CRIVELLI, Filippo
Appartenne alla potente famiglia milanese e nacque agli inizi dei XV secolo; prima del 1435 era già divenuto decretorum doctor. Il 6 febbr. 1436 ricopriva la carica di preposito della casa umiliata di S. Giovanni e di Ognissanti ad vineas di Lodi, piccolo monastero in pessime condizioni economiche, giacché poteva mantenere un solo monaco, oltre al superiore. Con il duplice titolo di preposito e di maestro partecipò ai capitoli generali degli umiliati svoltisi a Siena nel 1435 e a Mantova nel 1436, ove fu eletto visitatore dei convenCi di Lombardia. Nel 1439 divenne definitore per la stessa provincia ed appoggiò l'opera di riforma dei costumi degli umiliati, iniziata dal maestro generale dell'Ordine, Stefano da Arzago. Quando nel 1443 Stefano si dimise dalla carica, perché a suo modo di vedere l'azione riformatrice non si realizzava presso le fondazioni umiliate, i prepositi elessero il C. come maestro generale, carica che egli mantenne, per riconferma del capitolo o per iniziativa dei pontefici, per più di ventiquattro anni.
Al momento di assumere la guida dell'Ordine incombeva su di lui il compito di restaurare l'antica disciplina religiosa, finalità sfuggita al suo predecessore. Nel 1444 il C. si rivolse al duca di Milano, Filippo Maria Visconti, per realizzare la riforma, anche con la forza, presso quelle fondazioni che non avessero voluto accettarla per spirito evangelico.
Il Tiraboschi ha conservato una lettera del duca, un tempo custodita presso l'archivio delle umiliate di S. Maria Maddalena di Monza, datata 12 ott. 1444. Il Visconti, dopo aver giudicato onesta la richiesta del generale, ordinava ai suoi ufficiali di intervenire con la forza del braccio secolare, su ordine del C. o dei suoi legittimi procuratori, contro quei monasteri umiliati nei quali fosse da reprimere l'insolenza, la lascivia o il disprezzo delle norme canoniche.
I primi frutti di questa forzata riforma si ebbero presso uno dei maggiori cenobi milanesi, la domus di Brera, che abbracciò un più rigoroso stato di vita, come è confermato da una lettera ducale del 24 dic. 1445. Filippo Maria Visconti concesse l'immunità al monastero e ai suoi beni, in modo che i monaci potessero meglio continuare nella regolare osservanza, nella riforma dei costumi e nell'indefessa opera di preghiera per il bene dello Stato, per l'incolumità del duca e per il felice successo della sua politica. Dal resto del privilegio possiamo anche conoscere esplicitamente che una delle finalità della politica ecclesiastica del Visconti era proprio la riforma dei costumi monastici e la realizzazione di un più severo stato di vita religiosa.
L'alleanza tra il generale degli umiliati ed il duca convinse numerosi prepositi lombardi a rinnovare le antiche consuetudini e a dare leggi più rigide ai loro cenobi. Ma non si trattava solo di restaurare la disciplina; molte delle numerosissime case dell'Ordine in Lombardia erano anche in gravissimo stato materiale, sia per la rovina degli edifici, sia per l'inconsistenza del reddito patrimoniale. Per ovviare a questa situazione il C. fu costretto ad adottare provvedimenti in parte contrastanti con l'azione di riforma intrapresa e ciò giustifica lo scarso successo che la sua opera ebbe nel corso del tempo.
Due esempi possono sufficientemente illuminare la questione. Tra la fine del 1452 e l'inizio del 1453 fra' Giovanni da Orsanigo era stato inviato come preposito presso il cenobio di S. Matteo di Cassano, ma aveva trovato la chiesa e la casa del monastero talmente diroccate da non poterci abitare. Si era pertanto posto il problema della loro riparazione, ma i redditi della fondazione non erano sufficienti all'impresa, cosicché fu costretto ad usare anche denari propri. Ora, temendo che per la regola dell'avvicendamento dei superiori un altro preposito potesse sostituirlo presso la casa da lui restaurata, scrisse a Bianca Maria Visconti, moglie del duca Francesco Sforza, per ottenere in perpetuo l'amministrazione del monastero. La duchessa richiese al C. la licenza di accondiscendere alla petizione ed il generale, tenuto conto che il monaco aveva sempre manifestato una onesta condotta di vita, diede il proprio assenso.
Così, contrariamente alla regola, che voleva l'alternanza dei superiori presso le varie prepositure, fra' Giovanni ottenne dallo stesso riformatore dell'Ordine il permesso di trasgredire la legge. Un simile caso è contenuto in una lettera del C., datata 18 febbr. 1456, e scritta da Milano al preposito Giovanni Rusca, superiore del cenobio comasco di S. Maria e di Ognissanti di Rondenario. I monaci avevano richiesto il permesso di contrarre debiti, impegnando i beni della prepositura, per poter pagare la loro quota di decima apostolica, imposta dal papa Callisto III. L'operazione era vietata dalle costituzioni dell'Ordine, ma il C. concesse ugualmente la dispensa, incrementando così l'uso di non applicare le regole, soprattutto in materia economica, ed avviando probabilmente la fondazione alla rovina.
Nonostante queste contradditorie posizioni il C. sviluppò la sua attività riformatrice anche fuori dai confini della Lombardia, in ciò aiutato dal cardinal Pietro Barbo, protettore degli umiliati ed in seguito papa con il nome di Paolo II. Questa nuova collaborazione tra i due personaggi è alla base della bolla, emanata da Pio II il 21 ag. 1459 ed indirizzata, tramite il Barbo, a tutte le fondazioni umiliate. Si tratta di un motuproprio con cui il pontefice impone una riforma agli statuti ed alle costituzioni dell'Ordine: al testo del privilegio avevano lavorato il C. ed il Barbo.
Per attuare la riforma il documento stabiliva che la carica di generale durasse sei anni e che al termine del mandato non, fosse possibile. in nessun modo prolungarlo. Disponeva, inoltre, che ogni tre anni fosse tenuto il capitolo generale, nel quale dovevano essere eletti gli ufficiali dell'Ordine per una durata di tre anni. Solo per la metà degli stessi ufficiali era possibile reiterare l'incarico per un massimo di altri tre anni, terminati i quali più nessuno poteva essere rieletto. Tali drastiche decisioni non erano però subito messe in pratica, giacché, viste le difficoltà del momento, il pontefice permetteva al C. di continuare a ricoprire la carica di generale, con l'ordine di visitare entro un anno tutte le case delle varie province. Pio II disponeva in modo minuzioso su quali argomenti avrebbe dovuto vertere l'indagine: in primo luogo il C. avrebbe controllato se i monaci celebrassero devotamente il divino ufficio, sia diurno, sia notturno. Si sarebbe poi reso conto della personalità e della preparazione del preposito, nonché del numero dei confratelli assegnati alle singole prepositure; questi dati avrebbero dovuto essere confrontati con le entrate di ciascuna fondazione in modo da stabilire se il reddito fosse sufficiente. I religiosi non potevano uscire a loro piacimento dal monastero per vagare nei centri rurali o per le piazze cittadine; era demandata al preposito la facoltà di concedere un permesso di uscita a due monaci., sempre vestiti con abito religioso. Si disponeva infine che i confratelli fossero obbligati a risiedere presso le fondazioni a cui erano stati assegnati o in cui erano divenuti professi. Per formare culturalmente i membri dell'Ordine il generale era obbligato ad istituire due collegi universitari, uno a Pavia per otto studenti ed uno a Padova per quattro. Le materie di studio e di specializzazione erano il diritto canonico, le arti e la sacra teologia. Inoltre si disponeva che i capitoli generali avrebbero dovuto tenersi solo nelle province in cui almeno un monastero dell'Ordine avesse accettato di riformarsi "sub regulari osservantia". Infine era fissato che il generale avrebbe goduto di due terzi dell'antico fodro per le sue necessità e per mantenere presso la Curia romana un procuratore.
L'Ordine entrava così in una fase di riforma e di nuova credibilità spirituale: a questo proposito il cardinale Nicola da Cusa, su pressione del C. e del pontefice, tentò, tra il 1461 ed il 1462, di introdurre gli umiliati presso il monastero di S. Cristoforo a Venezia, una fondazione dei Visconti officiata dalla Congregazione di S. Giorgio in Alga. La proposta trovò una forte opposizione da parte del patriarca e del doge, Pasquale Malipiero, che il 17 febbr. 1462 scriveva al Cusano di non voler assolutamente gli umiliati presso il monastero di S. Cristoforo. La Serenissima non desiderava persone di vita regolare estranee e troppo legate al pontefice e ad altri signori, ma preferiva religiosi dipendenti direttamente dallo Stato.
Avviata l'azione spirituale all'interno dell'Ordine, il C. rivolse la sua attenzione al ricupero dei beni delle varie fondazioni che erano stati indebitamente sottratti da vescovi e da. laici, e pertanto pregò Pio II di intervenire sulla questione con una lettera in cui si ordinasse di restituire il maltolto e si creasse una magistratura speciale con l'incarico di recuperare, anche per mezzo di censure ecclesiastiche, le proprietà. Pio II aveva fatto preparare la bolla in data 26 maggio 1464, ma la morte gli aveva impedito di firmarla e di mandarla ad effetto. Il successore, Paolo II, si affrettò a riconfermarla ed il 16 settembre dello stesso anno incaricò i vescovi di Verona e di Vercelli, nonché l'abate di S. Ambrogio di Milano, di attuare i mandati relativi al ricupero dei beni.
L'ultimo atto a noi noto del C. risale al 1465; si tratta di un ordine di riforma del monastero di Bregonzio, le cui monache furono aggregate, con i loro redditi, alla casa umiliata di S. Maria de Paulo di Lodi. Il C. morì il 9 dic. 1468 a Milano: per l'occasione il duca Galeazzo Maria Sforza scrisse ai prepositi delle maggiori fondazioni umiliate della città una lettera in lode di Filippo, che egli chiama per errore Giovanni.
L'Argelati affermò che il C. scrisse una Chronica Ordinis Fratrum Humiliatorum, allora conservata presso la biblioteca metropolitana dal capitolo di Milano, con la segnatura D. 54. Il Tiraboschi ricercò il codice e scoprì che non conteneva alcuna cronaca, bensì lettere pontificie indirizzate all'Ordine. Forse il C. curò la realizzazione di questa antologia, giacché il suo nome ricorre più volte in calce alle autentiche dei privilegi papali, tuttavia per questa sola ragione non può essre ritenuto un cronista e pertanto va escluso dal numero degli scrittori umiliati.
Fonti e Bibl.: F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediol., I, 2, Mediolani 1745, col. 514; G. Tiraboschi, Vetera humiliatorum monumenta, I, Mediolani 1766, pp. 138 s., 286 s.; II. ibid. 1767, pp. 11, 15; III, ibid. 1768, pp. 65 s., 70-76; G. Mercati, Due ricerche per la storia degli umiliati, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XI(1957), pp. 180, 183-186; E. Meuthen, Die letzten Jahre des Nikolaus von Kues. Biographische Untersuchungen nach neuen Quellen, Köln-Opladen 1958, pp. 73, 278 s.; L. Grassi, L'abbazia di Mirasole ed altre grange degli umiliati in Lombardia, in Arte lombarda, III(1958), p. 39; C. Castiglioni, L'ordine degli umiliati in tre codici illustrati dell'Ambrosiana, in Mem. stor. della diocesi di Milano, VII(1960), p. 28; E. Cattaneo, Le istituzioni eccles. milanesi, in Storia di Milano, IX, Milano 1961, pp. 638 s.; B. Bolton, Sources for the early history of the Humiliati, in Studies in Church History, XI, Oxford 1975, pp. 129 ss.