tagliare la testa all'arcivescovo, al Buondelmonti e altri" (Storie fiorentine, p. 331).
Morì a Firenze nel 1522. Aveva sposato Costanza di Marco Parenti, dalla quale ebbe Caterina, sposata nel 1504 a Simone Rondinelli; Tommaso, nato nel 1475; Benedetto, nato nel 1481 e morto nel 1533; Lorenzo, nato il 7 ag. del 1483; Lucrezia, andata sposa a Migiotto di Bardo Bardi nel 1512; Francesco, nato il 18 maggio 1485.
Fonti e Bibl.: Lettera di Benedetto Buondelmonti a Giovan Francesco da Mantova, a cura di G. Capponi, in Archivio stor. ital., I (1842), p. 469; I. Pitti, Vita di Antonio Giacomini Telvalducci, a cura di G. Monzani, ibid., IV (1853), p. 124; B. Varchi, Storia fiorentina, in Opere, a cura di A. Racheli, I, Trieste 1858, pp. 14, 17; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1888, I, p. 164; II, p. 27; M. Sanuto, Diarii, XV, Venezia 1886, coll. 94, 106, 312; XVI, ibid. 1887, coll. 68, 382; F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, pp. 120, 183 s., 202, 204, 325, 327, 331; Id., Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1936, p. 77; N. Machiavelli, Lettere, acura di F. Gaeta, Milano 1961, p. 57; F-T. Perrens, Histoire de Florence depuis la domination des Médicis jusqu'à la chute de la République (1434-1531), III, Paria 1890, p. 44; P. Litta, Le fam. celebri ital., s.v. Buondelmonti, tav. X.