CAMPILLI, Filippo
Nacque a Spoleto da famiglia di modesto censo probabilmente intorno al 1725. Avviato agli studi di giurisprudenza si perfezionò alla scuola del giurista spoletino Francesco Maria Campello. Il C. stesso ricordava d'essersi distinto in questo periodo, sostenendo a Spoleto alcune dispute pubbliche su argomenti filosofici che si erano tenute in onore di monsignor G. M. Lascaris (vescovo di Zenopoli). Trasferitosi in seguito a Roma per intraprendervi la carriera di funzionario nell'amministrazione pubblica, il C. "servì in questa dai primi anni della gioventù in tutti gli impieghi legali gradatamente avendo cominciato dal più infimo" (Arch. Segr. Vat., Lettere di vesc. 305, f. 982); fu primo e secondo sollecitatore della Camera apostolica e dal 1754 al 1763 vi svolse le mansioni di primo sostituto commissario. Il suo nome fra il 1756 e il 1764 fu annoverato quasi ininterrottamente fra i procuratori di Collegio. Sul finire del 1761 proprio al culmine della carestia che imperversò in tutto l'Agro romano, il C. sostituì Giuliano Rubini nella carica di commissario generale della Camera apostolica e, secondo la consuetudine, divenne membro delle congregazioni della Santa Casa di Loreto e di Avignone; durante il biennio 1763-1764 fu anche segretario della Congregazione del Buon Governo. Nel 1773 subentrò al C. nella carica di commissario generale mons. Giuseppe Giovanardi. Le ragioni di tale brusca destituzione del C. e del suo successivo allontanamento da Roma rimangono tuttora oscure; forse tale rimozione è da attribuirsi a rancori personali più che ad una effettiva necessità di un cambio dei responsabili della finanza pontificia, che pur tendeva in quegli anni ad un prudente svecchiamento. Il C. raggiunse così, suo malgrado, la nuova residenza di Viterbo ove era stato destinato in qualità di governatore sin dall'8 luglio 1771, come successore di mons. Lo Presti. Durante gli anni di governatorato (1773-1781), fra le angustie di una precaria situazione economica che non gli consentiva neppure una "benché tenue spesa", il C. fu incapace di apportare modifiche sostanziali alla deficitaria amministrazione della provincia del Patrimonio, afflitta da continua siccità e carestia, né seppe instaurare distesi rapporti con l'intransigente vescovo, F. A. Pastrovich, e con i suoi diretti governati, dai quali fu "calunniato ed imputato di spirito vendicativo" (Arch. Segr. Vat., Lettere di vesc. 302, ff. 272r-277r).
Nel febbraio 1781 il C., dopo reiterate suppliche al pontefice, ottenne finalmente il permesso di tornare a Roma, ove, in attesa di un nuovo incarico, visse da critico spettatore il momento di apertura liberistica che, pur fra molte contraddizioni, Pio VI andava attuando. Nel 1783 pubblicò a Roma il suo Racconto storico della penuria de' grani accaduta in Italia ed in più provincie del dominio temporale della S. Sede negli anni 1763-1764, approvato da C. Todeschi, ponente della Congregazione del Buon Governo ed anch'egli scrittore di problemi economici.
L'operetta si divide in due parti: nella prima si espone il racconto "della cagione e del principio della penuria dei grani sofferta...; degli ordini dati per la provvista delli grani forestieri e dello Stato; e per impedirne l'estrazione dalle provincie e da Roma" considerata dal C. come massima causa di dispersione e miseria, "e delle caritative disposizioni per alimentare in Roma i poveri forestieri..."; nella seconda parte, più breve, egli tratta le questioni giuridico-amministrative circa il problema della prelazione nella compera dei grani e suggerisce i provvedimenti più opportuni per rendere più fiorente l'agricoltura in tutte le province dello Stato pontificio. Il lavoro, scritto da uno dei protagonisti della politica economico-finanziaria di Roma nel difficile biennio 1763-1764, costituisce anche una fonte utile per ricostruire le motivazioni dell'azione del C. in qualità di commissario generale. Il suo intento è, mediante un'agile e talvolta critica esposizione della linea seguita per risolvere i problemi della carestia, "di servire di norma per apprendere la vera sperimentata maniera di sottrarre i popoli dalla calamità". Tale opera fa, altresì, eco alla nuova politica economica inaugurata in quegli anni da Pio VI, tendente ad allentare le maglie del rigido sistema vincolistico ed annonario (nel 1777 furono aboliti i pedaggi; nel 1782 fu stabilita la libertà del commercio interno dei grani; nel 1783 si cercò con un motu proprio di risvegliare la sonnolenta e poco produttiva agricoltura dei latifondi). Se tali provvedimenti risolsero solo in parte i problemi dello Stato pontificio, tuttavia ebbero il grande merito di riaccendere studi e animate polemiche tra gli economisti romani; accanto a voci consenzienti e aperte (Cacherano di Bricherasio, Fantuzzi, Moltò, ecc.), si colloca l'impostazione del C. e dell'Adonico e la riedizione degli opuscoli del Nuzzi (1702) e del Gabrielli (1718), difensori delle antiche strutture. Il C. infatti, nell'esposizione dei provvedimenti adottati durante la ben nota carestia, pur cogliendone le manchevolezze e la scarsa organicità, rimane tuttavia convinto che con opportuni provvedimenti e controlli la produzione interna di grano avrebbe potuto soddisfare il fabbisogno della popolazione, senza mai mettere in discussione la funzionalità dell'ordinamento annonario, a suo parere sufficientemente mitigato dal sistema delle assegne e delle tratte. In definitiva il C., pur approvando l'opportunità della libera circolazione dei grani all'interno, con il suo Racconto vuol dissuadere da un'eventuale estensione di provvedimenti analoghi anche al commercio estero.
Non si conosce la data della morte, senz'altro posteriore al 1783.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Lettere di vescovi e prelati, 291, ff. 217-220; 295, ff. 28, 31 s., 157r, 158r; 296, ff. 13, 22, 271, 297; 297, ff. 54-58; 298, ff. 63r, 64, 71, 91, 167, 269; 300, ff. 161-181, 280; 301, f. 303; 302, ff. 276 s., 284; 303, ff. 180 s., 206; 304, ff. 116, 246r, 247, 2741 305, ff. 84, 98, 230, 306; 306, ff. 108-110, 112, 123; 308, f. 12; Notizie per l'anno 1754, Roma 1754, p. 296; 1756, p. 292; 1759, pp. 44, 274; 1762, pp. 46, 292; 1763, pp. 46, 294; 1764, pp. 53, 298; 1765, pp. 54, 303; 1766, pp. 47, 54, 305; 1767, pp. 54, 309; 1768, pp. 54, 313; 1769, pp. 55, 306; 1770, pp. 56, 292; 1771, pp. 55, 293; 1772, pp. 58, 295; 1773, pp. 68, 297; F. Marconcini, Le grandi linee della polit. terriera e demogr. di Roma da Gregorio I Magno a Pio IX, Torino s.d., p. 146; A. Canaletti-Gaudenti, La politica agraria ed annonaria dello Stato pontif. da Benedetto XIV a Pio VII, Roma 1947, p. 55; E. Piscitelli, La riforma di Pio VI e gli scrittori economici romani, Milano 1958, pp. 31 s., 36, 185 s., 187; F. Venturi, Elementi e tentativi di riforme nello Stato pontif. nel Settecento, in Rivista storica italiana, LXXV(1963), pp. 788, 807.