CAMPERIO, Filippo
Nacque a Lodi il 28 settembre del 1810 da ricca famiglia borghese originaria del Canton Ticino. Il padre Carlo esercitava la professione di avvocato; la famiglia aveva idee democratiche; egli era nipote, per parte della madre Francesca Ciani, di Filippo e Giacomo Ciani, i quali, dopo aver aderito ai principî della Rivoluzione francese, si erano iscritti, dopo la Restaurazione, alla carboneria, per aderire in seguito alla Giovine Italia. Il C. ricevette dunque un'educazione basata su principî democratici; frequentò la scuola di Hofwyl, che seguiva i principi pedagogici di Pestalozzi, e compì buona parte dei suoi studi in Svizzera, maturando si può dire dalla primissima gioventù idee liberali e approdando, almeno per un certo periodo della sua vita, su posizioni sempre più radicali.
I suoi studi continuarono dapprima all'auditorium di filosofia di Ginevra e, dal 1829, presso la facoltà di diritto dell'università di Ginevra; in questo periodo subì profondamente l'influenza delle idee di Pellegrino Rossi, del quale fu non solo allievo, ma seguace ed amico. A questo periodo risale anche l'unica opera del C., dal titolo L'assassinat sera-t-il puni de la peine de mort?, che era poi la sua dissertazione di dottorato, pubblicata a Ginevra nel 1833.
Con essa il C. si inserisce in una polemica allora assai viva negli ambienti colti ginevrini: G. de Sellon si era infatti fatto promotore di una vivace campagna contro la pena di morte ed aveva ottenuto l'appoggio, benché non pieno, anche di Pellegrino Rossi, il quale tuttavia non era così nettamente contrario come il Sellon. Di avviso completamente opposto era invece il C., il quale nella sua dissertazione sosteneva la tesi della legittimità e opportunità di tale estrema pena, nonostante le sue idee politiche.Conseguita la laurea, il C. avrebbe voluto divenire docente ordinario dell'università di Ginevra; egli aspirava anzi a occupare la cattedra di Pellegrino Rossi, il quale era favorevole a tale possibilità; l'amicizia tra i due era del resto molto stretta, favorita anche dalla coabitazione; per cinque anni infatti il C. visse in casa del Rossi, che in quel periodo ospitava pensionanti a causa delle difficoltà economiche in cui, si trovava. Tuttavia, nonostante l'appoggio del suo illustre maestro, risultò per il momento impossibile al C. di raggiungere il suo scopo, sia perché non possedeva la cittadinanza ginevrina, sia, soprattutto, per il sospetto e la diffidenza destati nelle autorità ginevrine dalle sue posizioni politiche. Così, dopo aver tenuto un corso libero di diritto penale nel 1836-37, il C. si ritirò dalla scena culturale ginevrina e per qualche tempo compì dei viaggi.
Nel 1841, tornato a Ginevra, tenne un violento discorso in un'agitata assemblea popolare di protesta contro l'annullamento, da parte del Consiglio rappresentativo, del decreto di soppressione dei conventi emanato dallo Stato di Argovia; di tale decreto egli sostenne la legittimità in base al principio della sovranità cantonale, del quale restò poi un convinto sostenitore. A parte il merito della questione, egli usò in questa occasione di una violenza e veemenza oratoria di cui ci resta una vivace descrizione da parte del Cavour.
Negli anni successivi il C. si legò sempre più strettamente al partito radicale, divenendo uno stretto collaboratore e sostenitore di J. Fazy; cosicché quando nel 1846 questi, in seguito alla vittoria dei radicali, giunse al potere, il C. ottenne subito la cittadinanza ginevrina (1847), che gli era stata in precedenza negata, e venne poco dopo eletto membro del Gran Consiglio. In tale funzione il C. ebbe modo di adoperarsi soprattutto a favore dell'autonomia dei Cantoni e della laicità dello Stato e della scuola. La sua carriera politica essendo ormai saldamente fondata, il C. poté realizzare anche il suo vecchio disegno, divenendo, sempre nel 1847, titolare della cattedra di diritto che era stata del Rossi. Nel 1848 divenne anche giudice della Corte di cassazione; in quell'anno però, scoppiati i moti a Milano, il C., che non aveva mai smesso di interessarsi della questione italiana, accorse e combatté nella prima guerra di indipendenza dapprima come volontario, poi inquadrato nell'esercito regolare sardo col grado di maggiore, partecipando tra l'altro alla battaglia di Sommacampagna.
Al termine della guerra il suo nome era incluso nella lista di 40 patrioti milanesi esclusi dall'amnistia e considerati più pericolosi; egli dovette pertanto tornare nuovamente in Svizzera, dove riprese la carriera politica; nel 1850 venne eletto deputato di Ginevra al Consiglio degli Stati della Confederazione elvetica. Si delinea in questo periodo la rottura col Fazy, accusato di una politica troppo moderata e di cedere alle pressioni esterne perseguitando gli esuli italiani. Nel 1851 la rottura divenne definitiva e il C. aderì al partito indipendente. Nel 1853 il partito radicale fu sconfitto e il C., esponente del partito indipendente, giunse al governo, ottenendo la carica di consigliere di Stato, che mantenne fino al 1855; in tale veste egli fu però costretto ad una politica simile a quella del Fazy, specie nei riguardi degli esuli italiani, alcuni dei quali nel 1855 egli giunse persino a fare arrestare (rilasciandoli però quasi subito), per non compromettersi troppo; ciononostante egli era considerato con grande diffidenza dalle autorità dei paesi interessati alla questione degli esuli e accusato di difenderli ad ogni costo.
Nel 1854 il Fazy fu nuovamente sconfitto alle elezioni; il C., che nel frattempo aveva ricoperto la carica di consigliere amministrativo di Ginevra e di consigliere nazionale, tornò al Consiglio di Stato, del quale venne eletto presidente.
La posizione politica del C. era divenuta però più moderata, pur restando egli sostenitore di una politica di indipendenza dello Stato dalla Chiesa, delle autonomie cantonali, dell'elezione diretta del potere giudiziario. Negli ultimi anni di governo il C. si trovò accusato da un lato di poca fermezza nei riguardi dei socialisti, dall'altro di una politica troppo mediatrice e diplomatica. Lo stesso problema si presentò anche riguardo alle lotte tra operai e datori di lavoro, di fronte alle quali il C. avrebbe voluto mantenere un atteggiamento equidistante e di conciliazione tra le opposte parti, ciò che gli valse l'accusa di debolezza da parte del partito radicale.
Lo scontro maggiore avvenne però circa una questione di politica ecclesiastica: nel 1869 si scatenarono infatti violente lotte confessionali: si chiedeva, da una larga parte dell'opinione pubblica, la soppressione del convento delle carmelitane di Sierne, nonché altri provvedimenti di carattere anticlericale. Il C., da sempre sostenitore della laicità dello Stato, ma da sempre paladino delle libertà individuali, riteneva che fosse giusto togliere alle congregazioni religiose la personalità civile, ma non impedirne l'esistenza, il che avrebbe leso il diritto di associazione che doveva invece essere garantito uguale per tutti; il suo punto di vista non raccolse però molti consensi, come anche scarso successo ebbe la sua proposta di modificare la distribuzione degli arrondissements elettorali fissata dalla costituzione del '47, modifica tendente a favorire la partecipazione delle minoranze alla vita politica.
Sconfitto il partito indipendente nelle elezioni del 1870, il C. si ritirò dalla vita politica e nel 1872, rinunciando a tutte le cariche, si trasferì in Italia, nella villa di Villasanta, presso Monza, dove visse fino alla morte, conducendo una vita ritirata e rifiutando più volte la candidatura alla Camera dei deputati che gli era stata offerta; non intendeva smentire, con la partecipazione alla vita politica in uno Stato monarchico, tutte le sue convinzioni e la sua attività ispirate ai principî repubblicani. Tornò a Ginevra una sola volta nel 1881 per un breve periodo.
Morì a Milano il 31 marzo 1882.
Bibl.: Necr. in L'Ill. Ital., 9 apr. 1881, p. 262; H. Fazy, Ph. C. 1810-1882, Genève 1883; V. Ottolini, La rivoluzione lombarda del 1848 e 1849, Milano 1887, pp. 615-618; F. Gardy, Cinquante ans de notre vie politique, Genève 1897, pp. 10, 23, 35 s.; R. Manzoni, Gli esuli italiani nella Svizzera, Milano 1922, pp. 121-124; M. Avetta, Dall'archivio di un diplomatico, Casale 1924, pp. 150, 213 s.; F. Ruffini, La giovinezza di Cavour, Torino 1937, p. 69; F. Bertoliatti, La censura nel Lombardo-Veneto, in Arch. stor. della Svizzera italiana, XV (1940), 1-2, p. 58; W. E. Rappard, Avènement de la démocratie à Genève, ibid., XVI (1941), pp. 263 s.; G. Ferretti, Gli esuli del Risorgimento in Svizzera, Bologna 1948, pp. 70, 134, 199, 200, s., 308; Nuovo Digesto Italiano, II, p. 715; Dictionnaire historique et biographique de la Suisse, II, Neuchâtel 1924, p. 394.