CAVAGNI, Filippo (Filippo da Lavagna)
Nacque da Giacomo nella prima metà del sec. XV.
Le fonti (documenti ufficiali, atti notarili, gli stessi colophon delle sue edizioni) indicano quasi sempre il C. come Filippo Lavagna o di Lavagna ed aggiungono talvolta la qualifica di “civis Mediolanensis”. Il cognome, che per i congiunti è attestato con frequenza, talora accompagnato dalla specificazione “dictus de Lavagnia”, era Cavagni, latinizzato negli atti in “de Cavanis”, “de Cavagnis”, Lavagna era dunque il luogo d’origine della famiglia: non si tratta, contrariamente a quanto qualche studioso sostenne nel sec. XIX, senza però poter addurre prove documentarie, del comune situato sulla Riviera ligure di Levante, ma, come appare probabile a seguito delle ricerche del Motta (1898), dell’omonimo borgo del Lodigiano, ricordato a partire dal X secolo ed oggi frazione del comune di Comazzo (prov. di Milano). Nulla sappiamo degli anni della formazione del C.; in quanto al padre, oltre al nome, si sa solo che risultava già deceduto il 26 sett. 1472. Notizie sui suoi più prossimi congiunti si ricavano dal testamento di uno dei suoi fratelli, Ambrogio, rogato dal notaio milanese Antonio Zunico in data 13 giugno 1487 (cfr. Motta, 1898, pp. 31-34).
Probabilmente in ancor giovane età, il C. fu coinvolto nell’omicidio di un certo Giovanni Grassi: una grida del 15 maggio 1465 lo considera colpevole in complicità con Bartolomeo (Bartolo) Della Fiore. Costretto all’esilio, egli rimase quattro anni fuori del ducato di Milano; solo l’8 dic. 1469 veniva rogato dal notaio Antonio Zunico l’atto di pacificazione tra la famiglia dell’ucciso e il C., in seguito al quale egli poteva chiedere il perdono a Galeazzo Maria Sforza. Il 16 dic. 1469 il duca accoglieva la richiesta e, considerato che “Filippum ipsum aliqualem pro huiusmodi delicto poenitentiam egisse ex diutino exilio, quo a dicione nostra absens stetit”, revocava il bando, lo perdonava e lo reintegrava nei suoi onori e diritti.
Non pare credibile, quindi, che il C. potesse svolgere attività tipografiche a Milano nel corso del 1469. Il volume dal titolo Alchuni miraculi de la gloriosa Verzene Maria, che il colophon dice da lui finito di stampare il 19 maggio 1469, dovrà essere considerato più tardo, probabilmente di un decennio. Infatti la data che risulta dal colophon può essere frutto di errore materiale; inoltre l’uso della segnatura per individuare i quinterni di cui è composto il volume, sorprendente se riportato al 1469, dato anche che non compare più in opere sicuramente stampate dal C. nel 1472-73 e che è accertato che fu introdotto nei libri a stampa a Colonia nel 1472, diviene del tutto naturale per un volume del 1479. Dalle fonti non ci è possibile stabilire né quando né perché il C. decidesse di dedicarsi all’arte tipografica.
È pura ipotesi – non sorretta da documenti e fondata sull’erroneo assunto che nel 1472 potesse esistere a Milano una sola tipografia – quella del Nai (pp. 573 s.), secondo la quale il C. sarebbe subentrato, come collaboratore di Panfilo Castaldi, ad Antonio Zarotto, che profondi dissapori avrebbero finito per dividere dal maestro.
L’edizione, di 300 copie, delle Epistolae ad familiares di Cicerone, che il C. pubblicò in data 25 marzo 1472, è quasi certamente la prima da lui stampata. Dal colophon egli ci appare unico responsabile delle decisioni editoriali, ben consapevole della necessità di caratterizzare il suo prodotto per affermarsi sul mercato, non alieno dalla critica dura e priva di riguardi verso iniziative consimili. Prima ancora di aver terminato l’edizione delle Epistolae ad familiares, il C., in data 4 genn. 1472, s’impegnava (atto del notaio Giovanni Battista Vailati di Pavia) con Giammatteo Ferrari da Grado, “medicinae doctor... physicusque ducalis”, professore all’università di Pavia, a fornirgli entro aprile 100 copie “ad stampum... illius operi in medicina Expositiones et ampliationes super nono Almansoris”, compilata “per ipsum magistrum Johannem Matheum”. Il compenso per ciascuna copia sarebbe stato determinato dal medico Giovanni Antonio da Monza in qualità di arbitro e non avrebbe potuto essere inferiore a cinque né superiore a sette ducati.
Il C. non rispettò l’impegno, non si sa per quali precisi motivi: ancora agli inizi dell’ottobre 1472 non aveva inviato a Pavia le copie promesse. Ne nacquero attriti e discussioni con il committente, cui pose fine la transazione raggiunta con la mediazione dell’arbitro indicato dal contratto e attestata dal notaio Vailati con atto del 29 ott. 1472, per la quale, tra l’altro, il C. s’impegnava a consegnare 125 copie dell’opera in luogo delle 100 precedentemente pattuite. Per la pubblicazione il lavoro fu diviso in due parti, che furono consegnate separatamente, la prima in novembre e la seconda in dicembre. Né l’una né l’altra recano indicazione del luogo di stampa, o del nome del tipografo.
Il 26 sett. 1472 il C. stipulava un contratto (rogante sempre il notaio Zunico) con il medico Giovanni Antonio Terzago e con Biagio Terzago, per costituire una società allo scopo di pubblicare l’opera famosa di Avicenna, Canon de Medicina, nella traduzione latina di Gerardo da Cremona, in una tiratura di 400 esemplari.
I Terzago si impegnavano a fornire la carta necessaria, a pagare le spese, salvo quelle di miniatura e di legatura, fino all’ammontare di 630 lire imperiali e ad anticipare al C., sull’utile preventivato, 124 lire imperiali. A sua volta il C., che nel contratto viene designato “magister stampendi libros”, era tenuto a lavorare “singulis diebus et horis, debitis et consuetis” a tre torchi, insieme con i suoi operai, a partire dal 20 ottobre, per ultimare l’edizione entro 3 mesi e mezzo e doveva consegnare ai Terzago giorno per giorno i quinterni che a mano a mano veniva stampando. I patti furono rispettati; la editio princeps del Canon de Medicina, tre volumi in folio stampati su due colonne con carattere romano tondo, uscì con la data 12 febbr. 1473. Nel colophon del secondo volume, il C. si presenta “huius artis stampandi in hac urbe [Milano] primus lator et inventor”. “Singulière vantardise” la dice il Fumagalli (p. 215), ed in effetti nulla di quanto attualmente sappiamo conferma ciò che il C. dichiara; è però forse prudente ammettere con Scholderer (p. XXI) che qualche rapporto del C. con Galeazzo, Crivelli o con Antonio Planella – i quali, separatamente, nel 1469-70 tentarono senza successo di introdurre a Milano la nuova arte della stampa – possa suffragare la sua tanto netta affermazione.
Il 6 ag. 1473 veniva costituita una società a scopo tipografico-editoriale tra il C., l’umanista Nicola Capponi detto Cola Montano e il tipografo di Ratisbona Cristoforo Valdarfer, già attivo a Venezia nel 1470 e di là trasferitosi a Milano per evitare la concorrenza di Nicolas Jenson e Giovanni da Spira. Si prevedeva una durata di sei mesi “incipiendo ab illa die in qua coeptum fuerit imprimi vel stampari”; il Valdarfer avrebbe svolto il lavoro tipografico propriamente detto, mentre agli altri due sarebbe toccato il ruolo di editori. Non si hanno frutti certi della collaborazione dei tre, tanto che alcuni studiosi propendono per l’ipotesi che nulla di concreto sia seguito al contratto del 6 ag. 1473. È tuttavia probabile che i soci abbiano stampato almeno un’opera, il De partibus orationis ex Prisciano compendium del Trapezunzio, pubblicata a Milano (senza indicazione del tipografo) il 2 febbr. 1474; si tratta infatti di un’opera in forma di lettera indirizzata a Cola Montano ed è stampata proprio “de litteris antiquis”, il carattere romano tondo che il Valdarfer si era impegnato ad usare in esclusiva per la società. Non si sa neppure se allo spirare dei sei mesi il contratto sia stato rinnovato o non abbia invece avuto più seguito.
Nel corso del 1474 il C. pubblicò anche, il 14 giugno, un’edizione delle Opere di Virgilio curata da Bonino Mombrizio e, il 13 ottobre, il commento di Offredo Apollinare al De anima di Aristotele. Cessato il rapporto con il Montano, il C. ottenne la collaborazione in qualità di correttore di Bonaccorso da Pisa, altro umanista noto nell’ambiente milanese.
Un primo atto (rogato il 6 dic. 1474 dal già ripetutamente menzionato notaio Zunico) impegna Bonaccorso a procurare “ad omnem requisitionem” del C. un manoscritto corretto “unius libri appelati Sunctum [forse, come intende Scholderer, Suetonium] etc... Item unam copiam... libri appelati Sparziani et copiam unam... alterius libri nuncupati Eutropii” affinché “dictus filippus magister stampandi libros possit ipsos libros transcribi facere et deinde de similibus libris stampare”. Un nuovo patto intercorse tra i due il 9 marzo 1475. Con esso la loro collaborazione divenne continuo rapporto di lavoro: a partire dal 1º apr. 1475, per la durata di un anno, Bonaccorso avrebbe, dovuto correggere tutti i libri che sarebbero stati stampati dai tre torchi del C., ricevendo un compenso di 240 lire imperiali annue da pagarsi in quattro rate trimestrali uguali.
Nel corso del 1475 l’attività del C. fu intensa: uscirono il 18 marzo il De variis loquendi regulis di Agostino Dato, il 5 giugno le Metamorfosi di Ovidio, il 27 dello stesso mese, il Compendium Elegantiarum Laurentii Vallae dello stesso Bonaccorso. Rispettivamente il 20 luglio ed il 22 dicembre furono pronte le due parti del volume in folio contenente gli Scriptores Historiae Augustae, in particolare Svetonio, Sparziano ed Eutropio; nel giro di un anno, cioè, fu stampato il volume cui si riferisce il contratto tra Bonaccorso e il C. del 6 dic. 1474. Dopo il 1475 l’attività del C. come tipografo si andò fortemente riducendo. Tuttavia in una lettera scritta a Pavia il 2 ott. 1478 da un certo Giovanni Maria Carnevalario a un cancelliere dei maestri delle Entrate ordinarie ducali il C. figura “maestro” del famoso tipografo pavese Antonio Carcano.
La sua attività di editore, che si giovava dell’opera di altri stampatori, continuò invece senza soste e ci è testimoniata non solo da vari colophon delle opere uscite “opera et impensis” o “sumptibus et industria Philippi Lavagniae civis Mediolanensis”, ma anche da un contratto del 16 genn. 1477 tra il C. e il Valdarfer. Il primo s'impegna a fornire la carta per la pubblicazione di 425 copie (ciascuna di 100 pagine) dell’opera di Ludovico Pontano, Singularia iuris. Il secondo si impegna a stamparla nello spazio di due mesi e mezzo per la somma di 106 lire imperiali. L’edizione fu pronta il 2 maggio 1477; il C. ed il Valdarfer si scambiarono una settimana dopo le quietanze, che ci sono rimaste e testimoniano la mutua soddisfazione per l’esecuzione dell’accordo. Il 24 marzo 1479 il C., con tutta probabilità ancora come tipografo, stampò il suo unico libro illustrato, la Sommola di pacifica coscienza di fra’ Pacifico da Novara, in una edizione a cura di Gabriele Brebia. La ornano tre incisioni in rame che sono le più antiche (almeno fra quelle con data sicura) che si conoscano stampate a Milano. Nel 1480 “uno suo famiglio chiamato Guglielmo Marchesi”, originario del Monferrato, incaricato dal C. di vender libri nel territorio del marchese di Saluzzo, si ritirò a Carmagnola senza aver dato rendiconto, né, presumibilmente, denaro al tipografo, il quale si trovò costretto ad indirizzare una supplica al duca di Milano perché volesse chiedere per lui al marchese di Saluzzo di rendergli giustizia. Il duca di Milano intervenne con una lettera del 4 ott. 1480, ma si ignora come la faccenda si sia conclusa.
Del 1490 è l’ultima opera pubblicata dal C., i due tomi dei Consilia di Andrea Barbazza curati da Giovanni Battista Bossi, per i quali ottenne il privilegio ducale di stampa il 21 luglio. La pars prima “fuit impressa Mediolani die quarto octobris Mcccclxxxx”, dice il colophon; la seconda fu terminata il 22 settembre.
Dalle poche notizie che ci restano non pare che la situazione economica del C. in questo periodo fosse brillante. Dello stesso 1490 (15 marzo e 26 maggio) sono sue dichiarazioni di debito, rogate dal notaio Simone da Sovico, verso certo Sigismondo da Vimercate, dalle quali si può anche concludere che egli esercitasse, almeno in questo lasso di tempo, il commercio della seta. Più importante è il contratto del 1º luglio 1490 col libraio ed editore Pier Antonio Castiglione, per il quale, in sostanza, egli diveniva dipendente di questo nella sua attività editoriale, con un salario di quattro ducati al mese. Il C. s’impegnava, infatti, a vendere i libri di proprietà del libraio ai prezzi minutamente fissati nel primo paragrafo del contratto, non solo a Milano, ma “andando a Lione, a Venecia et dove sarà necessario per vendere, et baratare”. Il ricavato doveva essere consegnato al Castiglione: nella sua qualità di “capsere”, il C. non poteva né trattenerli né in alcun modo disporne senza autorizzazione. Non godeva cioè neppure della posizione di impiegato di fiducia. Con lo scadere dei quattro mesi dalla conclusione del contratto, il C. avrebbe perduto il diritto di vendere o stampare libri propri, con la sola eccezione dei Consilia del Barbazza; l’inadempienza di questa clausola avrebbe comportato ipso facto la rescissione del contratto.
Dopo il 1490 il C. rientrò nell’ombra. Figura ancora vivo, e residente nel quartiere di Porta Orientale, parrocchia di S. Stefano in Nosiggia, in un atto del 4 ott. 1499 riguardante rapporti patrimoniali intrafamiliari, non attività commerciale. Non si sa né quando né dove il C. morì: probabilmente non a Milano, visto che il necrologio milanese, che pure ricorda la scomparsa di altri tipografi coevi, non ne fa menzione.
Fonti e Bibl.: I documenti relativi al C. fin qui studiati e pubbl. si trovano presso l’Arch. di Stato di Milano, Archivio notarile e Carteggio generale sforzesco. Per l’elenco delle edizioni del C. si veda K. Burger, Index…, in W. A. Copinger, Supplement to Hain’s Rep. Bibl., II, p. 465. Si confrontino inoltre: G. A. Sassi, Historia literaria-typographica Mediolan. ab anno MCDLXV a annum MD, in F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanens., I, Mediolani 1745, p. XCVII; N. Giuliani, Notizie sulla tipogr. ligure sino a tutto il secolo XVI, in Atti della Soc. ligure di storia patria, IX (1869), pp. 13-24; F. Berlan, L’introduzione della stampa in Milano..., Venezia 1884; E. Motta, Filippo di Lavagna omicida?, in Il Bibliofilo, VII (1886), 4, pp. 5962; Id., Di F. di Lavagna e di alcuni altri tipografi-editori milanesi del Quattrocento, in Archivio storico lomb., s. 3, X (1898), pp. 28-72; P. Nai, I primi quattro tipografi di Milano: Castaldi, Zarotto, Lavagna, Valdarfer, in Arch. stor. lomb. s. 7, I (1934), pp. 569-594; C. Santoro, Gli inizi dell’arte della stampa, in St. di Milano, VII, Milano 1956, pp. 875 s.; Id., L’arte della st. a Milano, Milano 1967, pp. 12-17; G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae, Florence 1905, p. 215; K. Haebler, Die deutschen Buchdrucker des XV Jahrhundert im Auslande, München 1924, pp. 42-45; V. Scholderer, Introduction al Catalogue of books printed in the XVth century now in the British Museum, VI, London 1930, pp. XX-XXII.