CEFFI, Filippo
Nacque a Firenze probabilmente verso la fine del sec. XIII.
L'indicazione più importante sulla sua famiglia ci è fornita dal cod. Vat. Pal. lat. 1644, f. 92r, in cui la traduzione delle Heroides ovidiane è detta opera di "ser Filippo figluolo di C. k. per adrieto del popolo di san Simone della città di Firenza". Ora, poiché il nome di un notaio "Ceffus filius Roggerii Covonis" compare in due documenti fiorentini dell'agosto e sett. 1288 (Lami, 1758, p. 1102), la contiguità cronologica, l'identità della professione (anche Filippo fu notaio) e la somiglianza delle iniziali (lo scambio di c con k è frequente nel manoscritto vaticano) potrebbero far pensare all'identificazione del notaio "Ceffus" col padre del Ceffi. In realtà nessuno degli elementi citati offre un preciso indizio per l'accertamento della paternità. Altrettanto poco sappiamo della vita.
Dalla sottoscrizione apposta alla fine del Compendium theologicae veritatis, da lui copiato nel cod. Laur. 20, 41, apprendiamo l'unico dato biografico preciso, e cioè che la trascrizione fu portata a termine dal notaio C. il 10 dic. 1321. Inoltre, secondo l'explicit di alcuni manoscritti, la traduzione dell'Historiadestructionis Troiae di Guido delle Colonne, l'altro volgarizzamento di cui è autore il C., fu compiuta nel 1324. I dati cropologici ricavabili dalle Dicerie da imparare a dire ahuomini giovani et rozzi, l'opera più nota del C., permettono poi di fissare intorno al terzo decennio del sec. XIV il periodo della sua attività di cui ci è rimasta traccia.
Per quanto riguarda le traduzioni l'opera del C. s'inserisce nell'ampio filone dei volgarizzamenti. Le versioni, scritte nel comune volgare fiorentino del tempo, non dimostrano particolari qualità interpretative né si distinguono significativamente dalle traduzioni coeve di un Matteo Bellebuoni o di un Binduccio dello Scelto. Si nota anzi, specialmente nel volgarizzamento delle Heroides, una certa fatica nel rendere i più complessi giri di frase latini, come ammette lo stesso C. rivolgendosi, nel corso della traduzione, alla Lisa ispiratrice dell'opera. Lavoro tipico dell'epoca e preceduto da illustri esempi sono anche le Dicerie, una serie di arringhe da pronunciarsi nelle più varie occasioni. Nel genere il C. aveva avuto predecessori come Guido Faba e Brunetto Latini, ma la sua opera si distingue per la precisa veste storica che ricopre il formulario. Gli "huomini giouani et rozzi", cui secondo l'intitolazione del Pal. lat. 1644 le Dicerie erano proposte come modelli, avrebbero potuto giovarsi della citazione di personaggi e fatti contemporanei e quindi a loro ben noti. La posizione dell'autore è quella di ogni buon guelfo fiorentino: nelle arringhe, ad esempio, si richiede la protezione di Firenze da parte di re Roberto d'Angiò attraverso la signoria del figlio Carlo, si attaccano aspramente Ludovico il Bavaro e Castruccio Castracani, si mostra grande rispetto per Giovanni XXII. Non mancano discorsi di tipo personale (il più gustoso dei quali è riuscito, certo contro la volontà dell'autore, la preghiera dello studente al padre "per avere moneta"), ma si tratta generalmente di raccolte di frasi comuni e scontate. Le arringhe sono tutte piuttosto brevi, qualcuna quasi epigrafica, a conferma del carattere didattico impresso dal C. alla sua opera. Anche se i discorsi si limitano di solito ad un'essenziale esposizione di fatti e richieste, un certo gusto retorico è riconoscibile nelle frequenti citazioni, anche latine, di carattere biblico e storico-antico.
Del C. si ignorano luogo e data di morte.
I due volgarizzamenti sono conservati in numerosi manoscritti e sono stati più volte editi. Delle Dicerie, di cui il citato Pal. lat. 1644 presenta la redazione autografa, esistono le edizioni di L. Biondi, Le dicerie di ser Filippo Ceffi notaio fiorentino, Torino 1825; e di G. Giannardi, Le "Dicerie" di Filippo Ceffi, in Studi di filologia italiana, VI(1942), pp. 5-63.
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