CARACCIOLO, Filippo
Nacque a Napoli il 4 marzo 1903 da Nicola dei principi di Castagneto, duca di Melito, e Meralda Mele Barese: laureatosi in scienze sociali e politiche nel luglio 1926 presso l'istituto Cesare Alfieri di Firenze, entrò per concorso nella carriera diplomatica il 15 giugno 1934. Dapprima in servizio al ministero degli Affari Esteri, nel 1937 fu destinato come viceconsole di prima classe ad Ankara, poi nel 1940 come console di terza classe a Basilea, e come console aggiunto a Lugano nel 1942.
In quest'ultima sede cominciò a simpatizzare col movimento politico antifascista "Giustizia e Libertà" che, durante la seconda guerra mondiale, aveva a Lugano uno dei punti di maggiore penetrazione in Italia. Potendo traversare il confine col passaporto diplomatico, il C. riusciva a stabilire e mantenere contatti non solo fra gli aderenti a quella organizzazione clandestina, ma più in generale fra i gruppi antifascisti operanti in Italia e all'estero. Nella seconda metà del 1942 aderiva al Partito d'azione, allora costituitosi.
Tornato stabilmente in Italia al momento dell'armistizio fra l'Italia e le potenze alleate, l'8 sett. 1943, il C. si fermò a Roma, dove, in via della Lungarina 65, aveva una casa che presto sarebbe divenuta clandestino rifugio di antifascisti, come U. La Malfa e R. Bauer. Occupata ben presto la capitale dalle truppe tedesche, su ordine del suo partito il C. si trasferì a Napoli con l'incarico di comunicare ai Comitati di concentrazione antifascista del Mezzogiorno l'avvenuta trasformazione del comitato romano in Comitato centrale di liberazione nazionale, e di predisporre, ove le circostanze lo permettessero, la presa di possesso della città partenopea da parte delle forze antifasciste, precorrendo gli Alleati in procinto di entrarvi e mettendoli di fronte al fatto compiuto. Come delegato del Partito d'azione doveva, inoltre, consolidarne l'organizzazione politica e promuoverne l'ulteriore azione nelle regioni meridionali. Nel frattempo, per effetto della guerra, il Sud rimaneva separato dal resto dell'Italia. Dell'intensa attività politica allora svolta il C. serbò memoria in un diario pubblicato molto più tardi ('43-'44. Diario di Napoli, Firenze 1964), che è utile fonte per la storia delle regioni meridionali dall'armistizio dell'8 settembre alla formazione del primo governo Bonomi (giugno 1944). Sull'argomento il C. aveva già pubblicato, nel 1950, un saggio su Il governo di Salerno (in Il Movimento di liberazione in Italia, n. 7, pp. 3-18).
Nel settembre-ottobre 1943, insieme con B. Croce, R. Craveri, P. Schiano e pochi altri, si adoperò per la costituzione dei "Gruppi combattenti Italia" un corpo autonomo di volontari che, sotto il comando del generale G. Pavone, avrebbe dovuto combattere a fianco degli Alleati contro la Germania. L'iniziativa però fallì, principalmente per l'ostilità del re e di Badoglio, sospettosi dello spirito repubblicano animante la maggior parte dei volontari pronti ad arruolarsi, e per il mancato definitivo appoggio degli Alleati.
Divenuto membro del Comitato esecutivo del Partito d'azione nel Mezzogiorno, il C. prese parte al primo convegno delle sezioni meridionali del partito, tenutosi a Napoli dal 18 al 20 dic. 1943, in vista dell'apertura a Bari del congresso dei Comitati di liberazione nazionale dell'Italia liberata. Di fronte alla tesi intransigente di invitare il congresso a proclamarsi costituente rivoluzionaria, prevalse la sua proposta di chiedere l'immediata abdicazione di Vittorio Emanuele III e del principe ereditario con la costituzione di una reggenza civile e di un governo straordinario dei partiti antifascisti, dotato di poteri costituzionali (richiesta che, in quest'ultima parte, corrispondeva all'ordine del giorno approvato a Roma il 16 ott. 1943 dal Comitato centrale di liberazione nazionale).
Con la cosiddetta "svolta" di Salerno ossia con la proposta di P. Togliatti, segretario generale del partito comunista allora rientrato in Italia dall'U.R.S.S., di accantonare provvisoriamente la questione istituzionale per dare la precedenza alla lotta antinazista, e costituire quindi un governo di unità nazionale, presieduto ugualmente da Badoglio, con la partecipazione di tutti i partiti antifascisti, le discussioni nel Partito d'azione sull'ingresso in un siffatto governo divennero drammatiche. Alla fine, nelle riunioni della direzione napoletana, fu accolta, con un solo voto di maggioranza, la proposta di A. Tarchiani e del C. di partecipare al governo. Così, mentre Tarchiani assunse il ministero dei Lavori Pubblici e A. Omodeo quello della Pubblica Istruzione, il C. venne nominato sottosegretario agli Interni. Gli organi direttivi del partito dell'Italia occupata decretarono però che la partecipazione dei tre uomini appartenenti al Partito d'azione al terzo governo Badoglio avveniva a semplice titolo personale, senza impegnare il partito.
Al congresso di Cosenza del 5-7 ag. 1944 (i cui atti andarono perduti), dove presentò una relazione sullo statuto che il partito avrebbe dovuto darsi, il C. venne eletto membro del Comitato esecutivo per la minoranza. Dopo il congresso, tenutosi a Roma dal 4 all'8 febbr. 1946 - che segnò praticamente la fine del Partito d'azione - egli confluì nel raggruppamento di "Democrazia repubblicana", insieme con Parri, La Malfa, Bauer, Salvatorelli, Vinciguerra e altri; ma a partire da questo momento abbandonò la politica attiva.
Proseguiva intanto nella carriera diplomatica. Col grado di primo segretario di legazione di seconda classe prestò servizio dapprima presso la direzione generale degli affari economici al ministero degli Esteri, poi dal 1950 presso la segreteria generale del Consiglio d'Europa a Strasburgo. Infine rassegnò le dimissioni, cessando la carriera a partire dal 10 gennaio del 1954.
Il C. era stato nominato, con decreto legge del 6 nov. 1944, commissario straordinario dell'Automobile Club d'Italia (ACI); ne era poi stato eletto presidente nel 1951, e la carica gli fu sempre confermata nelle elezioni triennali. Seppe risanare il bilancio dell'ente, caduto in abbandono per la guerra, accrescerne il numero dei soci, riorganizzarne in senso democratico la vita e il funzionamento, valorizzarne le attribuzioni. Fu anche presidente della Federazione internazionale dell'automobile, presidente della SARA (società di assicurazioni dell'ACI), direttore de L'Automobile (settimanale dello ACI), consigliere di amministrazione della Società Autostrade. Fu inoltre presidente dell'Associazione nazionale "Italia Nostra", e diresse o prese parte a numerose iniziative industriali nel settore dei lavori pubblici.
La sua costante passione per la letteratura si tradusse in opere poetiche e narrative, quali: Le voci 1930-1936. Poesie, Modena 1940; Il passaggio d'Irene, ibid. 1940 (ambedue pubblicate con lo pseudonimo di Filippo Urania); Il trionfo della voluttà, ibid. 1948; Il trionfo della castità, ibid. 1949; Il trionfo dell'amore, ibid. 1951; Il vivaio, Firenze 1961.
Morì a Roma il 16 luglio 1965.
Fonti e Bibl.: B. Croce, Quando l'Italia era tagliata in due... (1943-1944), Bari 1948, pp. 22, 45, 47 (rist. in Scritti e discorsi polit. [luglio 1943 giugno 1944], Bari 1963); Una lotta nel suo corso. Lettere e documenti polit. e militari della Resistenza e della Liberazione, a cura di S. Contini Bonacossi-L. Ragghianti Collobi, Venezia 1954, pp. 77 n. 209, 209-10 n.; C. Pavone, I gruppi combattenti Italia. Un fallito tentativo di costituz. di un corpo volontari nell'Italia meridionale (settembre-ottobre 1943), in Il Movimento di liberaz. in Italia, 1955, n. 34-35, pp. 80-119; C. L. Ragghianti, Disegno della liberaz. italiana, Pisa 1962, p. 353; L'Automobile, XXI (1965), nn. 30-31; P. Schiano La Resistenza nel Napoletano, Napoli-Foggia-Bari 1965, passim; E. Lussu, Il partito d'azione e gli altri. Note critiche, Milano 1968, passim; L. Valiani-G. Bianchi-E. Ragionieri, Azionisti cattolicie comunisti nella Resistenza, Milano 1971, pp. 14, 101, 108.