COPPOLA, Filippo
Nacque a Napoli il 9 ag. 1628 e non ancora decenne fu indirizzato dal padre Orazio allo studio della musica ed affidato a don Giovanni Maria Sabino a quel tempo primo organista della chiesa dell'Annunziata. Sembra che il C. possedesse un notevole talento che gli permise in pochi anni di divenire uno stretto collaboratore del Sabino. Alla morte del maestro, avvenuta nel 1649, non solo lo sostituì come organista, ma ricevette dal governatorato della Santa Casa l'incarico di dirigerne la cappella con una retribuzione mensile di otto ducati. Nel 1656, anno della peste a Napoli, il C. entrò a far parte della cappella reale come organista e due anni dopo, alla morte dei titolare A. Falconiero, fu nominato maestro di questa cappella con uno stipendio di trentacinque ducati al mese. La contemporaneità di questa nomina con la messa in scena al teatro di corte della commedia in musica La gara dei sette pianeti indurrebbe ad attribuire al musicista la paternità di questo lavoro del quale, oltre la data e il titolo, non si hanno altre notizie. Alla direzione delle cappelle dell'Annunziata e della reggia il C. aggiunse il prestigioso incarico di maestro del Tesoro di S. Gennaro. Per quanto il suo nome figuri al primo posto nell'ordine cronologico dei maestri è certo che il Tesoro, fondato in epoca precedente, ha avuto altri maestri di cappella prima del C. ma, per la dispersione delle delibere del governatorato, questi non sono menzionati nella cronistoria della Casa. Nel 1666 egli divenne anche direttore dell'oratorio dei filippini raggiungendo così un tal cumulo di cariche, tutte conservate fino alla morte, da rappresentare un caso anomalo nella storia musicale di Napoli ed è difficile comprendere come un musicista dai meriti quanto mai incerti abbia potuto raggiungere una tale egemonia e l'abbia saputa difendere con sikccesso dagli attacchi di tanti colleghi, alcuni dei quali gli furono certamente superiori per fama e per il riconosciuto valore della loro produzione artistica. Fra questi si evidenzia F. Provenzale che il Di Giacomo inciica come "terribile competitore del Coppola... dalle frequenti e vivaci proteste, come uomo che non lasciava facihnente manomettere il suo vanto e i suoi diritti" (S. Di Giacomo, p. 4). Lo stesso Di Giacomo, a conferma di questo suo giudizio, trascrive il deliberato di una deputazione istituita nel 1665 per i festeggiamenti in onore del santo patrono la quale, accogliendo una istanza inoltrata dal Provenzale, privava il C. delle funzioni di maestro di cappella per tutta la durata delle rappresentazioni musicali (ibid., pp. 5 s.). Il vicerè conte di Castrillo ed il cappellano maggiore del Regno don Geronimo La Marra lo ebbero in grande stima per cui si può dar credito all'ipotesi che siano stati essi stessi ad influenzare l'attribuzione al C., malgrado la sua giovane età, di numerosi ed importanti incarichi. Ma se questo vicerè e gli altri che gli successero mantennero integra questa stima tanto da elevargli la retribuzione di maestro della cappella reale a quarantaquattro ducati al mese, somma mai prima percepita dai predecessori, la stessa cosa non si può dire del La Marra che divenne molto critico verso i nuovi interessi del C., soprattutto nei confronti del melodramma che egli considerava una esibizione profana che mal si addiceva ad un sacerdote. Fu nel 1676 che si manifestarono i nuovi orientamenti musicali del C. che fino allora si era dedicato solo alla composizione di musica sacra, e paradossalmente questa trasformazione ebbe per antefatto uno scandalo che coinvolse i musici della cappella reale, nella quasi totalità chierici e sacerdoti, per aver partecipato in qualità di orchestrali all'opera Dori del Cesti, rappresentata il 6 novembre del 1675, che aveva avuto per protagonista ed organizzatrice Giulia De Caro detta la "Ciulla" che godeva fama di essere una spregiudicata cortigiana. Travolta dalle ire della viceregina e del cappellano maggiore la Ciulla concluse questa sua sfortunata esibizione con l'internamento alla casa delle pentite alla Pignasecca. Invece gli altri protagonisti della rappresentazione, cioè i musici della cappella, non solo superarono indenni le aspre critiche loro rivolte ma, come scrive il Prota, Giufleo, questa esperienza "suscitò in costoro, malgrado in quella occasione si fossero mostrati recalcitranti, una vera prurigine di rappresentazioni melodrammatiche e fece divenire il C. compositor teatrale" (U. Prota Giurleo, Breve storia..., p. 30). Il 6 novembre del 1676, in occasione del compleanno di re Carlo II, fu dagli stessi musici della cappella messo in scena il melodramma del C., Teodosio, e sembra che patrocinatore dello spettacolo fosse lo stesso vicerè, che otteneva così il fine di valorizzare ottimi elementi da lui già stipendiati senza dover ricorrere a "musicisti mercenari", il cui ingaggio avrebbe inciso sulle casse della Corona già dissanguate dalla lunga e disastrosa guerra di Messina. Dopo il lusinghiero successo ottenuto dal suo Teodosio il C., che orinai aveva collaudato la sua vena teatrale, musicò El robo de Proserpina y sentencia de jupiter su libretto di un anonimo segretario di don Manuel Garcia Bustanante. Nel Fuidoro leggiamo che "fu la prima volta che la lingua castigliana in poesia fusse recitata in musica nel Palazzo Regio... alcuni dei musici di Palazzo, che hanno voluto rappresentare la loro parte con ogni perfetta espressione castighana si sono trasportati a queste note... degne di essere godute alla presenza delle Maestà loro; per questo finì alle sei hore di notte". Quale premio per questo suo lavoro il C. ebbe uno scatto di stipendio passando da trentacinque a quarantatré ducati.
Il 12 febbr. 1679, sempre organizzata dai musici della cappella, il C. fece rappresentare nella sala grande del palazzo reale la sua nuova opera Arsinda in Egitto su libretto di B. Pisani. Anche in questa occasione, malgrado si fosse ripetuto il successo delle precedenti opere teatrali del C., si rinnovò la vibrata protesta del La Marra rivolta "all'incipiente corruzione della musica e a quel miscuglio di stile ecclesiastico e teatrale che cominciava a deplorarsi nella R. Cappella" (U. Prota Giurleo Breve storia..., p. 32). Il 4 febbr. 1680, in occasione di uno dei più frenetici carnevali napoletani che si ricordino, quando anche i pazzi uscirono liberi dall'ospedale degli Incurabili per partecipare alle mascherate, il C. e i suoi musicisti presentarono al teatro di corte Eteocle e Polinice che era già stata rappresentata a Venezia nel 1675 con musica di G. Legrenzi. "La musica dell'Aureli [sic] l'aveva trascritta, naturalmente all'uso napoletano, lo stesso maestro della Real Cappella F. Coppola, con grande scandalo del Cappellano Maggiore... un gigante cantava nell'opera e negli intermezzi parlava a tu per tu col Vicerè. Erano stravaganze che il Provenzale aborriva" (V. Viviani, p. 203). Il Prota Giurleo racconta che dopo una replica "il povero Coppola, che chissà quale premio si attendeva per le sue virtuose fatiche, uscendo accaldato da Palazzo pigliò "un colpo d'aria" che in pochi giorni lo condusse alla tomba" (Breve storia..., p. 34).
Nessuno dei lavori del C. risulta sia mai stato dato alle stampe ed i soli manoscritti salvati si riducono a quattro composizioni di musica sacra che si conservano a Napoli presso l'Archivio dei Filippinì: Confitebor a 9 voci con violini (1658); Laetatus a 9 voci e due chori (1658); Magnificat a 9 voci (1658); Vox Domini super aquas mottetto a 4 voci, organo, violino, cornetto e fagotto (s.d.). Nella Biblioteca del conservatorio di S. Pietro a Maiella si conserva la partitura dell'azione teatrale Proserpina con testo spagnolo composta di un prologo e di due parti (Jornada primera e Jornada secunda) che per quanto anonima e non datata si può attribuire al Coppola. Presso lo stesso conservatorio si conserva la partitura di Eteocle e Polinice che è attribuita al Legrenzi e dovrebbe quindi trattarsi del lavoro originale del 1675di questo musicista senza le manipolazioni apportate successivamente dal Coppola.
Il C. morì il 26 febbr. 1680 e fu sepolto nella chiesa di S. Giorgio Maggiore. Il cappellano maggiore La Marra, nel registrare questo avvenimento, scrive che il C. "servì senza mancamento alcuno e con puntualità et eminenza la sua professione e tale concorso nelle sue opere, che lo più delle volte restavano con ammiratione li circostanti..." (U. Prota Giurleo, F. Cirillo..., p. 29).
Bibl.: Napoli, Bibl. naz., ms. X. B. 19: Fuidoro, note al Diario del Bucca, f. 179; B. Croce, I teatri di Napoli..., Napoli 1991, p. 182; Catal. dell'Archivio dell'Oratorio dei filippini, Parma 1918, p. 47; S. Di Giacomo, Maestri di cappella, musici e istrumenti al Tesoro di S. Gennaro nei secc. XVII e XVIII, Napoli 1920, pp. 4-7, 14; I. Fuidoro, Giornali di Napoli, III, Napoli 1939, p. 315; U. Prota Giurleo, F. Cirillo e l'introd. del melodramma a Napoli, Grumo Nevano 1952, pp. 25, 29 ss.; Id., Breve storia del teatro di corte e della musica a Napoli nei secc. XVII e XVIII, Napoli 1952, pp. 25, 30-34; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, p. 203; U. Manferrari, Dizion. universale delle opere melodrammatiche, I, Firenze 1955, p. 271; C. Schinidl, Diz. univ. dei musicisti, Suppl., p. 213; La Musica, Diz., I, p. 435.