CAVOLINI, Filippo
Nacque a Napoli l'8 apr. 1756 da Nicola, avvocato, e Angela Aurigemma. Completata l'istruzione primaria alla scuola dei maestri che fiorivano nella Napoli di metà Settecento - gli umanisti G. Martorelli e G. B. Vico, il matematico G. Mazzucchi, i naturalisti e anatomici D. Cirillo, D. Cotugno e B. Amantea -, fu dal padre avviato agli studi legali. Ma all'avvocatura si dedicò poco; pubblicò a Napoli nel 1779 un'opera di filosofia del diritto, Progymnasma in veterum iureconsultorum philosophiam. Quando, intorno al 1780, il padre morì, più libero di seguire la ricerca naturalistica, alla quale si sentiva portato, il C. costruì un laboratorio ove raccogliere ed esaminare il ricco materiale zoologico e fitologico che il mare e le terre di Napoli offrivano. A tal fine dotò di libri e attrezzature scientifiche una villa sul mare, sotto Posillipo.
Nel 1778 esordì contemporaneamente in botanica e in zoologia; pubblicò a Milano la Memoria per servire alla storia compiuta del fico e della caprificazione, ove espose precise osservazioni da lui compiute sull'anatomia fiorale delle piante di fico e caprifico, rettificando anche i caratteri assegnati dal Linneo a queste specie; ne descrisse minutamente la fecondazione che avviene a mezzo di due insetti pronubi, l'Ichneumon psenes nero e l'Ichneumon ficarius rosso. La correttezza e ricchezza descrittive di questo studio sono tali che F. Fontana e il botanico A. Zuccagni chiesero al C. l'invio di disegni di fiori e frutti di fico e caprifico per riprodurli in cera per il famoso museo fiorentino de "La Specola". Nello stesso 1778 il C. dette alle stampe a Milano la Memoria sopra il pulce acquaiolo, che già mostra i segni dell'originalità caratteristica di tutto il suo lavoro.
In essa, staccandosi da un costume alquanto diffuso tra i naturalisti suoi contemporanei, egli non si accontenta di osservare e descrivere strutture e organi - "ché, se ciò avessi fatto [come scriverà più tardi in Animali molluschi...], non avrei altro eseguito che una storia di voci, ossia non avrei che proposto l'Abbiccì di sì gran libro, della Natura che tuttavia ci rimane ad interpretare" -, ma esamina l'esterno e l'interno delle parti organiche per intenderne il "meccanismo". Del pulce acquaiolo egli studia la funzione cardiaca, la riproduzione e la digestione, collegando il tipo di apparato boccale al tipo di stomaco, dopo averlo sezionato per scoprirvi internamente residui solidi.
Questo modo di fare scienza, dinamico e dunque fisiologico quando è applicato agli organismi, lo avvicina a scienziati come F. X. Bichat, L. Spallanzani, Ch. Bonnet ed A. Haller, con le opere dei quali - in particolare degli ultimi tre - egli confronta le sue.
I successivi lavori dedicati alla zoologia sono: le Memorie per servire alla storia dei polipi marini, del 1785, la Memoria sulla generazione dei pesci e dei granchi, del 1787, quella postuma ancora sugli Animali molluschi indigeni o esotici del cratere napolitano, da considerare un completamento della prima qui citata, e, infine l'Appendice sulla generazione dei pesci cartilaginosi, ossiano amfibi respiranti per mezzo delle branchie al modo dei pesci spinosi.
Con la memoria sui polipi, il C. entra in un campo allora sostanzialmente inesplorato dai naturalisti: si erano occupati, parzialmente, di coralli il Marsili, V. Donati, J. Ellis ed, in una lettera al Bonnet, anche L. Spallanzani. Difficoltà e disagi nell'osservazione accanto ad un certo disdegno nel trattare creature che si presumevano di infima organizzazione avevano scoraggiato la ricerca. Il C. entra in questo campo di studi con l'entusiasmo dell'esploratore, spinto anche dal ricordo delle esemplari esperienze sull'idra d'acqua dolce condotte da A. Trembley nel 1740.Descrive accuratamente luoghi e condizioni di esistenza di Gorgonie, Madrepore, Sertolare, Tubolare, Pennatole, Alcioni e Spugne; ne osserva la nutrizione, la riproduzione, la struttura scheletrica e quella "molle"; riferisce su esperienze eseguite per rivelare eventuali capacità rigenerative in varie parti del, corpo e, finanche, per mettere in luce possibilità di innesto tra rami di uno stesso organismo, come pure l'esistenza di una polarità assile. Solo nel 1725,dopo tante controversie sulla natura dei coralli - ancora nel 1699 F. Imperato e, nel 1725,Marsili li definivano vegetali - J. A. Peysonnel ne aveva rivelato le caratteristiche animali. Di fronte ad un ramo di Gorgonia il C. non dubita che si tratti di un unico animale, non già di una colonia: animale con cento bocche (ché tali sono ritenuti i singoli, minuti polipi) e dunque voracissimo, non di pezzi solidi isolati, ma di sostanze disperse nell'acqua. Da questo fatto e, dall'esser piantato nel terreno con poche possibilità di movimento, il C. deduce essere questo tipo di vivente un "plantanimale". Nella struttura di polipi e coralli egli cerca una correlazione con la struttura delle piante: le ossa e lo scheletro duro di quelli corrisponderebbero al libro di queste. Ecco apparire il secondo motivo dell'interesse che il C. portava a questo grande gruppo di animali, detti allora genericamente vermi e accomunati sostanzialmente dalla poca conoscenza che se ne aveva: la natura discende per passi, e tutti gli esseri viventi costituiscono gli anelli di una catena. Più facile è cogliere le parentele o, meglio, le somiglianze ove l'organizzazione animale si semplifica a tal punto che le differenze tra i due regni sembrano scomparire.
Nel Discorso sulla fisiologia dei Plantanimali, che conclude il lavoro sui polipi marini, il C. chiarisce la sua posizione. Si professa scienziato ed osservatore, non guidato da preconcetti, ché, "nelle cose naturali tanto sappiamo quanto possiamo osservare; perché ogni cosa esiste da sé ed ha la sua ragione intrinseca di esistere posta oltre la penetrazione del nostro intendimento" (p. 221); mostra fastidio per le costruzioni del Bonnet della Palingenesi e contesta alcune dichiarazioni dello Haller nella sua Fisiologia. Ma egli subisce poi tanto il fascino della teoria della "chaine des étres" da usarla spesso quale premessa concettuale da cui muovere la ricerca sperimentale, anziché sostenerla con prove sperimentali.
È soprattutto nelle modalità di riproduzione animale che il C. cerca il criterio valido a sistemare ogni essere nel suo posto della catena. Nel lavoro sul pulce acquaiolo afferma: "da tale proprietà intanto - cioè dal modo di riprodursi, senza ganna - e dalla fabbrica del corpo, conchiuderemo che il nostro monoculo deve reputarsi mezzano tra la classe degli insetti e quella dei vermi". E più avanti: "è un pregiudizio credere che per la riproduzione delle specie sia di bisogno il concorso di due individui...". "Forse la Natura avrà voluto l'accoppiamento negli animali perfetti per legarli con vincolo strettissiano, ma oltre all'essere questo un principio morale e non fisico agli animali imperfetti non è applicabile" (p. 8). Altrove conferma: "Quale ragione si può di ciò [del concorso dello sperma nella riproduzione] assegnare a priori? Certo che non sapreitrovarlo. La ragione morale, cioè che la Natura così ha provveduto per collegare gli animali e mantenere così quell'ordine relativo agli altri corpi naturali, mi pare una ragione da potersi ammettere" (p. 84).
Il seme maschile, secondo gli "ovisti" avrebbe avuto una funzione stimolatrice e nutritiva. Nelle classi inferiori, afferma il C., tutti gli individui sono "madri", cioè producono uova feconde, così come egli aveva visto nei polipi e nei vermi "più imperfetti", mentre poi, in altri vermi, i due sessi coesistono nell'individuo, finché negli insetti la "Natura comincia a disobbligarsi della funzione" del maschio. Similmente avviene nei vegetali. Il C. sembra più preoccupato di stabilire la gradazione delle modalità riproduttive che di affrontare il'problema della funzione spermatica.
Era difficile, per il biologo del sec. XVIII, assumere una posizione chiara al riguardo. Non lo permettevano ancora osservazioni dirette e negativa influenza avevano i pregiudizi di cui erano permeate le ipotesi di lavoro. Era ormai universalmente accettato il principio che tutti i viventi nascono da un uovo, anche i vivipari, ma si trattava di chiarire se nell'uovo fosse presente fin dall'inizio l'abbozzo dell'embrione, che avrebbe dovuto solamente svilupparsi nella forma adulta, oppure se la sostanza dell'uovo fosse omogenea e indifferenziata e l'organismo si costruisse ex novo. La prima ipotesi derivava da una visione creazionista della vita, la seconda da una fede nella forza generatrice della natura che preludeva a un vitalismo naturalistico: Il preformismo era adottato da scienziati di convinzioni religiose che vedevano restituita a Dio la creazione universale e rifiutavano sia la generatio aequivoca sia la gamia. La partecipazione del seme maschile, con la novità che portava nella costruzione dell'organismo, sembrava sconvolgere il piano creativo iniziale. Ma il preformismo, portato alle estreme conseguenze, aveva generato la teoria dell'"emboîtement des germes" che anche il Bonnet aveva accettato, dopo aver verificato con le classiche esperienze sulla partenogenesi degli Afidi il ruolo primario delle uova nella riproduzione. Ovista era anche Spallanzani, che dalle ricerche sulla generazione degli Anfibi aveva dedotto l'indispensabilità, ma non la partecipazione, dello sperma alla formazione del nuovo individuo. L'autorevole giudizio dello Spallanzani non incoraggiava certo il C. a proporre interpretazioni diverse, tanto più che tra i due vi fu diretta corrispondenza.
Nel 1785 lo Spallanzani risposeal C. ringraziandolo per l'invio della Memoria per servire alla storia dei polipi marini e accennando alla conferma data dal C. ai risultati di certe sue scoperte. Nel 1790 in altra lettera lodò le ricerche del C. sulla generazione dei granchi e assicurò che ne avrebbe parlato nelle lezioni. Infatti il C. aveva lavorato sperimentalmente con ottimi risultati sulla generazione dei granchi e dei pesci che, avendo fecondazione esterna, permettono una migliore osservazione del fenomeno. Nella relativa memoria e nell'appendice, pubblicata postuma, egli offre un notevole contributo alla conoscenza delle modalità riproduttive e di tutta la biologia dei Teleostei, aggiungendovi osservazioni su Lacerta, Triton, Scyllum e Petromyzon; confermò ed allargò il concetto di fecondazione esterna a tutti i pesci "spinosi", come lo Swammerdamm, il Rabell e lo stesso Spallanzani avevano fatto contro il credo linneano: esemplare è la ricerca eseguita per chiarire il fenomeno dell'ermafroditismo, che il C. esclude per molti dei casi citati da autori antichi e contemporanei, e che limita a due specie osservate dei generi Perca e Canna. In esse egli riferì di aver osservato durante tre stagioni un ermafroditismo vero, nel senso di una contemporanea maturazione di uova e spermatozoi sullo stesso individuo.
A questa mole di indagini si aggiungono note, originali su alcuni Crostacei parassiti di Selaci, sulle spermatoforé di Sepia, sul parassitismo di Rizocefali e Isopodi nonché quelle sulle piante ma in e sulla fruttificazione del carrubo. Il C. divenne noto in Italia e all'estero, mantenendo corrispondenza col Bonnet, con lo Spallanzani, con P. S. Pallas, con A. Olivi, e come membro di numerose accademie, quali la Linneana di Londra, l'Accademia reale delle scienze di Torino, l'Accademia dei Georgofili. Nel 1808venne nominato, per benemerenze, membro dell'Accademia delle scienze di Napoli ed invitato ad insegnare in quella università le "teorie generali della storia naturale dimostrate con le osservazioni". Diede il suo nome, la sua opera ed il suo contributo finanziario al collegio di S. Ivo a Napoli per giovani poveri ed abbandonati. Al suo nome fu dedicata una famiglia di Pteropodi, le Cavolinidae.
Durante una spedizione in barca alla ricerca di zoofiti ebbe un contrasto con un soldato che lo aggredì e lo fece cadere in mare; si salvò dall'annegamento ma morì a Napoli il 15 marzo 1810 per la malattia causata da questo incidente.
Tutte le opere del C. citate ed altre ancora, ad eccezione, di Progymnasma..., sono nel volume Opere di F. Cavolini, Napoli 1910 pubblicato a cura della Società dei naturalisti in Napoli, nel quadro delle manifestazioni indette per il centenario della sua morte. Le opere postume furono tratte da F. Cavolini, Memorie postume, a cura di S. Delle Chiaie, Benevento 1833.
Fonti e Bibl.: Necrol., in Atti d. Ist. di incoraggiam. alle scienze, III(1821), p. 315; parte dell'epistolario del C. è riportato in Opere..., cit.; per la corrispondenza con L. Spallanzani cfr. anche Epist. di L. Spallanzani, a cura di B. Biagi, Firenze 1959, ad Indicem; D. Vaccolini, F. C., in E. De Tipaldo, Biografie d. Italiani ill., III, Venezia 1836, pp. 377 s.; S. De Renzi, Storia della medicina ital., V,Napoli 1848, pp. 142, 162; Catal. of Scientific Papers of the Royal Soc. in London, London 1867, I, p. 848; E. Pritzel, Thesaurus literaturae botanicae, Lipsiae 1872, p. 59; P. A. Saccardo, La botanica in Italia, Venezia 1895, I, p. 48; L. Camerano, F. C. ed i suoi concetti di filosofia naturale, in Boll. dei Musei di zool. ed anat. comp. di Torino, XXV(1910), pp. 1-11; T. Monticelli, Vita di Ph. Caulini, Napoli 1912; Un secolo di progresso scient. italiano, 1839-1939, Roma 1939, IV, p. 13; F. C., in Il Lavoro fascista, 6 marzo 1941; N. Abbagnano, Storia della scienza, Torino 1962, III, 1, pp.268 ss. Per una conoscenza gen. dei temi trattati dal C. - riproduzione, gamia, rigenerazione, epigenesi e preformismo, catena degli esseri nel sec. XVIII, cfr.: K. E. v. Baer, Untersuch. über die Entwickelungsgesch. der Tiere, I, Königsberg 1828, p. 222 e passim; D. Lovejoy, The great chain of being, Cambridge, Mass., 1957; J. Roger, Les sciences de la vie dans la pensée franç. du XVIIIe siècle, Poitiers 1962; R. Taton, Histoire générale des sciences, II, Paris 1964; Scienziati e tecnologi dalle origini al 1875, Milano 1975, sub voce Bonnet, Charles; Annali della scienza e della tecnica, Milano 1975, pp. 566, 573, 579; G. Rocci, Charles Bonnet, Roma 1975.